sabato 24 settembre 2016

LA LUNGA MARCIA

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Premesse :
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il 17 settembre 1939, esattamente 16 giorni dopo l’attacco tedesco alla Polonia, avvenne anche l’invasione sovietica della Polonia stessa, così come segretamente stabilito nel Patto Molotov-Ribbentrop tra la Germania nazista e l'Unione Sovietica comunista.
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Questo accordo scellerato fra le due potenze che prevedeva un accordo di non aggressione reciproca fu fortemente voluto sia da Hitler che da Stalin e determinò di fatto l’inizio della seconda guerra mondiale.
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In seguito alla spartizione dei territori polacchi i sovietici iniziarono una deportazione sistematica delle popolazioni, seguita dall’occupazione delle repubbliche baltiche da parte dell’Armata Rossa.
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L’accordo, stipulato nella massima segretezza,  prevedeva infatti che Finlandia, Estonia, e Lettonia cadessero nell’area di influenza sovietica, mentre la Lituania vi fu aggiunta il 28 settembre.
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In seguito i sovietici si appropriarono militarmente anche dei territori rumeni della Bessarabia e della Bucovina.
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I russi iniziarono una serie infinita di arresti, deportazioni, e uccisioni delle popolazioni appartenenti alle seguenti etnie, che sarebbero poi proseguite anche negli anni successivi :
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Polacchi :  1.500.000
1939 Deportati lettoni in partenza per la Siberia
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Estoni :  104.000
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Ceceni-ingusci : 496.000
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Karacay-Circassi : 70.000
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Balcari : 37.400
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Vainakh : 650.000
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Calmucchi : 101.000
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Turchi-Meschetini : 100.000
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Slavomir Rawicz
Slavomir Rawicz è solo uno dei tantissimi sventurati che si è ritrovato a dover subire la violenza cieca del comunismo.
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Fortunatamente riuscì ad evadere dal lager in cui era stato rinchiuso innocente, e a trasmetterci poi la narrazione della sua epopea nel libro “La lunga marcia”, edito da Rizzoli nel febbraio 1957..
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Per raccontare cose terribilmente vere Rawicz dovette, per ovvi motivi politici, nascondersi sotto un nome falso, e per le stesse ragioni all'epoca dei fatti non fu possibile agli editori pubblicarne la fotografia.
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La storia :

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Un ufficiale della cavalleria polacca, viene arrestato il 19 novembre 1939 insieme ad altre migliaia di altri connazionali, in seguito all'invasione della Polonia da parte delle truppe comuniste sovietiche.
Torture dell'NKVD in un disegno
di Danzig Baldaev, ex deportato
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Slawomir viene condotto a Mosca, dove è rinchiuso nel carcere della famigerata Lubjanka, e sottoposto a torture efferate da parte degli aguzzini dell'NKVD, la polizia segreta di Stalin, decisi a strappargli la confessione di essere una spia.
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Successivamente, nel 1940 dopo un anno di prigione, il tribunale comunista gli infligge una condanna a venticinque anni di lavori forzati, da scontare in un campo di prigionia in Siberia.
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Il viaggio da Mosca al campo siberiano avviene su un vagone ferroviario, normalmente adibito al trasporto del bestiame, su cui vengono stipati e ammassati gli sventurati che condividono la sua stessa sorte.
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Panorama siberiano 
La durata del viaggio, in pieno inverno,  è di tre mesi, durante i quali, a causa dell’elevata densità di detenuti per vagone, le persone sono costrette a defecare e urinare in piedi, a patire la fame, la sete, e il gelo.
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Moltissimi sventurati muoiono, mentre i sopravvissuti, al termine del percorso ferroviario, vengono costretti a camminare a piedi, incatenati gli uni agli altri, per attraversare chilometri di territorio siberiano, trascorrendo le notti all’addiaccio, in buche scavate nella neve, per raggiungere la destinazione finale : il lager.
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Slavomir inizia così la sua vita da recluso nel campo di prigionia comunista, ma nella primavera seguente, a causa della desolazione del lager, dello squallore e della violenza che impregnavano la vita quotidiana, ma soprattutto a causa della inaccettabile privazione della libertà, decide insieme ad altri sette compagni di prigionia di tentare la fuga nel giugno 1941.
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Il gruppetto, che è intenzionato a dirigersi verso l'India, percorre a piedi ben 6.500 chilometri, attraversando lande nevose, l'arroventato deserto del Gobi, e le impervie montagne del Tibet.
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Lungo il percorso affrontano ostacoli spaventosi e terribili, quali la fame, la sete, e una fatica disumana, riuscendo infine a raggiungere la meta prefissa : la libertà.
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Il cammino percorso : oltre 6000 Km
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Il raggiungimento della libertà rappresenta per il gruppo di fuggitivi il valore più grande per cui battersi, a costo della vita, senza retorica e con grande sofferenza.
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Il libro costituisce una "anteprima" e una testimonianza dei misfatti compiuti dal comunismo sui territori occupati e sull'opera di deportazione e sterminio compiuta da Stalin in nome della "falce e martello".
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Dissenso
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sabato 17 settembre 2016

