Articolo di Alberto Rosselli, pubblicato su : Storiaverità.org (
LINK).
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Alberto
Rosselli è un
giornalista e saggista storico che ha collaborato e collabora da tempo con
diversi quotidiani italiani ed esteri e con svariati siti internet tematici di
storia, etnologia, storia militare e diplomatica e geopolitica.
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Per decenni,
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino agli albori degli anni Novanta,
buona parte della storia e delle vicissitudini dei popoli dell’Europa orientale
e balcanica sottoposti ai regimi comunisti sono rimaste avvolte da un alone di
mistero.
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Anche se dei
molteplici disastri prodotti, tra il 1917 e il 1989, in tutto il mondo, dalle
dittature marxiste ortodosse e no, si era avuta una notevole messe di
informazioni e notizie, grazie soprattutto alle testimonianze dei molti
profughi che riuscirono ad evadere dai vari “paradisi del popolo”, e grazie
alle opere pubblicate da illustri scrittori e scienziati scampati
miracolosamente alle persecuzioni e ai gulag e poi fuggiti o emigrati
in Occidente.
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Ciononostante,
bisognò attendere il definitivo collasso del sistema sovietico per venire a
conoscenza di alcuni particolari fenomeni del dissenso manifestatisi oltre
cortina nel secondo dopo guerra, come ad esempio quello della lotta armata
clandestina che, tra il 1945, la metà degli anni Cinquanta ed oltre, si
sviluppò e diffuse nei Paesi Baltici, in Ucraina, in Polonia, in Romania e, con
caratteristiche e modalità diverse, anche in alcuni paesi balcanici, come la
Iugoslavia e l’Albania.
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Quello della
lotta armata contro le dittature facenti capo a Mosca (evento che interessò
anche diverse regioni caucasiche tra cui l’Azerbaijgian e l’Armenia russa) è
stato un fenomeno sostanzialmente negletto, anche perché i regimi marxisti
hanno provveduto con successo ad occultarne e minimizzarne la portata,
attribuendone l’origine non tanto alla oggettiva violenza e impopolarità del
sistema socio-economico comunista, ma alla supposta matrice “reazionaria” dei
vari movimenti ribelli e alla concomitante azione destabilizzatrice esercitata
su questi ultimi dalle potenze occidentali interessate “a minare l’integrità e
la solidità del mondo socialista”.
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Lo scopo di
questa breve pubblicazione non è quello di effettuare un’analisi politologica o
sociologica dei regimi sovietico e comunisti, né tanto meno quello di
rivisitare gli eventi più eclatanti e noti di contrarietà popolare a questi
ultimi (vedi la rivolta di Budapest del 1956 e quella di Praga del 1968,
entrambe schiacciate dalla reazione armata di Mosca).
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L’obiettivo che
ci siamo preposti è infatti un altro (seppure in qualche modo collegato,
direttamente o indirettamente, ai fatti di cui si è detto) è cioè la riscoperta
di quei movimenti di resistenza post-bellici che per un decennio e più
tentarono, con le armi e attraverso l’azione politica, di liberarsi dalla
tirannide comunista.
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Si trattò – ed
è bene precisarlo subito – di un fenomeno complesso, non certo elitario in
senso sociologico o facente esclusivo riferimento – come per molti anni
sostennero gli storici marxisti – a pochi gruppi di nostalgici e reazionari
influenzati dall’”ideologia borghese”.
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Al contrario,
esso fu – come si è detto – fenomeno vasto, idealmente motivato, squisitamente politico
e socialmente trasversale, che interessò centinaia di migliaia di individui
appartenenti a gruppi etnici, culturali e religiosi diversi – talvolta avversi
tra di loro – ma tutti uniti da un unico ideale di libertà.
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Per tanto,
troppo tempo, il silenzio e la reticenza dei regimi comunisti, ma anche quella
delle potenze occidentali (l’effettivo, seppure parziale e disordinato appoggio
che, a partire dal 1948, i servizi segreti britannici e statunitensi fornirono
ai movimenti resistenziali d’oltre cortina venne sempre sottaciuto per ragioni
di sicurezza) ha fatto sì che – ad esclusione degli studi avviati alla metà
degli anni Ottanta da alcuni storici baltici – la pubblicistica occidentale non
abbia prodotto che poche, scarne indagini sull’argomento.
