lunedì 8 novembre 2010

S 21 - LA MACCHINA DI MORTE DEI KHMER ROSSI

di Rithy Panh e Christine Chaumeau
.Il 17 aprile 1975 i khmer rossi prendono il potere in Cambogia.

Impongono subito l’evacuazione forzata dalle città, i campi di lavoro, il terrore, le esecuzioni …, il tutto accompagnato da una fortissima carestia.

Fra il 1975 e il 1979 muoiono quindi circa due milioni di persone, poiché un cambogiano su quattro è vittima di esecuzioni o di privazioni.

S-21, il principale “ufficio di sicurezza” del regime di Pol Pot, situato al Phnom Penh, in un ex liceo nel quartiere Tuol Sleng, fu trasformato in realtà in centro di sterminio, dove migliaia di persone furono torturate e distrutte.

Per circa tre anni, Rithy Pahn e la sua equipe hanno cercato i sopravvissuti e i loro torturatori.

Li hanno convinti a rincontrarsi a S-21, oggi Museo del Genocidio, per confrontare le testimonianze, rivivendo la memoria dei gesti e dei corpi.

Attraverso il coraggioso e drammatico confronto tra vittime e aguzzini che questo libro testimonia e scandisce, l’autore cerca comprendere come l’Angkar (l’Organizzazione) abbia saputo svuotare l’uomo, attuare la sua politica di annientamento sistematico, gestire come prassi amministrativa, burocratica, quotidiana, il meccanismo della macchina di morte.

L’autore, con potente determinazione e delicato distacco, invita a scoperchiare il recente terribile passato perché un nuovo intreccio delle memorie apra la via per la riconciliazione e dischiuda la porta, ora serrata, a un futuro accettabile.
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Rithy Pahn (Phnom Pehn 1964) è il cineasta cambogiano noto per la sua coraggiosa attività volta a testimoniare del genocidio, appunto, avvenuto in Cambogia per mano dei khmer rossi.
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Persa gran parte della famiglia, catturato e internato dai khmer rossi in un campo di detenzione per essere “rieducato”, nel 1979, all’età di quindici anni, riesce a scappare in Thailandia e a raggiungere la Francia, dove si diploma a Parigi presso l’Institut des Hautes Etudes Cinematographiques.
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Christine Chameau, giornalista, ha vissuto per più di tre anni in Cambogia.
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Ha collaborato con Phom Pehn Post, Radio France International, l’Express e national Geographic.
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Questo libro ci mostra le atroci nefandezze compiute dai comunisti di Pol Pot, dai famigerati khmer rossi che si sono distinti per la loro ferocia e i crimini contro l’umanità.
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La loro opera di spersonalizzazione dell’individuo era alla base di un progetto di annichilimento che prevedeva fin dai suoi inizi lo sterminio di tutti coloro che, in Cambogia, eccedevano il numero totale di 4 milioni.
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Furono infatti sterminati due milioni di individui, metodicamente e incessantemente, e molti di coloro sono transitati per l’ultimo viaggio attraverso S-21, il tristemente famoso lager in cui le esecuzioni si susseguivano a ritmo serrato, giorno dopo giorno, previo un percorso di tortura e di violenze perpetrate ai danni di coloro che non volevano confessare un qualsiasi crimine a loro ascritto.
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Ancora una volta, l’umanità ha dovuto subire le conseguenze di un regime comunista, di una ideologia aberrante e sanguinaria che si identifica con una simbiosi perenne tra il sangue delle vittime e il potere violento, coercitivo, dei gerarchi marxisti.
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Prima di invitare i lettori del blog alla lettura di questo libro-documento, vorrei ancora una volta sottolineare che il comunismo italiano trae le sue origini dagli stessi simbolici e stereotipati ideogrammi da cui si sono sviluppate le deportazioni in Russia, i genocidi cambogiani, o lo sterminio dell’etnia tibetana.
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Non è sufficiente che il PD abbia metamorfizzato la retrospettiva storico-culturale da cui deriva.
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Non è sufficiente che adesso, a distanza di quasi un secolo dalla nascita dello stalinismo, i vari Dalema o Napolitano tentino di prendere le distanze con gli orrori del comunismo, e poi, subdolamente, inneggino a personaggi come Togliatti, criminale comunista che si è macchiato anche del sangue dei suoi stessi compagni.
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Non è sufficiente …
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Ancora oggi gli intellettuali comunisti NON rinnegano le atrocità che caratterizzano la Storia del comunismo, dalla sua nascita ad oggi, così come NON cercano di porre rimedio alla voluta disinformazione messa in atto per decenni da loro stessi, allo scopo di mistificare gli eventi.
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Fortunatamente esistono autori che ci lasciano in eredità le tetimonianze inoppugnabili di ciò che realmente è successo, come appunto Rithy Pahn.
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Altri, sono stati meno fortunati, poiché durante il loro percorso di giornalisti o scrittori, hanno subìto una brusca e definitiva battuta di arresto, ad opera proprio di quei comunisti che non sopportano di essere stati smascherati.
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Un esempio è rappresentato infatti da Anna Politkovskaja e dagli altri 35 giornalisti uccisi nella Russia di Putin dai sicari di regime.
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Perché il loro sacrificio non sia dimenticato dobbiamo cercare di diffondere i loro scritti, i libri, le pubblicazioni, e fare da cassa di risonanza alla loro meritoria opera a favore della libertà.
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Non mi stancherò mai di ringraziare queste persone che coraggiosamente mettono a repentaglio la loro stessa esistenza, e che troppo spesso vengono sacrificate spietatamente.

