sabato 29 settembre 2012

Andrej Januar'evic Vysinskij : CRIMINALE COMUNISTA

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Nacque  ad Odessa,  in Ucraina, il 28 Novembre 1883, sotto l’Imperatore di Russia lo Zar Alessandro III Romanov.
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Il padre era farmacista, e dopo la nascita del figlio si trasferì a Baku, in Azerbaijan, dove poi Vysinskij frequentò il ginnasio.
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Nel 1901 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Kiev, ma ne fu espulso l’anno successivo per aver partecipato a disordini studenteschi, per cui tornò a Baku, dove nel 1903 entrò nell’ala menscevica dell’organizzazione RSDRP ( il Partito Socialdemocratico ).
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Nel 1905 a San Pietroburgo incominciarono i primi fermenti pubblici che diedero il via alla rivoluzione russa, con una manifestazione formata da operai e da contadini, che fu poi chiamata “la Domenica di sangue”, poiché fu repressa con l’impiego dell’esercito (furono uccisi 100 manifestanti e ferite 1000 persone).
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In occasione dei moti rivoluzionari, nel 1910, Vysinskij fu arrestato e scontò un anno di carcere nella prigione fortezza di Baku, dove conobbe Stalin, anch'egli detenuto per i disordini legati agli scioperi di quel periodo.
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Nel 1913 si laureò in legge all’Università di Kiev, poi si dedicò all’insegnamento della letteratura e del latino in un ginnasio privato a Baku.
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Nel 1915 si trasferì a Mosca, dove lavorò come assistente di un avvocato.
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Dopo la rivoluzione divenne attivo sostenitore del Governo provvisorio, divenendo capo della milizia in un quartiere centrale della capitale sovietica.
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In questo ruolo, su istruzioni del Ministero degli Interni e di quello della Giustizia, firmò e pubblicò l’ordine di arresto per Lenin e Zinov’ev, che erano fuggiti da Pietrogrado nel 1917.
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Successivamente abbandonò il Partito menscevico, lavorando dal 1919 al 1923 al Commissariato del Popolo negli uffici degli approvvigionamenti della RSFSR (Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche).
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Dal 1921 al 1923 fu anche decano della facoltà di Economia dell’Istituto “K.Marx” di Mosca e professore all’Università Statale di Mosca (MGU).
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Dal 1923 al 1925 lavorò alla Corte Suprema dell’Urss, per poi tornare alla MGU in qualità di Rettore, dove si distinse nel soffocare brutalmente i moti studenteschi legati alla “opposizione di sinistra”.
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Nel 1927 pubblicò il suo primo libro importante : il “Corso di procedura penale”.
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Nel 1928 partecipò per la prima volta ad un processo dimostrativo staliniano, il “caso di Sachty”, come Presidente di una Corte Speciale del Tribunale Supremo.
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Successivamente, Vysinskij avrebbe ricoperto il medesimo ruolo nel processo al Partito Industriale.
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Nel 1931 divenne procuratore della Repubblica federata russa (RSFSR) e vice procuratore dell'Unione Sovietica e, dal 1935 al 1939, procuratore generale.
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In tale veste rappresentò la pubblica accusa nei principali processi politici che si svolsero nel periodo delle Grandi purghe, interpretando il ruolo di mente giuridica di Stalin.
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Tra i maggiori processi politici del tempo, in cui Vysinskij fu Procuratore, si ricorda il “caso dei sabotatori delle centrali elettriche” (1933), del “Centro terroristico unificato trockista-zinov’eviano” (1936), del “Centro parallelo trockista” (1937), e del “Blocco antisovietico trockista di destra” (1938).
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Nei processi politici per attività controrivoluzionarie e antisovietiche le confessioni degli accusatori costituivano le "prove più importanti e decisive", e tutto era sotto l’esclusivo controllo del Procuratore (Vysinskij) e del Commissario del Popolo agli Affari Interni (Ezov), che costituivano la cosiddetta “dvoika”, con diritto di emettere sentenze anche senza processo.
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In questo ruolo Vysinskij firmò centinaia di migliaia di condanne a morte .

Inoltre, Vyšinskij era particolarmente noto per la sua efferatezza e mancanza di scrupoli nell'estorcere confessioni ai prigionieri, in totale spregio delle più elementari norme di umanità e in aperta violazione dello stesso codice penale sovietico (peraltro rimasto lettera morta dopo la sua promulgazione nel 1926).
 
La sua azione inquisitoria è lucidamente ricostruita nel libro Arcipelago Gulag di Solzenicyn, dove si evidenzia la sua brutalità e il suo asservimento ai voleri della classe politica che conquistò il potere con la rivoluzione d’Ottobre.
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Nelle sue requisitorie e nei suoi lavori giuridici Vyšinskij propagandò con fervore la teoria medievale secondo la quale la prova decisiva della colpevolezza dell'imputato è la sua stessa confessione.
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Le ammissioni di colpa dell'imputato, ottenute a qualsiasi costo, e spesso con le torture, dovevano compensare quindi la mancanza di prove materiali nell'inchiesta e nel processo, e legalizzare la falsità dell'accusa.
