Mi è capitata la fortuna di leggere la storia di Dante Corneli, da lui stesso scritta dopo essere sopravvissuto a 24 anni di deportazione nei lager dell’ex Unione Sovietica.
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Edito da “La Pietra” il libro si intitola “Il redivivo tiburtino” ed è stato pubblicato nel 1977.
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La vicenda che vede Corneli protagonista si snoda attraverso gli anni, a partire dal 1922 in Italia, a Tivoli per proseguire poi in Russia.
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Dante, negli anni del primo dopoguerra, era diventato segretario della sezione Socialista prima, e della Sezione Comunista poi, per approdare infine alla Camera del Lavoro della cittadina laziale.
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Successivamente la sua attività di antifascista lo aveva portato ad essere coinvolto in un conflitto a fuoco, in cui rimase ucciso il segretario del fascio locale.
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All’età di 22 anni dovette quindi lasciare Tivoli, fuggendo da casa e dagli affetti, iniziando così la sua odissea.
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Dopo aver varcato la frontiera clandestinamente raggiunse il territorio svizzero, per dirigersi a Vienna, prima tappa del viaggio che lo avrebbe portato in Russia, da lui considerata come il primo Stato operaio della storia, un baluardo di costruzione del socialismo dei liberi e degli uguali.
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Dopo aver vissuto in Austria per qualche mese, riuscì a raggiungere Berlino, da cui iniziò il suo viaggio verso Pietrogrado prima, e finalmente verso Mosca.
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La realtà che lo accolse fu quella in cui viveva immersa la popolazione sovietica, intrisa di povertà, di miseria, e di confusione.
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Trovò subito un’occupazione in una fabbrica di mobili, come operaio, mentre per dormire divideva una cameretta con con un compagno di lavoro.
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La rivoluzione bolscevica si trovava a fare i conti con una popolazione affamata e con una economia al collasso e dovette fare ricorso a provvedimenti estremi, dittatoriali, che presero il nome di “comunismo di guerra”.
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Edito da “La Pietra” il libro si intitola “Il redivivo tiburtino” ed è stato pubblicato nel 1977.
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La vicenda che vede Corneli protagonista si snoda attraverso gli anni, a partire dal 1922 in Italia, a Tivoli per proseguire poi in Russia.
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Dante, negli anni del primo dopoguerra, era diventato segretario della sezione Socialista prima, e della Sezione Comunista poi, per approdare infine alla Camera del Lavoro della cittadina laziale.
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Successivamente la sua attività di antifascista lo aveva portato ad essere coinvolto in un conflitto a fuoco, in cui rimase ucciso il segretario del fascio locale.
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All’età di 22 anni dovette quindi lasciare Tivoli, fuggendo da casa e dagli affetti, iniziando così la sua odissea.
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Dopo aver varcato la frontiera clandestinamente raggiunse il territorio svizzero, per dirigersi a Vienna, prima tappa del viaggio che lo avrebbe portato in Russia, da lui considerata come il primo Stato operaio della storia, un baluardo di costruzione del socialismo dei liberi e degli uguali.
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Dopo aver vissuto in Austria per qualche mese, riuscì a raggiungere Berlino, da cui iniziò il suo viaggio verso Pietrogrado prima, e finalmente verso Mosca.
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La realtà che lo accolse fu quella in cui viveva immersa la popolazione sovietica, intrisa di povertà, di miseria, e di confusione.
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Trovò subito un’occupazione in una fabbrica di mobili, come operaio, mentre per dormire divideva una cameretta con con un compagno di lavoro.
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La rivoluzione bolscevica si trovava a fare i conti con una popolazione affamata e con una economia al collasso e dovette fare ricorso a provvedimenti estremi, dittatoriali, che presero il nome di “comunismo di guerra”.
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Per applicarlo furono potenziati l’apparato poliziesco, militare e di partito, e ciò portò alla violazione di quei princìpi di libertà, giustizia e democrazia, per i quali era stato rovesciato il vecchio regime zarista.
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Già sul finire del 1920, infatti, tra le file stesse del partito bolscevico si levavano le voci di dissenso dell’Opposizione operaia, che chiedevano il ripristino delle norme democratiche.
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Nel 1921 gli operai di Kronstad erano insorti, chiedendo a gran voce rivendicazioni politiche ed economiche.