Costruita a tavolino

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Presentiamo un articolo di Roberto Festorazzi intitolato :
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"L'edificante epopea dei partigiani costruita a tavolino", tratto da "il Giornale.it" del 23 febbraio 2016
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La storia bugiarda, ossia la ricostruzione artificiosa e mitopoietica del passato, è una sorta di specialità nazionale, almeno dal Risorgimento in poi.
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Ma esiste una forma di menzogna più sottile, sistemica e dannosa, che procede attraverso la fabbricazione di documenti falsi attraverso i quali elaborare una vulgata edificante per chi compie l'operazione.
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Un caso da manuale è quello che abbiamo scoperto, compulsando le carte dell'Istituto di storia contemporanea Perretta di Como.
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Ossia, uno dei capisaldi della sacralizzazione delle vicende resistenziali, per il fatto che questo centro di memoria opera, da quasi quarant'anni, nell'area dove si compirono, in un sol colpo, tre eventi di gigantesca portata, nelle ultime giornate di aprile del 1945 :
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la fine del fascismo, la conclusione della guerra e l'epilogo di Benito Mussolini e dei suoi fedelissimi.
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Consultando il Fondo Gementi del Perretta ci siamo imbattuti in una lettera esplosiva che mette a nudo i criteri attraverso i quali si è costruita la monumentalizzazione dell'episodio resistenziale.
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Un documento che dev'essere sfuggito ai censori rossi i quali controllano che nulla, di esiziale, possa sfuggire e capitare dentro i fascicoli che vengono distribuiti in consultazione agli studiosi.
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Bisogna spiegare anzitutto chi è stato il personaggio oggetto delle mie indagini.
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Oreste Gementi, milanese, classe 1912, fu il leader partigiano di più elevate responsabilità militari, negli organi di coordinamento interpartitico operanti durante la lotta di Liberazione, nel Comasco.
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Svolse infatti le funzioni di comandante della Piazza lariana del Cvl (Corpo volontari della libertà).
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Nonostante il suo rango elevato, su Gementi (nome di battaglia, Riccardo), è caduto un totale oblio, spiegabile con una circostanza molto semplice.
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Il comandante partigiano ebbe il torto, se così si può dire, di non allinearsi alle direttive del Partito comunista, il quale durante e dopo la Liberazione dettò legge, non soltanto nel Comasco.
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Tanto per cominciare, Gementi si convinse, sulla base di elementi raccolti già nell'immediatezza dei fatti, che a sparare a Mussolini e alla Petacci non fosse stato l'emissario di Luigi Longo, Walter Audisio, alias colonnello Valerio, ma l'umile operaio comasco Michele Moretti, il partigiano comunista Pietro.
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L'assassino partigiano
e ladro Michele Moretti
E ciò bastava perché il nome di Gementi venisse incluso nella lista di proscrizione stilata dagli apparatik della centrale di disinformacjia rossa concentrata nella triangolazione Pci-Anpi-Istituti storici della Resistenza.
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Non solo :
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il comandante Riccardo aveva tale determinazione morale da far spiccare, già nel giugno del 1945, un mandato di cattura contro Michele Moretti per il furto dell'oro di Dongo.
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Risultato :
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un mese dopo, il Pci architettò contro Gementi un agguato, che fu sventato solo grazie all'abilità straordinaria della vittima predestinata.
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Ma veniamo al cuore di questa nostra scoperta.
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Nel novembre del 1991, l'Istituto storico di Como diede alle stampe un volume di oltre 600 pagine, "La 52ª Brigata Garibaldi Luigi Clerici" attraverso i documenti :
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si trattava di un racconto della lotta di Liberazione, nel Comasco, attraverso una raccolta delle fonti scritte riferite all'attività della formazione partigiana cui si dovette l'arresto di Mussolini e il fermo della sua colonna, il 27 aprile 1945.
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Ben 550 documenti (relazioni, direttive, circolari, ecc.), presentati come originali, i quali portavano alla luce la trama organizzativa e l'intera vicenda cospirativa della brigata.
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Curatore dell'opera antologica era Giusto Perretta, comunista, fondatore e a lungo direttore dell'Istituto comasco di storia del movimento di Liberazione che oggi porta il nome di suo padre, l'avvocato Pier Amato Perretta, un antifascista ferito a morte a Milano da elementi delle Ss e della Legione Muti, nel novembre del 1944.
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Giusto Perretta, nella nota introduttiva, spiegava che la pubblicazione era frutto di ricerche «effettuate nel 1986-87 presso l'Istituto Gramsci di Roma».
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Tale scavo archivistico era valso ad arricchire e a integrare la già imponente documentazione in possesso dell'Istituto storico lariano.
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Ne sortiva una rassegna di materiali che il curatore accreditava come coevi, cioè «compilati e diffusi nel corso vivo della lotta» :
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in tal modo si sarebbero potute fornire «maggiori garanzie di veridicità» rispetto alle fonti cronologicamente successive.