.E.B.
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domenica 7 novembre 2010

CARNEFICI E VITTIME

di Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi

I CRIMINI DEL PCI IN UNIONE SOVIETICA.
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Questo libro è molto di più che una semplice narrazione sull’argomento che tanto sta sullo stomaco ai comunisti, non solo italiani, e cioè quello del sangue di cui si sono imbevuti i loro stessi dirigenti in terra di Russia all’epoca di Stalin, ma è una vera e propria ricerca storiografica, corredata perfino dai verbali degli interrogatori dei prigionieri arrestati o deportati.
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I documenti sono stati desunti dalle raccolte contenute negli archivi sovietici che, dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati aperti temporaneamente per le consultazioni degli studiosi e degli storici.
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Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi ci offrono questo spaccato della situazione esistente e dei rapporti che intercorrevano tra gli emigrati italiani in Russia, il PCd’I e la NKVD moscovita.
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Il ruolo di Togliatti, alias Ercole Ercoli, aliasil Migliore” è ben delineato, in tutta la sua nefasta drammaticità, così come quello dei suoi collaboratori comunisti italiani.

Il tragico percorso di molti italiani si è sviluppato attraverso un cammino fatto di disillusione, amarezza, arresto, deportazione, e morte, costellato dalla supervisione dei loro stessi compagni di Partito, come Togliatti e Robotti, che ne avallavano il proseguo fino alla eliminazione totale.

Per decenni la mistificazione comunista ha celato questi omicidi volontari, queste aberrazioni perpetrate vigliaccamente da colui che ancora oggi il PD, osannando questa canaglia, chiama ”il migliore” !

Ecco ora una breve nota riassuntiva di ciò che ci offre questa opera intitolata apppunto :