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Per applicarlo furono potenziati l’apparato poliziesco, militare e di partito, e ciò portò alla violazione di quei princìpi di libertà, giustizia e democrazia, per i quali era stato rovesciato il vecchio regime zarista.
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Già sul finire del 1920, infatti, tra le file stesse del partito bolscevico si levavano le voci di dissenso dell’Opposizione operaia, che chiedevano il ripristino delle norme democratiche.
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Nel 1921 gli operai di Kronstad erano insorti, chiedendo a gran voce rivendicazioni politiche ed economiche.
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Fu solo allora che Lenin lanciò la NEP (Nuova Politica Economica) rilanciando il libero commercio, la piccola e media industria privata, e l’artigianato.
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In questa difficile situazione iniziò il soggiorno di Dante Corneli a Mosca.
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L’autore descrive la molteplicità di situazioni legate al difficile contesto e ricorda le frequentazioni di tanti italiani, comunisti, emigrati come lui a Mosca.
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Insieme partecipavano a celebrazioni politiche, oppure andavano a conoscere Trozkij personalmente, così come usavano entrare e uscire liberamente dalle sedi del Comintern o del Partito comunista bolscevico. . Corneli ebbe l’occasione di poter cambiare lavoro e fu assunto alla cartiera di Dobrush, di cui in precedenza conobbe il Direttore, Galavanov.
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La N.E.P. incominciava a dare i suoi frutti, e la situazione era sensibilmente migliorata.
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Nacque una nuova borghesia e dei “nuovi commercianti” chiamati nepman che grazie all’uso costante della corruzione dell’apparato burocratico, riuscivano a procurare le necessarie materie prime alle fabbriche, visto che il neonato stato socialista di Lenin si era dimostrato incapace di farlo. Corneli si trasferì poi a Mosca e trovò lavoro presso la fabbrica di mobili N° 3.
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Potè constatare di persona come le disparità sociali fossero aumentate a dismisura.
Nel paradiso socialista, i dirigenti industriali, i funzionari di partito e quelli statali, così come gli alti ufficiali, gli artisti e gli scrittori godevano di cospicui stipendi e dei migliori alloggi.
A Mosca ritrovò i suoi vecchi compagni, e ne conobbe altri.
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Gli fu poi affidata la Segreteria del Gruppo emigrati politici e consolidò la conoscenza con italiani a cui le autorità sovietiche avevano asseganto incarichi di rilievo, come Marabini, che dirigeva la Cooperativa italiana, oppure Carlo Codevilla, importante membro del Comintern, o ancora Ambrogi e Verdaro, assunti alla censura.
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Frequentò inoltre la scuola politica dall’ottobre 1924 al giugno 1925 ed ebbe per maestri quegli stessi personaggi che si sarebbero poi distinti durante le “purghe” staliniane, come Krylenko, Zinoviev, Bucharin, Radek, ed altri.
. Successivamente, finita la scuola politica, si sposò con una giovane comunista di nome Lidia, trasferendosi a Rostov, a disposizione dl Comitato del PC del Caucaso settentrionale.
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Entrò in una fabbrica che produceva macchine agricole e iniziò a dedicarsi all’attivismo politico per il partito, divenendo fiduciario del Comitato di fabbrica, Presidente della Comune di produzione, e deputato del Soviet di Rostov.
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Potè constatare personalmente come i meccanismi politico sociali che regolavano le economie aziendali fossero in contrasto con il controllo operaio e le procedure democratiche, considerati intralcio all’attività dei dirigenti di produzione.
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I direttori dei trust avevano infatti poteri che li autorizzavano a disporre di licenziamenti, assunzioni, nomine, aumenti di stipendio, sanzioni disciplinari, premi, oppure citazioni all’autorità giudiziaria verso chi commetteva infrazioni a danno della produzione.
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L’istituzione del cottimo spingeva i lavoratori verso uno sfruttamento senza fine, e nel 1926 vennero innalzati i limiti di produzione del 10 per cento, causando nella fabbrica in cui lavorava Corneli uno sciopero generale.
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L’intervento di Mosca fu immediato.
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Dopo i duri rimproveri fu sospeso il cottimo, ma solamente per essere sostituito dall’emulazione socialista, un sistema che prevedeva l’istituzione di squadre di Udarniki (lavoratori d’assalto).
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Il loro compito era quello di ottenere un alto livello di produzione, che servisse come esempio e come stimolo per gli altri, oltre che costituire lo standard da cui partire per la definizione dei nuovi cottimi.