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Oggi però,
grazie anche alla progressiva apertura ad est della UE, e soprattutto alla
disponibilità di nuovo e inedito materiale proveniente dagli archivi di Mosca,
di parte dei Paesi del Patto di Varsavia, è stato possibile avviare
sistematiche e fruttuose ricerche sull’argomento.
Anche se questo
proposito occorre però premettere che, per quanto riguarda la Romania, la
Croazia, la Slovenia e l’Albania, la quantità di documentazione messa a
disposizione da questi governi appare ancora parzialmente insufficiente e
comunque inferiore a quella relativa alle altre aree geopolitiche in cui si
sviluppò il fenomeno.
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Circa
l’attendibilità e l’imparzialità delle fonti utilizzate dagli storici
contemporanei per la messa a punto delle opere date alle stampe in questi
ultimi cinque/otto anni, e dalle quali abbiamo in parte attinto, non vi è da
dubitare.
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La stragrande
maggioranza della documentazione relativa alla storia e all’attività dei
movimenti anticomunisti dell’Europa Orientale e della Russia sovietica proviene
infatti dagli stessi archivi dell’esercito, della polizia politica e dei
servizi segreti sovietici e del Patto di Varsavia.
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Archivi dai
quali sono anche emerse curiose pubblicazioni di regime stilate ai tempi della
dittatura con il preciso scopo di addomesticare la verità.
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Tra il 1945 e
il 1985, diversi (e dotti) studiosi russi non esitarono infatti a dare il loro
appoggio diretto, e in malafede, alla cosiddetta industria della
“disinformazione scientifica” messa in piedi dai vertici del Cremlino,
collaborando alla stesura di opere sul cosiddetto “fenomeno del banditismo
reazionario del secondo dopoguerra”.
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Opere che oggi,
agli occhi dello studioso più attento, appaiono un insulto non soltanto alla
memoria di tanti martiri della libertà spacciati per “criminali asociali e
psicotici”, ma anche al buon senso.
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Trattasi
infatti e per buona parte di materiale squisitamente propagandistico, privo di
qualsiasi dignità scientifica, grossolano nei contenuti e talvolta anche nella
forma.
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In questi testi
la totalità dei partigiani anticomunisti processati dai tribunali sovietici o
dei paesi del Patto di Varsavia vengono sempre bollati alla stregua di
“banditi”, “delinquenti comuni”, “soggetti affetti da schizofrenia”, “esseri
deviati dall’ideologia borghese”, “spie al servizio della reazione”, “sadici”,
“ladri” e perfino “cleptomani”, “psicolabili”, “omosessuali” e/o “maniaci
sessuali”.
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Insomma, di
tutto e di più.
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I giudizi espressi in questi documenti appaiono
ovviamente poco credibili e talmente faziosi, e ridicoli, da fare dubitare
circa l’effettiva presa che tali argomentazioni possano avere conseguito sui
loro destinatari (burocrati, militari, insegnanti di scuola, docenti
universitari e, naturalmente, opinione pubblica).
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L'incerto appoggio occidentale.
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Si è accennato
al ruolo delle potenze occidentali (soprattutto gli Stati Uniti e
l’Inghilterra) che fino dalla metà del 1945, tramite i loro servizi segreti,
erano al corrente dell’esistenza dei movimenti anticomunisti attivi nell’Europa
orientale e dei grossi grattacapi che questi stavano causando a Mosca.
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Tra il 1949 e
il 1953, i governi di Londra, Washington, ma anche di Parigi, tentarono di
cavalcare, seppure in maniera discontinua e abbastanza scoordinata, tali
fenomeni, evitando ovviamente di pubblicizzare la cosa.
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Un
atteggiamento quest’ultimo che se da un lato venne adottato per mettere al
sicuro (ma fino a che punto ?) la Gran Bretagna e gli Stati Uniti da eventuali
ritorsioni sovietiche, dall’altro contribuì a fare sì che il mondo libero non
si accorgesse per tempo della reale e spietata natura dei regimi comunisti.