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Non a caso, a volte preparava il “rinvio a giudizio” prima ancora che fossero effettuate le indagini.
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Le sue arringhe durante le requisitorie contenevano frasi come :
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Dobbiamo sparare a questi cani rabbiosi …
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Basta con questi animali abbietti …
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Mettiamo fine una volta per tutte a questi animali ibridi, maiali, cadaveri puzzolenti …
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Facciamo sterminare i cani pazzi del capitalismo, che vogliono fare a pezzi il fiore della nostra nuova nazione sovietica ...
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Feccia della società …
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Parassiti maledetti …
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Cariatidi criminali, terroristi e degenerati ...
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Dopo la caduta di Ezov, Vysinskij non cadde in disgrazia, ma anzi consolidò la sua posizione, divenendo Vice Capo del Governo.
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Nel 1941 Vysinskij pubblicò il suo lavoro più noto : “Teoria delle prove processuali nel diritto sovietico”, che ricevette il Premio Stalin.
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Il libro contenente la raccolta delle sue requisitorie e culminante con il suo discorso nel processo Bucharin-Rykov-Jagoda costituì per decenni il testo fondamentale per i giuristi sovietici.
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Nel 1940 iniziò la carriera diplomatica di Vysinskij, che divenne poi Vice Ministro degli Esteri dell’Urss e poi Ambasciatore sovietico alle Nazioni Unite.
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Dal 1947 guida la delegazione sovietica all’ONU, e in questo ruolo si fece notare in quanto rivolgeva i suoi eccessi verbali anche agli altri portavoce delle Nazioni Unite, e per questo fu definito “il maestro della parola al vetriolo”.
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Nel 1949 divenne Ministro degli Esteri dell’Urss, fino alla morte di Stalin (1953).
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Fu sostituito da Molotov e tornò a ricoprire l’incarico di rappresentante permanente dell’Urss all’ONU.
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Morì a New York, improvvisamente, per un attacco cardiaco.
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. Dopo il XX Congresso del PCUS, Vysinskij, insieme a Ezov e a Berija, è stato ufficialmente identificato come principale responsabile delle “diffuse violazioni della legalità socialista” commesse al tempo del “culto della personalità”.
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Nonostante ciò, la maggioranza degli imputati ai processi gestiti da Vysinskij è stata riabilitata solamente nel periodo della perestroika.
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Ecco una breve panoramica dei processi in cui Vysinskij ha ricoperto l’incarico di Pubblico Ministero :

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1935
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Primo processo contro Zinov’ev, Kamenev, e Evdokimov per l’assassinio di Kirov.
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A Leningrado vennero compiuti migliaia di arresti.
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Gli imputati vennero condannati rispettivamente a 10, 5, e 8 anni di carcere.
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1936
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Primo grande processo pubblico contro il “centro terroristico trockista-zinov’vevista”, detto anche il “Processo dei sedici”. .
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Gli  imputati, tra cui Zinov’ev, Kamenev e Smirnov furono accusati di aver cospirato per assassinare Kirov, per cui avevano già subito una condanna, e di aver organizzato attentati  contro Stalin, Zdanov, Kaganovic, e altri membri del Partito.
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Nonostante l’insussistenza totale delle prove, gli imputati si auto-accusarono di tutti i capi di imputazione, coinvolgendo nei presunti crimini anche Rykov, Tomskij, e Bucharin.
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I 16 imputati furono tutti condannati a morte per fucilazione.
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Tomskij si suicidò.
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La repressione del dissenso causò a più di 1.000 vittime.
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1937
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Il secondo processo pubblico fu il Procedimento penale contro il “Centro trockista anti sovietico”, ribattezzato il “Processo dei diciassette”.
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Gli imputati tra cui Pjatakov e Radek, fecero il nome del maresciallo Tuchacevskij che fu poi arrestato, condannato, e giustiziato.
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Le accuse rivolte al gruppo dei 17 furono di : tradimento della Patria, di attività spionistiche, e di atti di sabotaggio contro le strutture ferroviarie, e contro le industrie chimiche e gli impianti industriali della Siberia orientale.
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Nel corso del processo, Pjatakov si auto-accusò di colpevolezza e del tentativo di rovesciamento degli assetti economici e politici dell’Urss, per il cui progetto si incontrò con Trockij.
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Ci furono 13 condanne a morte e 4 condanne a pene detentive.
Orgonikidze si suicidò.
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Successivamente al processo, in tutto il territorio dell'Urss si susseguirono purghe che causarono la morte di 35.000 ufficiali dell'Armata Rossa, e un totale di 353.000 vittime.
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Complici dell'operazione che condusse a questa ennesima strage furono Berja, Malenkov, Mikojan, Kaganovic, e il giovane Krusciov.
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La repressione portò anche all'arresto di Jagoda e del maresciallo Tuchacevskij.
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Il capo dell'Amministrazione politica dell'Armata Rossa, Gamernik, si suicidò prima di essere arrestato.

1938
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Il terzo dei processi pubblici fu intentato contro il “Blocco anti-sovietico della destra e dei trockisti”, e fu denominato "Processo dei ventuno".
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In questa occasione Stalin e i suoi collaboratori attaccarono e colpirono l'opposizione di destra del Partito.