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Fin qui le parole di Perretta.
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Ciò che non è mai trapelato, al riguardo, è la durissima contestazione pervenuta al curatore dell'opera, da parte di Gementi.
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Il comandante Riccardo, giunto ormai al termine dei suoi giorni terreni, il 10 aprile 1992 confessava, in una riservata-confidenziale, di aver accostato «con molto scetticismo» l'indigeribile repertorio stilato da Perretta, dichiarandosi incapace di «trarne alcun insegnamento», nell'impossibilità pratica di discernere «tra il vero ed il falso».
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Dove nasceva questo sentimento di somma diffidenza, nell'uomo che ben conosceva la segreta trama di quei lontani fatti della Resistenza, per averli vissuti dall'interno come pochissimi altri ?
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Lo rivelava lo stesso Gementi, tornando con la memoria a una «confidenza fattami da Coppeno nei primi anni dopo la Liberazione, quando i nostri rapporti erano normali e saltuariamente ci incontravamo, ma soprattutto egli mi telefonava per accertarsi su dati e fatti del periodo clandestino».
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Il riferimento è a Giuseppe Coppeno, lo storiografo ufficiale cui il Partito comunista, già nell'immediato dopoguerra, affidò il compito di costruire, a tavolino, la storia bugiarda.
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In quale modo ?
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Allestendo una vera e propria officina di fabbricazione di repertori documentari non genuini, allo scopo di produrre la glorificazione del movimento partigiano rosso.
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Coppeno, nato nel 1920 e scomparso nel 1993, fu un comunista duro e dogmatico che operò, durante la Resistenza, tra Como e Milano, quale cinghia di trasmissione delle direttive del partito dentro le formazioni garibaldine.
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In realtà, si chiamava Ciappina, in quanto fratello di Ugo Ciappina, un ex gappista che fu tra gli autori della rapina di via Osoppo, avvenuta a Milano, nel 1958.
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In conseguenza di tale fatto, egli chiese e ottenne di poter cambiare il cognome in Coppeno.
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Incontrai Ciappina-Coppeno, a Milano, nel maggio del 1992.
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Andai a casa sua, per intervistarlo.
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Il personaggio mi raggelò, ma non potevo nemmeno sospettare che si portasse appresso i segreti che Gementi non esitò a denunciare.
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Che cosa si era lasciato infatti sfuggire, il fratello del bandito Ugo Ciappina, nei suoi colloqui con il compagno di battaglie ?
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Lo racconta lo stesso comandante Riccardo, con questa confessione bomba :
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«Coppeno mi aveva confidato che, su richiesta di Gorreri e Fabio, stava costruendo documenti intesi a valorizzare e potenziare l'attività della 52a, dal settembre '43 alla Liberazione».
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Dante Gorreri e Pietro Vergani Fabio furono dunque coloro che commissionarono il lavoro al falsario ideologico seriale.
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Vale la pena di ricordare chi fossero i due personaggi.
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Gorreri, segretario della Federazione lariana del Pci, e Vergani, comandante lombardo delle Brigate Garibaldi, furono due stalinisti ciecamente devoti al partito.
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Entrambi, negli anni Cinquanta, vennero rinviati a giudizio per alcuni delitti che insanguinarono il  dopo-Liberazione, come quello del capitano Neri (Luigi Canali), leader morale della Resistenza comasca, della staffetta di questi, Gianna (Giuseppina Tuissi), e della giovane Annamaria Bianchi.
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La clamorosa denuncia dell'esistenza di una centrale della contraffazione, costituisce l'anello mancante di un teorema logico che gli storiografi di impostazione mentale laica, cioè non dottrinale, hanno sempre cercato di dimostrare.
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Vale a dire :
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I documenti sui quali è stata intessuta la trama della narrazione resistenziale non convincono.
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Ora sappiamo perché.
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I materiali apocrifi costruiti da Ciappina-Coppeno furono il preludio di una colossale opera di elaborazione storiografica mistificatoria che non è ancora cessata.
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Osserva, del resto, Riccardo che il falsario di partito lasciava, per così dire, le impronte del suo delitto nelle modalità stesse del confezionamento, in sequenza, di documenti in realtà non coevi :
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quelle carte risultavano infatti essere «dattiloscritti senza firma o con firma a macchina».
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Chiunque può constatare di persona che è proprio così :
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il compilatore seriale della storia bugiarda produsse documenti quasi sempre privi di firma autografa, o di altri elementi (come interpolazioni e correzioni manoscritte) che ne attestassero la genuinità sotto il profilo materiale.
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Autentiche polpette avvelenate, versate poi, in gran parte, all'Istituto Gramsci, dove poi Perretta andò a riesumarle.
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Istituto Gramsci il quale si fece, a sua volta, ente certificatore dell'autenticità e della sicura provenienza di quelle carte.

