Appare evidente oramai, dalle varie testimonianze
emerse nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, che fu
organizzato un piano eversivo nel 1947, da parte del PCI, per far diventare
l’Italia una “democrazia popolare” di stampo sovietico dopo le elezioni del 14
aprile 1948.
Ne tratta diffusamente anche il libro “Oro da Mosca”di Valerio Riva, importante opera storica che si avvale anche di 240 documenti inediti dagli archivi moscoviti.
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Riassumendo il contenuto del capitolo denominato “piano
K”, ho estrapolato i passaggi più significativi, che ci permettono di
capire come abbia agito il PCI a quei tempi e come i comunisti italiani abbiano
tentato di asservire l’Italia stessa al comunismo sovietico.
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Nel periodo febbraio-maggio 1947 (secondo gabinetto
De Gasperi) lo scontro all’interno del PCI portò alla nomina di Vincenzo
Moscatelli come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e di Francesco
Moranino alla Difesa.
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Si legge nell’opera di Valerio Riva che questi due
Ministeri avrebbero potuto assumere un ruolo chiave in prospettiva di una
soluzione insurrezionale.
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Le nomine furono caldeggiate da Pietro Secchia, il “rivale”
di Togliatti interno al PCI, sostenitore di una politica rivoluzionaria, che
intendeva utilizzare soprattutto Moscatelli come riferimento per intrecciare
collegamenti con quegli scontenti tra gli alti gradi delle Forze armate che si
trovavano a disagio nella nuova situazione politica.
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Tra questi va citato Filippo Frassati, che sarebbe
diventato poi consigliere militare dello stesso Secchia e a cui era stata
promessa la carica di ministro della Difesa, una volta che la rivoluzione fosse
stata attuata.
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In particolare, l’interesse dell’apparato clandestino del
Partito Comunista Italiano si appuntava
su due ambigui personaggi dell’establishment militare : il generale Giacomo
Carboni e il generale Arisio.
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Il “piano K” prevedeva infatti di
provvedere, dopo la partenza delle truppe alleate, prevista per la fine
dell’anno, al controllo in Friuli delle zone di confine con la Jugoslavia.
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Non a caso Carboni aveva avuto il comando in quei
territori per un certo periodo durante la guerra.
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Era prevista anche la dislocazione di due brigate speciali
“Stalin” (la 12a e la 16a)
sul tratto Ravenna-Reggio Emilia-Bologna-Perugia, che avrebbero spezzato in due
la penisola (a nord del territorio che era stato di competenza della VII armata
generale Arisio).
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Al momento opportuno, e cioè allo scoccare
dell’insurrezione, a Roma sarebbero stati occupati i ministeri, mentre
contemporaneamente il comando degli insorti avrebbe rivolto un appello alle
truppe comuniste jugoslave perché entrassero nella penisola per mantenere
l’ordine pubblico.
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I comunisti italiani, fin da allora, hanno sempre negato
tutto ciò, ma dopo la caduta del muro di Berlino la verità è venuta a galla,
con le ammissioni di alti ufficiali ungheresi che confermarono la vicenda.
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In meno di 48 ore l’Italia sarebbe diventata un
“satellite” sovietico, così come accadde poi in Ungheria nel ’56 e a Praga nel
’68.
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.Si continuò a parlare del “piano K” anche
successivamente, in relazione ad un probabile conflitto tra est e ovest.
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Sulle pagine della rivista di ricerca storica e politica
“Civitas”, in cui tratta dei “Giorni di Trieste”, scritta da Paolo Emilio Taviani si legge a pagina 35 :
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“L’inviato del Manchester Guardian scrive :
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- Gli
Jugoslavi parlano apertamente della possibilità di una breve guerra con
l’Italia, che essi ritengono di poter decidere rapidamente a loro favore - e
ancora :
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- Nell’autunno del 1956 negli aeroporti ungheresi di Gyor, Pecs,
Szombathely c’erano centinaia di apparecchi sovietici carichi di truppe
aviotrasportate, a un’ora da Treviso e a due ore da Milano … in caso di guerra
in Europa e quindi di invasione dell’Italia, le truppe sovietiche prevedevano
l’arrivo a Bergamo in due giorni… - ”.
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In un articolo a pagina 31 del “Corriere della sera” del
18 ottobre 1995 si legge :
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“Stando ai servizi che spiavano il Pci, un
progetto per l'uso delle armi sarebbe stato aggiornato almeno fino al 1951.