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I 21 imputati tra cui Bucharin, Rykov, e Jagoda, furono accusati di voler minare la potenza militare dell’Urss, di voler rovesciare il regime socialista, e di restaurare il capitalismo.
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Inoltre li si accusò di aver complottato nel 1918 contro la vita di Lenin, e di essere coinvolti nell’assassinio di Kyrov.
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Anche in questo caso gli imputati si auto-accusarono.
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18 imputati furono condannati alla fucilazione, e i rimanenti a condanne dai 15 ai 25 anni di carcere.
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La responsabilità diretta di Stalin in tutte queste repressioni è indiscutibile.
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E' lui in persona a firmare le liste dei condannati a morte.
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Nel 1938 autorizza l'esecuzione di 3167 condannati, stabilendo il suo macabro record personale di condanne a morte in un solo giorno.
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Alla fine del 1938 sono circa 8 milioni i prigionieri nei gulag comunisti, e 330.000 le vittime delle condanne a morte.
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Dissenso
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venerdì 21 settembre 2012

ORO da MOSCA

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Il libro “Oro da Mosca”, scritto da Valerio Riva con la collaborazione di Francesco Bigazzi,  tratta dei finanziamenti sovietici al PCI, dalla Rivoluzione d’Ottobre al crollo dell’Urss.
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Per quasi un secolo infatti, l’Unione Sovietica ha erogato un vero e proprio fiume di denaro ai partiti comunisti dei cinque continenti, per un totale di due miliardi di euro attuali, di cui un quarto destinati all’Italia.
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Lo studio condotto da Valerio Riva, si è avvalso della consultazione di centinaia di carte inedite sulla contabilità segreta del PCUS, messe a disposizione dai magistrati russi che hanno iniziato nel 1992 a indagare sui Fondi di assistenza internazionale ai partiti e alle organizzazioni operaie e di sinistra.
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E’ stato possibile ricostruire una parte della storia d’Italia e del mondo precedentemente mai raccontata, dai risvolti inquietanti, che dovrebbe essere oggetto di studio sui banchi di scuola.
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Dal libro emergono le precise responsabilità dei comunisti italiani nel percorso di asservimento alle politiche sovietiche, e la loro dipendenza economica da Mosca, e il ruolo ambiguo che i parlamentari comunisti italiani hanno interpretato nell’essere contemporaneamente deputati del Governo italiano e marionette nelle mani del potere comunista russo.
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I capitoli sono esaustivi e ricchi di rivelazioni sconcertanti, aperti a interpretazioni oggettive e presentate con rigore storico, offrendo finalmente un esempio di informazione reale sulle vicende storiche che il PCI e i suoi seguaci metamorfizzati hanno sempre manipolato o nascosto.
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Il denaro è stato sempre la causa dell’interdipendenza tra i personaggi di spicco del PCI e Mosca, condizionando l’esistenza e la vita stessa dell’intero apparato politico cui facevano riferimento coloro che inneggiavano alla bandiera rossa.
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Nel libro vengono evidenziate dettagliatamente le cifre erogate periodicamente, oltre che le metodologie di consegna e i personaggi  deputati alla loro gestione.
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Si viene così a conoscenza di come funzionava il sistema commerciale attraverso cui il PCI traeva sostegno finanziario dai rapporti economici tra Russia e Italia, che erano consentiti solo ad aziende guidate da personaggi inseriti nell’entourage del partito stesso.
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Una fetta degli enormi profitti derivati dagli scambi commerciali doveva essere deviata nelle casse del PCI, prefigurando e anticipando una vera e propria tangentopoli rossa.
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Leggendo le pagine del libro ci si rende conto dell’immensa opera di disinformazione avvenuta per decenni in Italia, e della mistificazione storica che ha accompagnato per troppo tempo il silenzio imposto sull’argomento da Togliatti e dai suoi seguaci.
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Anche dopo la morte di Stalin l’Unione Sovietica, dal canto suo, si premurava di ricevere in modo non meno che sontuoso i delegati dei partiti comunisti europei, in occasione di eventi quale, ad esempio, quello del XX congresso, in piena era Kruscev.
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La volontà egemonica di Mosca si palesava ambiguamente nel trattamento principesco che veniva offerto ai delegati comunisti stranieri, che ricevevano diarie in rubli di cinque volte superiori al salario mensile di un operaio sovietico.
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I personaggi di spicco del comunismo internazionale, come ad esempio Togliatti, o Thorez, erano considerati come veri e propri divi del Comintern, ed erano assuefatti a tenori di vita non certo improntati allo spirito di vita proletario.
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Il libro evidenzia anche il nuovo percorso economico avviato da Boris Nikolaevic Ponomarev, il membro del soviet che si occupava dei rapporti con il PCI, in riferimento ai finanziamenti sovietici dei partiti comunisti europei.
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La nuova politica assistenzialista era improntata ad un policentrismo che individuava nel PCI (Partito Comunista Italiano), nel PCF (Partito Comunista Francese), nel Partito Comunista Finlandese, e nel SED (il Partito Socialista Unificato di Germania), gli unici destinatari del flusso di denaro erogato da Mosca.