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Furono istituite le schedature degli operai e del personale tecnico-amministrativo, non solo nella fabbrica di macchine agricole, ma in tutto il Paese.
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Fu accantonata la RKI (Ispezione operaia-contadina) istituita da Lenin per combattere i favoritismi, il peculato e gli intrallazzi nella Pubblica Amministrazione.
Con Dante Corneli lavoravano anche altri italiani, come Civalleri, Bocchino, Aldo Gorelli, Carlo Costa, ed Ernesto Blum, che successivamente finiranno poi tutti nei lager. La sua fase discendente probabilmente iniziò a metà del 1926, quando il Comitato direttivo dell’organizzazione di partito della fabbrica approvò una risoluzione che, in sostanza, affermava :
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Insieme a questa risoluzione, contemporaneamente, si stava delineando il blocco trozkista-zinovieviano, a cui nella fabbrica aderirono solo in quattro, tra cui Corneli stesso.
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Si trovò a lavorare con altri italiani tra cui l’ingegner Amodei, Marcello, Castellani, Sartori, Albertelli, Elodia Manservigi, Elena Robotti, Furio Smorti (ludovico Garaccioni) e Alma Lex.
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Nel 1933 gli fu comunicato che il Comitato centrale lo aveva destinato a Tashkent, in Asia centrale, presso una succursale periferica del commissariato.
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Corneli sapeva bene che fin dagli anni 1925-1926 i compagni deviazionisti o oppositori venivano confinati dal partito in regioni lontane, e si rivolse al primo viceministro Reingold perché intervenisse a suo favore.
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Dopo averlo ascoltato, questi gli rispose che nessuno avrebbe potuto fare nulla contro una decisione del Comitato centrale.
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Corneli si fece ricevere allora dal ministro Jakovlev che gli rispose sarcasticamente che avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso della fiducia dimostratagli dal Comitato centrale.
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A Dante non rimase altro da fare che partire per Tashkent.
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Al suo arrivo trovò condizioni di vita semplicemente spaventose.
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La milizia rimuoveva dalle strade, caricandoli sui camion, i cadaveri dei morti per fame, e si vedevano le persone errare in fin di vita per l’inedia.
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Tornò a Mosca, ma si trovò senza lavoro, e con la minaccia di essere espulso dal partito.
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Incontrò un amico fiorentino che lo fece assumere nella fabbrica di produzione di cuscinetti a sfera dove lui stesso lavorava, chiamata “Kaganovic”.
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Dopo poco fu eletto fiduciario del Comitato di fabbrica.
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Anche qui trovò molti italiani tra cui il torinese Andersen, Guerra, Picelli, Sarti, Baldi, Siciliani, Vattovaz, Pizzirani, Roveda, Masi, e Grandi.
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Dopo il XVII° congresso del PC, nel 1934, in cui Kirov, Petrovskij e Postyscev prospettarono l’opportunità di un esonero di Stalin, ci fu la reazione a questo tentativo di detronizzazione.
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Stalin infatti iniziò una nuova epurazione del partito, caratterizzata da un controllo minuzioso del passato di ogni iscritto e dalla raccolta della relativa documentazione.
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All’inizio del 1934 infatti, anche la moglie di Corneli fu convocata dall’NKVD, che le propose di diventare informatrice.
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In seguito Dante si accorse che la moglie spesso rovistava tra le sue carte, e l’affrontò dicendole che poteva dire al Commissario tranquillamente ciò che lui faceva.
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Successivamente ci fu l’uccisione di Kirov, fatto che decretò l’inizio di uno dei periodi più drammatici della rivoluzione russa.
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Iniziarono subito le persecuzioni, e nel giro di pochi mesi nella sola Leningrado furono arrestate 40.000 persone.
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Nella fabbrica dove lavorava Corneli iniziarono con l’arresto di un vecchio comunista, seguito dal caporeparto Petrov, poi dal capoturno Pokunov.
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La repressione si accanì con i seguaci di Trozki e di Zinoviev, incolpati dell’uccisione di Kirov.
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Anche Corneli si aspettava quanto meno di essere interrogato, e infatti fu convocato dalla Commissione di controllo della organizzazione di partito rionale.
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Fu costretto a subire un fuoco incrociato di domande riguardanti il suo passato e l’attività trozkista svolta dieci anni prima.
