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Vorrei evidenziare come, a volte, possa apparire sintomatico un
parallelismo tra realtà apparentemente in contrasto tra di loro, ma che possono
ugualmente trovare elementi di convergenza, semplicemente nella focalizzazione,
da parte dei rispettivi interpreti, di prerogative di vita basate su
retrospettive socio culturali comuni, in quanto provenienti da un retaggio
condiviso.
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Benito Mussolini |
Nonostante la fossilizzazione di simbiosi delineate e consolidate
infatti, può delinearsi come chiarificatrice l’esplorazione di retrospettive
storiche che normalmente appaiono divergenti.
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E’ il caso di due importanti e famosi fondatori di Partiti politici del
Bel Paese, che hanno modificato l’esistenza stessa di milioni di Italiani, e
cioè di Benito Mussolini e di Nicola Bombacci, che diedero vita rispettivamente
al Partito Nazionale Fascista, e al Partito Comunista Italiano.
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Un libro scritto da Giancarlo Mazzucco, intitolato “Sangue romagnolo”,
evidenzia il parallelismo intercorso tra questi due uomini politici durante
tutto il corso della loro vita, a partire dagli impeti rivoluzionari di cui si
nutrivano, permeati da uno “status” di appartenenza al territorio della
Romagna, fino a quando entrambi si trovarono appesi con la testa in giù a
Piazzale Loreto.
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Entrambi collaborarono nel 1909 alla realizzazione del giornale
forlivese “La lotta di classe”, diretto da Benito, che era anche
Segretario della Federazione collegiale socialista di Forlì.
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Da allora, nonostante la diversità delle scelte di percorso poi effettuate,
i rapporti tra i due non si sarebbero mai guastati del tutto.
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Mussolini divenne in seguito Segretario nazionale del PSI, e infine
Direttore dell’”Avanti!”, il prestigioso organo di comunicazione del
Partito, mentre Bombacci divenne Consigliere nazionale della CGIL
(Confederazione Generale del Lavoro).
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L’attivismo ed il fervore politico di quest’ultimo lo condussero ad
essere incarcerato ripetutamente nelle regie prigioni, ma in ogni occasione
potè comunque godere della solidarietà di Benito che gli scriveva in carcere
delle lettere di incoraggiamento e di conforto.
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Il carcere gli provocò comunque un notevole disagio economico,
situazione questa che fu quasi sempre elemento ricorrente nella sua vita
familiare.
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Mazzucco
nel suo libro evidenzia una singolarità che, in effetti, appare straordinaria
nella sua tragicità, e cioè il fatto che mentre da una parte Bombacci sia stato
il fautore della presenza della “falce e martello” sulle bandiere rosse
socialiste, dall’altra sia poi invece andato a morire insieme a Colui che ha
rappresentato, in Italia, il nemico numero uno di tali simboli.
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Dopo la Prima Guerra mondiale, il 23 marzo 1919, Mussolini fondò i Fasci
di Combattimento.
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Nel 1921 nacque anche il Partito Comunista Italiano, che Bombacci ,
insieme a Gramsci e a Bordiga, volle plasmare su uno stereotipo che ricalcava
Lenin come modello da seguire, mentre Mussolini prese in mano le redini del
“Popolo d ‘Italia”, quotidiano sempre più nazionalista.
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Bombacci divenne il “megafono” di Mosca in Italia, abbracciando le
tesi rivoluzionarie di Lenin, il quale però, dopo la marcia su Roma di Benito
disse di lui :
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“In Italia c’era un solo
socialista capace di fare la rivoluzione : Benito Mussolini. Ebbene, voi
l’avete perduto e non siete stati capaci di recuperarlo…”
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Le vite “parallele” dei due ex compagni di lotta iniziarono a divergere
sempre di più, proseguendo in direzioni che avrebbero poi modificato la Storia
del nostro Paese.
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Bombacci strinse maggiormente i suoi rapporti con personaggi di primo
piano del comunismo sovietico, intrecciando legami con Trotzkij, con Kamenev,
con Bucharin e Zinov’ev e, naturalmente, con Lenin stesso.
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Divenne plenipotenziario del numero uno del Cremlino in Italia e ottenne
carta bianca per l’avvio del nuovo Partito Comunista Italiano, insieme a
Gramsci e a Bordiga.
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Nel 1921 fu siglato un tentativo di accordo tra fascisti e socialisti,
che vide tra i fautori e firmatari, da un lato i fascisti : Mussolini, De
Vecchi, Giuriati, Rossi, Pasella, Polvedrelli, e Sansanelli, e dall’altro i
socialisti : Bacci, Zanerini, Musatti, Morgari, Baldesi, Galli, oltre che
Caporali della CGIL ed Enrico De Nicola
in qualità di Presidente della Camera.
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Questo accordo avrebbe sicuramente cambiato il corso della storia, ma
fallì miseramente per la decisa opposizione delle ali estreme dei due
schieramenti.