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L’apertura degli archivi segreti del Comitato Centrale del colosso sovietico rivela con chiarezza come negli anni 50, dopo la morte di Stalin, e dopo il XX° Congresso, Mosca fosse una vera e propria “terra di Bengodi”.
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In quegli anni Mikhail Suslov interpreterà il ruolo di intransigente difensore della ortodossia staliniana, a cui dovranno piegarsi i destinatari dei flussi di denaro erogati da Mosca, compreso il PCI.
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In “Oro da Mosca” si parla anche della gestione dei fondi del PCI, e delle riserve finanziarie tenute separate dal conto corrente “ufficiale” del partito, a garanzia di eventuali esigenze straordinarie.
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Su questo argomento viene messa in evidenza la vicenda relativa all’”ammanco di cassa” che si verificò nel 1954 ad opera di Giulio Seniga (ex partigiano), il vice di Pietro Secchia (dirigente del PCI), che sparì con una somma equivalente a 10 miliardi di euro odierni.
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Il PCI non poté denunciare Seniga a causa del fatto che i fondi spariti facevano parte di finanziamenti ricevuti illegalmente dall’Unione Sovietica.
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Dal canto suo Seniga, in una lettera inviata a Secchia, afferma di essere sparito con “armi e bagagli” per combattere il “malcostume fatto  di opportunismo, paura e conformismo, che vige nei massimi organi del partito” di cui Togliatti è l’insultante incarnazione.
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Naturalmente l’unico che trarrà vantaggio da questa vicenda sarà proprio “il Migliore” (Togliatti), che riuscirà a prevalere sul rivale Secchia, proprio attaccandolo per gli esiti nefasti  della gestione e del controllo dei fondi segreti.
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Negli anni ’50 molti politici italiani appartenenti al PCI hanno goduto di introiti finanziari provenienti da Mosca, anche sotto forma di “diritti d’autore”, per le pubblicazioni dei loro scritti editi in Russia ; praticamente un modo per giustificare una corrispondenza economica dovuta a coloro che orbitavano nella sfera di influenza comunista sovietica.
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Gli esempi si sprecano, e risultano dai carteggi esaminati negli archivi :
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a Mario Montagnana (giornalista e parlamentare del PCI) viene erogata, per esempio, la somma di 13 milioni, mentre a Pietro Nenni (dirigente PSI e Direttore dell’”Avanti !”) viene pagato un totale di 160 milioni (si tratta di cifre equivalenti alle vecchie lire del 1997).
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A Togliatti e alla rivista “Rinascita” verranno corrisposti 750 milioni .
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Nel 1956 fu approvato e corrisposto anche uno stanziamento pari a circa un miliardo e mezzo (delle vecchie lire) , per l’assistenza alla Lega delle Cooperative italiana.
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Mosca offriva a piene mani, e i comunisti italiani arraffavano con disinvoltura.
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Erano molto apprezzati i viaggi vacanze o le cure mediche in terra di Russia, da cui i dirigenti del PCI sembravano essere calamitati.
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Tra le carte segrete emerse dagli archivi moscoviti, anche in questi casi, spiccano nomi ricorrenti, come quello di Pietro Nenni,  di Rita Montagnana (moglie di Togliatti), di Paolo Robotti (cognato di Togliatti), e dei sindacalisti della CGIL Giuseppe Di Vittorio e Fernando Santi (con relative famiglie al seguito).
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Il “personaggio” che si occupava di fornire a Mosca le liste di coloro che avrebbero dovuto essere invitati, era un alto funzionario del PCI, tale Edoardo D’Onofrio, detto Edo.
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Costui andava e veniva dalla capitale sovietica fin dal 1923, ed era in pratica un intermediario (nelle grazie di Mosca), che sceglieva l’inserimento dei nominativi per la lista di persone da invitare in Russia per le cure mediche,  non certo però per  motivazioni sanitarie, di cui non esisteva alcun accenno, ma solo in base a decisioni politiche.
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E’ indicativo il fatto che il figlio di Luigi Longo si sia laureato in economia all’Università di Mosca, approfittando della gentile offerta di coprire le spese fattagli dai comunisti russi eredi di Stalin.
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Un indubbio inquinamento della vita politica italiana è stato senza alcun dubbio messo in atto per decenni dai comunisti di Mosca.
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L’interferenza russa sul modus operandi e sulle strategie dell’intera sinistra italiana si è palesata anche a riguardo del Partito Socialista Italiano.
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Fino al 1956 infatti anche il partito di Nenni e il quotidiano l’”Avanti !” hanno ricevuto regolarmente soldi da Mosca.
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Successivamente le posizioni politiche di Nenni, relativamente ai fatti Ungheresi del 1956, mostrarono una netta opposizione alle repressioni sovietiche in quel Paese.
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I finanziamenti provenienti da Boris Ponomarev, secondo i criteri stabiliti da Suslov, il nuovo ideologo del partito Comunista Russo, filo-stalinista, furono deviati quindi a favore della dissidenza interna del PSI.
