domenica 12 dicembre 2010

DARFUR

Non si parla molto del Darfur, come invece si dovrebbe, e neanche delle migliaia di vittime innocenti che vengono massacrate nell’indifferenza del mondo intero.

Si parla molto di più delle partite di calcio e di come vengano realizzati i gol dai vari campioni sportivi del momento.
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Personalmente penso che sia doveroso dare invece una maggiore risonanza a ciò che accade in questa regione africana martoriata da un conflitto tra i più sanguinosi avvenuti in quel continente.

La Corte Penale Internazionale dell’Aia in un recente comunicato ha accusato il presidente sudanese di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità commessi nella regione del Darfur, ed ha emesso un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti.
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Un secondo mandato di arresto della Cpi è stato spiccato per capi d'accusa che evocano il genocidio verso i gruppi dei Four, dei Masalit e dei Zaghawa :
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genocidio per omicidio, genocidio per grave attentato all'integrità fisica e mentale e genocidio per sottomissione intenzionale di ciascun gruppo a condizioni di vita che ne comportano la distruzione fisica”.

Per capire come si sia arrivati ad un vero e proprio conflitto sanguinoso che coinvolge l’intero Sudan e le popolazioni sia nomadi che sedentarie, ho fatto una approfondita ricerca in rete, e non pago, mi sono letto un libro, scritto da Luca Pierantoni, intitolato proprio “Darfur”.

L’opera di Pierantoni è ricca di informazioni, completa, ed esaustiva, e inoltre eviscera il problema in tutti i suoi aspetti e le sue sfaccettature, dando un quadro di insieme completo e veritiero.

Consiglio a tutti di leggere queste pagine, da cui ho estrapolato le linee essenziali, nella loro drammatica continuità.

Ecco di seguito una analisi dei fatti, secondo una indagine storiografica e socio-politica, che ci può dare un’immagine di come questa grande tragedia sia potuta accadere.

