Pavel Aleksandrovich Florenskij nacque a Yevlach (nell’attuale Azerbagian) il 9 gennaio 1882.
Era figlio di un ingegnere delle
ferrovie, Aleksandr Ivanovic, e di Olga Pavlovna Saparova, discendente d una
nobile e colta famiglia armena.
Primogenito tra i fratelli e sorelle Julija
(medico psichiatra), Elizaveta (pittrice e pedagoga), Aleksandr
(geologo, archeologo ed etnografo, arrestato nel 1937 e fucilato nel lager di
Sussuman, nella regione di Magadan), Olga, Raisa (pittrice) e Andrej
(esperto di armamento militare pesante), Pavel divenne un sacerdote,
distinguendosi anche come scienziato, enciclopedista, filosofo, teologo,
fisico, matematico e ingegnere, specialista di materiali elettrotecnici.
La famiglia si trasferì a Tbilisi, in Georgia, dove dimorò
a lungo e da cui Pavel si allontanò solo al compimento dei 18 anni di età per
recarsi all’Università di Mosca, dopo aver concluso gli studi ginnasiali nella
cittadina georgiana di Tiflis.
Seduti, da sinistra: il padre Aleksandr, la sorellina Raisa, Pavel, la sorella Elizaveta, la mamma Olga, e il fratellino Aleksandr. In piedi: Olga Florenskaja, Elizaveta Pavlovna Melik-Beglyarova, e Lucy Glorenskaja
All'Università di Mosca studiò fisica e matematica (seguì i corsi di N.Bugaev,
il padre dello scrittore Andrej Belyj) laureandosi nel 1904, ma rinunziò ad una
prestigiosa cattedra universitaria per dedicarsi alla filosofia antica,
seguendo i seminari di Nikolaj Sereevic Trubeckoj e L. Lopatin, come iscritto
all’Accademia di teologia (dove svolse anche l’attività di insegnante) e, dopo
aver conseguito la Licenza tale disciplina nel 1908, anno della morte del
padre, divenne nell’aprile del 1911 sacerdote della Chiesa ortodossa senza però
ricoprire alcun incarico parrocchiale.
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Pavel e la moglie Anna Michaijlovna Giacintova |
Il 25 agosto 1910 Pavel si sposò con
Anna Michaijlovna Giacintova, dalla quale ebbe il primo figlio, Vasilij, nel
1911.
Il secondo figlio fu chiamato Kirill,
mentre alla figlia più grande fu dato il nome di Olga, e ad altri due figli,
fratello e sorella minori, rispettivamente quelli di Michail e di Maria
Tinatin.
Il 5 aprile 1912 conseguì il Dottorato
e il titolo di Magister in Teologia.
Dal 1912 al 1917
lavorò come segretario scientifico della commissione per la protezione dei monumenti
d’arte e delle antichità del Monastero ortodosso Santissima Trinità Sergio
Lavra (Trinity-Sergius), poi diresse la rivista Theological Bulletin
(Messaggero teologico) e tenne lezioni di matematica e fisica presso l’istituto
Sergio di Pubblica Istruzione.
Nel 1917 fu sacerdote a Sergiev Posad, una città a circa 71 Km a nordest di
Mosca.
Dopo la rivoluzione bolscevica, il nuovo regime dittatoriale e
totatlitario impose la chiusura dell’Accademia Teologica di Mosca, costringendo
Florenskij a rivolgersi verso una attività diversa, focalizzzatasi dal 1921 con
l’insegnamento della ”teoria della prospettiva” all’Istituto superiore
tecnico-artistico Vchutemas di Mosca, legato al proletkult, l’Organizzazione culturale-educativa proletaria che
seguendo le teorie del critico marxista Aleksandr Bofdanov imponeva le basi di
una cultura artistica scevra da condizionamenti borghesi.
Nel 1918 ottenne l'incarico di creare
una commissione per la salvaguardia del Monastero di San Sergio, sopracitato.