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Già durante la
fase terminale della Seconda Guerra Mondiale, alcuni tra gli osservatori
occidentali più attenti, tra cui Winston Churchill, avevano iniziato a maturare
il sospetto che Stalin, una volta terminato il conflitto, non si sarebbe certo
accontentato del dovuto e avrebbe sicuramente cercato di espandere la sfera di
influenza sovietica ben oltre i limiti, già sufficientemente ampi, concessi
dagli accordi di Yalta del 7-12 febbraio 1945.
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Churchill, al
contrario del presidente Franklin D. Roosevelt, ebbe a questo riguardo assai
chiaro e precoce il presagio di una futura, dura contrapposizione tra le
democrazie occidentali e l’Unione Sovietica, quella che di lì a non molti anni
si sarebbe trasformata nella Guerra Fredda.
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Non a caso, il
6 marzo 1946, a Fulton, nel corso di un suo celebre intervento, Churchill
citerà per la prima volta la Cortina di Ferro (the “Iron Curtain”), avvertendo
che tra “l’Europa orientale e quella Occidentale era ormai calato un pesante
sipario”.
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Grazie
all’acquiescenza di Roosevelt, già nel 1944 Stalin aveva iniziato a muoversi
con molta, troppa libertà onde assicurarsi posizioni di assoluto vantaggio
nell’ambito della spartizione del continente europeo.
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Il dittatore
georgiano mirava infatti, in totale dispregio della Carta Atlantica (documento
firmato il 14 agosto 1941 nel Newfoundland da Roosevelt e da Churchill, ed
accettato dall’Urss, nel quale venivano espressi i propositi di pace
anglo-americani e nella fattispecie il diritto da parte di “tutti gli stati di
riacquistare, alla fine della guerra, la propria indipendenza”) ad inglobare
nell’impero sovietico l’intera Europa orientale.
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Stalin era
d’altra parte convinto che dopo avere concluso il lungo e vittorioso conflitto
contro la tirannide nazi-fascista e l’impero nipponico, gli Stati Uniti ben
difficilmente si sarebbero impegnati in una nuova contesa, per di più contro la
Russia, per salvaguardare la discussa integrità di popoli e nazioni in realtà
abbastanza lontani dall’immaginario e dalla sensibilità collettiva
nordamericana.
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E per quanto
riguardava l’Inghilterra, questa, da sola, non avrebbe certo potuto
rappresentare un serio ostacolo alle mire espansionistiche del dittatore.
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Fu proprio in
previsione di ciò che, già a partire dalla tarda estate del 1944, il Cremlino
iniziò a muovere le sue pedine, favorendo la formazione di partiti comunisti
nei paesi dell’Est europeo.
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Bisognò
comunque attendere l’inizio del 1948 per fare sì che sia l’Inghilterra del
governo laburista di Clement Richard Attle (che il 26 luglio 1945 prese il
posto di Churchill), che gli Stati Uniti di Harry Truman (succeduto a Roosevelt
il 12 aprile 1945) iniziassero a valutare più realisticamente la politica
espansionistica ed invasiva di Stalin e ad organizzarsi per cercare di porvi un
freno.
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Nel corso del
1947, anche in Polonia, Bulgaria e Romania, Mosca favorì la presa del potere da
parte di esecutivi ad essa fedeli, ampliando così la sua sfera di influenza.
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Nel febbraio
1948, i comunisti avevano assunto praticamente il controllo della polizia di
Praga e orchestrato una violenta epurazione dei soggetti politici non marxisti
nella vita pubblica del paese.
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Il 10 marzo, il
ministro degli Esteri cecoslovacco Jan Masaryk fu trovato morto nel cortile
della sua abitazione.
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Venne annunciato
che si era tolto la vita, ma in linea generale tutti gli osservatori, stranieri
e no, si convinsero in breve che egli fosse stato assassinato da agenti del
servizi segreti sovietici.