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Le cause che hanno portato il Darfur alla situazione odierna sono complesse e riconducono al fatto che fin dalla notte dei tempi il territorio sia stato testimone di un problema : la pacifica convivenza tra i gruppi nomadi e quelli sedentari.
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L’antico equilibrio della Regione, che è quella del sud del Sudan, tagliata dallo Sahel, la fascia semiarida e stepposa che attraversa quasi tutto il continente, si basava su una armonica interazione fra le tribù sedentarie di etnia africana e i gruppi nomadi a prevalente etnia araba.
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Secondo il sistema tradizionale, detto “Hakura”, l’intero Darfur era diviso in Dar (lotti di terra), affidati ad ogni specifica tribù.
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Nei periodi di siccità i nomadi approfittavano dell’ospitalità delle tribù del luogo, fermandosi presso di loro e ricevendo ospitalità, in cambio della quale offrivano il proprio bestiame per dissodare e arare i terreni agricoli.
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Sia che le tribù sedentarie volessero più terreno a disposizione, sia che quelle nomadi intendessero “sedentarizzarsi”, era previsto di poter “prendere in affitto” i Dar di altre tribù, pagando al Nazir un decimo del raccolto.
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L’equilibrio però è stato messo in crisi dall’avanzare della desertificazione che, anche in passato, durante il periodo coloniale preoccupò non poco i dominatori Britannici.
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Negli anni ’80 il peggioramento climatico arrivò al punto da causare gravissime carestie che costarono la vita a circa 90.000 Darfuriani.
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Questi fattori ambientali fecero sì che le tribù nomadi si spostassero gradualmente sempre più a ridosso di quelle sedentarie, causando inevitabili frizioni che sono poi degenerate in conflitti.
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Questa crisi, che si dice causata dall’effetto serra, ha visto altri interpreti subirne gli effetti, come i Tuareg, che vivendo in zone semidesertiche del Ciad, della Libia, del Burkina Faso e del Niger, e privati del loro habitat naturale, si sono avviati ad una specie di estinzione.
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Questa etnia nomade ha iniziato a scomparire gradatamente, portandosi dietro i suoi valori tradizionali, retaggio di prerogative culturali millenarie.
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In Sudan i contrasti tra le popolazioni nomadi e quelle sedentarie hanno determinato una vera e propria guerra, con costi sociali inestimabili e centinaia di migliaia di vite umane svanite in un delirio di proporzioni gigantesche.
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Tutto ciò è potuto accadere non solo a causa delle trasformazioni ambientali, visto che in Darfur ci sono sempre state sia la siccità che le carestie, ma soprattutto per cause legate a problematiche di tipo politico.
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In particolare venne a prodursi una frattura, una crisi del vecchio sistema tradizionale che reggeva gli equilibri sociali e che consisteva nel prevenire la nascita di conflitti, mediante una serie di riti e di tradizioni che in una contestualità di valori simbolici assumevano l’aspetto di un ben congegnato meccanismo pacificatore tra le diverse popolazioni.
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La vecchia nomenclatura nell’organizzazione delle leadership era costituita da tre gradi gerarchici.
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Partendo dal livello più basso, quello dei capi clan, la cui autorità era riconosciuta da una pluralità di famiglie, la figura di riferimento tra loro è quella dello Sceicco.
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Il secondo livello era ricoperto dagli Omda (che le tribù africane del Darfur chiamavano Sharti) , i quali amministravano diversi clan.
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Il capo supremo era chiamato Nazir o Sultano.
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Nel caso di popolazioni composte da più gruppi che avessero, per motivi storici o geografici, assunto differenze più marcate, vi erano più Nazir.
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Il “sistema” era quindi impostato quasi come quello di un ordinamento monarchico, basato su una scala gerarchica simile a quello della nobiltà e della aristocrazia occidentale.
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In tale contesto lo Sceicco rispetta l’autorità degli Omda (o Sharti) che, a loro volta, rispettano l’autorità dei Nazir (o Sultani ).
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I capi provengono sempre dalle stesse famiglie, che si tramandano l’ereditarietà della carica di Nazir di padre in figlio, di solito il primogenito.
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Nei casi in cui la figliolanza sia numerosa, il nuovo Nazir sarà scelto dagli Omda in base alle sue virtù umane, e alla sua generosità.
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I conflitti tribali e le controversie sono gestite dai Nazir che riunendosi devono trovare le soluzioni, spesso consistenti in compensazioni o pagamenti tra le parti, decisi in incontri simili alle conferenze politiche occidentali.
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Durante questi incontri i Nazir erano assistiti da persone delegate dal Sultano stesso, come il Fagir (il medico o lo stregone) e gli Ajawia, una sorta di mediatori che svolgevano funzioni di arbitrato nei rapporti intertribali, e le loro decisioni erano generalmente rispettate da tutti.
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Quando gli Inglesi arrivarono in Darfur la loro preoccupazione principale fu quella di mantenere l’ordine ed evitare i conflitti intertribali, in modo da non disperdere le proprie energie in una regione che aveva scarse risorse naturali, per cui si avvalsero della facoltà di mantenere valido il potere pre-esistente attraverso l’attribuzione di valore di Legge al sistema di governo tribale, mediante l’istituzione del “Native Administration Act” del 1925.
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Questo sistema rimase in vigore anche dopo che il Sudan ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1956, e quindi i leader tribali continuarono ad interpretare un ruolo di grande importanza nella gestione della “cosa pubblica” in Darfur.
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Nel 1969 il sistema cambiò improvvisamente a causa di un colpo di Stato attuato dal Colonnello Jaafar Nimeini, che istituì una dittatura militare.
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Il nuovo regime, che faceva l’occhiolino al blocco comunista, introdusse una serie di riforme ispirate al modello socialista.
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Nel 1972 Nimeini abolì il “Native Administration Act” e mise fuori Legge gli Ajawia, sostituendo al loro potere quello dello Stato.
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Contemporaneamente furono selezionate nuove figure che, secondo i piani del dittatore, avrebbero dovuto svolgere il ruolo prima ricoperto dai leader tribali, individuando nella piccola borghesia vari elementi di media cultura quali i piccoli esercenti, i maestri e i bassi burocrati.
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Le famiglie nobili vennero così messe in crisi dall’avanzare del ceto medio borghese, e insieme a loro iniziò a traballare la vecchia struttura tradizionale retta, appunto, dalle antiche famiglie dell’aristocrazia nobiliare.
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I conflitti tribali iniziarono ad accumularsi creando un arretrato che pesa ancora oggi sui rapporti fra le popolazioni che vivono nel Darfur.
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Nel 1982 Nimeiri promulgò il “Land act” con il quale fu deciso che tutte le terre non registrate dovevano considerarsi come Demanio Pubblico.
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In Sudan, tutte le terre tranne quelle intorno al Nilo, non erano registrate, quindi l’intero territorio nazionale fu di fatto “demanializzato”.
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Con questo, cessò il sistema del 10 % del raccolto, che aveva reso possibile la convivenza fra le tribù nomadi e quelle sedentarie per cinquecento anni.
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Nimeiri, con questa decisione, ha distrutto gli equilibri sociali che erano durati secoli, probabilmente per disfarsi di una classe dirigente che considerava una nemica.
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I ledare tribali erano degli aristocratici ricchi, colti e raffinati, e spesso i loro rampolli venivano mandati in Europa a compiere il loro ciclo di studi.
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Frequentando Università come quella di Cambridge, Oxford, o la Sorbona, ne uscivano imbevuti di valori occidentali, e non potevano quindi non nutrire una naturale avversione per una dittatura militare filo-socialista.
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Nimeiri cercò di sostituire questa classe dirigente con il ceto medio di cui il suo regime tutelava gli interessi.
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Il governo attuale è arrivato addirittura a nominare d’ufficio i nuovi capi tribali filo-governativi e provenienti dalla classe media, chiamati Amiri.
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Si potrebbe anche considerare che il vecchio sistema sociale collaborava con il regime coloniale Inglese che, ben contento di trovare alleati, limitò ai soli figli dei capi tribali l’accesso all’educazione e all’informazione.
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In tale contesto il Darfur rimase però una delle zone più depresse del Paese a causa dei privilegi, appunto, delle vecchie famiglie, e a discapito della popolazione.
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Rimane comunque il fatto che l’aver distrutto i meccanismi che avevano mantenuto la stabilità in Darfur per diversi secoli, ha avuto un costo elevatissimo che questa nazione sconta ancora oggi.
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Attualmente la maggior parte degli scontri militari si registrano fra gli stessi darfuriani, in particolare fra le tribù “arabe” e le tribù “africane”.
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Questa distinzione deriva dalle etnie di origine, e si ritrova tra una rinnovata e identificativa differenza che è quella tra gruppi nomadi e popolazioni sedentarie.
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La conflittualità etnica è stata poi manipolata ed esacerbata dalla politica sia del Governo nazionale che da quella dei Paesi limitrofi.
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Molte tribù nomadi vivono in vasti territori, che sono divisi solo da una linea virtuale di frontiera.
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Per esempio, gli Zaghawa vivono sia in Ciad che in Sudan, i Kakwa sia in Uganda che in Sudan, i Latuka in Kenya, Uganda e Sudan, i Rashaida in Eritrea e in Sudan, ecc.
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Questa confusa realtà etnica ha finito per rinvigorire la conflittualità tra stati, come in Sudan, in cui gruppi armati hanno spesso trovato il sostegno dei paesi confinanti.
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Un ruolo fondamentale è stato interpretato dalla Libia che, volendo creare una “cinta araba” in Africa, ha conteso la striscia desertica di Aozou (ricca di Uranio) al Ciad.
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Poiché il Presidente Nimeiri a quell’epoca (anni ’80) deteneva il potere ed era in pessimi rapporti con Gheddafi, si creò una situazione per cui la Libia iniziò un “gioco” destabilizzante in Darfur, funzionale alla guerra che stava combattendo contro il Ciad.
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Così dalla Libia iniziarono ad arrivare crescenti carichi di armi (soprattutto kalashnikov) che finirono dritte nelle mani dei nomadi arabi.
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Da allora le relazioni tra Sudan e Libia si sono normalizzate, dopo la caduta di Nimeiri, ma sono peggiorate quelle tra Sudan e Ciad.
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Quest’ultimo sostiene le fazioni Zaghawa dei ribelli Darfuriani, mentre il Sudan, per contro, aiuta i ribelli del Ciad.
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Tutto ciò indica quindi la natura interregionale dei conflitti africani, tra cui quello del Darfur, dovuto infatti in gran parte alle pressioni e alle strumentalizzazioni politiche dei paesi limitrofi.
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Naturalmente le manipolazioni politiche sono anche interne.
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Le rivendicazioni autonomiste degli anni ’60 e ’70 legate all’establishment di alcune tribù africane, in particolare dei Fur e dei Masalit, portarono alla nascita di due Movimenti politici :
il Sunnie Front ed il Darfur Ranaissance Front.
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Gli interessi di queste due rappresentative politiche erano, in sostanza, quelli delle tribù sedentarie che avevano retto il potere al tempo del Sultanato.
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Nel 1981 il forte seguito dei Movimenti portarono il leader del DRF, Ahmed Dreig, un politico Fur, ad essere nominato Governatore all’interno del Darfur.
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Questa nomina fu percepita come una minaccia dai gruppi nomadi, che decisero quindi di creare il movimento politico Arab Gathering che presto, purtroppo, sarebbe diventato una fazione politica estremista e violenta.
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Dreig era un fuoriuscito dell’Umma party, un partito presieduto dal successore del Mahdi, Sadiq al Mahdi, di cultura occidentale, legato a personaggi come Clinton e Gorbachev e membro dello stesso loro club di Madrid.
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Nel 1969 il colpo di Stato militare di Nimeiri ridusse l’Umma Party alla clandestinità, e lo stesso Sadiq fu costretto a lasciare il paese e ad andare in esilio in Libia.
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Tutto ciò mentre il Colonnello Gheddafy continuava a rifornire di armi i gruppi armati legati all’Arab Gathering.
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Nemico giurato dell’Umma Party è invece il DUP ( Democratic Union Party ) collegato ad una setta religiosa capitanata dalla famiglia Mirghani.
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Il DUP ha riscosso consensi anche in alcune provincie Darfuriane tradizionalmente legate all’Umma Party, il quale quindi iniziò a favorire le tribù arabe, anziché quelle sedentarie nelle loro diatribe tribali.
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Fu proprio questo stato di cose a far assumere all’Arab Gathering contorni sempre più estremisti : da una parte forti delle armi di Gheddafi e dall’altra forti del sostegno dell’Umma Party iniziarono a tenere comportamenti marcatamente razzisti.
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Nei primi anni ’80 nacquero infatti scontri contrapposti tra bande armate legate all’Arab Gathering e civili africani.
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Nel 1986 finì la dittatura di Nimeiri, e fu eletto Sadiq come Primo Ministro sulla base di elezioni democratiche.
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La guerra si concluse nel 1989 con una conferenza intertribale, ma il peggioramento delle condizioni ambientali e la crisi delle strutture sociali tradizionali portarono all’implosione della società intera, determinando l’inizio della seconda guerra del Darfur, definita dalle Nazioni Unite come “la peggior crisi umanitaria del mondo”.
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Termino questa recensione, estrapolata attraverso l’analisi dei punti salienti di una parte del libro “Darfur“ di Luca Pierantoni.
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Il proseguo della lettura originale potrà dare una visione ulteriormente chiarificatrice sul proseguo di una guerra fratricida e cruenta che non ha avuto eguali, e che tutti dovrebbero conoscere.
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Dissenso.
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lunedì 8 novembre 2010

