domenica 30 luglio 2017

IVAN DENISOVIC

Propongo la lettura del seguente articolo, tratto da : "il Resto del Carlino" di Bologna.
L'autore, Giovanni Morandi, delinea un quadro chiarissimo di come perfino un Premio Nobel per la letteratura come Aleksandr Solzenicyn abbia dovuto subire le persecuzioni di un regime che fagocitava qualsiasi cosa, anche l'espressione di pensiero e di parola : quello comunista.
Anche oggi, pur metamorfizzato il comunismo continua la sua opera di sopraffazione, e lo dimostra l'atteggiamento di Putin, arrogante e pretestuoso verso chi denuncia le atrocità del comunismo.
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FINE GULAG MAI
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da : “il Resto del Carlino” sabato 29 luglio 2017
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Torna in edizione integrale il primo libro di Solzenicyn che descrisse il dramma dei campi di lavoro sovietici.
Ma oggi in Russia il dissidente e premio Nobel viene ancora accusato di aver tradito la patria.
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di GIOVANNI MORANDI
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Quando il dispotismo invade ogni momento della vita e ogni angolo del pensiero non deve stupire se per valutare l’opportunità di pubblicare un racconto venga coinvolto il capo dello Stato.
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E’ quello che accade ad “Una giornata di Ivan Denisovic”, sulle condizioni di vita nel gulag, titolo ripubblicato oggi in edizione integrale da Einaudi, che fece conoscere al mondo Aleksandr Solzenicyn.
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Il quale prima fu autorizzato e poi fu perseguitato e non perché avesse cambiato il contenuto ma semplicemente perché era mutata la linea politica del Cremlino.
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Caso emblematico di un mondo dove l’insicurezza era padrona e l’arbitrio era al comando tant’è che poteva essere raddoppiata o triplicata la pena ai condannati senza che fosse dovuta a loro una pur minima spiegazione.
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Un’incertezza nell’esistenza che coinvolgeva perfino la lingua nella quale sono forgiati due termini per indicare la stessa parola, e che parola !, ovvero “verità”.
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Il termine “istina” corrisponde ad una verità quale risulta da una determinata esperienza e invece “pravda” è la verità superiore, anzi assoluta e incontaminabile dalle singole verità individuali.
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E fu questa doppiezza che trasformò in complici dei loro carnefici tanti comunisti, milioni  di comunisti, che vennero fucilati o mandati a morire in Siberia e che creparono considerando la propria condanna un errore, un caso particolare, un’eccezione che non inficiava la grandezza dell’ideologia su cui poggiava la verità del sistema.
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Nikita Chruscev
Dunque Solzenicyn scrisse Ivan Denisovic in quaranta giorni tra il maggio e il giugno del ’59 e lo tenne nel cassetto un paio di anni fino a dopo l’ottobre del 1961, mese in cui si tenne il famoso XXII Congresso del Pcus, quando  Chruscev sferrò l’attacco a Stalin.
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A quel punto il dattiloscritto, sia pure privo di firma, tramite un’amica dello scrittore, arrivò nelle mani di Alexandr Tvardovskij, direttore della rivista letteraria “Novi Mir”.
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A dicembre l’autore fu invitato nella redazione e l’incontro si concluse con la firma di un buon contratto che prevedeva un compenso pari a due anni dello stipendio che Solzenicyn percepiva come insegnante.
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Seguì una serie di incontri per apportare correzioni di varia natura anche politica al testo fino a che nell’agosto del ’62 il dattiloscritto con una prefazione del direttore fu inviato al segretario generale del partito, massima autorità dell’Urss, Nikita Chruscev, il quale però non fidandosi completamente del proprio giudizio pretese il parere del Comitato centrale del Pcus, che venne convocato con questo preciso scopo e che alla fine si espresse con un giudizio positivo.
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Sembra una follia ma così funzionava l’Urss.
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Il 20 ottobre Chruscev convocò Tvardovskij al Cremlino e gli comunicò il suo consenso.
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Esattamente un anno dopo il libro compariva tra i candidati al prestigioso Premio Lenin e però poi, cambiando il vento, venne ritirato.
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Leonid Breznev
Chruscev cadde in disgrazia e nell’ottobre dello stesso anno fu sostituito da Leonid Breznev, espressione delle più retrive gerarchie sovietiche.
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Nel ’70 Solzenicyn ricevette il Nobel per la letteratura e quattro anni dopo le sue opere vennero ritirate su tutto il territorio sovietico e lui fu espulso dall’Urss.
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Solo poco prima della dissoluzione dell’Unione “Una giornata di Ivan Denisovic” ricomparve nelle librerie di Mosca.
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Un capitolo non completamente chiuso visto che qualche anno fa venne riaperto dal consigliere di Putin, Juri Poljakov.
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Criticò  che le opere di Solzenicyn venissero studiate a scuola e lanciò delle accuse strampalate allo scrittore come quella di “aver abbandonato il suo paese (in realtà fu espulso) e di essersi appellato agli americani perché dichiarassero guerra alla Russia”.
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Parole in libertà che successivamente Poljakov corresse pur confermando la sua antipatia per l’autore di “Arcipelago Gulag”, da lui definito “persona umorale, controversa e contradditoria”.
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Una polemica di basso rango certamente non paragonabile alla censura che era in uso nei vecchi tempi sovietici.
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Dissenso
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giovedì 27 luglio 2017

