martedì 11 febbraio 2014

IL BELGIO ED IL SUO SCHELETRO NELL'ARMADIO

SOTTOTITOLO  -  10 MILIONI DI MORTI : IL GENOCIDIO DEL POPOLO CONGOLESE
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Il Monarca del Belgio Leopoldo II (n.1835 - m.1909) , che divenne Re dal 1865 fino alla sua morte, fu artefice di ciò che si potrebbe definire una forma privata di colonialismo. .
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Negli anni di fine 1800, però, né il popolo belga, né il governo politico di Bruxelles, erano interessati a una qualsivoglia forma velleitaria di acquisizione di territori esterni al Belgio, sotto forma di possedimenti coloniali, al contrario degli imperi europei che in quegli anni, durante l'inizio dello “slancio verso l'Africa”, entrarono in competizione l'uno con l'altro per impadronirsi dell'Africa e saccheggiarne le risorse.
Leopoldo II, era invece fermamente convinto che il colonialismo potesse rappresentare la chiave di volta per affermare la grandezza del Belgio, e cercò quindi un modo per acquisire una colonia, non come re della nazione belga, ma come privato cittadino.
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Dopo vari tentativi organizzò una compagnia commerciale camuffata da organizzazione scientifica e filantropica internazionale, e insieme ad Henry Morton Stanley (famoso esploratore inglese) risalì il corso del Fiume Congo e nel 1880 stabilì una colonia nella regione del Congo.
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Grazie a manovre diplomatiche e alla Conferenza di Berlino del 1884/1885 i rappresentanti di 13 paesi europei e degli Stati Uniti riconobbero Leopoldo come sovrano della maggior parte dell’area da lui fagocitata insieme a Stanley.
L’area ad Ovest dei fiumi Congo e Ubangi (l’attuale Repubblica del Congo), divenne un protettorato francese, divenendo poi nel 1891 una colonia, col nome di Congo Francese.
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Il territorio ad est del fiume Congo (l’attuale Repubblica Democratica del Congo), fu assegnata a Leopoldo II come proprietà personale, che il Re provvide a rinominare con il nome di Stato Libero del Congo.
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Il territorio del quale egli si autoproclamò “Sovrano del Congo”, era 76 volte più grande del Belgio.
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Oggi quel territorio è diviso tra Repubblica del Congo (ad Ovest, con capitale Brazzaville) e Repubblica Democratica del Congo (ad Est, con capitale Kinshasa).
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Naturalmente Re Leopoldo II ebbe il totale controllo su tutta l’area e fu libero di organizzarla come se fosse stato un suo dominio personale.
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Da quel momento Leopoldo si contraddistinse per la sua brutalità nella gestione amministrativa del neonato Congo.
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La sua attività spaziò inizialmente dall’esportazione dell’avorio per finire poi allo  sfruttamento della gomma.
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In quegli anni l’Europa chiedeva con insistenza sempre maggiori quantità proprio di quella gomma di cui erano ricchi gli alberi presenti nei villaggi dei “suoi” territori, per cui Leopoldo cercò di soddisfare la crescente richiesta forzando la popolazione locale ad estrarla dalle numerose piante selvatiche.
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Il Re belga ottenne ciò che voleva, costringendo i sudditi congolesi alla raccolta della gomma, "prendendo le loro famiglie in ostaggio fino a che fosse stata raggiunta una certa quantità di gomma".

La tortura e la coercizione divennero i sistemi abituali di re Leopoldo per costringere la popolazione a soddisfare la crescente domanda di gomma da parte degli europei.
Agli africani che non raggiungevano la quota di raccolta imposta dal re venivano amputate le mani, mentre l’esaurimento fisico, la schiavitù, e le malattie portarono, insieme ai ripetuti omicidi, alla morte di milioni di persone.
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Le frequenti epidemie di “vaiolo” e di “malattia del sonno” aggravarono la situazione, innalzando la mortalità a stime che variano da 3 a 10 milioni di morti.
Le atrocità devastarono la popolazione al punto da poter definire tutto ciò come “genocidio”.
A quei tempi, come rimarcato anche da Conrad nel suo libro “Hearth of Darkness”, quell’area era uno dei tanti “spazi bianchi” (cioè del tutto sconosciuti) sulla carta geografica, ma divenne, come appunto recita il titolo del libro “un luogo di tenebra” grazie alle infamie del colonialismo Belga.
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Leopoldo II fu definito da uno storico britannico come :
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“… un Attila in vesti moderne, e che sarebbe stato meglio per il mondo che non fosse mai nato.”