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Bombacci, in seguito a tutto ciò propose a Mussolini un patto con i
comunisti, per contrastare insieme i socialisti, ma anche in questo caso non si
raggiunse alcuna intesa.
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Mussolini a capo del Partito Nazionale Fascista, estese a macchia d’olio
il suo potere, concludendo anche
accordi con il Vaticano, mediante i Patti Lateranensi del 1929.
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Cercò di instaurare importanti accordi commerciali perfino con l’Unione
Sovietica, rivolgendosi per l’occasione a Bombacci, al fine di ottenere una
mediazione tra il fascismo italiano e il comunismo di Lenin.
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Bombacci si trovò quindi da un lato a fare da cerniera tra i due
personaggi, Mussolini e Lenin, interpretando le esigenze del capo del Fascismo,
mentre dall’altro fu sottoposto a persecuzioni e aggressioni proprio da parte
dei fascisti stessi, che devastarono addirittura l’appartamento in cui il “comunista
in camicia nera” viveva con la propria famiglia.
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Nicola Bombacci
fu sottoposto anche, dai suoi stessi compagni di Partito, ad una vera e propria
“purga” staliniana, che lo costrinse a rivolgersi a Lenin, scrivendogli una
lettera in cui accusava la dirigenza del PCI di condurre a morte sicura il
Partito stesso.
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Mosca dal canto suo considerò Bombacci come il miglior leader del
comunismo italiano, ma nonostante l’apprezzamento dimostrato dal Cremlino, la
Direzione del PCI, si sentì invece tradita dalle argomentazioni espresse nella
lettera.
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I vari esponenti di spicco del PCI, come Terracini, Bordiga, Togliatti,
e Gramsci, avevano infatti fino a quel momento sostenuto con Mosca che
l’avanzamento del comunismo in Italia procedeva a gonfie vele.
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Nel 1924 Bombacci fu così espulso dal Partito che lui stesso aveva
fondato, mentre il dialogo instaurato tra i due massimi esponenti sovietici
(Zinovie’v e Lenin), e quello italiano (Mussolini), si concretizzò in un
accordo commerciale che avvicinò tra loro i fautori di due rivoluzioni : quella comunista e quella fascista.
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Nel ventennio Mussoliniano, Bombacci non fu mai né arrestato né mandato
al confino dalle autorità fasciste, come invece accadde a molti dei suoi
compagni del PCI.
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I personaggi al vertice del comunismo in Italia iniziarono una vera e
propria opera di demonizzazione contro Bombacci, imputandolo di indegnità
politica e morale, e definendolo come volgare voltagabbana.
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Bombacci perse anche l’incarico presso gli uffici della Missione
Commerciale Sovietica di Roma e quindi ricominciò ad avere i disagi economici
già precedentemente subiti durante gli anni in cui entrava e usciva dalla
prigione, aggravati ulteriormente dalle preoccupanti condizioni di salute di
suo figlio.
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La situazione finanziaria indusse la moglie Erissene a scrivere a
Mussolini una lettera di aiuto, soprattutto per la necessità di fornire
adeguate cure al figlio malato che a causa di una grave forma di scoliosi,
infatti, era stato ingessato e doveva
sottoporsi ad una lunga e costosa riabilitazione al “Codivilla” di
Cortina e al “Rizzoli” di Bologna.
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Un rapporto su Bombacci inoltrato a Mussolini descrive le sue condizioni
economiche nei seguenti termini :
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“Bombacci è sommerso dai debiti : deve 2000 lire al padrone di casa,
740 al sarto, 8000 alla Banca del Lavoro, 713 all’ufficio delle imposte, 1000 a
un certo Mai che gli ha pignorato i mobili, 6000 ai vari bottegai del
quartiere. In totale deve ai suoi creditori la somma di 60.000 lire”
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Il Duce decise di “provvedere” al disagio finanziario del comunista
Bombacci, muovendosi generosamente
ancora una volta in suo aiuto, e nominandolo anche Direttore della rivista “La
Verità” procurandogli così un incarico che lo avrebbe impegnato dal 1936 al
1943.
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In precedenza Nicola aveva rivolto un appello e una richiesta di aiuto
anche ai vecchi compagni comunisti, ma Palmiro Togliatti gli rispose testualmente
:
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“Noi vorremmo aiutarti, come vorremmo aiutare tutti i compagni
che ci chiedono soccorso.
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Esaminando però le cose da un punto di vista
strettamente oggettivo, dobbiamo riconoscere e dirti con la più grande
franchezza che se confrontiamo le condizioni tue con quelle di centinaia di
compagni bisognosi, le tue ristrettezze, le tue necessità, non sono affatto
degne di essere paragonate con il vero bisogno, la vera ristrettezza e la vera
necessità che ogni giorno, come dicevamo, a noi si rivelano.”
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In aiuto
di Bombacci, che nel frattempo iniziò ad accusare egli stesso dei problemi di
salute, intervennero Arpinati, Grandi ed Edmondo Rossoni, il capo dei sindacati
fascisti, dimostrandogli solidarietà e cameratismo.