L'ITALIA DELLO SFASCIO


Un bellissimo articolo di Antonio Serena, tratto da Liberaopinione e pubblicato sui Quaderni culturali delle Venezie.
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L'autore evidenzia lo sfacelo che la sinistra ha prodotto e continua a produrre quotidianamente nel nostro Paese, celando i suoi misfatti dietro le farneticazioni della Boldrini e di quanti, come lei, si accaniscono contro i fantasmi del passato, nascondendo però gli spettri del comunismo e le sue orribili malefatte.
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Si rifugge da un fascismo di cui però ancora oggi godiamo le prerogative rimaste, mentre rimpiangiamo quelle distrutte dal bieco nichilismo delle sinistre.
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IL CIRCO “FIANO-BOLDRINA” NELL’ITALIA DELLO SFASCIO
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Tira evidentemente una brutta aria in questo paese, ma sembra che in alto siano in pochi a preoccuparsene e si preferisca parlar d’altro.
Solo in un paese malconcio culturalmente si possono dedicare interi telegiornali alle boutades di parlamentari da operetta, alle baruffe tra partiti e alla cronaca nera dimenticando i dati sulla disoccupazione, la miseria che avanza, il disgregamento di ogni valore etico.

Solo in un paese malato si può continuare a   parlare di politica, di alleanze e di elezioni senza pensare che le elezioni sono alle porte e non si è ancora deciso con che sistema andare a votare.
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Quello che sta accadendo non appartiene al caso, ma ad un disegno preciso, promosso dai “poteri forti”, condiviso dalla classe dirigente politica e sostenuto dai mezzi di distrazione di massa.
Massacro della famiglia, ius soli, teorie gender, invasioni barbariche, distruzione del lavoro, massacro delle classi medie, disoccupazione giovanile, povertà montante, banche che spogliano i clienti senza risarcirli e vengono salvate dal governo, creazione di governi formati all’ultimo momento con  yes men  nati dal nulla, in Francia come nel resto dell’ Europa, campagne mediatiche contro il concetto nobile di politica che dovrà essere sostituita dai robot della Grande Finanza sono tutti bagagli del Progetto Mondialista nato nella sua forma più moderna ai primi del Novecento dalla mente di Richard Kalergi, padre di questa forma perversa di Unione Europea fondata sull’abolizione delle Sovranità Nazionali e guidata dalla speculazione finanziaria.
Cioè, come ha ben precisato G. Brock Chisholm, ex direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), promuovere matrimoni misti tra razze diverse per indebolirle “in vista di creare una sola razza in un mondo unico dipendente da un’autorità centrale”.
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Queste emergenze dovrebbero essere risolte con atti coraggiosi e decisioni imperiose, ma la politica e i suoi servi parlano d’altro.
Quello che conta, per loro, è che si proibisca la vendita dei busti di Mussolini o che dei ragazzi salutino i loro morti in cimitero con il saluto romano ;
o che a Monza venga eletto assessore allo sport un militante dell’estrema destra ;
o che nel mantovano una ragazza di vent’anni venga eletta in consiglio comunale con la “Lista dei Fasci del Lavoro”, o che a Chioggia un albergatore, in uno spazio privato da lui gestito esponga delle scritte inneggianti al duce, all’ordine e alla pulizia.
Un caso «raccapricciante», lo ha definito il questore di Venezia, Vito Danilo Gagliardi.
Ma dai.
Poco tempo fa un giornale veneziano titolava :
“Mestre sempre più invivibile, spacciatori e delinquenza : non si può uscire di casa”.
Per la sorte di questi cittadini il questore non si raccapriccia ?
Eppure a “Punta Canna” di Sottomarina tutto è pulito e la gente non delinque come nei quartieri dello spaccio.