Il bello è che, nella nota introduttiva al testo, lo stesso curatore compiva un'ammissione che, alla luce della lettera di Gementi, suona alquanto compromettente.
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«Date le condizioni delle copie originali», infatti, si era proceduto alla «loro ribattitura e riduzione rispettando rigorosamente il testo originale».
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Insomma, secondo Perretta, era stata effettuata la riscrittura, in forma dattilografica, delle fantomatiche carte originali, prendendo a pretesto le condizioni di cattiva conservazione, e conseguentemente di difficoltosa decifrazione, delle stesse.
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Ma se così si fosse fatto, il curatore avrebbe dovuto avvertire quantomeno il dovere metodologico di produrre, in immagine, nelle pagine a fronte di ogni riduzione dattilografica (com'egli la chiama), i testi originali.
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Cosa che si guardò bene dal fare.
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Perretta non volle nemmeno spiegare quando, come, e da parte di chi, fosse stata realizzata questa colossale operazione da copisti.
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Questo autentico ginepraio ci riporta alle considerazioni dubitative di Gementi :
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a meno di voler per forza seguitare a supporre l'esistenza di veri documenti originali, gli unici originali paiono essere quelli, contrabbandati per tali, la cui matrice ci riporta alla figura di Ciappina-Coppeno e alla sua investitura a falsario di partito.
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Sorge del resto il sospetto che il Pci assumesse, per così dire, per vizio metodologico generalizzato, la predisposizione di un arsenale documentario realizzato in vitro, con un quadruplice scopo :
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alimentare il mito della propria forza egemone nel movimento partigiano, silenziare tutte le fonti non allineate con la propria verità di partito, riempire i vuoti narrativi e insieme occultare le degenerazioni violente della resistenza.
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Dissenso
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Nota del Blog : Le immagini non fanno parte dell'articolo originale, ma sono state aggiunte dall'autore del Blog.
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lunedì 12 settembre 2016