Lavorò inoltre come ingegnere, nella fabbrica Karbolit, occupandosi della
teoria della relatività e dei quanti, dimostrandi di essere un uomo
dall’intelligenza straordinaria, in grado di unire le più alte divagazioni
metafisiche con la disciplina matematica e l’ingegneria, la storia dell’arte
con la filosofia, l’invenzione scientifica con la creazione artistica, la
teologia con la semiotica pragmatista, sintattica e semantica, e la simbologia.
Pavel Florenskij era un uomo dotato di eccezionale cultura poliedrica,
che riusciva a coniugare con ardite intuizioni le dinamiche della scienza e
della fede, del cristianesimo e della cultura, della vita e del pensiero,
anticipando lo sviluppo della cibernetica e contribuendo a diverse importanti
scoperte scientifiche.
Nel 1919 scrisse una delle sue opere
più interessanti, intitolata “La prospettiva rovesciata e altri scritti
sull’arte” (tradotto in Italiano a cura di Adriano Dell’Asta e pubblicato da
Adelphi).
Lo scritto verte sulla rappresentazione
dello spazio nelle arti figurative e fu realizzato per il Comitato che si
occupava della conservazione dei beni storico artistici del Monastero della
Santissima Trinità di San Sergio, diventando un punto di riferimento per i
corsi di Analisi dello Spazio nelle opere d’arte figurative e di Analisi della
prospettiva che l’Autore tenne fra il 1921 e il 1924 presso la Facoltà
Poligrafica Statale del VChUTEMAS di Mosca, l’Istituto Superiore per la
Progettazione Industriale (analogo all’Istituto d’arte e design Bauhaus tedesco
della repubblica di Weimar).
Florenskij lavorò dal 24 marzo 1925 come
ingegnere capo del laboratorio di sperimentazione dei materiali da lui stesso
creato, presso l’Istituto Nazionale di Elettrotecnica.
Nel 1927 iniziò a collaborare alla
redazione dell'Enciclopedia Tecnica, ma nel 1931 dovette interrompere questa ed
altre attività.
Il suo primo arresto avvenne il 21
maggio 1928, e in tale occasione fu condannato a tre anni di confino, da
scontare nel villaggio di Skovorodino, ma la pena fu sospesa grazie
all’intervento della ex moglie di Gorkij, Ekaterina Pavlovna Pekova.
Trascorse un periodo di relativa
tranquillità, senza sapere a suo nome era già stato aperto un fascicolo di
indagine in cui veniiva segnalato come una minaccia per il potere sovietico.
Il suo ultimo articolo, relativo alla interconnessione della fisica al servizio
della matematica comparve nel 1932, poi il 26 febbraio del 1933 fu arrestato e
imprigionato nella famigerata prigione moscovita della Lubjanka.
La colpa di Pavel, secondo gli
inquisitori della GPU, la Polizia segreta staliniana, era quella di appartenere
ad una organizzazione clandestina denominata “Partito del Rinascimento Russo”,
in stretti rapporti con l’emigrazione bianca e in attesa di incontrare Hitler.
Il suo principale acccusatore era un
giurista di nome Giduljanov, che seguendo un rituale già sperimentato dagli
inquirenti, si autoaccusò chiamandolo in causa, salvo poi ritrattare dopo
essere stati entrambi deportati, e asserendo di essere stato costretto a
confessare, inventandosi tutto, dietro la pressione dell’ufficiale istruttore,
tale Supejko.
Il tritacarne comunista usava ogni
mezzo per estorcere confessioni alle vittime che avevano la sfortuna di cadere
nelle loro mani, usando la tortura, le minacce, il ricatto, le pressioni psicologiche
e fisiche.
A Pavel, in particolare, fu detto che
la sua ostinazione al rifiuto di confessare avrebbe impedito la liberazione di
altri prigionieri, sfruttando così la condizione psicologica secondo la quale
un prete non avrebbe potuto permettere che il proprio comportamento si
riflettesse negativamente su altri esseri umani.