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Il 30 maggio vennero indette le elezioni senza la
partecipazione di alcun candidato dell’opposizione democratica e, anche in
seguito al tentativo fatto dal governo di Praga di beneficiare in qualche modo
degli aiuti del Piano Marshall, Stalin si affrettò ad inglobare la
Cecoslovacchia, trasformandola in un paese satellite dell’Unione Sovietica.
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Il 24 giugno,
le autorità di Berlino Est interruppero tutte le comunicazioni di superficie
con l’area occidentale tedesca controllata dagli anglo-americani, lasciando
aperti soltanto i corridoi aerei.
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Per circa un
anno gli Stati Uniti e la Gran Bretagna furono costretti a rifornire la
popolazione di Berlino Ovest con il famoso “ponte aereo”:
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una soluzione
di emergenza che comportò una spesa di 224 milioni di dollari, la perdita di
svariati velivoli da trasporto e la morte di parecchi piloti occidentali (nel
corso dei ben 278.228 collegamenti aerei gli anglo-americani trasportarono
qualcosa come 2.326.406 tonnellate di viveri, carbone e altri prodotti).
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Mentre il
tentativo di assoggettare la Iugoslavia non sortì alcun successo.
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Come è noto,
infatti, il leader Josip Broz (detto Tito) le cui forze durante la Seconda
Guerra Mondiale si erano battute contro i tedeschi, gli italiani (almeno fino
all’8 settembre 1943) e le formazioni nazionaliste cetniche, croate e slovene,
era riuscito a prendere il potere in maniera praticamente autonoma (seppure
beneficiando degli aiuti concessi da americani e britannici) e senza ricorrere
all’aiuto dell’Armata Rossa.
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Josip Broz detto Tito |
Naturalmente,
l’atteggiamento dell’”eretico” Tito non piacque a Stalin che nel giugno 1948,
come è noto, arriverà ad espellere la Iugoslavia dal Cominform,
l’organizzazione degli stati comunisti dell’Europa Orientale.
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Di fronte a
questa serie di manovre a sfondo chiaramente aggressivo, antidemocratico e
imperialista, verso la fine del 1947 il governo britannico incominciò a
mobilitare il SIS (il Secret Intelligence Service) affinché venisse avviata una
strategia operativa avente come scopo la messa a punto di adeguate ritorsioni
politiche e militari nei confronti dell’Urss :
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manovra che
avrebbe incluso anche l’allacciamento di contatti con i gruppi nazionalisti
baltici, ucraini, polacchi, romeni e albanesi che da tempo e con alterne
fortune tentavano di opporsi alla potestà d’imperio sovietica e comunista.
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Dopo avere
tentato, inizialmente con una certa fatica, di coinvolgere gli Stati Uniti,
finalmente, nel 1948, Londra riuscì a sensibilizzare Washington circa l’utilità
del suo piano, varando di comune intesa con l’OSS (Office of Strategic Service)
e con il CIC (Counter Intelligence Corps dell’Esercito) un ben più vasto
programma di operazioni tese innanzitutto a valutare la consistenza dei
movimenti anticomunisti dell’Europa nord-orientale e balcanica e dell’Ucraina
e, successivamente, ad organizzare missioni segrete di appoggio, spionaggio e
ricognizione aerea.
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Trovandosi nella necessità di agire in un
territorio abbastanza sconosciuto ed ovviamente ostile, l’intelligence
britannica e soprattutto statunitense decisero di avvalersi della
collaborazione di esperti degli ex-servizi segreti tedeschi (l’Abwehr) e nella
fattispecie di un valente analista di questioni e problemi politico-militari
dell’oriente europeo, il generale Reinhard Gehlen (1926-1979).
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Donovan nel 1924 |
Il 22 Maggio
1945, Gehlen, già responsabile delle Armate Straniere Est (cioè dei gruppi
volontari baltici, ucraini e russi affiancatisi o entrati a fare parte della
Wehrmacht e delle SS durante la Seconda Guerra Mondiale), si era infatti
consegnato agli americani che lo avevano spedito a Washington da William
Donovan, direttore centrale dell’OSS, con 52 casse contenenti preziosi
documenti riguardanti la composizione e l’attività dei raggruppamenti
nazionalisti ucraini, lituani, lettoni ed estoni e di altre formazioni da
sempre ostili al regime sovietico.
