giovedì 31 gennaio 2013

UNIPOL : LA CASSAFORTE DEL PCI

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Forse non tutti conoscono le origini di Unipol, il colosso finanziario assicurativo che ha rappresentato la cassaforte del PCI a partire dagli anni 60.
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Il salto di qualità più significativo, dai suoi inizi, si ebbe subito dopo la caduta del muro di Berlino, nel Novembre del 1989, quando venne annunciata la quotazione in borsa delle sue azioni ordinarie.
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In questo periodo la società si trovava al 6° posto tra le compagnie assicurative, con un capitale di 96,8 miliardi e una raccolta “premi” di ben 900 miliardi di lire.
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Azionista principale era FINCOOPER, il consorzio di intermediazione finanziaria di LEGACOOP (Lega delle Cooperative), con 1800 cooperative socie.
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Fincooper è sul mercato dal 1963, da quando il PCI bolognese, all’epoca del Sindaco Giulio Cerreti, acquistò tramite la FEDERCOOP (che fino ad allora si era occupata solo di piccoli cabotaggi assicurativi) per 60 milioni, dalla famiglia Foglione (azionista di LANCIA di Torino) una “scatola vuota” la cui sigla era l’abbreviazione di “UNICA POLIZZA”, e cioè UNIPOL.
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Gli inizi di tale “scatola vuota” furono incerti e difficili, al punto che i debiti superavano i crediti e che nessuna compagnia assicurativa voleva fornire una qualsiasi riassicurazione sulle polizze Unipol.
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Unipol decise quindi di rivolgersi all’ORO DI MOSCA, come già avevano fatto i compagni del PCI per decenni.
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L’allora Sindaco bolognese, Guido Fanti, decise di spedire i responsabili di Federcoop a Mosca, indirizzandoli a Boris Ponomarev (membro del Soviet e vecchio ideologo capo del Dipartimento internazionale del Comitato Centrale) che a sua volta deviò la delegazione verso il Presidente del Centrosojouz, l’ingegner Klimov.
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Klimov mise a disposizione di Unipol una compagnia assicurativa di Vienna “amica”, che dipendeva dalla INGOSSTRAKCH, cioè dalle compagnie assicurative statali sovietiche.
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Con questa manovra, l’Unipol acquisì credibilità e consensi, aumentando in pochi anni sia il suo capitale, che passò da 100 milioni a 1 miliardo e 300 milioni, sia la raccolta premi, che passò da 275 milioni a 8 miliardi e mezzo.
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Il legame con Mosca, ancora una volta, è stato quindi determinante per l’economia finanziaria dei comunisti italiani.
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Le strategie successive dovranno poi fare i conti con una serie di compromessi, che porteranno però ad un ulteriore giovamento per la crescita economica di Unipol.
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E’ da considerare storica, infatti, la rinuncia di CGIL (che rientrava nella sfera sindacale mondiale di obbedienza al potere sovietico) ad una qualsiasi forma di resistenza verso le cooperative socialdemocratiche tedesche che detenevano la proprietà del gruppo assicurativo Volksfursorge, un vero e proprio gigante del settore, a cui Unipol guardava con crescente interesse, a causa della necessità contingente di aumentare il proprio capitale sociale.
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Walter Ritter, il direttore generale del gruppo assicurativo Volksfursorge entrò quindi nel CDA di Unipol, nonostante la propria appartenenza all’area di interesse socialdemocratico, a cui in Italia facevano riferimento UIL e CISL.
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Ritter pretese infatti che oltre a CGIL, entrasse nel capitale Unipol anche la componente UIL, attraverso la sua società assicurativa, la Finlabor.
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Nel 1975, entreranno in Unipol anche L’Alleanza Contadina e la CISL.
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Il riscontro positivo, in termini di effetti economici e finanziari fu immediato, infatti il capitale sociale di Unipol passò dai 3,3 miliardi di lire del 1973 ai 73,3 del 1986, mentre la raccolta premi passò dai 15 miliardi del 1971 ai 630 del 1986.
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La deflagrante potenza economica del gruppo permise a Unipol di costituire una serie di società specializzate in investimenti, come Ifiro e Ficest, o come Artigianfin Leasing (insieme a BNL), o come Esaleasing (insieme a Banca Popolare di Ancona).