Dopo tre mesi, durante i quali venne sottoposto a continui
interrogatori nella fase istruttoria del suo procedimento penale, Pavel
nell’estate del 1933 confessò una colpa che non aveva, firmando un verbale,
preventivamente approntato dal magistarto inquirente, che trasformandolo in
fascista recitava testualmente:
“Riconoscendo i miei crimini verso
il potere sovietico e il partito, con la presente esprimo il mio profondo pentimento
per la mia criminale adesione all’organizzazione del centro nazionalfascista…”
Il potere comunista decretò infine
l’accusa di “attività controrivoluzionaria", per la quale l’imputato venne
inviato a Skorovodino, nella Siberia occidentale per scontare una pena di dieci
anni nella sperduta
Stazione sperimentale degli studi sul gelo
presso il BAMLAG dove rimase dal 10 febbraio al 17 agosto 1934.
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Stazione del permafrost a Skovorodino |
Le ricerche sul gelo vertevano sul suo
utilizzo in campo elettrotecnico e il genio di Pavel portò a scoperte importanti sul permafrost e sui liquidi
anticongelanti.
L’estate successiva fu raggiunto dalla
moglie Anna e dai suoi tre figli piccoli, ma la perfidia del regime comunista
si palesò pervicacemente sotto forma di un nuovo trasferimento, il giorno 1 settembre
1934, decretando per lui come destinazione il lager delle isole Solovki nel Mar
Bianco.
Accompagnato dal famigerato articolo
58, paragrafi 10 e 11 (propaganda antisovietica e partecipazione a
organizzazione controrivoluzionaria) si aprirono per lui le porte del Gulag
mentre la famiglia non ebbe nemmeno il diritto di sapere in quale parte
dell’universo sovietico era stato destinato.
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A Skorodino, 1934 |
Il 24 ottobre 1934 Pavel venne
imbarcato insieme ad altri deportati sulla nave che da Kem attraversò il Mar
Bianco fino alle coste delle isole Solovki.
All’arrivo, tutti quelli rimasti vivi
furono incolonnati verso il luogo in cui avrebbero trascorso un periodo di
quarantena, mentre sulla riva vennero accatastati i corpi di coloro che non
avevano superato le fatiche del viaggio, la fame, il freddo o una malattia.
Florenskij entrò così a far parte di
quell’universo di 850.000 deportati che furono inghiottiti dalle Solovki,
uomini, donne, giovani e vecchi, tutti accomunati senza che ci fosse un vakido
motivo a subìre il medesimo tragico destino.
Proprio per lui, in particolare,
considerato la mente più vasta che il Novecento russo abbia mai conosciuto,
date le sue qualità di matematico, ingegnere, inventore, teologo, filosofo e
sacerdote, non c’era alcun motivo plausibile, se non quello di soddisfare il
sadico bisogno del comunismo di affermarsi al di sopra dei valori di libertà e
di democrazia, disprezzando con arroganza i diritti umani.
Fu definito il “Pascal russo”, e anche
il “Leonardo da Vinci della Russia”, ma la sua immensa caratura morale e le sua
incommensurabile capacità intellettuale non furono sufficienti a evitargli di
finire stritolato nelle ruote dell’ingranaggio sovietico.
Nel 1934 Pavel aveva 52 anni e non
sapeva che il Gulag, al cui ingresso troneggiava imperiosa la scritta “Rieducazione
attraverso il lavoro”, si sarebbe appropriato della sua vita da lì a tre
anni, mentre il regime comunista tentava di fare di lui un uomo nuovo, anzi un
automa spersonalizzato di proiprietà esclusiva della macchina statale.
Stalin, deus ex machina del comunismo
sovietico, tolse all’umanità sofferente delle Solovki tutto ciò che apparteneva
alla sfera dei sentimenti, come l’onore, la rispettabilità, la fedeltà,
l’amicizia, il senso del vero o della giustizia, la speranza, lasciando i
deportati in balìa di carnefici sadici e sanguinari, e offrendo loro tavolacci
di legno da usare come giacigli su cui abbandonarsi esausti dopo i turni di
lavoro, assediati da un esecito sempre attivo di cimici che banchettavano con
la loro carne, spudoratamente e senza pause.
Florenskij fu assegnato ai lavori
comuni a svolgere mansioni come la selezione e la sbucciatura delle patate,
oppure come addetto al mangime degli animali, lo scarico dei sacchi di rape, ma
anche come addetto al centralino o al lavoro nella torbiera.