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L’incoraggiamento finanziario indirizzato agli oppositori  di Nenni portò alla scissione del partito e alla nascita del PSIUP : il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
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Questo nuovo partito politico, figlio del flusso di denaro dei comunisti russi, costò a Mosca oltre 50 miliardi delle vecchie lire, e raggruppò al suo interno le correnti politiche legate alla contestazione, al ribellismo, e alla guerriglia urbana, definendo così una “stazione di transito” per coloro che fluirono poi nelle file di Lotta Continua e di Potere Operaio.
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Il punto di arrivo di questa “evoluzione strategica di percorso” avrebbe poi generato in Italia un movimento rivoluzionario tristemente e tragicamente famoso : le Brigate Rosse.
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Appare quindi chiaro che gli strumenti di cui poteva disporre il comunismo sovietico, sia durante l’epoca staliniana che nel corso dell’era Breznev, per controllare, modificare o comunque inquinare la scena politica italiana, si svilupparono grazie al flusso enorme e costante di denaro elargito da Mosca ai gruppi e ai partiti della sinistra del nostro Paese.
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I documenti messi a disposizione degli studiosi di storia successivamente al 1974, mostrano anche il coinvolgimento di Mosca nel favoreggiamento del terrorismo internazionale.
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Uno dei documenti che maggiormente fece gridare allo scandalo fu quello che comprovava l’abitudine ricorrente di Mosca di abbandonare in pieno oceano Atlantico delle enorme chiatte cariche di armi, perché i terroristi dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) le recuperassero.
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Uno dei verbali più significativi ed inquietanti che riguardano invece il nostro Paese è quello del 5 maggio 1974, relativo ad una riunione del Politburo, in epoca Breznev, in cui viene discussa e approvata la proposta di fornire al PCI una “assistenza speciale”.
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In pratica, sarebbero stati accolti dal KGB (la famigerata Polizia Segreta del Cremlino) diciannove membri del Partito Comunista Italiano, a spese del PCUS, e ospitati per alcuni mesi a Mosca, per frequentare una scuola gestita nella capitale sovietica dai servizi segreti russi.
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In seguito a costoro sarebbero poi state fornite attrezzature “speciali” e segrete per svolgere i compiti loro assegnati.
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Leggendo tra le righe, si evince che l’operazione altro non fu che l’itinerario di avviamento e di formazione di queste persone ad interpretare un ruolo che includesse l’uso di microspie, di messaggi in codice, di trasformazione fisica e di mimetizzazione, l’uso di documenti falsi, il ricorso alla clandestinità e il maneggio di armi e di pratiche illegali.
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In parole povere si tratta dell’addestramento di persone destinate a diventare agenti dello spionaggio.
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In quel periodo al comando del PCI c’era Enrico Berlinguer.
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E’ significativo il fatto che proprio Berlinguer, da una parte simulasse uno “strappo” con Mosca, mentre dall’altro inviasse queste 19 persone a imparare dal KGB le tecniche spionistiche.
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Fumo negli occhi per l’opinione pubblica ?
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Fatto sta che costoro, una volta addestrati, passavano dal ruolo di militanti del PCI a quello di agenti sotto il comando e gli ordini del KGB.
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I documenti consultati mostrano come venissero loro forniti anche gli strumenti per svolgere la loro ambigua attività agli ordini di Mosca, come ad esempio le parrucche per il mimetismo e i documenti falsificati.
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Esiste una lista di ben 600 passaporti e carte di identità contraffatte.
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Di questi documenti, un centinaio erano destinati ai capi del PCI, nella misura di due a testa ; un passaporto italiano e uno svizzero o francese, entrambi falsi.
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In cima alla lista dei privilegiati c’erano Luigi Longo, Enrico Berlinguer, e Armando Cossutta, che a quell’epoca sedevano sui banchi del Parlamento Italiano in qualità di “Onorevoli” !
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Queste rivelazioni inquietanti aprono la strada a interrogativi preoccupanti e sinistri.
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Ci si potrebbe chiedere se, nonostante il metamorfismo operato dai camaleontici comunisti italiani, esista ancora oggi qualche struttura segreta, paramilitare e clandestina legata al comunismo Moscovita.
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Il terrorismo, non solo italiano, ha trovato forme di assistenza e di proliferazione proprio grazie all’addestramento di macabre marionette del PCI, formate dal KGB per svolgere un ruolo destabilizzante ?
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Anche il Giudice Giovanni Falcone svolgeva indagini in tale direzione, dietro mandato del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che richiese un’inchiesta giudiziaria sulle attività finanziarie del PCI.
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Falcone incontrò il Procuratore Generale russo Valentin Stepankov che conduceva una inchiesta russa sui finanziamenti del PCUS ai partiti europei, e decise di scoprire se questo flusso di denaro da Mosca all’Italia fosse poi servito anche per finalità legate al terrorismo politico, oppure per contatti mafiosi.
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Stepankov avrebbe dovuto poi incontrare di nuovo il Giudice Falcone, per consegnarli la documentazione richiestagli, quando gli giunse la notizia della strage di Capaci, in cui il magistrato italiano perse la vita insieme agli uomini della sua scorta.
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Oro da Mosca” racconta l’evolversi di queste indagini, portate avanti dal Sostituto Procuratore Luigi de Ficchi, e di come abbia preso forma l’ipotesi dell’esistenza di un braccio armato del PCI dal dopoguerra ad oggi.