S 21 - LA MACCHINA DI MORTE DEI KHMER ROSSI

di Rithy Panh e Christine Chaumeau
.Il 17 aprile 1975 i khmer rossi prendono il potere in Cambogia.

Impongono subito l’evacuazione forzata dalle città, i campi di lavoro, il terrore, le esecuzioni …, il tutto accompagnato da una fortissima carestia.

Fra il 1975 e il 1979 muoiono quindi circa due milioni di persone, poiché un cambogiano su quattro è vittima di esecuzioni o di privazioni.

S-21, il principale “ufficio di sicurezza” del regime di Pol Pot, situato al Phnom Penh, in un ex liceo nel quartiere Tuol Sleng, fu trasformato in realtà in centro di sterminio, dove migliaia di persone furono torturate e distrutte.

Per circa tre anni, Rithy Pahn e la sua equipe hanno cercato i sopravvissuti e i loro torturatori.

Li hanno convinti a rincontrarsi a S-21, oggi Museo del Genocidio, per confrontare le testimonianze, rivivendo la memoria dei gesti e dei corpi.

Attraverso il coraggioso e drammatico confronto tra vittime e aguzzini che questo libro testimonia e scandisce, l’autore cerca comprendere come l’Angkar (l’Organizzazione) abbia saputo svuotare l’uomo, attuare la sua politica di annientamento sistematico, gestire come prassi amministrativa, burocratica, quotidiana, il meccanismo della macchina di morte.

L’autore, con potente determinazione e delicato distacco, invita a scoperchiare il recente terribile passato perché un nuovo intreccio delle memorie apra la via per la riconciliazione e dischiuda la porta, ora serrata, a un futuro accettabile.
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Rithy Pahn (Phnom Pehn 1964) è il cineasta cambogiano noto per la sua coraggiosa attività volta a testimoniare del genocidio, appunto, avvenuto in Cambogia per mano dei khmer rossi.
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Persa gran parte della famiglia, catturato e internato dai khmer rossi in un campo di detenzione per essere “rieducato”, nel 1979, all’età di quindici anni, riesce a scappare in Thailandia e a raggiungere la Francia, dove si diploma a Parigi presso l’Institut des Hautes Etudes Cinematographiques.
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Christine Chameau, giornalista, ha vissuto per più di tre anni in Cambogia.
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Ha collaborato con Phom Pehn Post, Radio France International, l’Express e national Geographic.
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Questo libro ci mostra le atroci nefandezze compiute dai comunisti di Pol Pot, dai famigerati khmer rossi che si sono distinti per la loro ferocia e i crimini contro l’umanità.
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La loro opera di spersonalizzazione dell’individuo era alla base di un progetto di annichilimento che prevedeva fin dai suoi inizi lo sterminio di tutti coloro che, in Cambogia, eccedevano il numero totale di 4 milioni.
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Furono infatti sterminati due milioni di individui, metodicamente e incessantemente, e molti di coloro sono transitati per l’ultimo viaggio attraverso S-21, il tristemente famoso lager in cui le esecuzioni si susseguivano a ritmo serrato, giorno dopo giorno, previo un percorso di tortura e di violenze perpetrate ai danni di coloro che non volevano confessare un qualsiasi crimine a loro ascritto.
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Ancora una volta, l’umanità ha dovuto subire le conseguenze di un regime comunista, di una ideologia aberrante e sanguinaria che si identifica con una simbiosi perenne tra il sangue delle vittime e il potere violento, coercitivo, dei gerarchi marxisti.
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Prima di invitare i lettori del blog alla lettura di questo libro-documento, vorrei ancora una volta sottolineare che il comunismo italiano trae le sue origini dagli stessi simbolici e stereotipati ideogrammi da cui si sono sviluppate le deportazioni in Russia, i genocidi cambogiani, o lo sterminio dell’etnia tibetana.
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Non è sufficiente che il PD abbia metamorfizzato la retrospettiva storico-culturale da cui deriva.
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Non è sufficiente che adesso, a distanza di quasi un secolo dalla nascita dello stalinismo, i vari Dalema o Napolitano tentino di prendere le distanze con gli orrori del comunismo, e poi, subdolamente, inneggino a personaggi come Togliatti, criminale comunista che si è macchiato anche del sangue dei suoi stessi compagni.
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Non è sufficiente …
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Ancora oggi gli intellettuali comunisti NON rinnegano le atrocità che caratterizzano la Storia del comunismo, dalla sua nascita ad oggi, così come NON cercano di porre rimedio alla voluta disinformazione messa in atto per decenni da loro stessi, allo scopo di mistificare gli eventi.
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Fortunatamente esistono autori che ci lasciano in eredità le tetimonianze inoppugnabili di ciò che realmente è successo, come appunto Rithy Pahn.
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Altri, sono stati meno fortunati, poiché durante il loro percorso di giornalisti o scrittori, hanno subìto una brusca e definitiva battuta di arresto, ad opera proprio di quei comunisti che non sopportano di essere stati smascherati.
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Un esempio è rappresentato infatti da Anna Politkovskaja e dagli altri 35 giornalisti uccisi nella Russia di Putin dai sicari di regime.
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Perché il loro sacrificio non sia dimenticato dobbiamo cercare di diffondere i loro scritti, i libri, le pubblicazioni, e fare da cassa di risonanza alla loro meritoria opera a favore della libertà.
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Non mi stancherò mai di ringraziare queste persone che coraggiosamente mettono a repentaglio la loro stessa esistenza, e che troppo spesso vengono sacrificate spietatamente.

