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Lavrenti Pavlovic Berija fu definito da Stalin stesso come “il nostro Himmler”.
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Il suo ruolo
durante gli anni delle grandi purghe fu attivo, come esecutore della grande
repressione ordita da Stalin, così come quello di Ezov, da cui i russi trassero
il termine di “ezovscina” per indicare il periodo delle purghe.
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Agli occhi
del popolo Stalin appariva come il loro protettore, paterno e sorridente, così
come veniva presentato dalla propaganda di regime, che induceva a far supporre
che fosse anche ignaro di ogni repressione, anche se in realtà l’artefice
principe e ideatore di ogni nefandezza era proprio lui, Stalin, “deus ex
machina” della Grande Madre Russia.
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Per
contrapposizione Berija divenne invece nell’immaginazione popolare e nella
letteratura storica e romanzesca dell’Unione Sovietica il Grande Satana dello
stalinismo, e cioè colui a cui imputare ed ascrivere la responsabilità delle
feroci repressioni e delle nefandezze, essenza dell’odio e del male assoluto.
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Berija nacque
in Georgia, come Stalin, il 20 marzo 1899 (vent’anni dopo di lui) in epoca
zarista, ma non combattè mai per la rivoluzione che portò poi Stalin al potere.
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Si iscrisse
al Partito Bolscevico nel 1917, e successivamente negli anni 30 divenne capo
della polizia e leader del partito sia in Georgia che in Transilvania,
mettendosi in luce per la sua intransigenza e per la crudeltà dimostrata verso
i suoi stessi connazionali georgiani.
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Nel 1928
divenne efficiente persecutore dei kulaki, i contadini proprietari che venivano
indicati come simbolo da abbattere senza pietà, e perseguì con tenacia il
progetto di collettivizzazione delle campagne deportando in Siberia migliaia di
loro.
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Nel 1934
partecipò insieme a Jagoda (capo dell'NKVD) al complotto per assassinare Sergej
Kirov, il prestigioso capo del Partito di Leningrado, che insidiava il potere
di Stalin.
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Si lanciò
subito dopo ad una vera e propria caccia alle streghe contro i presunti
cospiratori, riuscendo così a fare “piazza pulita” di ogni ostacolo o
concorrente verso la corsa di Stalin al potere dell’apparato comunista.
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Divenne il
fedelissimo esecutore di Stalin e provetto repressore, riuscendo così a
sopravvivere alle terribili e successive purghe del 1936-38 e ad iniziare
anch’egli la scalata verso il potere e verso i massimi vertici del Partito.
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Come capo
della Polizia politica Berija diresse l’imponente organizzazione dei gulag, il
sistema di campi di lavoro in cui trovarono la morte milioni di cittadini
sovietici come deportati.
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Nel 1939 si
occupò di politica estera rendendo possibile il famigerato Patto Von
Ribbentropp-Molotov, per mezzo del quale i nazisti e i Sovietici divennero
alleati e si spartirono arbitrariamente la Polonia.
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L’attività di
Berija nella spartizione del territorio polacco si svolse nella parte
orientale, insieme all’NKVD.
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La sua
ferocia trovò sfogo nell’eccidio della foresta di Katyn, in cui ventimila
soldati polacchi, prigionieri di guerra, vennero fucilati e seppelliti con la
compiacenza di Stalin.
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Per lungo
tempo la macchina disinformatrice comunista imputò l’eccidio ai nazisti, fino a
quando la verità non emerse chiaramente.
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Sotto la
guida di Berija, nell’agosto del 1940, avvenne l’omicidio di Lev Trockij.
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Dal 1941 al
1944 promosse e diresse la deportazione di tedeschi, calmucchi, caracaevi,
balcari, ceceni, ingusceti, e tatari di Crimea.
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I tatari
crimeani deportati furono 193.865, e di questi circa 10.000 furono lasciati
morire di fame.
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Per quanto
riguarda i calmucchi fu deportata l’intera nazione, della quale la metà morì
durante l’esilio.
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L’esodo forzato dei calmucchi
verso la Siberia iniziò senza alcun preavviso in pieno inverno, su carri
bestiame, dando inizio a quello che si rivelò poi essere un vero e proprio genocidio.
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Il 23
febbraio 1944 Berija, su ordine di Stalin, iniziò anche la deportazione di TUTTA
la popolazione cecena e ingusceta in Asia Centrale.
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Furono
deportate più di 500.000 persone, di cui oltre la metà perirono durante il
viaggio o per mano dei loro aguzzini sovietici.
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Le donne
incinte e i vecchi, oltre a coloro che potevano causare ritardi nell’esodo
forzato (come i malati e i bambini), furono riuniti e uccisi prima della
partenza, come nel caso del villaggio di Khaibakh, in cui vennero arse vive 700
persone.
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I
sopravvissuti al viaggio furono abbandonati al loro destino nelle lande deserte
e ghiacciate della Siberia, privi degli indumenti invernali, a fronteggiare la
fame, le malattie, e l’inverno che sopraggiungeva, provocando anche in questo
caso un vero e proprio genocidio, come riconosciuto poi nel 2004 (60
anni dopo) dal Parlamento Europeo.
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Il 29
febbraio, Lavrentii Beria, il capo della polizia segreta dell'NKVD, scriveva a
Stalin :
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"Riferisco i risultati
dell’operazione di risistemazione dei Ceceni e Ingusci.
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La
risistemazione ha avuto inizio il 23 febbraio nella maggior parte dei distretti,
eccettuati i villaggi nelle alte montagne.