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In breve tempo
Gehlen divenne responsabile della Sezione Affari Sovietici dell’OSS e
successivamente della Central Intelligence Agency (CIA).
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Il 12 luglio
1946, l’ex-ufficiale tedesco tornò in Europa dove creò l’”Organizzazione
Gehlen”, una struttura spionistica alle dirette dipendenze dei servizi
statunitensi.
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Il 1° aprile
1956, l’”Organizzazione Gehlen” passerà sotto il controllo del governo della
Germania Occidentale, contribuendo successivamente alla nascita del Servizio
Informazioni Federale (BND) di cui lo stesso Gehlen, promosso nuovamente
generale, prenderà il comando.
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Gehlen fornì
agli Stati Uniti una notevole quantità di importanti informazioni non soltanto
sui gruppi resistenziali, ma anche sulla situazione socio-politica ed economica
interna di molti territori dell’Europa, delineando lo scenario operativo nel
quale avrebbero dovuto agire le cosiddette unità di intruding, cioè i
reparti che avrebbero avuto il compito di penetrare la Cortina di Ferro.
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E dato il nuovo
evolversi della situazione internazionale, caratterizzato da una sempre più
acuta contrapposizione tra Russia e Occidente, alcuni settori del mondo
politico e militare britannico e statunitense presero al volo l’occasione,
iniziando a premere presso i rispettivi esecutivi affinché si passasse dalla
fase di studio all’azione vera e propria.
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Esaminati con
cura ed uno ad uno i possibili teatri e valutata la disponibilità di elementi
adatti da impiegare per determinate missioni, i britannici giunsero alla
conclusione che l’Albania del dittatore Enver Hoxha – oltre ad alcuni Paesi
Baltici e all’Ucraina – rappresentassero, in ordine di importanza, gli
obiettivi proprietari da perseguire.
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E nella
fattispecie, come si vedrà, sarà proprio l’Albania – considerata a torto
l’anello debole della catena dei paesi comunisti – a fare da sfondo alle prime
infiltrazioni di agenti aventi il compito di prendere contatto con elementi
dissidenti già presenti sul territorio e con essi tentare di destabilizzare il
regime di Tirana.
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Circa le azioni
e le modalità con le quali venne condotta gran parte delle missioni nell’Est
Europa ancora oggi non molto si sa, ad esclusione di quelle organizzate, tra il
1949 e il 1952, proprio in Albania dai britannici e dagli statunitensi (e con
la tacita connivenza dei governi greco, turco e italiano), mediante l’utilizzo
di fuoriusciti albanesi.
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Circa le
numerose operazioni effettuate, tra il 1949 e il 1954, dal SIS e dalla CIA nei
Paesi Baltici e in Ucraina, il materiale disponibile risulta sufficiente per
una prima seria indagine, mentre per altri stati come Romania, Slovenia,
Croazia e Armenia, occorrerà attendere ancora del tempo poiché parte della
documentazione ufficiale risulta ancora depositata negli scantinati dei servizi
segreti sia occidentali sia orientali.
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Dopo la morte
di Stalin (5 marzo 1953) e il conseguente inizio del lento processo di
“disgelo” tra Stati Uniti e Unione Sovietica, gli americani, soprattutto, hanno
ritenuto infatti opportuno secretare gran parte della relativa documentazione.
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La spia Kim Philby |
Ciononostante,
dopo il 1989, dagli stessi archivi statunitensi, moscoviti e degli altri Stati
satellite sono emersi interessanti dossier, utili per comprendere almeno in
parte le modalità e la dinamica di queste operazioni top secret di cui, come
vedremo, i sovietici erano però perfettamente al corrente, grazie alle
informazioni fornite loro da un gruppo di spie (prima fra tutte Kim Philby) da
tempo attive sia nel SIS che nella CIA.