.E.B.
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domenica 7 novembre 2010

CARNEFICI E VITTIME

di Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi

I CRIMINI DEL PCI IN UNIONE SOVIETICA.
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Questo libro è molto di più che una semplice narrazione sull’argomento che tanto sta sullo stomaco ai comunisti, non solo italiani, e cioè quello del sangue di cui si sono imbevuti i loro stessi dirigenti in terra di Russia all’epoca di Stalin, ma è una vera e propria ricerca storiografica, corredata perfino dai verbali degli interrogatori dei prigionieri arrestati o deportati.
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I documenti sono stati desunti dalle raccolte contenute negli archivi sovietici che, dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati aperti temporaneamente per le consultazioni degli studiosi e degli storici.
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Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi ci offrono questo spaccato della situazione esistente e dei rapporti che intercorrevano tra gli emigrati italiani in Russia, il PCd’I e la NKVD moscovita.
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Il ruolo di Togliatti, alias Ercole Ercoli, aliasil Migliore” è ben delineato, in tutta la sua nefasta drammaticità, così come quello dei suoi collaboratori comunisti italiani.

Il tragico percorso di molti italiani si è sviluppato attraverso un cammino fatto di disillusione, amarezza, arresto, deportazione, e morte, costellato dalla supervisione dei loro stessi compagni di Partito, come Togliatti e Robotti, che ne avallavano il proseguo fino alla eliminazione totale.

Per decenni la mistificazione comunista ha celato questi omicidi volontari, queste aberrazioni perpetrate vigliaccamente da colui che ancora oggi il PD, osannando questa canaglia, chiama ”il migliore” !

Ecco ora una breve nota riassuntiva di ciò che ci offre questa opera intitolata apppunto :

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Carnefici e vittime
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Negli anni ’20 e ’30 la Russia era, agli occhi dei comunisti occidentali, come una sorta di Eden, di “Terra Promessa”, di culla di un socialismo proletario in cui il Comintern rappresentava un faro che indicava la strada da percorrere.
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Molti europei, comunisti, e affratellati dalla stessa fede politica, si incamminarono quindi verso questo percorso raggiungendo, spesso clandestinamente, l’Unione Sovietica.
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Spesso, gli antifascisti dichiarati, insieme ai perseguitati politici dei diversi paesi occidentali, o i politici comunisti di spicco, tra cui anche i fondatori dello stesso PCd’I, e i membri delle più alte cariche del Partito, si trasferivano a Mosca con l’intera famiglia, per iniziare una nuova vita all’insegna del Comunismo e di quegli ideali di uguaglianza e di giustizia che da sempre inseguivano.
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Presto però, una volta immersi nella realtà sovietica, si rendevano conto con amarezza che la situazione era molto diversa da come loro si aspettavano che fosse.
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Le condizioni di vita erano durissime, così come quelle di lavoro.
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Inoltre il non totale allineamento allo Stalinismo, identificava molti di loro come Trockisti o Bordighisti e quindi come nemici ostili alla Rivoluzione, borghesi, o spie dei Governi stranieri, condannandoli ad essere inquisiti, arrestati, torturati, deportatie uccisi.
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Ciò che appare più mostruoso è il fatto che questi comunisti, tra cui molti italiani, non abbiano trovato la morte per mano del nemico fascista, avversario accanito, bensì ad opera degli stessi “compagni”, rivelatisi più spietati dei nemici stessi.
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A Mosca, in quegli anni operava un gruppo di connazionali che facevano capo a Togliatti, il N° 2 del Comintern (l’organo di diffusione internazionale del Comunismo).
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Si trattava, in sintesi, di una “banda” di italiani, ferventi comunisti, che si occupava a 360 gradi e a tempo pieno di controllare, giudicare, intervenire e identificare coloro che andavano epurati, in nome di un radicalismo politico rivoluzionario.
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La “banda” comunista e criminale che si è saziata del sangue dei suoi stessi compagni, oggi è conosciuta e scritta su quelle pagine di Storia che loro stessi hanno tentato di cancellare e nascondere.
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Eccola :
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Palmiro Togliatti, alias Ercole Ercoli, alias “il Migliore”, n° 2 del Comintern.
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Paolo Robotti, cognato di Togliatti, e guardiano dell’ortodossia bolscevica. Torna in Italia nel 1947.
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Antonio Roasio
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Ilio Barontini
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Domenico Ciufoli
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Aldo Moranti

Elena Montagnana
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E’ da ricordare poi la figura di Giovanni Parodi che, sposato con Clementina, lasciò che questa fosse deportata in un lager, senza mai intervenire per aiutarla.

Parodi, dopo il 1945 fece carriera nella CGIL, ma non spese mai neppure una parola per lei.

