domenica 13 luglio 2014

ECCIDIO DI ARGELATO (Volta Reno e Casadio)

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L’eccidio di Argelato comprende due feroci stragi compiute da decine di partigiani gappisti della Brigata Garibaldina “2a Paolo” e della "7a Gianni", a guerra finita, in località Pieve di Cento (Bologna).
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La prima strage avvenne il giorno 8 maggio 1945 e si concluse con la tortura, le sevizie, e poi la morte, di 12 persone, mentre la seconda fu messa in atto tre giorni dopo, e precisamente l’11 maggio, con l’uccisione di ben 17 persone, tra cui i 7 fratelli Govoni.

Oltre all'eccidio di Argelato, di cui tratta questo articolo, va detto che queste due formazioni comuniste e criminali in totale commisero ben 140 omicidi (accertati e contati sui rispettivi referti di morte).
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I nomi delle vittime sequestrate e uccise nella prima strage, nei pressi di Argelato, in località Volta Reno, sono :
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Alberghini Giuseppe
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Bonazzi Dino
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Cavallini Enrico
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Costa Sisto, il vecchio podestà di S. Pietro in Casale, marito di Adelaide e padre di Vincenzo
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Costa Adelaide, la moglie di Sisto
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Costa Vincenzo, il figlio di Sisto e di Adelaide
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Emiliani Laura, professoressa di San Pietro in Casale, cognata di Sisto
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Maccaferri Vanes
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Melloni Ferdinando
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Moroni Otello
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Tartari Guido
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Zoccarato Augusto
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Tra le persone prelevate dai partigiani c’era anche Cevolani Alfonso, ma grazie al fratello Guido, che resosi conto della situazione intervenne in sua difesa presso il luogo in cui erano detenuti, fu liberato.
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In tale occasione Cevolani riuscì a intravedere uno dei prigionieri con il viso ricoperto di sangue.
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Il giorno successivo, il 9 di maggio 1945, tutti questi sventurati furono sottoposti a giudizio sommario e condannati a morte da un “tribunale” partigiano.
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L'assassino partigiano e
comunista Vittorio Caffeo
Nel libro di Giorgio Pisanò, e Paolo Pisanò, "Il triangolo della morte", Mursia,
Milano, 1992, a pag 399 , si legge :
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..dal testo della sentenza.. "Ebbe luogo quindi la ripartizione degli oggetti d'oro in possesso dei prelevati (a Caffeo, ad esempi, toccò l'anello d'oro del Testoni ; al Galluppi, un accendisigari).
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Le cianfrusaglie e gli oggetti di poco valore, come chiavi, pettini e così via, furono gettati nel pozzo sito tra la casa e la stalla e qui infatti sono stati rinvenuti nel corso delle indagini istruttorie".
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I prigionieri furono tutti uccisi mediante strangolamento.
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I corpi furono poi ritrovati in una fossa comune in un fondo della tenuta Talon in località Quattro Portoni a San Giacomo di Argelato, il 5 febbraio 1951.
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I cadaveri dei componenti della famiglia Costa erano tutti privi di indumenti.
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I funerali della famiglia Costa si svolsero il 10 febbraio e si conclusero al cimitero di Cento, mentre quelli delle altre 8 vittime piovesi si tennero il 12 febbraio a Pieve di Cento, alla presenza di Giorgio Almirante, segretario del MSI e di Giorgio Pini, direttore del Resto del Carlino durante la RSI (scampato all’epoca ad alcuni attentati compiuti dalla 7° gap).
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I nomi delle 17 vittime sequestrate e uccise nella seconda strage, perpetrata in un casolare isolato della località Casadio, sono :
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I sette fratelli Govoni :
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Ida (sequestrata a casa, mentre allattava la figlioletta), Marino (sequestrato a casa del padre), Primo, Augusto, Dino, Emo, Giuseppe (sequestrati a Pieve di Cento, dove si erano recati a ballare).
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I partigiani si recarono quindi a San Giorgio di Piano, dove sequestrarono altre 10 persone :
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Bonora Alberto, il nonno di Ivo, padre di Cesarino
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Bonora Cesarino, figlio di Alberto e padre di Ivo
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Bonora Ivo, diciannovenne, figlio di Cesarino e nipote di Alberto
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Funerali dei Fratelli Govoni
il 29 febbraio 1951
Bonora Ugo
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Bonvicini Alberto
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Caliceti Giovanni
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Malaguti Giacomo
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Mattioli Guido
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Pancaldi Guido
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Testoni Vinicio
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Tra questi, Malaguti Giacomo era già stato arrestato e poi rilasciato dalla Polizia partigiana.
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Giacomo era sottotenente di artiglieria nell’esercito dell’Italia del Sud, e aveva combattuto contro i tedeschi nella battaglia di Montecassino, dove era rimasto ferito.
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In convalescenza a San Giorgio di Piano, presso la famiglia, aveva manifestato
apertamente il suo dissenso verso i comunisti e la loro violenza, dicendo loro :
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"Voi comanderete ancora una settimana e poi vi sistemeremo tutti"  facendo riferimento agli Americani, che non avrebbero tollerato altre violenze.
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Questa sua frase gli sarebbe costata la vita…
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Le vittime furono portate nella casa colonica dell’agricoltore Emilio Grazia, in frazione Casadio, dove confluirono parecchi partigiani, avvisati che lì ci sarebbe stata una bella “festa”.
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I partigiani comunisti iniziarono così a raggrupparsi sempre più numerosi, per partecipare attivamente al massacro.
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Per parecchie ore, i fratelli Govoni, che furono i primi ad essere portati al podere Grazia, vennero torturati, picchiati, e seviziati da chiunque raggiungesse il luogo della “festa”.