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Dalle indagini emersero pesanti riscontri oggettivi che collegavano i finanziamenti sovietici con uno dei responsabili degli eccidi compiuti dai partigiani comunisti nel dopoguerra nel cosiddetto “triangolo della morte” in località Correggio (Reggio Emilia).
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In particolare l’indagine si riferisce al mandante dell’uccisione di Don Pessina, il Parroco di San Martino Piccolo di Correggio.
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L’assassino viene riconosciuto e identificato come un uomo d’affari emiliano divenuto enormemente ricco commerciando negli anni 60 con l’Unione Sovietica, con i paesi dell’est europeo, e con Cuba.
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Si dice che costui, negli anni 60/70 fosse uno dei finanziatori, neanche tanto occulti, delle Brigate Rosse.
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Appare quindi evidente una sinergia che lega i soldi russi non solo al comunismo italiano, ma anche a forme più estreme di aggregazioni sovversive, clandestine e violente.
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Naturalmente gli apparati comunisti italiani hanno sempre evitato accuratamente di parlarne, per non smuovere le acque torbide in cui avrebbero potuto altrimenti sprofondare.
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Il segreto, inteso come mezzo per occultare e nascondere le verità scomode, sembra essere quindi l’elemento costante e catalizzatore dei comunisti italiani, dal dopoguerra ai giorni nostri.
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Per meglio nascondere le prove della sua ambiguità, il PCI prese l’abitudine di trasferire a Mosca anche i documenti del proprio archivio, fin dai tempi del Comintern.
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A proposito di doppiezza e di meschinità, dal libro di Valerio Riva emerge ancora una volta il bieco ruolo del criminale Togliatti, membro del Parlamento italiano da un lato, ed esponente del comunismo sovietico al soldo di Mosca dall’altro.
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Le sue responsabilità assumono tonalità ulteriormente inquietanti se consideriamo anche i rapporti intrattenuti, fin dal 1945, con il massone piduista Licio Gelli.
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Erano gli anni delle trasmissioni radio che arrivavano dalla Cecoslovacchia, attraverso cui quei comunisti italiani che si erano rifugiati a Praga perché ricercati per il reato di omicidio o strage, conducevano una propaganda politica che istigava all’insurrezione.
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Alcuni di loro erano i famigerati assassini della “Volante rossa”, tristemente famosa in Italia per i massacri di donne e bambini, compiuti a guerra finita.
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A molti di questi criminali fu poi “regalata” l’amnistia dal Presidente Sandro Pertini.
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D’altra parte anche i nomi altisonanti del PCI, come Longo, Cossutta, intrattenevano rapporti dal sapore simbiotico addirittura con la dirigenza del KGB sovietico, e con i gerarchi da cui dipendevano i finanziamenti cui aspiravano e a cui erano oramai assuefatti.
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Non a caso, nel 1969, Armando Cossutta ottiene e accetta il flusso di denaro da Mosca in cambio dell’istituzione di un nuovo e più potente sistema di ricetrasmittenti tra l’est e l’Italia.
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Una vera e propria operazione di prostituzione in stile puramente togliattiano, che ha però permesso al PCI di sostenere le spese per la formazione politica dei militanti, e di acquistare le sedi di partito in varie località sul territorio nazionale.
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Una struttura quindi, quella dei comunisti italiani, che esiste solo grazie all’”oro di Mosca” e alla condiscendenza dimostrata da Togliatti in poi verso Mosca e le sue politiche, comprese quelle autoritarie e violente.
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Anche Enrico Berlinguer che manifestava inizialmente una contrapposizione di carattere teorico su elementi deformati del pensiero marxista espressi dal comunismo russo, si prostrò poi a manifestare la sua convinta solidarietà a Mosca, per il ruolo essenziale svolto nello scontro con l’imperialismo americano.
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Siamo nel 1971, e anche l’attuale Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napoletano, vola a Mosca con la scusa del festival del cinema.
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Berlinguer incontra il Capo dello Stato ungherese Janos Kadar a Budapest, mentre Agostino Novella (segreteria di Berlinguer) incontra il dittatore romeno Ceausescu a Bucarest.
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La fitta schiera di relazioni che interseca la collaborazione del PCI con i dittatori dei Partiti comunisti di tutto il mondo, attraversa e supera i confini della decenza, ignorando totalmente i presupposti di democrazia che un partito dell’arco parlamentare italiano dovrebbe avere, e identifica l’assuefazione e la dipendenza ad un sistema di potere iniquo e malvagio : quello comunista.
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Il servilismo del PCI e delle sue politiche produrranno ancora, nel 1975, un nuovo flusso di denaro da Mosca, dell’ordine di circa 17 milioni di euro attuali.
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Oro da Mosca” spiega anche diffusamente come, attraverso la fitta rete di rapporti commerciali, si deviasse nelle casse del PCI una parte delle percentuali di guadagno delle transazioni effettuate.
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Le aziende commerciali che importavano merci dai Paesi dell’est, e che commerciavano con la Germania orientale, dopo che fu eretto il Muro di Berlino, traevano immensi profitti dell’ordine di svariati miliardi delle vecchie Lire.
