L'autore, Giovanni Morandi, delinea un quadro chiarissimo di come perfino un Premio Nobel per la letteratura come Aleksandr Solzenicyn abbia dovuto subire le persecuzioni di un regime che fagocitava qualsiasi cosa, anche l'espressione di pensiero e di parola : quello comunista.
Anche oggi, pur metamorfizzato il comunismo continua la sua opera di sopraffazione, e lo dimostra l'atteggiamento di Putin, arrogante e pretestuoso verso chi denuncia le atrocità del comunismo.
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FINE GULAG MAI
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da
: “il Resto del Carlino” sabato 29 luglio 2017
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Torna
in edizione integrale il primo libro di Solzenicyn che descrisse il dramma dei
campi di lavoro sovietici.
Ma
oggi in Russia il dissidente e premio Nobel viene ancora accusato di aver
tradito la patria.
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di
GIOVANNI MORANDI
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Quando
il dispotismo invade ogni momento della vita e ogni angolo del pensiero non
deve stupire se per valutare l’opportunità di pubblicare un racconto venga
coinvolto il capo dello Stato.
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Il
quale prima fu autorizzato e poi fu perseguitato e non perché avesse cambiato
il contenuto ma semplicemente perché era mutata la linea politica del Cremlino.
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Caso emblematico di un mondo dove l’insicurezza era
padrona e l’arbitrio era al comando tant’è che poteva essere raddoppiata o
triplicata la pena ai condannati senza che fosse dovuta a loro una pur minima
spiegazione.
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Un’incertezza
nell’esistenza che coinvolgeva perfino la lingua nella quale sono forgiati due
termini per indicare la stessa parola, e che parola !, ovvero “verità”.
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Il
termine “istina” corrisponde ad una verità quale risulta da una determinata
esperienza e invece “pravda” è la verità superiore, anzi assoluta e
incontaminabile dalle singole verità individuali.
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E
fu questa doppiezza che trasformò in complici dei loro carnefici tanti
comunisti, milioni di comunisti, che
vennero fucilati o mandati a morire in Siberia e che creparono considerando la
propria condanna un errore, un caso particolare, un’eccezione che non inficiava
la grandezza dell’ideologia su cui poggiava la verità del sistema.
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Nikita Chruscev |
Dunque
Solzenicyn scrisse Ivan Denisovic in quaranta giorni tra il maggio e il giugno
del ’59 e lo tenne nel cassetto un paio di anni fino a dopo l’ottobre del 1961,
mese in cui si tenne il famoso XXII Congresso del Pcus, quando Chruscev sferrò
l’attacco a Stalin.
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A
quel punto il dattiloscritto, sia pure privo di firma, tramite un’amica dello
scrittore, arrivò nelle mani di Alexandr Tvardovskij, direttore della rivista
letteraria “Novi Mir”.
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A
dicembre l’autore fu invitato nella redazione e l’incontro si concluse con la
firma di un buon contratto che prevedeva un compenso pari a due anni dello
stipendio che Solzenicyn percepiva come insegnante.
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Seguì
una serie di incontri per apportare correzioni di varia natura anche politica
al testo fino a che nell’agosto del ’62 il dattiloscritto con una prefazione
del direttore fu inviato al segretario generale del partito, massima autorità
dell’Urss, Nikita Chruscev, il quale però non fidandosi completamente del
proprio giudizio pretese il parere del Comitato centrale del Pcus, che venne
convocato con questo preciso scopo e che alla fine si espresse con un giudizio
positivo.
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Sembra
una follia ma così funzionava l’Urss.
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Il
20 ottobre Chruscev convocò Tvardovskij al Cremlino e gli comunicò il suo
consenso.
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Esattamente
un anno dopo il libro compariva tra i candidati al prestigioso Premio Lenin e
però poi, cambiando il vento, venne ritirato.
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Leonid Breznev |
Chruscev
cadde in disgrazia e nell’ottobre dello stesso anno fu sostituito da Leonid
Breznev, espressione delle più retrive gerarchie sovietiche.
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Nel
’70 Solzenicyn ricevette il Nobel per la letteratura e quattro anni dopo le sue
opere vennero ritirate su tutto il territorio sovietico e lui fu espulso
dall’Urss.
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Solo
poco prima della dissoluzione dell’Unione “Una giornata di Ivan Denisovic” ricomparve
nelle librerie di Mosca.
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Un
capitolo non completamente chiuso visto che qualche anno fa venne riaperto dal
consigliere di Putin, Juri Poljakov.
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Parole
in libertà che successivamente Poljakov corresse pur confermando la sua
antipatia per l’autore di “Arcipelago Gulag”, da lui definito “persona umorale,
controversa e contradditoria”.
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Una
polemica di basso rango certamente non paragonabile alla censura che era in uso
nei vecchi tempi sovietici.
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Dissenso
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