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Carnefici e vittime
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Negli anni ’20 e ’30 la Russia era, agli occhi dei comunisti occidentali, come una sorta di Eden, di “Terra Promessa”, di culla di un socialismo proletario in cui il Comintern rappresentava un faro che indicava la strada da percorrere.
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Molti europei, comunisti, e affratellati dalla stessa fede politica, si incamminarono quindi verso questo percorso raggiungendo, spesso clandestinamente, l’Unione Sovietica.
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Spesso, gli antifascisti dichiarati, insieme ai perseguitati politici dei diversi paesi occidentali, o i politici comunisti di spicco, tra cui anche i fondatori dello stesso PCd’I, e i membri delle più alte cariche del Partito, si trasferivano a Mosca con l’intera famiglia, per iniziare una nuova vita all’insegna del Comunismo e di quegli ideali di uguaglianza e di giustizia che da sempre inseguivano.
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Presto però, una volta immersi nella realtà sovietica, si rendevano conto con amarezza che la situazione era molto diversa da come loro si aspettavano che fosse.
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Le condizioni di vita erano durissime, così come quelle di lavoro.
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Inoltre il non totale allineamento allo Stalinismo, identificava molti di loro come Trockisti o Bordighisti e quindi come nemici ostili alla Rivoluzione, borghesi, o spie dei Governi stranieri, condannandoli ad essere inquisiti, arrestati, torturati, deportatie uccisi.
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Ciò che appare più mostruoso è il fatto che questi comunisti, tra cui molti italiani, non abbiano trovato la morte per mano del nemico fascista, avversario accanito, bensì ad opera degli stessi “compagni”, rivelatisi più spietati dei nemici stessi.
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A Mosca, in quegli anni operava un gruppo di connazionali che facevano capo a Togliatti, il N° 2 del Comintern (l’organo di diffusione internazionale del Comunismo).
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Si trattava, in sintesi, di una “banda” di italiani, ferventi comunisti, che si occupava a 360 gradi e a tempo pieno di controllare, giudicare, intervenire e identificare coloro che andavano epurati, in nome di un radicalismo politico rivoluzionario.
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La “banda” comunista e criminale che si è saziata del sangue dei suoi stessi compagni, oggi è conosciuta e scritta su quelle pagine di Storia che loro stessi hanno tentato di cancellare e nascondere.
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Eccola :
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Palmiro Togliatti, alias Ercole Ercoli, alias “il Migliore”, n° 2 del Comintern.
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Paolo Robotti, cognato di Togliatti, e guardiano dell’ortodossia bolscevica. Torna in Italia nel 1947.
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Antonio Roasio
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Ilio Barontini
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Domenico Ciufoli
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Aldo Moranti

Elena Montagnana
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E’ da ricordare poi la figura di Giovanni Parodi che, sposato con Clementina, lasciò che questa fosse deportata in un lager, senza mai intervenire per aiutarla.

Parodi, dopo il 1945 fece carriera nella CGIL, ma non spese mai neppure una parola per lei.