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Durante il saccheggio dei territori congolesi da parte di re Leopoldo, i cosiddetti “agenti della gomma” che agivano sia per conto dell'impero belga che degli interessi dell'industria della gomma, si distinsero attivamente in omicidi di massa, tortura e abusi sugli africani.
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Interi villaggi vennero requisiti per essere usati come depositi per lo stoccaggio e la lavorazione della gomma stessa.
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Le popolazioni del Congo, consistenti in almeno 250 gruppi etnici distinti furono sterminate, considerate alla stregua di esseri insignificanti, simili a scimmie (così erano considerate le popolazioni ottentotte) , senza storia e privi di diritti.
Per i popoli europee, belgi in primis,  tutto ciò era considerato “normale”, nonostante tutti si riempissero la bocca di termini filosofici come “libertà”, “diritti umani”, e malgrado si professassero cristiani, ispirati teoricamente dall’amore per il prossimo e dal rispetto reciproco.
Alla fine del 1800 gli industriali Dunlop e Michelin avevano inventato i pneumatici per le biciclette, industrializzando questa nuova risorsa.
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La richiesta di caucciù divenne esorbitante e andò di pari passo con lo sfruttamento della mano d’opera in Congo, e ai sistemi più violenti e sanguinari che la repressione di Leopoldo II potesse esprimere.
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Ogni villaggio doveva consegnare ai rappresentanti del Re una certa quota di caucciù, non solo gratuitamente ma senza scendere al di sotto di un quantitativo minimo imposto.
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Per soddisfare la richiesta, gli indigeni dovevano compiere ogni 15 giorni un viaggio di un giorno per recarsi nella foresta, nella quale costruirsi poi un riparo temporaneo, senza cibo, tranne le riserve portatesi dietro, e alla mercè delle bestie feroci.
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In queste condizioni dovevano procurare una quantità sufficiente di materiale, da trasportare poi ai centri di raccolta e consegnarli agli “agenti della gomma”.
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Inoltre, ogni villaggio doveva consegnare al Re 5 pecore (o maiali), oppure 50 galline, oltre a sementi come manioca, granoturco o arachidi, e infine patate dolci.
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Ogni singolo villaggio doveva mettersi a disposizione gratuitamente un giorno ogni quattro per la realizzazione delle opere pubbliche.
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Un altro lavoro forzato a cui si veniva costretti e che causava molte vittime, era quello di "portatore", nonostante il fatto che le persone fossero stremate per la fatica e morissero per gli stenti.
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Un vero e proprio sistema di controllo vigilava affinché non vi fossero defezioni o proteste, ed era composto da circa duemila “agenti” bianchi, ognuno dei quali sovrintendeva ad un certo numero di nativi assoldati a poco prezzo e armati all’uopo.
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Il controllo era costante e capillare, e impediva a chiunque di sfuggire alle imposizioni.
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Per coloro che non si sottoponevano a tutto ciò, o che mostravano insofferenza, o che non raggiungevano le quote di raccolto imposte, le punizioni erano terribili :
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si andava dall’amputazione di mani e piedi per gli uomini, fino alla mutilazione delle mammelle per le donne.
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Contro costoro si ricorreva all’assassinio, non prima di aver perpetrato atti di inaudita ferocia, come lo stupro, la tortura, la distruzione di interi villaggi, e l’uccisione senza alcuna pietà anche di bambini inermi.
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Il Re impose di non sprecare colpi di arma da fuoco, e per dimostrare di aver ottemperato alla disposizione, le guardie erano tenute a consegnare una mano tagliata per ogni colpo sparato.
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In un solo anno, in uno solo dei tanti distretti in cui si produceva il caucciù, vennero consumate 40 mila pallottole (e venne consegnato un eguale numero di mani mozzate).
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Per dimostrare che le persone uccise erano di sesso maschile, si iniziò a portare come prove non le mani ma i peni tagliati.
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Vigeva quindi un vero e proprio sistema basato sul terrore, che nulla aveva da invidiare a quello che fu poi messo in atto dai comunisti sovietici sulla popolazione russa ad opera di Lenin e di Stalin dopo la Rivoluzione di Ottobre.
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La colonizzazione produsse nel centro Africa più vittime di quanto avesse fatto in precedenza la tratta degli schiavi, spopolando sensibilmente il “Continente nero”.
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Negli anni che vanno dal 1896 al 1903 non ci furono quasi nascite di bambini, come affermato da un missionario che, nel 1910 si stupì dell'assenza quasi totale di bambini dell'età tra i 7 e i 14 anni, proprio negli anni in cui la raccolta della gomma era all'apice.