Il 15 novembre venne però trasferito
per lavorare nella fabbrica “Iodprom”, uno stabilimento nel quale si
produceva lo iodio che veniva estratto
dalle alghe marine.
Nel 1936 scrisse una lettera alla sua
famiglia, di cui propongo un brano significativo del suo stato d’animo:
“Qui tutto è senza suoni, come nei
sogni.
E’ il regno del silenzio.
Naturalmente non proprio alla lettera
perchè c’è più che abbondanza di ogni tipo di rumori molesti, e viene voglia di
rinchiudersi da qualche parte per restare in silenzio.
Ma il fatto è che qui non si sente il
suono interiore della natura, la parola interiore della gente.
Tutto scivola, come in un teatro
d’ombre, e i rumori giungono dall’esterno, come un qualcosa d’inutile e
fastidioso, o come chiasso.
E’ una cosa difficile da spiegare come
mai niente ha rumore, perché non c’è la musica delle cose e della vita; io
stesso non riesco a capire fino in fondo perché sia così, ma questa musica non
c’è.
C’è solo la risacca (ma che si sente
molto raramente) e l’ululato del vento…”
Pavel Florenskij morì fucilato il
giorno 8 dicembre 1937, a seguito della famigerata ordinanza N° 00447 emessa da
Stalin, che imponeva lo sterminio di centinaia di migliaia di persone, accusate
di propaganda trockista controrivoluzionaria, ma la notizia della sua morte si
ebbe soltanto nel 1969.
L’impietosa quanto squallida
motivazione che autorizzò i suoi carnefici a toglierli la vita fu lapidaria:
“Fa propaganda controrivoluzionaria
esaltando il nemico del popolo Trockij”.
Lo scittore russo Vitali Sentalisnkij,
autore del libro “I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del KGB”,
trovò negli archivi della Polizia segreta di Leningrado un verbale redatto
dalla trojka speciale che nel 1937 emetteva le condanne a morte.
Il testo era tanto lapidario quanto
drammatico:
“FUCILARE FLORENSKIJ PAVEL
ALEXANDROVIC”.
L’incartamento esaminato da
Sentalisnkij comprendeva anche una busta gialla, contenente l’attestazione
dell’avvenuta esecuzione.
“La sentenza della trojka della
Direzione dell’NKVD della regione di Leningrado relativa al condannato alla
pena suprema Florenskij Pavel Alexandrovic è stata eseguita l’8 dicembre 1937,
come certifica il presente atto”.
E’ sintomatico del delirio di
onnipotenza che animava i carnefici comunisti il testo del decreto emanato dal
Commissario del Popolo agli Affari Interni
e Commissario generale della sicurezza dello Stato, Nikolaj Ivanovic
Ezov, con cui si imponenano le quote minime di persone da “liquidare”.
Ecco un estratto del delirante
documento:
“Entro due mesi, a partire dal 25
agosto, portare a termine l’operazione per reprimere i più attivi elementi
controrivoluzionari condannati per attività spionistiche, ribellione,
terrorismo, insubordinazione e banditismo, come pure i membri di partiti
antisovietici e altri rivoluzionari che in prigione hanno avuto un
comportamento antisovietico … Il numero dei detenuti da fucilare per la
prigione delle Solovki è fissato a 1200”.
Nel 1990 il KGB, degna erede della
ferocia espressa dalla GPU, artiglio di Stalin ideato per ghermire le prede
necessarie a soddisfare il suo sadico delirio di onnipotenza, inviò una lettera
alla famiglia di Pavel, nella quale indicava le circostanze della morte del
loro caro, a distanza di 53 anni dal momento della fucilazione.