Alla condanna di Clementina contribuì anche con fredda determinazione la testimonianza delatoria e accusatoria di Elena Montagnana.
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La sfrenata corsa alla delazione, appunto, di questo gruppo di “denunciatori”, in nome di una “vigilanza rivoluzionaria” interpreta un ruolo che si identifica con una assurda cultura dell’odio, della morte, della forca.
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Ne fu oggetto perfino Amadeo Bordiga, che pur essendo il fondatore del PCd’I insieme a Togliatti e a Gramsci, dovette subire una dissacrante e umiliante presa di distanza.
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Fu accusato di attaccare l’URSS sul giornale italiano “Prometeo”, e per questo fu considerato come elemento di spicco della filosofia trotzkista, e nemico da combattere, per cui nel 1930 fu espulso dal Partito che lui stesso aveva creato.
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Il dirigente comunista si trovò presto in contrasto con lo stesso Togliatti, e per questo motivo sia Lui che i suoi seguaci furono a lungo perseguitati, anche in Unione Sovietica. .
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Considerati nemici della Rivoluzione russa e resi oggetto di delazione, molti di loro furono proposti dallo stesso Togliatti all’NKVD per la deportazione e la fucilazione.
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Oggi la storia, e l’accesso agli archivi che per anni hanno gelosamente custodito questo segreto, ci racconta di come “il Migliore” (così i Comunisti ancora oggi chiamano Togliatti) stilasse dei veri e propri elenchi di connazionali stabilitisi in Russia, per avviarli ad una feroce repressione.
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Ci sono prove documentali che dimostrano la complicità del PCd’I con l’industria della morte di Stalin.
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Ci sono i testimoni sopravvissuti al lager, come per esempio Don Enelio Franzoni, scomparso qualche anno addietro.
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Condannato alla deportazione riuscì a rimanere in vita e a tornare in Italia, dove concluse la sua carriera ecclesiastica come Cappellano nella Parrocchia di Santa Maria delle Grazie, in Via Saffi a Bologna.
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Fu decorato, ancora vivente, con la medaglia al valore.
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Abbiamo potuto attingere notizie sulle verità “scomode” grazie anche all’impegno incessante sia di studiosi e scrittori come di ricercatori e storici del calibro di Marcello Braccini, Romolo Caccavalle, Elena Dundovich, Francesca Gori, ed Emanuela Guercetti.
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Voglio ora citare solo alcune delle innunmerevoli vittime italiane di Togliatti e Robotti, e della “banda” di comunisti nostrani, in Russia :
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OTELLO GAGGI , anarchico, e non omologato al comunismo, fu denunciato come trotzista all’NKVD.
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Morirà nel 1945 in carcere dopo aver scontato 3 anni di galera e 3 anni di confino in Siberia.
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GINO MANTELLI , condannato in Italia per aver ucciso un fascista, espatriò clandestinamente e con l’aiuto del PCd’I e arrivò in Urss nel 1924.
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Fu poi oggetto delle attenzioni di Robotti che, con l’appoggio di Togliatti, gli fece comminare una pena a 3 anni di confino e 5 anni di gulag.
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Le sue precarie condizioni di salute non gli consentivano di svolgere attività lavorative durante la prigionia, e per questo fu accusato di sabotaggio e condannato quindi alla pena capitale nel 1938.
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GIOVANNI BELLUSICH, giudicato dalla “banda” come controrivoluzionario.
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Condannato a 3 anni di confino, 5 anni di gulag. Fucilato nel 1938.
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DANTE CORNELI, fu un vero e proprio “eroe” del ‘900, autore di “Il redivivo tiburtino”, ma risulta ancora sconosciuto ai più a causa della potenza della macchina disinformatrice comunista.
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Dante ci ricorda, tra l’altro, che il 28/12/1934 il PCd’I, attraverso i giornali francesi, belgi, elvetici, ecc, denunciò come elementi sospetti ben 501 ANTIFASCISTI italiani esuli o latitanti.
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La data è importante, poiché proprio a partire da quei giorni si registrò la prima funesta retata di comunisti italiani in terra sovietica.
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Furono arrestati infatti :
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Ezio Biondini alias Merini, Aldo Gorelli alias Torre, Giuseppe Sensi, Otello Gaggi, Gino Mantelli, Giovanni Bellusich, Rodolfo Bernetich.
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EZIO BIONDINI alias Giovanni Merini, subì in Italia il carcere e il confino a causa della sua attività antifascista, dal 1926 al 1930.
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Nel 1931 si rifugiò in Francia, da dove partì per la Russia inviatovi dal Partito per frequentare la scuola leninista.
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Aveva rapporti di amicizia con Dante Corneli, Grandi, Bernetich, Calligaris, Gorelli, Sensi, Mantelli, cioè con coloro che Paolo Robotti definì “trotzkisti degni di essere spediti in Siberia”.
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Fu proprio per questo supposto “trotzkismo-bordighismo” che venne espulso dal PCd’I.
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Immediatamente dopo fu arrestato in Russia e condannato a più riprese ai lavori forzati, per un totale di 15 anni di pena.
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Sopravvisse a questo lungo periodo di lager, ma poi il destino lo beffò tragicamente.
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Confidò infatti a Giancarlo Pajetta che era in visita ufficiale a Mosca il suo calvario, e per questo fu condannato nuovamente ad altri 25 anni di lager.
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Fu ucciso da un detenuto a colpi di scure.
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Di tutte le vittime, vengono esibiti dagli autori i verbali degli interrogatori e i documenti che determinarono il destino infausto di ognuno di loro.
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Raccomando a tutti questa lettura, ma soprattutto a coloro che guardano alla “falce e martello“ con uno sguardo trasognato e carico di significati che, inconsapevolente, identifica in tali simboli un ideale di libertà e di uguaglianza.
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E’ necessario che la verità sia diffusa capillarmente e senza reticenze, per affermare ciò che oramai è sancito dalla Storia stessa:
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il COMUNISMO è un MALE ASSOLUTO.
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Dissenso
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mercoledì 27 ottobre 2010

ANNA POLITKOVSKAJA

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A inzio mese, e precisamente il 7 ottobre è stato l’anniversario della morte di Anna Politkovskaja, la coraggiosa giornalista russa che scriveva per la “Novaja gazeta”, assassinata nel 2006 dai sicari di Putin a causa del suo impegno per la difesa dei più deboli.

Anna Politkovskaja stava per pubblicare un altro dei suoi articoli contro l’uomo che, oggi, è presidente della Cecenia, Ramzan Kadyrov, quando è stata uccisa a colpi di arma da fuoco nell’androne della sua abitazione nel centro di Mosca.
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La giornalista russa scriveva della piccola repubblica cecena come di un buco nero della coscienza, dove massacri, stupri e torture erano la norma per soldati e miliziani.
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Voglio ricordarla, ricordando le copertine dei suoi libri più significativi, nei quali coraggiosamente ci narra di come sia la verità non ufficiale nella Russia di Putin.
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La lista di coloro che interpretano lo scomodo ruolo di dissidente in Russia si allunga quotidianamente, ma lo strapotere e l’arroganza di un feroce regime, quello di Putin, provvede ad eliminare sistematicamente i suoi rappresentanti.
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In Cecenia la popolazione civile è oggetto di violenze inaudite, che vanno dagli stupri alla tortura, fino all’omicidio e alle stragi.
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I giornalisti russi sono diventati sinonimo ed espressione di una condiscendenza di regime in cui trovano spazio solamente coloro che appoggiano ed enfatizzano positivamente le scelte nefaste di chi detiene il potere.
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Gli organi di informazione, tranne la Novaja gazeta e pochissimi altri, sono oramai assoggettati ad un sistema di potere che non lascia spazio all’indipendenza intellettuale e alla libertà di parola.
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Il potere è tutto nelle mani di un criminale, ex colonnello del famigerato KGB, che risponde al nome di Vladimir Putin e che, per inciso, sembra piacere molto al nostro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
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Io, invece, sto dalla parte della Novaja gazeta, il giornale indipendente russo, i cui giornalisti sono da sempre nel mirino del potere repressivo sovietico.
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Io sto dalla parte di Anna, e dei 300 giornalisti russi morti in nome della libertà …
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Dissenso