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Venne creata la Finanziaria del Movimento Cooperativo, la Finec, e anche una Banca, la Banec.
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Le manovre finanziarie proseguirono con l’acquisizione del 33,3 % di Einaudi Editore, e del 2 % di Feltrinelli Editore, oltre che con la costituzione di Uniger Comunicazione, di cui fu nominato amministratore delegato Valerio Veltroni, fratello di Walter Veltroni.
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Tutto ciò portò all’ingresso in Borsa di Unipol, nel 1986.
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Inizialmente Unipol registrò un notevole successo, ma poi Volksfursorge decise di vendere le sue quote azionarie, e di lasciare il Gruppo.
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Le cause di questa decisione furono molteplici :
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In primis i risultati fallimentari dello sconsiderato entusiasmo finanziario dei soci PCI, le cui iniziative produssero esiti disastrosi
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Le speculazioni di Veltroni produssero enormi buchi, oltre che il risentimento del mondo bancario
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I motivi politici.
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Dopo la riunificazione delle due Germanie, la socialdemocrazia tedesca si interrogò sull’opportunità di rimanere in Unipol.
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Tra i motivi per cui i soci tedeschi di Unipol se ne volevano andare è particolarmente significativo il terzo a cui accenno sopra.
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La Germania di Willy Brandt non era così sicura che il PCI riuscisse a sopravvivere alla caduta del muro di Berlino e al crollo dell’Impero sovietico.
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I tedeschi temevano in particolare che, all’apertura degli archivi segreti, potessero venire alla luce i coinvolgimenti del PCI con il regime del terrore staliniano, mettendo in grande imbarazzo chi si fosse trovato ad avere rapporti  e collegamenti col Partito Comunista Italiano.
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Unipol fu costretta a fare cassa per comprare il pacchetto di azioni messo in vendita da Volksfursorge, e iniziò ad incorporare una serie di società immobiliari di Legacoop, come Unifin Immobiliare, Immobiliare Emis, Immobiliare Bologna Uno, Immobiliare Bologna Due, ecc.
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Venne creata in Lussemburgo la Euresa Holding, che raggruppava compagnie assicurative e immobiliari spagnole, belghe, greche, portoghesi, e una russa.
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Come si vede, il connubio tra Unipol e comunisti, non solo italiani, è ben documentato, ed è ciò che ha permesso alla Società Assicurativa di diventare un colosso finanziario.
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Ritroviamo quindi l’oro di Mosca, ancora una volta, dietro all’evoluzione di un pezzo di storia dell’Italia del dopo guerra.
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Il denaro è sempre il filo conduttore che appare dovunque il comunismo tenti di estendere i suoi tentacoli, sempre intrisi del sangue di molti innocenti.
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Le collusioni con chiunque venga a trovarsi in rapporti di stretta  condiscendenza con il potere comunista sono quindi da considerare immorali e devastanti per qualsiasi considerazione di carattere etico, morale, e sociale.
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Il denaro fornito da Mosca è lordo del sangue di milioni di vittime, e non dissimile da quello che i cinesi ancora oggi fanno affluire in Occidente, per mezzo dei loro sporchi traffici commerciali.
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Il rispetto e la dignità delle persone e i diritti umani dovrebbero prevalere sulle considerazioni di carattere opportunistico, al di sopra di qualsiasi interesse commerciale o economico.
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Ma si sa, il Dio denaro corrompe spesso le coscienze….
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Dissenso
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sabato 19 gennaio 2013

VIAGGIO NELLA VERTIGINE

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Viaggio nella vertigine” è il titolo del libro scritto da Evgenija Ginzburg, che narra le sue vicissitudini come deportata politica all’epoca di Stalin, il sanguinario e feroce dittatore comunista sovietico.
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Evgenija (1904 - 1977) nacque a Mosca da famiglia ebraica.
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Dopo aver insegnato all’Istituto pedagogico di Mosca divenne presto membro del Partito e collaborò con il Professor El’vov, titolare della cattedra di Storia russa, alla realizzazione di una raccolta di saggi sulla storia della Tataria.