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Il calvario dei fratelli Govoni continuò tra urla disumane, violenza selvaggia, e imprecazioni, fino a quando quasi tutte ossa dei malcapitati furono fratturate e incrinate dalle percosse.
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Mamma Ida, appena ventenne morì tra sevizie inimmaginabili e orrende, invocando la sua bambina.
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Coloro che non perirono tra i tormenti e le sevizie, furono strangolati.
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I responsabili degli eccidi, tra cui Marcello Zanetti (alias Marco), Dino Cipollani e Guido Belletti, oltre che Luigi Borghi (comandante della polizia partigiana, alias Ultimo) e Vittorio Caffeo (ex commissario politico della brigata partigiana, alias Drago) furono individuati grazie alla testimonianza di Cevolani.
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Uno dei partigiani, tale Filippo Lanzoni, diede prova anni dopo della sua immensa vigliaccheria, apostrofando con arroganza la madre dei sette fratelli uccisi, mentre Lei cercava il luogo in cui erano sepolti, dicendole con scherno :
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Cercali con un cane da tartufi”.
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Furono proprio questa frase e questa dimostrazione di arrogante prepotenza e ferocia, che fecero decidere Cevolani a fare i nomi di cui era a conoscenza al Maresciallo Vincenzo Masala dei Carabinieri di Pieve di Cento.
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Le indagini portarono nel 1949 alla denuncia alla magistratura dei partigiani della Brigata partigiana “Paolo” e al ritrovamento nel 1951 della fossa comune in cui erano state sepolte le vittime della prima strage.
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Le indagini si spostarono poi sul secondo eccidio, e portarono al rinvenimento di un’altra fossa comune, il 24 febbraio 1951, che conteneva i resti dei 7 fratelli Govoni e dei 10 cittadini di San Giorgio di Piano.
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Il 29 febbraio del 1951 si svolsero i funerali delle vittime.
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Furono arrestati e detenuti i seguenti partigiani :
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Belletti Guido (assolto per insufficienza di prove per il reato di omicidio continuato)
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Cipollani Dino ( in appello, non luogo a procedere per intervenuta amnistia)
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De Titta Gaetano (che ammetterà di aver partecipato al sequestro dei Govoni, assolto)
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Montanari Valtiero (ammette di aver partecipato al sequestro, condannato a 14 anni e 8 mesi, pena interamente condonata)
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Montorsi Walter (Sindaco dimissionario di San Pietro in Casale, assolto per insufficienza di prove per il reato di omicidio continuato)
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Resca Zelinda (detta Lulù, assolta per non aver commesso il fatto)
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Saccenti Cleto (assolto per insufficienza di prove)
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Altri 21 partigiani si diedero alla macchia e rimasero latitanti :
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Accursi Carlo (condanna a 7 anni e 7 mesi, pena interamente condonata in appello)
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Ballardini Sauro (assolto per insufficienza di prove dai reati di omicidio e rapina)
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Benini Adelmo (condanna all’ergastolo - fece parte del tribunale partigiano che emise la sentenza di condanna a morte per le sventurate vittime.
Condanna non confermata in appello e ridotta a 2 anni e 3 mesi per aver partecipato al sequestro)
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Bertuzzi Vitaliano (condannato all’ergastolo - vicecomandante)
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Biondi Enzo (non luogo a procedere per applicazione amnistia, in appello)
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Borghi Luigi (condannato all’ergastolo - responsabile dei sequestri)
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Caffeo Vittorio (condannato all’ergastolo - commissario politico della brigata)
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Crescimbeni Lodovico (17 anni e 8 mesi, pena interamente condonata in appello)
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Dardi Arturo (non luogo a procedere per intervenuta amnistia)
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Fustini Renzo (condanna a 18 anni e 8 mesi, pena interamente condonata in appello)
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Galuppi Pietro (condanna a 18 anni e 20 giorni, pena condonata in appello)
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Govoni Fausto (non luogo a procedere per intervenuta amnistia)
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Marchesi Renzo (non imputabile per la minore età)
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Mazzetti Alberto (non luogo a procedere per intervenuta amnistia)
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Montanari Ivano (condanna a 17 anni e 8 mesi, pena condonata in appello)
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Pioppi Arrigo (assolto per insufficienza di prove)
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Poggioli Amilcare (applicazione amnistia per sequestro di persona e occultamento di cadavere)
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Vignoli Bruno (assolto per non aver commesso il fatto)
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Zanardi Remo (assolto in I° grado con formula dubitativa)
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Ziosi Fedele (assolto per insufficienza di prove)
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Le condanne all’ergastolo furono comminate esclusivamente per l’omicidio del sottotenente Malaguti, e non per gli eccidi commessi.
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Infatti il Tribunale di Bologna (PM Messina, presidente Accurso) dopo 60 udienze stabilì assurdamente che :
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"la soppressione dei sette fratelli Govoni e dei prelevati di San Giorgio, ad eccezione del S. Tenente Malaguti Giacomo, fu determinata da motivi di lotta contro il nazifascismo", proponendo l’amnistia per l’uccisione dei Govoni e di tutti gli altri, ad eccezione del sottotenente Malaguti Giacomo.
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Inoltre, questi assassini furono fatti fuggire in Cecoslovacchia, complice una rete di assistenza “rossa” che faceva capo al PCI e a Mosca.
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Successivamente lo stesso Partito Comunista Italiano, grazie al loro leader, il criminale Palmiro Togliatti, fece promulgare una amnistia per coprire i crimini
commessi dai partigiani.
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Crimini che il PCI aveva pianificato con l’ausilio di criminali come “Zampo”, “Ultimo” , “Drago”, e altri feroci e sanguinari partigiani, usandoli come pedine attive e responsabili, mosse sullo scacchiere della violenza politica e della sopraffazione.


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Dissenso
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