Gli scheletri nell'armadio delle icone rosse



Luigi Mascheroni

Luigi Mascheroni è un giornalista, nato a Varese nel 1967, che oggi scrive per Il Foglio, Il Domenicale e Poesia.

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Dal 2001 lavora a il Giornale, dove si occupa di cultura e costume, e insegna Teoria e tecnica del linguaggio giornalistico all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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Propongo di seguito un suo articolo, pubblicato su "il Giornale" il 5 febbraio 2014.
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Articoli su "Roma fascista" e firme contro Calabresi. Militanza nella Rsi e imbarazzi. Quel che la sinistra non dice.
di Luigi Mascheroni
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Daria Bignardi

L'intervista è la regina e insieme la puttana del giornalismo :


se l'azzecchi esce il capolavoro, se sbagli domande è il disastro.

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L'intervista di Daria Bignardi al grillino Alessandro Di Battista, in cui si insisteva sul passato fascista del padre (di lui), è stata un capolavoro o un fallimento ?
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E l'intervista virtuale di Rocco Casalino a Daria Bignardi, in cui si insisteva sulla condanna come mandante di omicidio del suocero (di lei), è una caduta di stile o una mossa mediatica ?
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A proposito di intervista virtuale.
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Ecco un campionario di domande tabù ad uso di giornalisti coraggiosi che vogliano sfidare i mammasantissima del circo mediatico.
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Domande indicibili, per gli intoccabili.
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Eugenio Scalfari
Ci sarà qualcuno capace di mettere in imbarazzo i soliti belli, buoni e santi ?
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Perché a far le domande scomode ai berlusconiani brutti e cattivi sono capaci tutti.
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E quindi è arrivato il momento della prima intervista barbarica, in coppia !, a due Grandi Vecchi della cultura italiana, due padri della Patria, due difensori dei valori democratici di una Repubblica nata sul sangue della Resistenza e sul sacrificio di un'intera generazione di giovani che seppero gridare alto il loro NO al fascismo, Signore e signori, Eugenio Scalfari e Dario Fo ...
Dario Fo
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Applausi.
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Prego, accomodatevi.
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Che onore avervi qui, anzi Onore al Duce.
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Bene, iniziamo da Lei, Scalfari.
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Ci racconti un po'...
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Com'era lavorare per Roma Fascista ?
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E collaborare con una rivista squadrista come Nuovo Occidente ?
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Ci dica, secondo Lei, che è un grande liberale, in quegli anni c'era più o meno libertà rispetto al ventennio berlusconiano ?
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No, dài, non si schermisca :
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è Lei, insieme agli intellettuali di riferimento di Repubblica come Asor Rosa, Eco e Camilleri, a sostenere che il berlusconismo sia peggio del fascismo...
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Allora ?
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E Lei, Fo, mi dica :
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l'essersi arruolato volontario nella Rsi, paracadutista nel “Battaglione Azzurro” di Tradate, è per Lei motivo di orgoglio o di vergogna ?
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La sua militanza a Salò venne fuori solo negli anni '70 :
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perché Lei non ne parlò mai ?
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La mette in imbarazzo ?
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No... vero ?
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Ci dica...
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Ha mai sparato a un partigiano ?
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A proposito di antifascisti.
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E lei, Barbara Spinelli, che dalla Stampa troppo poco antiberlusconiana nel 2010 ha deciso di tornare a Repubblica, un foglio dove davvero un giornalista può trovare tutta la libertà necessaria al proprio pensiero e alla propria scrittura, ci dica :