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Botteghe oscure” diventa il fulcro attraverso cui le mediazioni commerciali tra il colosso sovietico e i comunisti italiani appaiono come lunghe leve per manipolare e gestire gli orientamenti di interi strati sociali, e come mezzo di persuasione per incrementare la simbiosi tra Roma e Mosca.
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Il libro continua la narrazione spaziando nell’universo comunista fino quasi ai giorni nostri, lasciandoci poi con una sensazione di amaro in bocca, come se qualcuno o qualcosa si fosse insinuato con prepotenza dentro le nostre coscienze, spavaldamente e senza che fosse richiesto, minando le nostre convinzioni e i nostri aneliti di libertà, devastando le nostre certezze e i nostri punti di riferimento.
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Il PCI, e i suoi seguaci poli-metamorfizzati, rivestono un ruolo primario nel tentativo di dissimulare una corsa verso il nichilismo della nostra nazione, verso cui si sono precipitati i politicanti comunisti al soldo di Mosca.
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Il silenzio e la disinformazione che fino ad oggi hanno imperato in Italia, ora possono essere superati, grazie al lavoro di studiosi della realtà e di storici come Valerio Riva, a cui va, incondizionatamente, il mio ringraziamento per il lavoro svolto.
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Dissenso
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sabato 1 settembre 2012

ASSANGE E IL DEBITO IMMORALE

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Forse non tutti sanno che la speculazione internazionale, che sempre più spesso mette in ginocchio intere economie nazionali, spesso viene tacitamente legittimata nel suo itinerario di percorso vorace e distruttivo.
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La comunità economica internazionale che si riunisce intorno ad acronimi quale FMI, oppure WTO, spesso è direttamente responsabile di interpretare un duplice ruolo, che riunisce caratteristiche diverse.
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Da una parte si pone come organo carismatico alla guida delle strategie finanziarie che dovrebbero garantire una certa stabilità agli Stati membri, mentre dall’altra soffoca con imposizioni vessatorie quegli Stati che raggiungono un debito nazionale giudicato eccessivo.
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Il fatto è che, paradossalmente, l’ambiguità della leadership coincide con due elementi opposti : la causa e l’effetto della crisi finanziaria stessa.
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Accade che i politici e gli economisti preposti alla gestione di capitali finanziari immensamente grandi, altro non siano che il braccio operativo di grossi gruppi bancari, o di multinazionali del potere economico mondiale, che tentano in ogni modo di fagocitare comunità intere ed intere nazioni pur di aumentare a dismisura il loro potere e la loro ricchezza, anche se ciò va  a discapito delle popolazioni.
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I sistemi adottati per raggiungere lo scopo di questi pescecani della finanza passano attraverso la corruzione e le violazioni dello stato di diritto che appartengono alle rispettive Costituzioni nazionali.
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Possiamo benissimo vedere con i nostri occhi quello che succede in Italia e in Europa, dove il debito degli Stati prolifera in maniera esponenziale, rendendo i cittadini ostaggio delle tragiche conseguenze che ne derivano.
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La prima conseguenza di tutto ciò è la spaventosa crisi economica che ci sta attanagliando.
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Le aziende chiudono i battenti, mentre aumenta a dismisura il numero di coloro che hanno perso il posto di lavoro.
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Gli imprenditori, strangolati dalle vessazioni di un fisco iniquo e di stampo medioevale, ricorrono al suicidio come ultimo atto tragico e risolutivo di una situazione che non ha vie di sbocco.
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Tutto ciò è già successo in altri Paesi, come in Argentina e in Ecuador, ma la reazione di questi Stati è stata molto diversa dalla nostra.
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Mentre in Italia, per esempio, si ricorre alla vera e propria vessazione delle classi sociali, soprattutto di quelle più deboli, e all’imposizione di misure restrittive basate su un ferreo rigore economico, volute dalla comunità economica internazionale, nei Paesi sudamericani la risposta è stata invece in sintonia con i sentimenti e gli interessi popolari.
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L’Argentina, ad esempio, ha rifiutato di seguire la strada indicata dal FMI che voleva imporre una strategia di strangolamento finanziario dell’intera popolazione, che prevedeva tagli occupazionali e alle imprese, optando invece per una politica opposta, basata su una visione Keynesista del proprio futuro finanziario.
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L’Argentina ha sempre sostenuto che le teorie e le strategie espresse dal FMI e dalla Banca Mondiale fossero errate, e si è mossa in maniera da contrastare le imposizioni degli organismi internazionali.
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I fatti le hanno dato ragione, visto che la nazione latino-americana è riuscita a saldare il debito in meno di dieci anni, investendo in infrastrutture, in ricerca e in innovazione, anziché tagliare, e operando per ottenere un benessere equo e sostenibile.
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Successivamente l’Argentina ha rivendicato il diritto di risarcimento per il disastro economico verso cui era precipitata attuando le politiche economiche e di strategia finanziaria in cui era stata coinvolta dal FMI, complici la Gran Bretagna e gli USA.
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Per la sua denuncia l’Argentina si è avvalsa di una serie di files messi a disposizione da Assange, per mezzo di WikiLeaks.