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I 10 milioni di morti furono considerati come danno collaterale e come mero oggetto di sfruttamento, e non come vittime designate dall’odio, in quanto la ferocia con cui si otteneva da loro il risultato voluto era un semplice mezzo di produzione .
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In questa triste e sintetica elaborazione appare tutto l’orrore del colonialismo, che pretende di aiutare le popolazioni indigene, in nome di una civiltà superiore, mentre in realtà svela l’ineluttabile miseria d’animo che ne anima l’impeto stesso, guidato in ultima analisi dal profitto e dall’interesse economico.
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Alla fine del 1908 il Parlamento Belga costrinse il Re a cedere al governo del Belgio stesso lo “Stato Libero del Congo".
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Dopo che la proprietà dei territori del Congo passò da Leopoldo II al Belgio fu instaurata una “politica dell’oblio” per cancellare le prove dei misfatti compiuti sia dal re che dal governo belga.
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Dall’Europa iniziarono a sciamare come locuste interi plotoni di missionari, ardenti e bramosi di cristianizzare gli africani, considerati come barbari da annullare e da rieducare, plasmandoli e adattandoli ulteriormente al giogo coloniale.
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Il Congo infatti era e rimaneva pur sempre una Colonia, anche dopo il passaggio dello Stato Libero del Congo al Congo Belga, e nonostante i propositi di rimediare alle sopraffazioni Leopoldine, poco cambiò sotto il dominio del Governo belga.
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I funzionari coloniali belgi che subentrarono a Leopoldo II tentarono di occultare le prove delle efferatezze compiute, cercando di cancellare ogni traccia dagli archivi storici.
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Lo storico e scrittore Adam Hochschild lo afferma senza mezzi termini nel suo “King Leopold’s Ghost” insistendo sul fatto che una vera e propria “politica dell’oblio” è stata messa in atto scientemente e accuratamente.
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Nella cittadina belga di Tervuren esiste un Museo di etnografia e storia naturale in cui fin dal 1897 fu istituito un nucleo denominato Museo Reale Coloniale per l’Africa centrale, che celebra il periodo coloniale di Re Leopoldo II.
In tale contesto vengono esposti manufatti congolesi e strutture lignee, oggetti etnografici e animali imbalsamati, oltre che i prodotti principali del Congo, tra cui tabacco, caffè, e caco, oltre che archivi vari, compreso il diario di Henry Stanley.
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Ciò che è apparso stridente per decenni, agli occhi di chiunque conoscesse la Storia della violenza coloniale del Belgio in Congo, è stata la mancanza assoluta di un qualsivoglia riferimento alle atrocità commesse in quel Paese sia da Leopoldo II che dal Governo di Bruxelles.
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Gradatamente, a partire dal 2005, dopo innumerevoli conferenze, si è tenuto, proprio in quegli anni a Tervuren un grande evento divulgativo, con l’intenzione di togliere i “veli” su un passato denso di tristi pagine.
E’ stata infatti realizzata una mostra intitolata “La memoria del Congo. Il tempo coloniale”, con lo scopo di presentare alcuni studi su argomenti quali : 
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Pratiche della violenza nelle prigioni coloniali e postcoloniali”, oppure “Strumenti violenti di dominio”.
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La verità quindi, nascosta per tanto tempo, emerge dall’abisso in cui era stata relegata, ma ad essa non si è data la stessa risonanza che ha avuto, per esempio, la triste vicenda della “Shoà”.
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I 10 milioni di morti congolesi sono forse meno importanti dei 6 milioni di ebrei uccisi nei lager nazisti ?
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Una ricca casistica letteraria e multimediale provvede a divulgare l’universo del male causato dal nazismo, mentre poco o nulla emerge riguardo altri interpreti similari o forse peggiori, come coloro che hanno prodotto un maggior numero di vittime, quali il comunismo nel mondo o il colonialismo europeo in Africa.
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Ci si accorge, sempre di più, che l’informazione è pilotata, e decisa ad esprimere solo certe cose.
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Ci si accorge che l’opera di divulgazione è soggetta a stereotipi interpretati da grandi manipolatori, come i falsi depositari della cultura e dell’intellighenzia, spesso coincidenti con gli intellettualoidi della sinistra internazionale.
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Personalmente combatto questa disinformazione sistematica, cercando nelle pieghe di un passato, spesso celato e deformato, di ritrovare le linee di condotta che hanno espresso le varianti storiche più rilevanti.
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La conoscenza ci servirà, spero, per evitare di commettere gli stessi errori.
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Dissenso
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