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com'è lavorare con un direttore come Scalfari, che mentre suo padre Altiero era al confino a Ventotenne, dirigeva Roma fascista ?
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Avete mai parlato di queste cose ?
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No, dico questo perché è una notizia di ieri che le colpe dei padri ricadano sui figli...
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E il rapporto padre-figlio, come quello di suocero e nuora, è molto delicato.
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Signore e signori, è arrivato il momento di Mario Calabresi (ndr. figlio del commissario  Luigi Calabresi).
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Applausi.
Luigi Calabresi
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Bene, si accomodi.
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Allora, Lei oggi dirige la Stampa, ma per anni è stato caporedattore centrale a Repubblica :
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cosa si prova a passare tutti i giorni i pezzi di uno condannato come mandante dell'omicidio di suo padre ?
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Ci faccia capire bene :
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sono cose importanti, alla gente che ci ascolta da casa interessano, eccome.
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Lo so, toccare il tasto Calabresi è scomodo, ma le domande tabù vanno fatte.
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Lei, Paolo Mieli, e lei Eco, e Lei Oliviero Toscani :
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nel '71, insieme con tanti altri intellettuali, firmaste la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Calabresi, ammazzato da Lotta Continua.
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Deprecabile, vero ?
La violenza comunista negli anni di piombo
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Parliamone :
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lo rifareste oggi ?
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A proposito di appelli.
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E Lei Vauro ?
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Assieme ai Wu Ming e molti altri, ha firmato il manifesto che difende un terrorista, assassino e latitante come Cesare Battisti.
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Ci racconta come è andata ?
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Ha mai incontrato i famigliari delle persone ammazzate da Battisti ?
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Li ha abbracciati ?
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Lotta Continua a Milano
Ha portato loro dei romanzi di Battisti ?
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A proposito, nell'elenco dei firmatari, all'inizio, c'era anche Lei, Signore e signori..., Roberto Saviano.
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Poi si tirò indietro.
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Ce ne parla ?
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E ci parla del suo processo per plagio ?
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Alcune parti di Gomorra sono state copiate da articoli di altri giornalisti, senza citazione - No Corrado Augias, non sto parlando con Lei, dei suoi libri bruciati e copiati parliamo nella prossima intervista - Mi scusi, Saviano, dicevo :
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allora, cos'è successo ?
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La Mondadori è molto sensibile su questa cosa del plagio...
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Anche adesso che Lei è passato a Feltrinelli ?
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Saviano, a proposito, ma è vero che Lei da piccolo frequentava a Napoli le palestre dove boxavano i ragazzi del Fronte della Gioventù ?
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È solo una voce, giusto ?
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O è la solita macchina del fango ?
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No, lo dico perché sa com'è :
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ormai quando uno tira fuori il passato fascista di qualcuno - fosse anche il padre di un grillino - tutti gridano alla macchina del fango ...
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Dissenso.
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Nota del Blog : Le immagini non fanno parte dell'articolo originale, ma sono state aggiunte dall'autore del Blog.






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