domenica 13 luglio 2014

LEANDRO ARPINATI

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Nacque a Civitella di Romagna il 29 febbraio 1892, e morì ad Argelato il 22 aprile del 1945, ucciso all’ingresso della sua tenuta, insieme all’amico Torquato Nanni, a Malacappa, da un gruppo di giovani partigiani, uomini e donne che portavano il bracciale di riconoscimento della 7° Gap.
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La figlia di Leandro Arpinati pubblicò un diario, dal quale si evince la personalità del padre, non di certo soggiogata dal fascismo, del quale, anzi, pur essendone stato ai vertici, come vice segretario del PNF e Sottosegretario agli Interni, ne rimarcava gli errori e le incongruenze, rifiutando di accodarsi al gregge degli adulatori.
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Una curiosità : come vice segretario generale del Partito Nazionale Fascista (poi futuro Podestà di Bologna), Arpinati fu colui che ideò e volle lo Stadio Littoriale di Bologna da 50.000 posti che oggi è chiamato Stadio Dall’Ara.
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Sulla Torre di Maratona, parte integrante dello stesso, fece posare sul pennone più alto una statua rappresentante la Vittoria alata, che regge un fascio littorio tra le braccia.
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La Vittoria alata con il Fascio
Questa statua è oggi conservata al piano terreno, all’ingresso della scalinata che porta alle tribune, come si evince dalle fotografie.
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Fece anche costruire la piscina olimpionica di fianco al nuovo Stadio e la funivia che collegava Bologna al Colle del Santuario di San Luca.
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Leandro, che non riusciva comunque ad allinearsi totalmente ad ogni dictat del Regime, lo criticava apertamente, puntando il dito contro le questioni a cui reputava di dover opporsi, come ad esempio le tessere obbligatorie, e confermava poi le sue perplessità al Duce in persona.
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La Torre di Maratona oggi, priva
della "Vittoria alata" sul pennone
Achille Storace (segretario del PNF) presentò a Mussolini un rapporto denuncia, dal quale trasparivano, oltre che il suo animo ribelle, e contrario a molti dei dictat di regime, anche le sue amicizie con noti antifascisti, e la sua ostilità verso lo statalismo e il corporativismo fascista.
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Dopo aver apostrofato Storace, chiamandolo vile e mentitore, Leandro fu spedito a Lipari, al confino, poi successivamente gli fu consentito di stabilirsi a Malacappa di Argelato, nella sua tenuta, sotto la sorveglianza della polizia, agli arresti domiciliari.
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Inoltre rifiutò l’invito fattogli da Mussolini nel 1943 di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, divenendo così a tutti gli effetti un nemico del regime.
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Si dedicò all’agricoltura, e la sera giocava a bridge con il commissario di P.S. addetto alla sua sorveglianza.
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Nascose nella sua tenuta di Malacappa un gruppo di ex prigionieri alleati, guadagnandosi la protezione del CLN (il Comitato di Liberazione Nazionale).
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Nonostante tutto ciò, la ferocia comunista, accecata dall’odio per l’ex fascista, guidò i sicari appartenenti ad un commando partigiano della 7° gap, che secondo la figlia era capitanato da Arrigo Pioppi, alias "Bill" e da Luigi Borghi (alias Ultimo), e che nei giorni seguenti avrebbe compiuto altri massacri nella zona.
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La squadra di assassini uccise Arpinati in un giorno di primavera, il 22 aprile del 1945.
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Il commando, composto anche da tre donne inferocite, di cui una era sicuramente "Germana", la famigerata staffetta  delle 7a, cominciò a sparare colpendo anche l’avvocato Torquato Nanni, di fede socialista, che era in sua compagnia.

Incitati dalle donne partigiane gli assassini spararono a bruciapelo alla testa di Arpinati e di Nanni, poi iniziarono a depredarli, togliendo loro i portafogli e gli orologi.

La sentenza di morte per Arpinati fu emessa da PCI di Bologna, in particolare da Ilio Barontini, alias Dario, stalinista e "uomo" di Secchia in Emilia Romagna, che fece poi affiggere sui giornali murali bolognesi del Partito comunista la notizia che il criminale di guerra, così fu definito, era stato giustiziato.

Va detto che Barontini faceva parte dell'apparato criminale istituito da Togliatti per epurare coloro che non soddisfacevano i requisiti di ortodossia richiesti da Stalin, cui "il Migliore" era completamente asservito, adoperandosi per eliminarli.
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Gli assassini non pagarono mai per i loro delitti, complice un Partito comunista che, i  totale disprezzo per le vittime, si schierò dalla parte degli assassini.
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“Ciro” fuggì prima in Jugoslavia, poi in Cecoslovacchia, seguendo un copione già più volte messo in atto dal Partito Comunista, che ne curava ogni dettaglio.
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La partigiana "Resca" (1924-1999) fu arrestata per gli omicidi della "bassa" bolognese e condannata nel 1953 a quindici anni di carcere, ma dopo tre anni fu assolta nel giudizio di appello per insufficienza di prove.
Trascorse tranquillamente il resto della sua vita gestendo una edicola nel quartiere Corticella a Bologna.
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La partigiana Germana Bordoni, ricercata per omicidio si diede alla latitanza, con il sostegno del PCI, sposandosi poi con "Bill" ed emigrando insieme a lui in Cecoslovacchia, con la nuova identità dei coniugi Enrico e Maria Parisini, e sfuggendo così ad una pena da scontare di 110 anni carcere.
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Luigi Borghi venne condannato all'ergastolo per gli omicidi della "bassa" bolognese ed ad altri 25 anni per un ulteriore omicidio da lui commesso, ma grazie al Partito comunista italiano non scontò nemmeno un giorno di carcere.
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Espatriò infatti in Cecoslovacchia con il cognome di Bianchi insieme alla moglie Iside e formò una banda criminale con la quale vessava i transfughi italiani, scontrandosi con Francesco Moranino, un altro criminale assassino che il Partito aveva messo a capo della colonia.
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Possiamo leggere e approfondire i particolari sulla vita di Leandro nel volume pubblicato nel 1968 dalla figlia, Giancarla Arpinati, e intitolato “Arpinati mio padre” (edizioni Il Sagittario).
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Il diario di Giancarla invece, a cura di Brunella Dalla Casa, si intitola : “Malacappa. Diario di una ragazza 1943-1945” (edito da Il Mulino).
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Dissenso
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