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Fu proprio questo aspetto del suo passato, la sua fede politica legata ad una condiscendenza di intenti culturali con le idee Trozkiste a renderlo inviso al regime di Stalin.
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Di lì a poco infatti iniziò il suo calvario, con la prima condanna a 5 anni di lager, che divennero 10 e mezzo a causa della guerra con la Germania, poi il confino eil secondo arresto, fino ad arrivare ad un totale di 24 anni di deportazione.
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Lungo questo percorso, che non voglio descrivere per lasciare al lettore il piacere della scoperta delle nefandezze del “paradiso” comunista, Corneli incontrò numerosi italiani, molti dei quali non sopravvissero alle crudezze di vita imposte dai gulag e morirono, con il beneplacito e la consapevolezza di personaggi politici italiani come Togliatti (n° due del komintern).
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Tra gli altri, durante la lettura possiamo identificare Francesco Ghezzi, anarchico emiliano, Pio Pizzirani, bolognese, oppure il genovese Pera e il biellese Barale, così come gli emigrati politici Rossi, Nanni e Federico Matteuzzi di Castel San Pietro, e ancora Alfredo Mauri e Prato Francesco.
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Chiudo la recensione puntando il dito contro l’ideologia stessa comunista, evidenziando il male commesso proprio contro il proletariato e le classi meno abbienti, in un percorso di continua e palese violazione dei diritti umani, invitando chi ancora si professa comunista a compiere una disamina oggettiva dei fatti, oggi, dopo l’apertura degli archivi sovietici e dell’Europa dell’est.
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Invito i seguaci di Stalin, Togliatti, e Berlinguer a mettersi nei panni di quelle vittime sacrificate sull’altare di un comunismo che ha portato solo lutti e dolori, a livello planetario.
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Invito tutti a leggere Dante Corneli :
Dissenso
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Insieme partecipavano a celebrazioni politiche, oppure andavano a conoscere Trozkij personalmente, così come usavano entrare e uscire liberamente dalle sedi del Comintern o del Partito comunista bolscevico. . Corneli ebbe l’occasione di poter cambiare lavoro e fu assunto alla cartiera di Dobrush, di cui in precedenza conobbe il Direttore, Galavanov.
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La N.E.P. incominciava a dare i suoi frutti, e la situazione era sensibilmente migliorata.
.
Nacque una nuova borghesia e dei “nuovi commercianti” chiamati nepman che grazie all’uso costante della corruzione dell’apparato burocratico, riuscivano a procurare le necessarie materie prime alle fabbriche, visto che il neonato stato socialista di Lenin si era dimostrato incapace di farlo. Corneli si trasferì poi a Mosca e trovò lavoro presso la fabbrica di mobili N° 3.
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Potè constatare di persona come le disparità sociali fossero aumentate a dismisura.
Nel paradiso socialista, i dirigenti industriali, i funzionari di partito e quelli statali, così come gli alti ufficiali, gli artisti e gli scrittori godevano di cospicui stipendi e dei migliori alloggi.
A Mosca ritrovò i suoi vecchi compagni, e ne conobbe altri.
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Gli fu poi affidata la Segreteria del Gruppo emigrati politici e consolidò la conoscenza con italiani a cui le autorità sovietiche avevano asseganto incarichi di rilievo, come Marabini, che dirigeva la Cooperativa italiana, oppure Carlo Codevilla, importante membro del Comintern, o ancora Ambrogi e Verdaro, assunti alla censura.
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Frequentò inoltre la scuola politica dall’ottobre 1924 al giugno 1925 ed ebbe per maestri quegli stessi personaggi che si sarebbero poi distinti durante le “purghe” staliniane, come Krylenko, Zinoviev, Bucharin, Radek, ed altri.
. Successivamente, finita la scuola politica, si sposò con una giovane comunista di nome Lidia, trasferendosi a Rostov, a disposizione dl Comitato del PC del Caucaso settentrionale.
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Entrò in una fabbrica che produceva macchine agricole e iniziò a dedicarsi all’attivismo politico per il partito, divenendo fiduciario del Comitato di fabbrica, Presidente della Comune di produzione, e deputato del Soviet di Rostov.
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Potè constatare personalmente come i meccanismi politico sociali che regolavano le economie aziendali fossero in contrasto con il controllo operaio e le procedure democratiche, considerati intralcio all’attività dei dirigenti di produzione.