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478.479 persone sono state sfrattate e caricate nei vagoni speciali, incluso
91.250 ingusci.
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180
treni speciali sono stati caricati, di cui 159 mandati al posto predestinato.”
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Il 23
febbraio è la Giornata Mondiale della Cecenia, in ricordo delle vittime e per
riflettere sulle atrocità commesse dal comunismo, ma pare che nel “civile”
Occidente pochi ne siano a conoscenza.
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Nel 1945
divenne sovrintendente al progetto per la realizzazione della Bomba Atomica e
membro effettivo del Politburo, e Vicepresidente de Consiglio dei Ministri.
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Alla morte di
Stalin divenne così, insieme a Molotov e a Malenkov l’uomo più potente
dell’Unione Sovietica, finendo per rappresentare una minaccia, al punto che
Krusciov complottò per eliminarlo.
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Fu catturato
e sottoposto a tortura all’interno delle mura del Cremlino ma i dettagli sulla
sua morte sono ancora avvolti nel mistero.
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Secondo Amy
Knight, ricercatrice presso la Library of Congress di Washington, Berija
sarebbe caduto sotto i colpi sparati dal mitra corto del Maresciallo Georgij
Konstantinovic Zukov, nei corridoi del Cremlino, coadiuvato nell’impresa dal
Generale Moskalenko, entrambi uomini di Krusciov.
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Una diversa
versione dell’accaduto, riferita da Krusciov anche ad una delegazione del PCI
guidata da Giancarlo Pajetta, afferma che Berija sarebbe stato strangolato dai
membri del Presidium durante una colluttazione avvenuta nel corso di una
seduta, nel mese di giugno.
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La versione
ufficiale diffusa dai media, sosteneva invece che Berija fosse stato processato
e fucilato, ma il figlio di Berija successivamente affermò a mezzo stampa che
il padre non era presente al processo, ma al suo posto ci fosse una
controfigura.
Si sa comunque che nel 1955 i familiari vennero esiliati a Maklakovo, come testimoniato da Karlo Stajner nel suo libro "7.000 giorni in Siberia".
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Per meglio
evidenziare la personalità schizofrenica di Berija, è sufficiente esaminare il
suo comportamento nei riguardi di Nestor Lakoba, un vecchio bolscevico accusato
di ogni nefandezza possibile.
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Alla morte di
Lakoba, in seguito alle torture, Berija fece arrestare anche la moglie di
quest’ultimo e la fece torturare dai carnefici dell’NKVD.
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Ogni notte
veniva sottoposta a crudeli sadismi e riportata poi in cella coperta del suo
stesso sangue.
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Berija voleva
obbligare la sventurata a firmare un documento in cui accusava il marito di
tradimento, ma di fronte al suo rifiuto si accanì contro il figlio
quattordicenne, che iniziò così ad essere bastonato in sua presenza.
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Sfinita dalle
torture la moglie di Lakoba morì e suo figlio fu deportato in un gulag.
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Dopo qualche
tempo il ragazzo scrisse a Berija per
chiedere il permesso di poter continuare a studiare, anche se recluso, ma
questi lo convocò e lo fece fucilare immediatamente.
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Berija era
noto anche come pedofilo, per il suo morboso interesse per le ragazzine molto
giovani, che attirava nella sua casa-prigione dotata di celle per la detenzione
nelle cantine.
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La villa degli orrori di Berija |
Le cantine
della sua casa, oggi sede dell’ambasciata tunisina, nascondono ancora le ossa
delle sue vittime, dietro falsi muri o cementate nella muratura.
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Nel 2001, infatti, dopo il
rifacimento della cucina, furono ritrovati il femore e alcune ossa delle gambe
di una delle sue giovani e sventurate vittime.
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Berija era,
oltre che il sadico uccisore di milioni di persone innocenti, anche un
predatore sessuale che di notte si aggirava per Mosca in cerca di ragazzine
adolescenti da trascinare a casa sua, per poi torturarle e stuprarle, prima di
togliere loro la vita.
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In Occidente
Berija è pressochè sconosciuto ai più, a causa della colpevole disinformazione
degli intellettualoidi della sinistra, che nascondendo e mistificando la realtà
del comunismo sovietico, se ne sono resi complici.
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Il voler per
forza presentare il comunismo sovietico come un “Paradiso” dei proletari è
senza dubbio criminale e subdolo, e priva la società di una obiettività storica
oramai consolidata, e cioè della consapevolezza che il comunismo e i suoi
artefici rappresentino il “male assoluto” dell’ultimo millennio.
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La ferocia,
la morte, il sadismo, e una cieca furia, tutti elementi prodromici ad un vero
delirio di onnipotenza, sono infatti le caratteristiche su cui si fonda il
marxismo, la filosofia da cui trae linfa vitale il comunismo.
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Dissenso
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Tu dici:
RispondiEliminaIl suo aspetto da intellettuale nascondeva la ferocia di una belva assetata di sangue, unita ad una smisurata ambizione e ad un cinismo criminale.
Io ti dico:
Non passerà un anno prima che la giustizia divina intervenga.
Saluti Emanuele
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RispondiElimina╠╠║║╔╝
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☆ MaRiBeL☆
Excellent text !!!
RispondiEliminaÉ uma honra te-lo em meu Blogue adicionado. O seu, traz a triste realidade do que somos e o que podemos vir a ser impulsionados pelo sistema de coisas. Com mais tempo, em breve, voltarei a visitar-lhe. Lisonjeado por me acessares. Um abraço Latino.
RispondiEliminaminchiateeeeeeeeee
RispondiElimina