Alla condanna di Clementina contribuì anche con fredda determinazione la testimonianza delatoria e accusatoria di Elena Montagnana.
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La sfrenata corsa alla delazione, appunto, di questo gruppo di “denunciatori”, in nome di una “vigilanza rivoluzionaria” interpreta un ruolo che si identifica con una assurda cultura dell’odio, della morte, della forca.
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Ne fu oggetto perfino Amadeo Bordiga, che pur essendo il fondatore del PCd’I insieme a Togliatti e a Gramsci, dovette subire una dissacrante e umiliante presa di distanza.
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Fu accusato di attaccare l’URSS sul giornale italiano “Prometeo”, e per questo fu considerato come elemento di spicco della filosofia trotzkista, e nemico da combattere, per cui nel 1930 fu espulso dal Partito che lui stesso aveva creato.
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Il dirigente comunista si trovò presto in contrasto con lo stesso Togliatti, e per questo motivo sia Lui che i suoi seguaci furono a lungo perseguitati, anche in Unione Sovietica. .
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Considerati nemici della Rivoluzione russa e resi oggetto di delazione, molti di loro furono proposti dallo stesso Togliatti all’NKVD per la deportazione e la fucilazione.
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Oggi la storia, e l’accesso agli archivi che per anni hanno gelosamente custodito questo segreto, ci racconta di come “il Migliore” (così i Comunisti ancora oggi chiamano Togliatti) stilasse dei veri e propri elenchi di connazionali stabilitisi in Russia, per avviarli ad una feroce repressione.
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Ci sono prove documentali che dimostrano la complicità del PCd’I con l’industria della morte di Stalin.
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Ci sono i testimoni sopravvissuti al lager, come per esempio Don Enelio Franzoni, scomparso qualche anno addietro.
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Condannato alla deportazione riuscì a rimanere in vita e a tornare in Italia, dove concluse la sua carriera ecclesiastica come Cappellano nella Parrocchia di Santa Maria delle Grazie, in Via Saffi a Bologna.
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Fu decorato, ancora vivente, con la medaglia al valore.
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Abbiamo potuto attingere notizie sulle verità “scomode” grazie anche all’impegno incessante sia di studiosi e scrittori come di ricercatori e storici del calibro di Marcello Braccini, Romolo Caccavalle, Elena Dundovich, Francesca Gori, ed Emanuela Guercetti.
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Voglio ora citare solo alcune delle innunmerevoli vittime italiane di Togliatti e Robotti, e della “banda” di comunisti nostrani, in Russia :
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OTELLO GAGGI , anarchico, e non omologato al comunismo, fu denunciato come trotzista all’NKVD.
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Morirà nel 1945 in carcere dopo aver scontato 3 anni di galera e 3 anni di confino in Siberia.
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GINO MANTELLI , condannato in Italia per aver ucciso un fascista, espatriò clandestinamente e con l’aiuto del PCd’I e arrivò in Urss nel 1924.
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Fu poi oggetto delle attenzioni di Robotti che, con l’appoggio di Togliatti, gli fece comminare una pena a 3 anni di confino e 5 anni di gulag.
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Le sue precarie condizioni di salute non gli consentivano di svolgere attività lavorative durante la prigionia, e per questo fu accusato di sabotaggio e condannato quindi alla pena capitale nel 1938.
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GIOVANNI BELLUSICH, giudicato dalla “banda” come controrivoluzionario.
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Condannato a 3 anni di confino, 5 anni di gulag. Fucilato nel 1938.
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DANTE CORNELI, fu un vero e proprio “eroe” del ‘900, autore di “Il redivivo tiburtino”, ma risulta ancora sconosciuto ai più a causa della potenza della macchina disinformatrice comunista.
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Dante ci ricorda, tra l’altro, che il 28/12/1934 il PCd’I, attraverso i giornali francesi, belgi, elvetici, ecc, denunciò come elementi sospetti ben 501 ANTIFASCISTI italiani esuli o latitanti.
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La data è importante, poiché proprio a partire da quei giorni si registrò la prima funesta retata di comunisti italiani in terra sovietica.
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Furono arrestati infatti :
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Ezio Biondini alias Merini, Aldo Gorelli alias Torre, Giuseppe Sensi, Otello Gaggi, Gino Mantelli, Giovanni Bellusich, Rodolfo Bernetich.
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EZIO BIONDINI alias Giovanni Merini, subì in Italia il carcere e il confino a causa della sua attività antifascista, dal 1926 al 1930.
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Nel 1931 si rifugiò in Francia, da dove partì per la Russia inviatovi dal Partito per frequentare la scuola leninista.
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Aveva rapporti di amicizia con Dante Corneli, Grandi, Bernetich, Calligaris, Gorelli, Sensi, Mantelli, cioè con coloro che Paolo Robotti definì “trotzkisti degni di essere spediti in Siberia”.
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Fu proprio per questo supposto “trotzkismo-bordighismo” che venne espulso dal PCd’I.
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Immediatamente dopo fu arrestato in Russia e condannato a più riprese ai lavori forzati, per un totale di 15 anni di pena.
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Sopravvisse a questo lungo periodo di lager, ma poi il destino lo beffò tragicamente.
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Confidò infatti a Giancarlo Pajetta che era in visita ufficiale a Mosca il suo calvario, e per questo fu condannato nuovamente ad altri 25 anni di lager.
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Fu ucciso da un detenuto a colpi di scure.
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Di tutte le vittime, vengono esibiti dagli autori i verbali degli interrogatori e i documenti che determinarono il destino infausto di ognuno di loro.
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Raccomando a tutti questa lettura, ma soprattutto a coloro che guardano alla “falce e martello“ con uno sguardo trasognato e carico di significati che, inconsapevolente, identifica in tali simboli un ideale di libertà e di uguaglianza.
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E’ necessario che la verità sia diffusa capillarmente e senza reticenze, per affermare ciò che oramai è sancito dalla Storia stessa:
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il COMUNISMO è un MALE ASSOLUTO.
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Dissenso
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