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Tra i dirigenti ritenuti responsabili, naturalmente
Pietro Secchia, il piu' incline a una soluzione militare, ma anche Luigi Longo
e persino Giorgio Amendola.”
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Nei primi anni del dopoguerra lo stesso ministro Scelba,
democristiano, fa riferimento alla possibilità di un colpo di mano contro la
democrazia da parte dei comunisti.
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Nelle sue memorie parla di un piano insurrezionale “K”,
attraverso il quale i comunisti italiani, aiutati da Mosca, avrebbero
organizzato un vero e proprio colpo di Stato per impossessarsi del potere.
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Emerge quindi dagli archivi storici una vera e propria
volontà dei comunisti italiani di svendere la democrazia nel nostro paese a
Mosca, di cui saremmo diventati una propaggine, piombando così, dopo il
fascismo, in un’altra dittatura feroce e sanguinaria.
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Paradossalmente ciò non accadde proprio per mano di
Stalin, che impose fin dal 1944 ai comunisti italiani la rinuncia alla
rivoluzione violenta e la scelta di una via al comunismo più pacifica.
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Il dittatore georgiano era infatti interessato a non
incrinare i suoi rapporti con gli Alleati occidentali e al “piano” di divisione
dei territori, successivamente alla fine del conflitto mondiale, con cui si
sarebbe assicurato la creazione di “Stati cuscinetto” al fine di rafforzare i
confini sovietici.
Nel dicembre 1947, durante una visita a Mosca,
Pietro Secchia chiese a Stalin se un' azione insurrezionale comunista fosse o
meno opportuna.
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L' ipotesi fu allora respinta dal dittatore sovietico :
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« Riteniamo che non bisogna puntare sull'insurrezione, ma
bisogna essere pronti se il nemico ci attacca ».
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Si evince quindi che gli impeti e gli ardori rivoluzionari
appartenessero proprio a quei politici italiani comunisti che, pur sedendo
sugli scranni parlamentari, ne tradivano le prerogative nazionali, tentando di
asservire il paese a Mosca.
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Ecco il vero volto del comunismo in Italia !!
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Per decenni i seguaci di Togliatti hanno ricevuto soldi da
Mosca, tramando contro la democrazia, e nascondendo i loro intenti dietro un’aura
di populismo, ergendosi a difesa dei valori di riferimento cui guardavano le
masse popolari, e attendendo di pugnalare alle spalle, al momento opportuno, la
stessa società civile.
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E’ sufficiente osservare, constatare, leggere e studiare
con approccio obiettivo, e analizzare i fatti e il comportamento del PCI dalla
sua nascita fino alle metamorfosi odierne, per farsi un’idea precisa di cosa
sia effettivamente il comunismo italiano.
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La Storia ce lo mostra, apertamente, chiaramente, in ogni
sua manifestazione.
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Lo storico russo Victor Zaslavski affermò che la sinistra
italiano era più stalinista di quella sovietica.
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In Italia il processo di revisione e di rifiuto del passato
ha fatto ben pochi passi.
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La destra neofascista non ha esitato a sconfessare il
fascismo, mentre le formazioni metamorfizzate di ciò che può derivare dal
retaggio culturale comunista si trovano davanti ad una una realtà che le
accomuna : prima erano tutti staliniani, poi sono diventati comunisti
riformisti, mentre oggi sono tutto : di volta in volta si dichiarano socialdemocratici, riformisti,
o liberali, senza affrontare mai, fino in fondo, un esame del proprio passato.
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Come a dire che il lupo perde il pelo ma non il vizio.
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Il paraocchi caratterizza tutti coloro che ancora oggi
votano per riportare in auge un comunismo oramai morto e sepolto, ma che
aleggia ancora come uno spettro sulle nostre teste.
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La malafede è il cancro di cui è intriso l’organismo
intellettuale stesso dei comunisti odierni, poiché è impossibile che non
sappiano su cosa si poggia l’ideologia cui fanno riferimento.
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Ecco perché è necessario diffondere quante più notizie
possibili sugli effetti nefasti che il comunismo ha prodotto nel mondo,
obiettivamente, basandoci su dati storici ineluttabili, e rifiutando le analisi
di parte prodotte dalla macchina disinformatrice comunista che da decenni tenta
di alterare la verità.
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Mai più comunismi, quindi, per noi e per i nostri figli.
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Dissenso
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