lunedì 25 ottobre 2010

BNP E NUCLEARE

Vorrei condividere la seguente informazione che mi ha inviato per mail GREENPEACE.
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Ciao emanuele,
siamo sicuri che ti interesserà sapere come investe i soldi dei suoi clienti il gruppo bancario BNP Paribas (che in Italia controlla BNL).
Facile ...
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BNP è il principale finanziatore mondiale di progetti nel settore nucleare !
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Durante il weekend i nostri volontari hanno manifestato in 29 città italiane per chiedere a BNP/BNL di fermare i suoi "investimenti radioattivi".
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Ad esempio, BNP sta decidendo di finanziare, assieme ad altre banche francesi, la costruzione del controverso reattore Angra3, a soli 150 chilometri da Rio de Janeiro, per un valore complessivo di 1,1 miliardi di euro.
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Angra3 è un reattore che usa tecnologie così vecchie che non potrebbe essere costruito in Europa :
il 70% dei componenti giace impacchettato da quando i lavori furono sospesi dopo il disastro di Cernobyl, nel 1986 !
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In altre parole, BNP/BNL dimostra di essere una banca europea con doppio standard :
motiva il suo investimento nel nucleare europeo (il modello EPR, quello che vorrebbero fare in Italia...) proprio con la presunta sicurezza del progetto e poi investe in una catapecchia nucleare vecchia di quasi 25 anni.
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I clienti del Gruppo BNP, e in Italia di BNL, lo sanno che i loro soldi servono a finanziare il nucleare ?
E che succederebbe se, a un certo punto, in tanti cominciassero a chiedere a BNL di fermare gli investimenti radioattivi ?
Visto che il 45% dei depositi di BNP/BNL deriva dai versamenti dei clienti, i dirigenti della banca potrebbero restare indifferenti ?
Non credo...
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Contribuisci anche tu alla campagna contro le banche nucleari :
fai girare questa mail tra i tuoi contatti, condividila su Facebook, informa i tuoi amici.
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Grazie !





Domenico Belli
Responsabile campagna Energia e Clima
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Ecco, di seguito, un articolo esaustivo, tratto dal sito di Greenpeace sull’argomento :
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CHE COSA È :
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Un reattore PWR (ad acqua pressurizzata) di 1.405 MWe che dovrebbe essere costruito da Areva (Francia) e Siemens (Germania) per conto della compagnia elettrica pubblica brasiliana Electronuclear.
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QUANTO COSTA :
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Ufficialmente, dovrebbe costare circa 3,5 miliardi di euro.
La costruzione di Angra 3 dovrebbe partire nel 2010.
Il reattore dovrebbe entrare in funzione nel 2015-2016.
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DOVE SI TROVA :
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Sulla costa brasiliana, 130 km a Ovest di Rio de Janeiro e 220 km a Est di San Paolo del Brasile.
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INTRODUZIONE
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Angra 3, il reattore che dovrebbe essere costruito con i soldi dei correntisti di BNP/BNL, è un tipico esempio di “bella addormentata” nucleare.
Si tratta di un reattore di seconda generazione progettato da Siemens negli anni ’70.
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I lavori per la costruzione iniziarono nel 1984 ma furono sospesi dopo la tragedia di Chernobyl, nel 1986.
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Il 70% dei componenti del reattore è da allora immagazinato presso il sito di Angra 3.
Nel 2007 il governo brasiliano ha annunciato che vuol completare la costruzione di Angra 3 e nel 2008 la compagnia pubblica Electronuclear ha firmato un accordo con la compagnia francese Areva (la stessa che ha progettato l’EPR il reattore alla base del “nuovo nucleare” italiano) per finire la costruzione della centrale.
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(IN)SICUREZZA NUCLEARE
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Basato su un progetto di 30 anni fa, e con molte componenti già fabbricate (e immagazzinate da decenni), Angra 3 è un reattore piuttosto lontano dai moderni standard di sicurezza.
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Nessun miglioramento o intervento progettuale potrebbe portare Angra 3 nemmeno vicino ai (presunti) livelli di sicurezza declamati per il progetto EPR (European Pressurized Reactor).
Perchè una banca europea come BNP/BNL dovrebbe adottare un doppio standard motivando il suo investimento nell’EPR proprio con la presunta sicurezza del progetto e investendo poi in una catapecchia nucleare ?
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ILLEGALE A 360°
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La costruzione di Angra 3 è stata approvata nel 1975 da un Decreto Presidenziale (n. 75870/75).
Questo decreto è stato poi annullato nel 1991 (Decreto Presidenziale 15/02/1991).
Incredibilmente, nel 2007 il governo brasiliano ha deciso si ricominciare la costruzione di Angra 3 sulla base del Decreto del 1975 (che, ovviamente, non esiste più).
Il motivo è molto semplice : la nuova Costituzione del Brasile, adottata nel 1988, prevede un voto del Parlamento (il Congresso) per la costruzione di una centrale nucleare.
Ovviamente, il governo brasiliano sapeva che il Congresso non avrebbe mai resuscitato questa (non tanto) bella addormentata.
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CONTROLLORE E CONTROLLATO
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Il più grande sostenitore di Angra 3 è sempre stato il CNEN, l’Agenzia Nucleare Brasiliana. Nessuno, ad essere onesti, si attende una vera indipendenza da parte di un organismo di questo tipo, ma il CNEN è davvero “esagerato”.
Come ente regolatore il CNEN può rilasciare licenze a chi potrà operare a Angra 3 e tra questi soggetti c’è INB, un “ramo” di CNEN che procura il combustibile per reattori nucleari.
Il CNEN inoltre si occupa di verificare gli impatti di eventuali incidenti negli impianti di INB, mentre Nuclep, un gruppo che produce componenti per l’industria nucleare appartiene sempre al CNEN che insomma è come un grande ombrellone che ripara fornitori, operatori e contrattisti assieme a chi fornisce le licenze e scrive le regole.
Una garanzia di affari ma non di sicurezza.
E infatti è dagli anni ’70 che si discute di come rendere “indipendente” il CNEN.
Nel 1985, col solito decreto presidenziale, è stato creato un Comitato di Valutazione del Programma Nucleare, il cui rapporto tra l’altro raccomandava di rendere indipendente il CNEN (come peraltro ormai è richiesto dalla Convenzione Internazionale per la Sicurezza Nucleare, adottata dal Brasile nel 1998).
In oltre venticinque anni, non se n’è fatto nulla.
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LA SOLITA BUFALA SUI COSTI
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Che un reattore di 1.405 MW costi solo 3,5 miliardi di euro non lo crede più nessuno.
Anche se parte delle componenti è stata acquistata già negli anni ’80 (vatti a fidare) la realtà è che i progetti che circolano oggi costano parecchio di più.
Inoltre, il finanziamento in euro aumenta il rischio finanziario del progetto : il Real, la moneta brasiliana, ha fluttuato del 37% in un anno, rispetto all’euro.
Questa volatilità avrà un impatto sui costi del progetto.
Anche la necessità di aggiornamenti e adattamenti strutturali molto estesi, per cercare di migliorare gli standard di un progetto vecchio di trent’anni, avrà un impatto sui costi e, verosimilmente, sull’efficenza, la produttività e la sicurezza dell’impianto.
Infine, Angra 3 si chiama così perchè nello stesso sito ci sono già due reattori (Angra 1 e 2) :
la loro potenza combinata è di 2.000 MW e sono costati poco meno di 7,5 miliardi di euro, cioè 3,7 milioni di euro/MW.
Com’è possibile che Angra 3 costi meno di 2,5 milioni di euro/MW ?Ammesso che il costo resti lo stesso (con maggiori standard di sicurezza i costi sono aumentati) Angra 3 dovrebbe costare ben oltre 5 miliardi di euro !
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PIU’ COSTOSO DELLE RINNOVABILI