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Per quanto
concerne l’Albania, l’Ucraina, la Romania e i Paesi Baltici, dai dossier russi,
dalle stesse memorie di Philby e dai resoconti di alcuni partigiani
sopravvissuti alla repressione sovietica si è potuto appurare che tra il 1946 e
il 1953 speciali unità aeree anglo-americane paracadutarono effettivamente in
territorio “nemico” un discreto numero di agenti e commando e un certo quantitativo
di armi, munizioni, stazioni radio e materiale propagandistico.
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Nell’ambito di
queste operazioni, da parte occidentale furono reclutati equipaggi e unità di
svariata nazionalità e provenienza (nella fattispecie, vennero ingaggiati
piloti polacchi e cecoslovacchi che durante la guerra avevano militato nella
RAF, e a seconda delle necessità, agenti di nazionalità balcanica, slava e
baltica):
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espediente
necessario in quanto sia l’Inghilterra che gli Stati Uniti non vollero
affrontare quasi mai il rischio di inviare proprio personale la cui eventuale
cattura da parte dei sovietici avrebbe fatto scoppiare una crisi diplomatica
dai risvolti imprevedibili.
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Vedremo in
seguito, a questo riguardo, il “caso” dell’abbattimento avvenuto nel 1952 in
Ucraina del C47 “fantasma” e la successiva protesta all’Onu del rappresentante
Andrei Vysinskiy, che dal 1949 aveva sostituito Molotov, ormai inviso a Stalin,
nella carica di ministro degli Esteri e di presidente del KI (Komitet
Informatzii, il servizio segreto estero sovietico).
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A questo
proposito, appare ormai certo che le principali basi dalle quali operarono le
speciali unità aeree anglo-americane fossero ubicate, per quanto concerne le
missioni condotte nei Paesi Baltici, nell’isola danese di Bornholm (Mar Baltico).
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Mentre per le
operazioni effettuate nell’area ucraina, balcanica e caucasica, la CIA (ma
anche i servizi inglesi e francesi) si avvalsero, rispettivamente, di basi
aeree situate a Malta, in Grecia (nei pressi di Atene), nella Turchia europea,
a Cipro, in Austria (vicino a Klagenfurt) e in Germania, vedi ad esempio quella
di Wiesbaden.
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Negli anni
Ottanta, uno dei primi testimoni a parlare liberamente di queste missioni fu il
colonnello polacco Roman Rudkowski che, tra la seconda metà del 1944 e i primi
anni Cinquanta, effettuò personalmente, a bordo di velivoli anglo-americani,
diversi voli sulla Polonia, nei Paesi Baltici, in Ucraina e in Albania.
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Nelle sue
memorie Rudokowski fece accenno anche a missioni condotte nel 1947 da speciali Douglas
DC3 sulla Romania, e precisamente in Transilvania, a supporto dei diversi
nuclei di partigiani filomonarchici, nazionalisti e appartenenti al vecchio
Partito Contadino operanti in questa ed altre regioni.
Il 18 giugno 1948, l’NSC statunitense (National
Security Council) creò l’OPC (Office of Policy Coordination) con a capo Frank
Wisner.
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L’OPC agiva
come organizzazione indipendente a mezza via tra la CIA e il Dipartimento di
Stato e aveva poteri nel programmare e realizzare attività “extra-legali”.
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Le particolari
e segrete funzioni operative dell’OPC consentivano al governo statunitense di
declinare qualsiasi responsabilità nel caso una o più missioni promosse dallo
stesso OPC venissero alla luce, respingendo nel contempo qualsiasi tipo di
collusione.
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Durante i suoi
quattro anni di esistenza, l’OPC avrebbe favorito l’assistenza ai movimenti di
liberazione formati da rifugiati dell’Est Europa fornendo ad essi diretto
supporto, preoccupandosi anche di tutelare la sicurezza interna di paesi
minacciati dal regime di Mosca.
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Nel luglio
1948, la cosiddetta Operazione Bloodstone, che venne avviata e gestita
da una commissione interdipartimentale nota anche come SANACC 395, autorizzò la
CIA a dare sostegno a qualsiasi iniziativa segreta anticomunista.