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I direttori dei trust avevano infatti poteri che li autorizzavano a disporre di licenziamenti, assunzioni, nomine, aumenti di stipendio, sanzioni disciplinari, premi, oppure citazioni all’autorità giudiziaria verso chi commetteva infrazioni a danno della produzione.
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L’istituzione del cottimo spingeva i lavoratori verso uno sfruttamento senza fine, e nel 1926 vennero innalzati i limiti di produzione del 10 per cento, causando nella fabbrica in cui lavorava Corneli uno sciopero generale.
.
L’intervento di Mosca fu immediato.
.
Dopo i duri rimproveri fu sospeso il cottimo, ma solamente per essere sostituito dall’emulazione socialista, un sistema che prevedeva l’istituzione di squadre di Udarniki (lavoratori d’assalto).
.
Il loro compito era quello di ottenere un alto livello di produzione, che servisse come esempio e come stimolo per gli altri, oltre che costituire lo standard da cui partire per la definizione dei nuovi cottimi.
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Furono istituite le schedature degli operai e del personale tecnico-amministrativo, non solo nella fabbrica di macchine agricole, ma in tutto il Paese.
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Fu accantonata la RKI (Ispezione operaia-contadina) istituita da Lenin per combattere i favoritismi, il peculato e gli intrallazzi nella Pubblica Amministrazione.
Con Dante Corneli lavoravano anche altri italiani, come Civalleri, Bocchino, Aldo Gorelli, Carlo Costa, ed Ernesto Blum, che successivamente finiranno poi tutti nei lager. La sua fase discendente probabilmente iniziò a metà del 1926, quando il Comitato direttivo dell’organizzazione di partito della fabbrica approvò una risoluzione che, in sostanza, affermava :

Insieme a questa risoluzione, contemporaneamente, si stava delineando il blocco trozkista-zinovieviano, a cui nella fabbrica aderirono solo in quattro, tra cui Corneli stesso.
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Fu quindi ostacolato dal partito, che gli impediva anche di parlare durante le assemblee, e quindi cessò ogni attività politica, restando fuori dal partito per due anni.
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Gli anni 1928 e 1929 videro i contadini opporsi alla consegna del grano all’ammasso statale, e le successive requisizioni forzate.
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Stalin si aprì ad una liquidazione dei residui capitalistici delle città e delle campagne, della collettivizzazione e dell’industrializzazione.
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Molti finirono per essere ingannati da questa politica, compreso gli oppositori che si erano battuti per questi obiettivi, e rientrarono nel partito.

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Stalin si aprì ad una liquidazione dei residui capitalistici delle città e delle campagne, della collettivizzazione e dell’industrializzazione.
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Molti finirono per essere ingannati da questa politica, compreso gli oppositori che si erano battuti per questi obiettivi, e rientrarono nel partito.
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Nell’estate del 1929 anche Corneli fece una ritrattazione e riebbe la tessera del partito.
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Fu scelto come sostituto direttore per i Consigli di produzione, e fu eletto deputato del Soviet di Rostov, nonché presidente del Comitato di fabbrica.
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Fu reclutato anche per svolgere operazioni tese a colpire i nepman locali, mediante perquisizioni e confische di eventuali ricchezze trovate al loro domicilio.
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Organizzò anche una delle tanti comuni di produzione sorte in seguito ad una nuova campagna staliniana di collettivizzazione, in cui si chiedeva di costituire sempre nuovi colcos, le cooperative agricole.
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Le conseguenze della collettivizzazione furono disastrose, ma Stalin insistette sulla realizzazione del Primo piano quinquennale, realizzato poi in quattro anni, in un periodo di grave dissesto per l’economia sovietica.
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Fu eletto presidente del Consiglio di fabbrica, ma si trovò presto in difficoltà nel portare a compimento la produzione secondo i ritmi previsti dal piano .
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Nella metà del 1932 arrivò quindi l’ispezione da Mosca, per mezzo di un funzionario di nome Apparatcikov che, quasi subito, lo affrontò dicendogli testualmente:
“Non riuscite a ingannarmi, vedo bene che non svolgete le vostre mansioni di presidente del Comitato di fabbrica con l’impegno e le capacità richieste. Nel vostro comnportamento si fanno proprio risentire le nostalgie trozkiste.
Nell’estate del 1929 anche Corneli fece una ritrattazione e riebbe la tessera del partito.
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Fu reclutato anche per svolgere operazioni tese a colpire i nepman locali, mediante perquisizioni e confische di eventuali ricchezze trovate al loro domicilio.