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Lavorò poi, insieme allo stesso, alla redazione del giornale “Tataria rossa”, curando la stesura della pagina culturale.
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Successivamente, nel 1937, la follia paranoica di Stalin, coadiuvata dall’apparato comunista sovietico, iniziò ad individuare in ogni strato della società russa i potenziali nemici del potere rivoluzionario, bollandoli come trotzkisti.
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Iniziarono così le grandi “ondate” di arresti di massa, basandosi su imputazioni “costruite” a tavolino, più che su effettive prove reali ed oggettive di reato.
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Fu così che anche Evgenija Ginzburg entrò a far parte dell’enorme numero di coloro che furono prima arrestati, condannati a morte, poi graziati ma deportati nei lager posti alle estremità più lontane dell’immenso territorio russo, in zone dominate dal gelo perenne, con temperature stabilmente fissate sui 40 o 50 gradi sotto lo zero.
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La “colpa” di Evgenija fu quella di non aver denunciato per trotzkismo proprio il Professor El'vov, arrestato poco prima dagli agenti di Stalin, con cui aveva collaborato intellettualmente a redigere saggi storici sulla Tataria.
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Le fu contestato il fatto che, frequentandolo per motivi accademici, lei non poteva non sapere della sua attività controrivoluzionaria, e per questo motivo ne diventava complice e colpevole di essere un “elemento ostile al Partito”.
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Fu quindi espulsa dal Partito stesso, arrestata, e condannata a morte.
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Successivamente la pena fu commutata in 10 anni di carcere in rigoroso isolamento, e con la sospensione dei diritti civili per cinque anni, oltre alla confisca di tutti i beni personali.
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Dopo aver trascorso due anni nella prigione di Jaroslavl’ in condizioni di vita estreme, soffrendo la fame e il freddo, oltre che l’isolamento, Evgenija fu destinata ad un nuovo luogo di detenzione, e fu deportata nella Siberia orientale.
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Iniziò così un vero e proprio calvario, che avrebbe dovuto sopportare per oltre dieci anni, durante i quali sarebbe stata vicino alla morte diverse volte.
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Le sue condizioni fisiche, infatti, a causa della denutrizione e delle sofferenze fisiche, oltre che psicologiche, la ridussero più di una volta in fin di vita.
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Evgenija assunse le sembianze tipiche di coloro che, nei lager comunisti, interpretavano un ruolo, loro malgrado, di morti viventi, simili a zombie scarnificati, o a creature disumanizzate e prive di qualsiasi parvenza di umanità.
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La fame cronica e il terrore provocarono in molti deportati quelle orrende metamorfosi che li accomunarono a bestie deambulanti e incoerenti, mentre in altri sviluppò una forma di simbiosi affettiva con tutti gli sventurati sottoposti alla medesima tortura.
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Il vorace mostro comunista si è ben palesato nei gulag siberiani, dando di sé la manifestazione più evidente del vero aspetto della dottrina di Marx, che per altro da sempre ha indotto i suoi seguaci alla violenza pura, come mezzo “necessario” per conseguire la “dittatura del proletariato”.
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Evgenija riesce a sopravvivere, sfiorando la morte molte volte, e sconta per intero la sua pena, al termine della quale le viene imposto l’obbligo di soggiorno a vita nei territori della kolyma, l’universo ghiacciato siberiano.
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Solamente alla morte di Stalin iniziò un percorso diverso per tutti gli sventurati che erano stati vittime della perversione comunista, e gradatamente si potè assistere a provvedimenti di clemenza e di revisione dei processi.
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Evgenija fu riconosciuta innocente e riabilitata, dopo oltre vent’anni di sofferenze.
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Ci ha lasciato questo testo, ben scritto e dettagliato nelle diversificazioni dei vari stadi del suo animo, nel corso delle prove terribili a cui dovette sottostare, ai limiti della sopravvivenza.
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Nelle nostre Scuole dovremmo studiare tutto ciò, insieme alle opere del Petrarca e a quelle di Dante Alighieri, poiché si tratta della manipolazione della vita e del destino di milioni di esseri viventi indifesi, molto più importanti della dialettica intellettuale legata alla prosa e alla letteratura.
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Dissenso
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