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Uno degli
obiettivi di questo gruppo era quello di reclutare gli esuli che erano riusciti
a fuggire dalle zone controllate dall’Unione Sovietica o dai suoi stati
vassalli e trasformarli, se possibile, in agenti al servizio del mondo
occidentale (e degli Stati Uniti, in particolare), impiegandoli in operazioni
di intelligence e guerriglia all’interno dei loro paesi d’origine.
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Nella fattispecie, data la sua forza e la capacità
dei suoi organici, i movimenti di resistenza lituano e romeno vennero
considerati dai vertici dei servizi Usa un bacino ideale dal quale trarre
validi elementi da cooptare e addestrare alla “lotta per la libertà ingaggiata
contro il regime sovietico”.
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Logo OSS |
Il compito di
dirigere questa complessa e segretissima struttura venne affidato ad Harry
Rositzke a Charlie Katek, veterano dell’OSS.
In particolare,
quest’ultimo venne incaricato di sovrintendere all’addestramento delle reclute
fatte confluire nel campo tedesco di Kaufbeuren, situato a circa 150 miglia ad
est di Pfullingen :
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sito militare
presso il quale era anche presente il centro di coordinamento operativo estero
del VLIK (Vyriausias Lietuvos išlaisvinimo komitetas, Comando Lituano
Resistenza all’Estero).
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Per quanto
concerneva l’organizzazione di missioni in territorio controllato dai
sovietici, il principale referente di Katek era George Belic, che doveva
selezionare tra i rifugiati gli elementi più adatti da inviare oltre la Cortina
di Ferro.
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Non a caso,
Belic lavorò in stretto contatto con il reverendo Mykolas Krupavičius e con il
colonnello Antanas Šova, rispettivamente responsabile politico e comandante
militare del VLIK di Pfullingen.
In ordine
cronologico, il SIS britannico fu il primo organo segreto ad agire in Europa
orientale, nella fattispecie in Albania, Iugoslavia, Polonia ed Estonia, anche
se, come avremo modo di vedere, con esiti abbastanza disastrosi, non tanto
attribuibili ad una scarsa preparazione dei quadri e dei reparti, ma alla
estrema e sconcertante permeabilità dello stesso servizio segreto britannico,
minato, già a partire dalla fine degli anni Trenta, dalla presenza al suo
interno di svariati agenti al servizio di Mosca :
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primo fra tutti
Philby (che, dopo molti anni di indisturbata attività, si sarebbe poi
trasferito in Urss diventando colonnello del KGB).
I danni causati
da Philby e da alcuni altri agenti doppiogiochisti inglesi al SIS, ma anche
all’OPC e successivamente alla CIA, risultarono enormi.
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Essendo stato
distaccato, nel 1948, a Washington, con il compito di coordinare gli sforzi
congiunti tra l’intelligence inglese e statunitense per sovrintendere
le operazioni di sostegno ai movimenti partigiani dell’Europa Orientale, Philby poté infatti fornire al Cremlino preziose informazioni circa la struttura e i
piani dei servizi occidentali :
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informazioni
che permisero ai sovietici di sventare la quasi totalità delle missioni di intruding
in territorio russo e non solo.
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Va ricordata, a
questo proposito, l’attività propagandistica svolta, a partire dal febbraio del
1947, da “Voice of America”, la potente emittente radiofonica statunitense
creata nel 1942 dall’Office of Wartime Information per fare giungere notizie
nell’Europa occupata dai tedeschi.
L’emittente,
rimasta attiva per molti anni, si avvalse di trasmittenti ad onde corte della
CBS e della NBC.
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Oltre
all’attività anglo-americana, va rammentato che nel secondo dopoguerra anche la
Francia cercò di mettere in piedi un’organizzazione, dipendente dai Servizi di
Sicurezza, atta ad operare in Europa Orientale.
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A questo
proposito si è appreso dell’esistenza, intorno al 1950, di un sito operativo
segreto ubicato a Luzarches.
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Da questa
località, tra il 1949 e il 1954, bimotori Douglas DC3 privi di insegne
si spostarono abbastanza regolarmente sugli aeroporti di Innsbruck (Austria) e
Lahr (Germania occidentale), dai quali decollarono alla volta della Polonia e
dell’Ucraina per paracadutare agenti e materiale propagandistico da distribuire
alle popolazioni locali.