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Organizzò anche una delle tanti comuni di produzione sorte in seguito ad una nuova campagna staliniana di collettivizzazione, in cui si chiedeva di costituire sempre nuovi colcos, le cooperative agricole.
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Le conseguenze della collettivizzazione furono disastrose, ma Stalin insistette sulla realizzazione del Primo piano quinquennale, realizzato poi in quattro anni, in un periodo di grave dissesto per l’economia sovietica.
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Fu eletto presidente del Consiglio di fabbrica, ma si trovò presto in difficoltà nel portare a compimento la produzione secondo i ritmi previsti dal piano .
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Nella metà del 1932 arrivò quindi l’ispezione da Mosca, per mezzo di un funzionario di nome Apparatcikov che, quasi subito, lo affrontò dicendogli testualmente:
“Non riuscite a ingannarmi, vedo bene che non svolgete le vostre mansioni di presidente del Comitato di fabbrica con l’impegno e le capacità richieste. Nel vostro comnportamento si fanno proprio risentire le nostalgie trozkiste.
Comunque siete avvisato.”
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Dopo questo colloquio Corneli lasciò subito l’officina e si trasferì nuovamente a Mosca, dopo sette anni dalla volta precedente.
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Fu designato caposettore alla Scuola politica dei popoli occidentali, poi sottocaposettore alla Scuola leninista.
Gli fu detto che la direttrice, la compagna Kirsanova, ex mamascia al tempo della scuola dei funzionari del PC, era al corrente del suo passato trozkista, ma non aveva perso la sua fiducia in lui.
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Gli italiani con cui era in contatto a quel periodo erano Di Giovanni (Foschi), Chiarini, Astesano (Felice Platone), Romolino (Luigi Amadesi), Isakov, Mazzi, Roasio, Merini(Biondini), Bucciarelli, Furini, Cerquetti.
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Alcuni di loro furono deportati e trovarono la morte per mano di quel comunismo a cui si erano assuefatti.
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Dopo questo colloquio Corneli lasciò subito l’officina e si trasferì nuovamente a Mosca, dopo sette anni dalla volta precedente.
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Fu designato caposettore alla Scuola politica dei popoli occidentali, poi sottocaposettore alla Scuola leninista.
Gli fu detto che la direttrice, la compagna Kirsanova, ex mamascia al tempo della scuola dei funzionari del PC, era al corrente del suo passato trozkista, ma non aveva perso la sua fiducia in lui.
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Gli italiani con cui era in contatto a quel periodo erano Di Giovanni (Foschi), Chiarini, Astesano (Felice Platone), Romolino (Luigi Amadesi), Isakov, Mazzi, Roasio, Merini(Biondini), Bucciarelli, Furini, Cerquetti.
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Alcuni di loro furono deportati e trovarono la morte per mano di quel comunismo a cui si erano assuefatti.
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Successe poi che il marito della Kirsanova, lo storico Jaroslavskij, cadde in disgrazia, e ciò indusse Corneli a lasciare la Scuola leninista.
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Fu assunto alla Direzione generale delle opere idrauliche e di bonifica del Commissariato per l’agricoltura.
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Successe poi che il marito della Kirsanova, lo storico Jaroslavskij, cadde in disgrazia, e ciò indusse Corneli a lasciare la Scuola leninista.
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Fu assunto alla Direzione generale delle opere idrauliche e di bonifica del Commissariato per l’agricoltura.
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Nel 1933 gli fu comunicato che il Comitato centrale lo aveva destinato a Tashkent, in Asia centrale, presso una succursale periferica del commissariato.
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Corneli sapeva bene che fin dagli anni 1925-1926 i compagni deviazionisti o oppositori venivano confinati dal partito in regioni lontane, e si rivolse al primo viceministro Reingold perché intervenisse a suo favore.
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Dopo averlo ascoltato, questi gli rispose che nessuno avrebbe potuto fare nulla contro una decisione del Comitato centrale.
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Corneli si fece ricevere allora dal ministro Jakovlev che gli rispose sarcasticamente che avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso della fiducia dimostratagli dal Comitato centrale.
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A Dante non rimase altro da fare che partire per Tashkent.
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Al suo arrivo trovò condizioni di vita semplicemente spaventose.
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La milizia rimuoveva dalle strade, caricandoli sui camion, i cadaveri dei morti per fame, e si vedevano le persone errare in fin di vita per l’inedia.