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Nicola
iniziò a collaborare in modo aperto e plateale con il fascismo, scrivendo sulle
pagine de “La Verità” articoli a favore del corporativismo, e
inneggiando alle leggi e alle innovazioni sociali introdotte da Mussolini, come
il sistema pensionistico e l’assistenza alla maternità e all’infanzia.
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Mantenne
sempre un atteggiamento socialista e di contrasto al regime comunista
staliniano, che giudicava un evidente inganno.
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Il
graduale avvicinamento di Bombacci al Fascismo, coadiuvato da una reale
amicizia verso Mussolini, romagnolo come lui, si estrinsecherà poi in un
percorso che lo porterà infine a dichiarare :
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“..il
fascismo di Mussolini è il regime che assicurerà il trionfo di quella giustizia
sociale che fu il sogno ardente e l’acuto tormento della nostra giovinezza…”
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Il
fondatore del Partito Comunista Italiano, oramai schierato al fianco di
Mussolini, si unì anche al consenso plebiscitario tributato a Benito
dall’intero popolo italiano quando il fascismo si buttò anima e corpo
nell’avventura coloniale in Africa.
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Bombacci
prese le distanze dalla Società delle Nazioni, da cui l’Italia era uscita per
protestare contro le sanzioni decretate contro di Lei, proprio a causa della
conquista dell’Etiopia.
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Dopo la
caduta del regime fascista, il 25 luglio del 1943, dopo la liberazione di Mussolini
dal Gran Sasso, Bombacci partecipò alla Repubblica Sociale Italiana (RSI) come
convinto assertore della “socializzazione”, da lui ritenuta elemento di
convergenza per realizzare la rivoluzione delle classi lavoratrici e
proletarie.
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L’ex
fondatore del PCI divenne una sorta di “consigliere” di Mussolini e pubblicò
alcuni opuscoli sui pericoli del bolscevismo.
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Il 15
marzo del 1945 a Genova, in Piazza de’ Ferrari, davanti a una folla di 30.000
operai, Bombacci rivolse un discorso pubblico alle camicie nere, dichiarando :
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“ Compagni ! Guardatemi in faccia,
compagni ! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il
fondatore del Partito Comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo.
Sissignori, sono sempre lo stesso ! Io
non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò
sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che
il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono
accorto dell’inganno. “
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Il suo percorso intellettuale indusse molti dei
suoi detrattori a chiamarlo “il comunista in camicia nera”, sostituendo il
precedente soprannome che era quello di “Lenin di Romagna”, o semplicemente
“Nicolino” come amava chiamarlo Mussolini.
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La simbiosi tra il Duce e Bombacci si risolse in un tragico epilogo,
allorché i partigiani catturarono entrambi sul Lago di Como e li fucilarono
sulle sue rive il 28 aprile del 1945.
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Le ultime parole di Nicola Bombacci furono : Viva
l’Italia ! Viva il socialismo !
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La mattina del 29 aprile fu appeso per i piedi al
distributore di benzina di Piazzale Loreto, a Milano, insieme a Benito
Mussolini, a Claretta Petacci, e ad
alcuni gerarchi fascista, sotto la scritta “supertraditore”.
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Il
parallelismo tra i due elementi di spicco del Fascismo e del Comunismo,
Mussolini e Bombacci, indica l’aleatorietà di ogni individuo di fronte alle
scelte compiute, che il destino manipola e sconvolge, unisce o divide, spezza o
innalza, in un turbinio di eventi che convergono finalmente in una apoteosi simbiotica
e per nulla irrazionale.
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Il cieco
furore che si è espresso con la soppressione dei due statisti e la loro
esposizione a Piazzale Loreto è invece il simbolo di un disagio, di un terrore
certamente irrazionale, scomposto e malvagio, che tende a nascondere con
l’eliminazione fisica il proprio nemico, in un modus operandi che identifica
tipicamente i comunisti e i loro feroci sostenitori.
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Il
bellissimo sogno della socializzazione forse oggi sarebbe realtà se non fosse
stato troncato crudemente dai partigiani assassini che trucidarono Bombacci e
Mussolini.
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La
realizzazione della socializzazione avrebbe infatti costituito un elemento
aggiuntivo al ricco elenco di positività sociali espresse dal ventennio
fascista, come le pensioni, la protezione della madre e del fanciullo (ONMI,
Opera Nazionale Maternità e Infanzia), le bonifiche, le politiche agrarie,
l’Inail, le riforme del sistema bancario, a difesa delle imprese, le case
popolari, l’OND (Opera Nazionale Dopolavoro), l’assistenza ospedaliera per i
poveri, la tutela delle famiglie numerose, e molti altri provvedimenti a favore
del popolo.
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Una
coltre di silenzio, ancora oggi, tenta di nascondere la realtà, ad opera dei
disinformatori e degli intellettualoidi della sinistra comunista, che temono
l’esistenza di una terza via, al di là del comunismo, del marxismo, del
liberalismo e del malaffare colluso agli interessi economici…
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Dissenso
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