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Le trascrizioni delle conversazioni avvenute tra USA, Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania, e il Vaticano, palesano una volontà comune di mettere in ginocchio le economie sudamericane, e di appropriarsi delle loro risorse energetiche, osteggiando i piani economici di ispirazione Keynesiana a favore di una sudditanza economica al FMI.
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La politica neo colonialista europea è comprovata dai files offerti da Assange e questo spiega l’accanimento della Gran Bretagna e dei suoi alleati nel perseguirlo.
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Ora esaminiamo la situazione dell’altro Paese sudamericano che si è scontrato con il FMI a causa del suo debito nazionale : l’Ecuador.
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Anche in questo caso la reazione del Paese latino-americano non è stata quella di sottomettersi ai dictat economici degli organismi finanziari internazionali, ma anzi si è sviluppata in un deciso e netto rifiuto di ottemperare al pagamento del debito, con la seguente motivazione : debito immorale !
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Secondo l’Ecuador i debiti consolidati dello Stato verso la comunità internazionale sono stati ottenuti dai governi precedenti attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Diritto, e la violazione di norme costituzionali.
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In base a questa convinzione, nel 2008 il Presidente dell’Ecuador ha deciso di cancellare il debito nazionale, considerandolo immondo e immorale.
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L’Argentina ha sancito ufficialmente un principio costituzionale  secondo il quale ciò che è giusto per la collettività, allora diventa legittimo.
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Se applicassimo anche in Italia questo principio svuoteremmo il Parlamento Italiano dai parassiti che lo popolano, e riempiremmo le carceri con gli affaristi e i banchieri che stanno strangolando la nostra economia.
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Potremmo rendere nulle le manovre speculative che hanno ridotto sul lastrico le nostre aziende, e operare per una rinascita nazionale altrimenti impossibile.
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Forse non tutti sanno che l’accettazione del concetto di “debito immorale” è stato approvato dalla comunità internazionale, ed è già stato applicato in passato, oltre che dall’Ecuador, anche da George Bush, in occasione del debito accumulato da Saddam Hussein.
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In quell’occasione gli USA cancellarono il “debito immorale” di 250 miliardi di euro ( di cui 40 miliardi nei confronti dell’Italia, prodotti dalle manovre speculative di Taraq Aziz, vice del dittatore iracheno e uomo dell’Opus Dei, fedele al Vaticano ).
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A proposito di “debito immorale”, Assange si è detto disponibile a documentare le attività speculative e illegali svolte dagli USA in Ecuador, fornendo i file di WikiLeaks che comprovano le responsabilità dirette degli americani.
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Julian Assange ha firmato il contratto di delega per i suoi diritti legali con Baltasar Garzòn, un insigne giurista spagnolo, ex responsabile della Procura reale di Madrid e nemico giurato della criminalità organizzata.
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Come tutti sanno Assange è praticamente asserragliato all’interno dell’ambasciata Ecuadoregna a Londra, avendo ottenuto asilo politico dall’Ecuador.
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La Gran Bretagna ha ventilato l’ipotesi di poterlo prelevare all’interno della sede dell’ambasciata dell’Ecuador, nonostante l’extraterritorialità della sede diplomatica, e questa crudezza di intenti la dice lunga sulle reali intenzioni dei poteri forti londinesi.
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Il timore di Julian Assange, l’ex hacker australiano, infatti, è quello che se fosse arrestato ed estradato in Svezia, potrebbe poi essere di nuovo estradato negli Stati Uniti, dove sarebbe ostaggio della CIA, e giudicato per il reato di terrorismo.
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Washington è infatti seriamente intenzionata a punire Assange per aver pubblicato su wikiLeaks migliaia di messaggi diplomatici degli USA coperti da segreto, che provocarono grande imbarazzo, e per aver fatto rivelazioni in concomitanza del conflitto Nato-Iraq.
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Assange è ora protetto dall’immunità diplomatica, all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador, e ha già fatto sapere che il suo legale Garzòn è pronto a denunciare diversi Capi di Stato occidentali al Tribunale dei diritti civili che ha sede all’Aja.
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L’accusa che rivolgerà ai Paesi occidentali sarà quella di “crimini contro l’umanità, e di crimini contro la dignità della persona”.
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Gli USA e la Gran Bretagna non fanno mistero del fatto che vorrebbero Assange morto.
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Ecco perché Assange si è rifugiato all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador.
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Ecco perché l’Impero Britannico ha perso le staffe !
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Il materiale a disposizione di Assange è la prova di tutto ciò che oramai sappiamo, e cioè che siamo nelle mani di una banda di delinquenti, che ci manipola e ci affama, togliendoci la vita stessa.
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Dobbiamo combattere questa gentaglia, questi nemici dell’umanità.
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Dobbiamo reagire e rifiutare i “debiti immorali”, conseguenza di strategie finanziarie speculative di gruppi occulti, come il Bielderberg.
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Dobbiamo combattere la classe politica disonesta e arrogante che sta massacrando la nostra economia e la nostra esistenza.
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Mandiamo a casa i rappresentanti di quei partiti che pur presentandosi come reciproci antagonisti, in realtà concorrono ad un unico scopo comune : mantenere ed incrementare i propri privilegi di casta.
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Dissenso
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