Fra le sue opere letterarie ricordiamo i seguenti titoli, in
ordine alfabetico, tradotti in italiano:
Ai miei figli. Memorie di giorni passati, A. Mondadori, Milano
2003;
Amleto, Bompiani 2004
Antonio del romanzo e Antonio della tradizione, Edizioni degli
Animali 2018;
Attualità della parola: la lingua tra
scienza e mito, Guerini e associati, Milano 1987;
Bellezza e liturgia. Scritti su
cristianesimo e cultura, Mondadori, Milano 2010;
Dielettrica;
Gli immaginari in geometria. Estensione del dominio delle immagini
bidimensionali nella geometria, Mimesis 2021;
Iconostasi. Saggio sull’icona, Medusa 2008
Il concetto di Chiesa nella Sacra
Scrittura, San Paolo, Milano 2008;
Il cuore cherubico. Scritti teologici e
mistici, Piemme, Casale Monferrato 1999;
Il Dante di Florenskij, Lindau 2021;
Il sale della terra. Vita dello starec
Isidoro, edizioni Qiqajon, Magnano 1992;
Il significato dell’idealismo, Rusconi, Milano 1999;
Il simbolo e la forma.
Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007;
Il valore magico della parola, Medusa
2001;
La colonna e il
fondamento della verità, San Paolo Milano 2010;
La concezione
cristiana del mondo, Pendragon 2019;
La filosofia del
culto. Saggio di antropodicea ortodossa, San Paolo Ed 2016
L’amicizia, Castelvecchi 2013;
La mistica e l’anima
russa, San Paolo Edizioni, 2006;
La prospettiva rovesciata, Adelphi 2020;
L’arte di educare, La Scuola,
Brescia 2015;
Le
porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 1977;
L’infinito nella conoscenza, Mimesis, Milano
2014;
Lo spazio e il tempo nell’arte, Adelphi, Milano
1995;
Lo stato futuro, Il Nuovo Melangolo Editore 2022;
Non dimenticatemi, Mondadori 2006;
Primi passi della filosofia. Lezioni sull'origine della filosofia
occidentale, 2022;
Realtà e mistero. Le
radici universalidell’idealismo e la filosofia del nome, SE Editore 2013;
Scritti sullo
spazio,
Beatrix 2017
Simboli dell’eternità.
Meditazioni e preghiere, Lipa
Editore 2020;
Stratificazioni:
Scritti sull’arte e la tecnic (Lo spazio e il tempo), Diabasis 2007;
Stupore e dialettica, Quodlibet, Macerata
2013;
Sulla superstizione e il miracolo, SE Editore 2014;
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Sergej Bulgakov, il sacerdote ortodosso e intellettuale
suo amico, che fu espulso dall’Unione Sovietica per ordine del regime comunista, commemorò la scomparsa di
Florenskij con le seguenti parole:
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Pavel e Bulgakov |
“Padre Pavel non era solo un fenomeno di genialità, ma anche un’opera
d’arte. (…).
L’attuale opera di padre Pavel non sono più i libri da lui scritti, le
sue idee e parole, ma egli stesso, la sua vita”.
Va però detto che soprattutto Pavel Florenskij è stato
un martire cristiano della Chiesa ortodossa, rimasto fedele fino in fondo ai
grandi valori che aveva posto alla base della propria vita, rendendo così una
testimonianza alla verità nel cuore della tragedia del Novecento.
La figura di Pavel Florenskij è stata ricordata anche da Giovanni Paolo
II nell’enciclica “Fides et ratio” rivolta ai vescovi della
Chiesa cattolica circa i rapporti tra fede e ragione, proprio per il modo originale e rigoroso con cui il pensatore
russo ha saputo coniugare i dati della conoscenza scientifica con quelli della
fede.
Ecco un breve estratto dell’enciclica:
“Il fecondo rapporto tra filosofia e parola di Dio si manifesta anche
nella ricerca coraggiosa condotta da pensatori più recenti, tra i quali mi
piace menzionare (…..) Pavel A. Florenskij (…).
Ovviamente, nel fare riferimento a questi autori, accanto ai quali altri
nomi potrebbero essere citati, non intendo avallare ogni aspetto del loro
pensiero, ma solo proporre esempi significativi di un cammino di ricerca
filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal confronto con i dati della
fede.
Una cosa è certa:
l'attenzione all'itinerario spirituale di questi maestri non potrà che
giovare al progresso nella ricerca della verità e nell'utilizzo a servizio
dell'uomo dei risultati conseguiti.
C'è da sperare che questa grande tradizione
filosofico-teologica trovi oggi e nel futuro i suoi continuatori e i suoi
cultori per il bene della Chiesa e dell'umanità”.
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Dissenso
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