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Sembra comunque
che gran parte di queste operazioni abortì a causa della presenza, anche nei
servizi transalpini, di agenti russi infiltrati.
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Per la cronaca,
perfino l’Italia contribuì, seppure in maniera marginale, all’attività di
sostegno ai movimenti anticomunisti dell’Est Europa.
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Nella
fattispecie, il SIFAR (Servizio Informazioni unificate delle Forze Armate) si
occupò del reclutamento e dell’addestramento di volontari albanesi da
utilizzare per tentare di rovesciare il regime del dittatore Enver Hoxha.
Sembra a questo
proposito che, tra il 1949 e il 1952, appositi centri di addestramento commando
sorsero nelle province di Napoli e Bari.
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Si hanno anche
notizie, seppure non confermate, circa l’impegno congiunto tra servizi segreti
italiani e Vaticano espletato, tra il 1945 e il 1947, in appoggio ai partigiani
croati e sloveni krizari (crociati) impegnati contro le forze titine.
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Come è noto, il
SIFAR era un organismo suddiviso in due sezioni (spionaggio e
controspionaggio).
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Nel 1964, dopo
le vicende legate al Piano Solo, questa struttura venne messa in discussione
per poi essere disciolta definitivamente nel 1966 e sostituita dal SID
(Servizio Informazioni Difesa).
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Dopo il 1954,
tutte le iniziative occidentali mirate a sostenere la resistenza d’oltre
cortina vennero però sospese, sia in seguito al progressivo indebolimento dei
movimenti stessi, sia in concomitanza del “disgelo” avviatosi con l’era
Kruscev.
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Nikita Kruscev |
Come è noto,
Nikita Kruscev rinnegò e condannò lo stalinismo, dando inizio ad una fase
relativamente meno dura della dittatura sovietica ;
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atteggiamento
che indusse Washington a frenare e poi sospendere l’attività dell’OPC, che era
stato istituito nel 1948 per cercare di staccare alcune parti dell’Europa
orientale dal controllo sovietico.
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Nel 1954, agli
americani – che nel frattempo avevano iniziato a “ripulire” i propri servizi da
elementi diciamo “indesiderati” – apparve ormai chiaro che qualsiasi tentativo
di destabilizzazione interna dell’Urss, attraverso l’appoggio ai movimenti
armati, si sarebbe rivelato non soltanto irrealizzabile, ma politicamente
inopportuno.
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Non a caso, i
vertici della CIA, che nel frattempo aveva assorbito l’OPC, ricevettero da
Washington l’ordine di ridimensionare la propria attività offensiva,
dedicandosi con maggiore energia e con nuove modalità operative in programmi
meno compromettenti” (1).
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La nuova situazione politica venutasi a creare a
Mosca consigliò infatti opzioni differenziate e più caute, anche se all’inizio
degli anni Sessanta, con la crisi di Cuba e dei missili, tutto sembrò
precipitare, a tal punto che a Washington si pensò di ritornare, con rinnovato
e maggiore vigore, alla strategia offensiva preventiva, almeno per quanto
concerneva l’azione di intelligence.
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NOTE:
(1)
Il 26 luglio 1947, con la firma
da parte del presidente Truman del National Security Act, il CIG (Central
Intelligence Group) divenne Central Intelligence Agency (CIA) e venne creato
anche un Consiglio per la Sicurezza Nazionale (National Security Council, NSC).
Il 19 novembre 1947, l’NSC emanò la direttiva NSC-4, che conferiva alla CIA il
potere di organizzare ed intraprendere una massiccia propaganda anticomunista
all’estero. Nella fattispecie, un paragrafo segreto autorizzava il direttore
della CIA a condurre una guerra psicologica sotterranea utilizzando fondi
extra-bilancio. Per adempiere a tale direttiva, fu creato in seno alla CIA
l’OSO (Office of Special Operations), a capo del quale fu posto il capo della
divisione sovietica del CIG, Harry Rositzke.
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Dissenso
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