lunedì 21 luglio 2014

Don Corrado Bortolini - Santa Maria Induno (Bentivoglio)

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Don Corrado Bortolini
Don Corrado Bortolini era l’arciprete della Parrocchia di Santa Maria In Duno, frazione di Bentivoglio.
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Nacque a Minerbio il 27 agosto 1892 e fu ordinato Sacerdote il 24 settembre 1921.
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Divenne Cappellano a San Giovanni in Persiceto, e fu poi trasferito, appunto, a Santa Maria In Duno, come arciprete.
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Fu ucciso nel '45, all'età di 53 anni nonostante avesse collaborato con la cosiddetta "resistenza" tenendo nascosti cinque partigiani all'interno della sua chiesa.
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Il segretario del PCI di Bentivoglio e il comitato locale di liberazione lo condannarono a morte dopo che il prete si era messo in ”cattiva luce” ai loro occhi per averli rimproverati di essersi resi responsabili di efferatezze e ruberie durante la loro attività di guerriglia, nel corso delle quali i partigiani si aggiravano per le case alla ricerca di cibo e di denaro, puntando i mitra contro i civili residenti.
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Inoltre, ai loro occhi, era “colpevole” di avere un fratello, abitante a Minerbio, che era un piccolo gerarca fascista della zona.
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Spesso il fratello, in occasione di festività religiose e di feste paesane si recava a Bentivoglio, insieme ad altri capi fascisti, e si faceva vedere insieme a Don Corrado.
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La sera del 1° marzo 1945 fu rapito dai partigiani, che dopo aver rubato quanto potevano, lo imbavagliarono e lo legarono per condurlo prigioniero ad una casa colonica di Bentivoglio.
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L’accusa più grave che gli fu imputata durante lo pseudo processo sommario, inscenato dopo il suo rapimento, fu quella di aver stilato una lista scritta di partigiani, e di averla consegnata ai tedeschi, ma tale accusa non fu provata, e la lista non fu mai trovata o presentata come prova.
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Nonostante ciò il parroco fu condotto all'interno della stalla e venne torturato, con la partecipazione di due donne partigiane, e infine impiccato ad una trave.
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Il prete morì per strangolamento e il suo cadavere fu sepolto sommariamente in una buca nel podere "Bianchina" a Bentivoglio.
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Risulta che Don Corrado non abbia mai nemmeno scritto una riga di plauso o di esaltazione verso il fascismo, come emerso dalle indagini sulla sua morte, portate avanti dal suo successore :  Don Silvano Stanzani.
Don Silvano Stanzani
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Dopo circa un anno Don Silvano riuscì anche a scoprire il luogo dove era stato seppellito il corpo di Don Corrado, grazie all’aiuto di un testimone, ma quando si recò sul posto, insieme ai Carabinieri, dovette constatare che la fossa era semiaperta e che il cadavere era stato spostato e dato alle fiamme.
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Il motivo di ciò è spiegabile per il fatto che l’amnistia promulgata da Togliatti sui delitti politici decadeva in presenza di efferatezze e torture sulle vittime.
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L’autopsia sul cadavere dell’arciprete avrebbe quindi  rivelato, se ritrovato, ciò che i partigiani avevano fatto sul suo corpo.
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Quando fu rapito, nella Parrocchia di Santa Maria in Duno, in presenza del fratello, il 1° marzo del 1945, poco dopo le 20, fu portato via su un camioncino, con le mani legate dietro la schiena.
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I due partigiani che lo prelevarono dissero che lo avrebbero portato al Comitato di Liberazione di Bentivoglio.
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Le voci popolari danno diverse versioni sulla sua fine, ma tutte concordano nell’affermare che, dopo il giudizio sommario, fu torturato, strangolato, e gettato in una fossa.
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Alcuni dicono che fu seppellito nella zona delle risaie, mentre altri indicano il “Casone del partigiano”, la località in cui aveva sede il comando della resistenza, come luogo di sepoltura.
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Altri ancora dicono che fu impiccato ad un ramo di un albero di gelsi, a metà strada, mentre Don Mino Martelli scrive che fu impiccato alla trave di una stalla e che poi il suo cadavere fu nascosto in una fossa di un campo di lino, nella località, appunto, Bianchina di Bentivoglio.
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Un testimone presente al processo sommario raccontò che Don Corrado fu portato dietro un recinto per le pecore, adiacente ad una villa nobiliare nella frazione di Cinquanta (San Giorgio di Piano).
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Lo pseudo processo avvenne alla presenza di circa una ventina di partigiani.
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Dalle indagini di Don Stanzani risulta che una donna, a capo di un manipolo di partigiani, si abbandonò a compiere le efferatezze peggiori nel torturare Don Corrado, arrivando perfino ad evirarlo personalmente, e in pubblico.
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Successivamente l’arciprete fu legato ad un camioncino e trascinato per circa un chilometro, per essere poi impiccato ad un albero.