Il potenziale di rinnovabili del Brasile è enorme e le valutazioni serie dei costi produzione dell’energia elettrica [Ad esempio: Joaquim F. de Carvalho, Ildo L. Sauer : Does Brazil Need New Nuclear Power Plants ? Energy Policy 37 (2009) 1580–1584] dicono chiaramente che il costo dell’energia prodotta ad Angra 3 (stimato in 113 US$/MWh) sarà superiore a quello prodotto dalla cogenerazione con la canna da zucchero (74 $/MWh), gas naturale (79 $/MWh), idroelettrico (46 $/MWh) e, persino dell’eolico (107 $/MWh) una tecnologia i cui costi di produzione sono in continua diminuzione.

MA ALLORA A CHI SERVE ANGRA 3 ?
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Quando qualche programma (molto costoso) si dimostra completamente inutile per la collettività è utile cercare di capire a chi serve davvero.
In Brasile, si scopre che il creatore (e coordinatore, dal 1979 al 2004) del programma nucleare navale del Brasile, Ammiraglio Othon Luiz Pinheiro da Silva, è il presidente di Electronuclear, la compagnia che dovrebbe operare a Angra 3.Nel 2006, l’Ammiraglio ha dichiarato (pochi mesi prima della decisione governativa di riaprire Angra 3) che i sommergibili nucleari sono di importanza critica per il Brasile se il Paese vuol essere considerato una grande potenza.
E si sa bene che con il Plutonio estratto dalle scorie dei reattori si possono costruire testate nucleari.
Tra l’altro, il Brasile ha siglato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare solo nel 1994 e non ha mai ratificato il Protocollo Addizionale sui controlli.
Più di una volta il Brasile ha impedito all’Agenzia per l’Energia Atomica l’accesso alle sue centrali.
Insomma… ora sapete a chi serve davvero Angra 3.
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Dissenso
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domenica 10 ottobre 2010