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Tornò a Mosca, ma si trovò senza lavoro, e con la minaccia di essere espulso dal partito.
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Incontrò un amico fiorentino che lo fece assumere nella fabbrica di produzione di cuscinetti a sfera dove lui stesso lavorava, chiamata “Kaganovic”.
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Anche qui trovò molti italiani tra cui il torinese Andersen, Guerra, Picelli, Sarti, Baldi, Siciliani, Vattovaz, Pizzirani, Roveda, Masi, e Grandi.
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Dopo il XVII° congresso del PC, nel 1934, in cui Kirov, Petrovskij e Postyscev prospettarono l’opportunità di un esonero di Stalin, ci fu la reazione a questo tentativo di detronizzazione.
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Stalin infatti iniziò una nuova epurazione del partito, caratterizzata da un controllo minuzioso del passato di ogni iscritto e dalla raccolta della relativa documentazione.
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All’inizio del 1934 infatti, anche la moglie di Corneli fu convocata dall’NKVD, che le propose di diventare informatrice.
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In seguito Dante si accorse che la moglie spesso rovistava tra le sue carte, e l’affrontò dicendole che poteva dire al Commissario tranquillamente ciò che lui faceva.
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Successivamente ci fu l’uccisione di Kirov, fatto che decretò l’inizio di uno dei periodi più drammatici della rivoluzione russa.
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Iniziarono subito le persecuzioni, e nel giro di pochi mesi nella sola Leningrado furono arrestate 40.000 persone.
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Nella fabbrica dove lavorava Corneli iniziarono con l’arresto di un vecchio comunista, seguito dal caporeparto Petrov, poi dal capoturno Pokunov.
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La repressione si accanì con i seguaci di Trozki e di Zinoviev, incolpati dell’uccisione di Kirov.
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Anche Corneli si aspettava quanto meno di essere interrogato, e infatti fu convocato dalla Commissione di controllo della organizzazione di partito rionale.
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Fu costretto a subire un fuoco incrociato di domande riguardanti il suo passato e l’attività trozkista svolta dieci anni prima.
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Fu proprio questo aspetto del suo passato, la sua fede politica legata ad una condiscendenza di intenti culturali con le idee Trozkiste a renderlo inviso al regime di Stalin.
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Di lì a poco infatti iniziò il suo calvario, con la prima condanna a 5 anni di lager, che divennero 10 e mezzo a causa della guerra con la Germania, poi il confino eil secondo arresto, fino ad arrivare ad un totale di 24 anni di deportazione.
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Lungo questo percorso, che non voglio descrivere per lasciare al lettore il piacere della scoperta delle nefandezze del “paradiso” comunista, Corneli incontrò numerosi italiani, molti dei quali non sopravvissero alle crudezze di vita imposte dai gulag e morirono, con il beneplacito e la consapevolezza di personaggi politici italiani come Togliatti (n° due del komintern).
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Tra gli altri, durante la lettura possiamo identificare Francesco Ghezzi, anarchico emiliano, Pio Pizzirani, bolognese, oppure il genovese Pera e il biellese Barale, così come gli emigrati politici Rossi, Nanni e Federico Matteuzzi di Castel San Pietro, e ancora Alfredo Mauri e Prato Francesco.
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Chiudo la recensione puntando il dito contro l’ideologia stessa comunista, evidenziando il male commesso proprio contro il proletariato e le classi meno abbienti, in un percorso di continua e palese violazione dei diritti umani, invitando chi ancora si professa comunista a compiere una disamina oggettiva dei fatti, oggi, dopo l’apertura degli archivi sovietici e dell’Europa dell’est.
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Invito i seguaci di Stalin, Togliatti, e Berlinguer a mettersi nei panni di quelle vittime sacrificate sull’altare di un comunismo che ha portato solo lutti e dolori, a livello planetario.
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Invito tutti a leggere Dante Corneli :
“Il redivivo tiburtino”, e a considerare comunismo e nazismo come medesimi anelli di una catena di terrore e di repressione.
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E pensare che in molte città italiane esistono ancora oggi vie e piazze chiamate Lenin o Stalingrado.
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Ma si sa… l’erba cattiva non muore mai !
.E pensare che in molte città italiane esistono ancora oggi vie e piazze chiamate Lenin o Stalingrado.
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Ma si sa… l’erba cattiva non muore mai !
Dissenso
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