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Estrapoliamo dal sito : http://www.bibliotecapersicetana.it/ un estratto del libro : "Preti nella tormenta", che recita :
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Nella Canonica di S. Maria in Duno. la sera del 1° Marzo 1945, si assiste ad una triste scena.
Sono da poco scoccate le ore 20 e la famiglia del Can. Corrado Bortolini è tutta raccolta nel salotto in familiare conversazione dopo la cena.
Colpi violenti alla porta d'ingresso li fanno sussultare.
Don Corrado, accompagnato dal fratello Ettore, si porta alla stanza d'ingresso :
—  Chi è là?  —  chiede con trepidazione.
Rispondono alcuni suoni gutturali, come fossero tedeschi :
—  Aprire ! Volere parlare Pastore  —
Don Corrado con lo sguardo si consulta col fratello : decide di aprire.
Subito due individui sconosciuti fanno irruzione e col mitra puntato li immobilizzano :
—  Mani in alto !  —  È la schietta parlata nostra che esce dalle loro labbra : avevano finto di essere tedeschi solo per riuscire ad entrare.
Subito legano loro le mani dietro la schiena, li imbavagliano e li pongono ritti contro il muro. 
Uno rimane a far da guardia, mentre l'altro entra in cucina a immobilizzare gli altri.
Si urla, si piange.
—  Non piangete !  —  dicono  —  Se è innocente non gli si farà del male !  —
Intanto entrano due ragazze, anch'esse armate di mitra, che si pongono a guardia di don Corrado e del fratello, mentre gli altri si danno a perquisire la casa, specie lo studio.
E a questo punto rivelano in pieno il loro animo di banditi.
Ciò che li può interessare se lo prendono sotto gli occhi atterriti dei familiari che assistono impotenti a reagire :
due orologi, due portatogli, scarpe, stoffe in buono stato, perfino un prosciutto nella cucinatutto è razziato e caricato sulla macchina.
Infine i parenti vengono sciolti ; 
il solo sacerdote viene tenuto imbavagliato e posto in mezzo per condurlo via.
Tutti scoppiano in pianto.
Essi si voltano e assicurano ancora :
—  Lo portiamo al Comitato di Liberazione.  Se è innocente tornerà.  —
Si spalanca la porta, un motore si mette in moto e poco dopo romba veloce sulla strada di Bentivoglio.
Forse don Corrado non è mai comparso davanti al Comitato di Liberazione !
Da quel giorno non ha più fatto ritorno.
Due lettere anonime, giunte recentemente alla Canonica di S. Maria in Duno, avvertivano che il Can. Bortolini era «stato ucciso e sepolto».
Si diceva anche che la salma della vittima giaceva «nel tal posto».
Fatte le ricerche, la salma non si è trovata.
Un'ultima beffa degli assassini ?
o di chi sa e non vuol parlare o per paura o per interesse ?
Noi sospettiamo, in base anche ad accenni minacciosi contenuti in dette lettere, che don Corrado sia stato soppresso da elementi sovversivi estremisti della zona, perchè «sapeva il fatto suo !», e, sacerdote zelante e impetuoso, ha spesso inveito con la sua voce tonante contro le insidiose infiltrazioni di idee deleterie alla Chiesa e alle anime.
E in paese si sa che questi attacchi, specie contro il comunismo ateo condannato da S.S. Pio XI, erano mal tollerati da qualche individuo che «se l'aveva a male !».
Ma che ne hanno fatto ?
Anche per il nostro don Corrado invochiamo che si faccia luce piena !
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Anche a guerra finita, e precisamente nel 1948, i partigiani tentarono di continuare i loro intenti criminali, tentando vigliaccamente di assassinare Don Silvano, reo di cercare la verità.
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Nel mese di Agosto di quell’anno, infatti, Don Silvano fu picchiato selvaggiamente da 5 persone, che lo avevano circondato e gettato in terra, in mezzo ai campi.
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Si salvò con un banale stratagemma, chiamando cioè un inesistente “Tonino !”, e inducendo così i partigiani a credere che non fosse solo, ma in compagnia appunto di questo fantomatico Tonino.
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I partigiani scapparono e Don Silvano ebbe salva la vita.
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In un’altra occasione fu ucciso al suo posto un autista di taxi che avrebbe dovuto accompagnarlo ad una riunione.
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In questo caso il ritardo gli salvò la vita.
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Don Stanzani propose al Sindaco di Bentivoglio di cambiare il nome del Comune, poiché, dopo che ben 20 persone furono prelevate dai partigiani, “Ben ti voglio” non pareva essere certamente il nome più adatto !

La Curia di Bologna, preoccupata per l'incolumità di Don Stanzani fece intendere ai capi comunisti di Bentivoglio che il prete non avrebbe più continuato ad indagare, ma la procura di Bologna fu di diverso avviso e proseguì l'inchiesta.

Le indagini portarono ad evidenziare il ruolo criminale di cinque responsabili, tre dei quali erano ex partigiani di Bentivoglio, il quarto era un barbiere del vicino paese di Minerbio e l'ultimo era una donna abitante nel paese di Funo, impiegata di solito come "staffetta".

Quest'ultima aguzzina scappò in Jugoslavia per sottrarsi alla Giustizia, e finì assassinata in circostanze mai chiarite, mentre altri tre dopo pochi anni morirono di cancro.

Il mandante che comandava il manipolo criminale era il presidente del comitato di liberazione di Bentivoglio, tale R.C. che fu poi espulso dal PCI e processato per furto.

Gianfranco Stella, nel suo libro "I grandi killer della liberazione" lo definisce giustamente una canaglia come tante tra i partigiani comunisti".
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Dissenso
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