PREMI NOBEL E PAESI COMUNISTI


Ecco come la libertà viene calpestata nei regimi comunisti :
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Elenco, di seguito, una lista di premiati con il Nobel per la Pace che, purtroppo, hanno la sventura di vivere in paesi dove vige la dittatura comunista…
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La visione politica di questi governi assolutisti è vicina, per l’appartenenza agli stessi ideali, a quella dei comunisti che in Italia si fregiano di sbandierare uno stendardo che rappresenta la falce e il martello, pur sapendo che tale bandiera, per i suoi significati, è lorda del sangue di tanti innocenti.
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Spesso questo particolare viene ignorato dalla maggioranza delle persone, ma io non accetto che si continui a nascondere il fatto che il comunismo ha fatto molti più morti innocenti del nazismo, e che ci siano individui in mezzo a noi che osannano il marxismo, che è stata la filosofia da cui ha avuto origine questo mostro orrendo.
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Nelle nostre città ci sono strade intitolate a Lenin e a Stalin, i feroci fautori ed esecutori di un comunismo esasperato che ha prodotto cento milioni di morti nel secolo scorso.
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Come mai la Coscienza collettiva si ribella al solo sentir nominare Hitler o qualsiasi altro gerarca nazista, mentre invece accoglie con indifferenza i nomi dei criminali comunisti ?
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La risposta a questa domanda trova corrispondenza in una subdola politica che per cinquant’anni i comunisti di casa nostra hanno portato avanti, fatta di menzogne e di manipolazione della realtà storica.
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I suoi attori principali, a partire dal criminale Togliatti, hanno rappresentato l’elite del Partito Comunista Italiano, e di tutte le formazioni politiche che , operando un trasformismo di comodo, si sono raggruppate in una simbiosi di intenti dal sapore drammaticamente marxista.
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I vari Longo, Berlinguer, Napolitano, D’Alema, Fassino non sono altro che gli eredi di questi mistificatori, tanto che tra loro nessuno ha mai rinnegato il passato e le origini da cui provengono.
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Un passato, ricordiamo, che ha legato a filo doppio i comunisti italiani a Stalin, e che spesso si è imbevuto del sangue di coloro che furono sacrificati in nome di una ortodossia esasperata.
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Oggi, finalmente, l’apertura degli archivi storici ha dato modo agli studiosi di elaborare una verità oggettiva dei fatti, nettamente in contrasto con quanto asserito finora dai comunisti di mestiere che hanno calcato gli scranni parlamentari.
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A costoro va tutto il mio disprezzo, e a loro dico :
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Guardate come viene ancora oggi calpestata la libertà nei vostri “paradisi comunisti” !
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Invito questi “rifiuti umani” a recarsi in quei posti e a rimanerci, anziché rimanere qui ad ammorbare l’aria che respiriamo.
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Tornando ai Premi Nobel… leggete qual è la prassi seguita dai comunisti nei loro confronti :
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2010 - Liu Xiaobo
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Premio Nobel per la pace 2010 a Liu Xiaobo, che si trova in carcere.
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L'ira di Pechino: «È un'oscenità»
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Polizia a casa sua, convocato l'ambasciatore norvegese.
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(tratto dal sito “Corriere.it”)
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Il premio Nobel per la pace va al dissidente cinese Liu Xiaobo.
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Confermate dunque le previsioni della vigilia, nonostante le pressioni di Pechino.
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Del resto, prima dell'annuncio ufficiale, lo stesso comitato norvegese aveva affermato che si sarebbe trattato di una «scelta da difendere».
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Secondo le motivazioni che hanno accompagnato la decisione, Liu rappresenta «il simbolo della campagna per il rispetto e l'applicazione dei diritti umani fondamentali» in Cina.
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Non si è fatta attendere la reazione di Pechino :
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la polizia si è subito recata nell'abitazione di Liu, per impedire alla moglie di rilasciare dichiarazioni alla stampa, e le trasmissioni della Bbc sull'annuncio del Nobel sono state interrotte.
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Poco dopo, è arrivato anche il commento ufficiale del governo, che parla di «oscenità».
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Secondo il ministero degli Esteri, Liu Xiaobo è «un criminale» che è stato condannato «dalla giustizia cinese».
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La decisione, prosegue la nota, è destinata a «nuocere alle relazioni tra la Cina e la Norvegia».
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Infatti l'ambasciatore norvegese a Pechino è stato convocato dal governo :
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«Hanno voluto esprimere ufficialmente la loro opinione, il loro disaccordo e la loro protesta» ha detto una portavoce del ministero degli Esteri norvegese, sottolineando che il governo norvegese non è responsabile per l'assegnazione del riconoscimento a Liu, stabilita da un comitato indipendente.
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Il presidente Usa Barack Obama, Nobel per la pace lo scorso anno, si è congratulato per la scelta di Liu Xiaobo e ha chiesto alle autorità cinesi la sua liberazione.
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Liu Xiaobo sta scontando una condanna a undici anni di carcere per «istigazione alla sovversione».
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L'intellettuale, che già aveva trascorso lunghi periodi in galera, è stato accusato di essere tra i promotori di “Charta 08”, il movimento favorevole alla democrazia che promulgò un documento a tale scopo che è stato firmato da oltre 8 mila persone, tra le quali più di 2 mila cinesi.
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Liu era stato arrestato alla fine del 2008 ma la condanna gli fu inflitta nel giorno di Natale del 2009, probabilmente nella speranza di ridurre la copertura dei mezzi d'informazione occidentali.
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Dopo un anno di detenzione, il 23 dicembre 2009 si è svolto il processo ;
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il 25 è stato condannato a 11 anni di prigione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici.
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La sentenza è stata confermata in appello l'11 febbraio 2010.
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Cina: irreperibile la moglie di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010
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( Tratto da ”IN DIES”)
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Mentre il nuovo Premio Nobel per la pace è irraggiungibile in una prigione cinese, il cellulare di sua moglie è spento e nessuno riesce più a contattare la donna, che ha inviato l’ultimo sms a Radio Free Asia la notte scorsa.
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La Polizia ha tenuto i giornalisti lontano dalla prigione in cui Liu sta scontando una condanna a 11 anni per sovversione e il suo avvocato ha detto che la moglie di Liu, a cui la polizia aveva promesso che l'avrebbe portata dal marito per dargli la notizia del premio, ora sembra scomparsa.
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E' possibile che la donna sia mani della polizia.
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La polizia cinese spesso costringe i critici politici, i dissidenti religiosi e, talvolta, i loro familiari, a lasciare Pechino rinchiudendoli in residenze di campagna, tenendoli lontani dalla capitale cinese per giorni e settimane.
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Le autorità cinesi hanno chiamato Liu un criminale poco dopo l'assegnazionde del premio e il 'Quotidiano del popolo' ha scritto che il premio è "una vetrina arrogante di ideologia occidentale", che non rispetta il popolo cinese.
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Il presidente Barack Obama, vincitore lo scorso anno del Nobel per la pace, ha chiesto l'immediato rilascio di Liu. Talvolta la Cina ha scarcerato alcune persone a seguito delle pressioni internazionali.
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La moglie del Nobel per la pace 2010 sperava di poter andare in Norvegia per ricevere il premio a posto del marito, se lui non fosse potuto andare.
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Moglie di Liu Xiaobo incontra il marito in carcere.
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Presa in custodia dalla polizia la notte seguente al conferimento del premio.
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L'avvocato del premio nobel: "non siamo riusciti a metterci in contatto con lei" .
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.(Tratto da ”www.voceditalia.it”)
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Un gruppo umanitario di Hong Kong ha affermato che la moglie del dissidente cinese Liu Xiaobo, vincitore del Nobel per la Pace 2010, sarebbe ruscita a incontrare il marito in carcere.
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La notte seguente al conferimento del premio al marito, la donna è stata presa in custodia dalla polizia.
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Ding Xikui, avvocato di Liu Xuiaobo, ha dichiarato :
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"Non siamo riusciti a metterci in contatto con lei, non sappiamo dove sia. Siamo preoccupati, crediamo che la polizia l'abbia prelevata per condurla da Liu".
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Liu sconta una condanna a undici anni di carcere comminatagli per sovversivismo.
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Anche ad altri dissidenti è stato proibito dai loro Governi, in passato, di andare in Norvegia per ritirare il premio.
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1975 - Andrej Sacharov
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Fisico sovietico e attivista per i diritti civili, non potè ritirare il premio di persona.
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Per aver manifestato contro l'entrata delle truppe sovietiche in Afghanistan fu arrestato, e nel 1980 fu confinato a Gor'kij dove la moglie Elena Bonner costituì il suo unico contatto con il mondo esterno.
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(tratto dal sito “La Stampa.it”).
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1983 - Lech Wałęsa
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La scelta scosse le fondamenta dell'Urss, provocando un'ondata di manifestazioni per la libertà in tutto il blocco sovietico.
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Il fondatore di Solidarnosc non potè ritirare il premio di persona, per paura che non gli fosse permesso rientrare in patria.
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Sua moglie lo fece al posto suo e donò i soldi ai quartieri generali di Solidarnosc in esilio a Bruxelles.
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(tratto dal sito “La Stampa.it”)
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1989 - Dalai Lama
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Tenzin Gyatso, il Dalai Lama tibetano, venne insignito dell'onoreficenza per la sua lotta alla liberazione del Tibet.
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Dal 1959 il Dalai Lama vive in esilio in India.
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(tratto dal sito “La Stampa.it”)
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1991 - Aung San Suu Kyi
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Nel 1991 l'attivista birmana San Suu Kyi ricevette il premio Nobel per la Pace e usò i soldi per per costituire un sistema sanitario e di istruzione, a favore del popolo birmano.
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La scelta non piacque alla giunta militare che governa il paese, che non accolse gli appelli internazionali per il suo rilascio.
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(tratto dal sito “La Stampa.it”)
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E.B.
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