E come mai lì si corre a smontare il teatrino del ventennio in un attimo e di là, dove si delinque veramente, non si fa niente di concreto ?
Ma la priorità per gli addetti all’ordine pubblico è il “delitto d’opinione” o la guerra alla criminalità ?
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La verità è un’altra.
Nonostante le cortine fumogene della “ripresa imminente” e della “crescita + 0.2”, tutti o quasi sono ormai consci di vivere una moderna catastrofe gestita da una manina occulta che potete chiamare come volete – Bilderberg, grossa finanza, finanza usuraia – e che racchiude, ieri come oggi, il peggio della feccia mondialista di tutti i tempi.
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Guai a chi pensa che il problema sia rappresentato dal pollo da batteria della comunità ebraica Emanuele Fiano o dalla presidenta  Laura Boldrina, le cui manifeste stupidità potrebbero anche rappresentare un intralcio ai progetti dei loro  superiori.
Il problema non è un Fiano che presenta un disegno di legge fasullo incompatibile con l’art. 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero e nemmeno una Boldrini che gli va dietro predicando l’abbattimento delle opere d’arte del fascismo in Italia.
E’ giusto che si facciano notare :
sono pur sempre gli eredi di quel partito comunista che riuscì a massacrare un milione di persone in mezzo secolo per creare paradisi di fame e di orrori in tutto il mondo.
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Il problema è quello di trovare sempre nuove “teste di cuoio” disponibili a far baccano con pentole e mestoli per cercare di distrarre la gente dalla catastrofe in corso in tutti i campi per evitare che magari facciano dei naturali confronti tra questo regime di autonominati e quello di Mussolini che nel 1924 le elezioni le stravinse e che le opere le portò a termine  in modo ineccepibile dal momento che, a settant’anni dalla caduta del fascismo, circa il 70% delle leggi in vigore sono ancora le stesse di allora, non essendo stati capaci, i governi democratici, di sostituirle con delle migliori.
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Che questo regime sia inviso alla maggioranza degli italiani è dimostrato non dai cali elettorali della sinistra o della destra (espressioni prive di significato in un tempo in cui il nuovo segretario del vecchio partito comunista è un turboliberista come Renzi), ma dalla disaffezione del popolo a questo baraccone che ha saputo creare solo miseria e infelicità.
I dati che dimostrano l’abisso pauroso che c’è tra classe politica e popolo non sono gli spostamenti elettorali, ma il continuo calo dei votanti, ridotti a meno della metà del corpo elettorale.
Chiedetene il motivo magari ai terremotati del centro Italia che, a distanza di un anno dal sisma e nonostante la valanga di miliardi piovuti da ogni parte, vedono che il Governo dei Nominati non ha provveduto nemmeno a far togliere le macerie dalle strade, mentre nel 1930, dopo il terremoto delle Vulture, il governo Mussolini in 3 mesi costruì 3.746 case e ne ricostruì 5.190.
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Distrugga pure la talebana Boldrina l’obelisco di Mussolini, le città edificate dal fascismo, le bonifiche, i parchi naturali. Annulli la Mostra del Cinema di Venezia e bruci pure i quadri di Mario Sironi, Depero e Marinetti, così come i suoi compari hanno condannato all’esilio culturale nel dopoguerra letterati e artisti di levatura mondiale ma politicamente scorretti come Giuseppe Berto e Alberto Burri.
Tolga anche le assicurazioni obbligatorie per le malattie professionali, l’assistenza ospedaliera per i meno abbienti, l’INAM, l’INPS, la settimana lavorativa di 40 ore, gli assegni famigliari, i premi alle famiglie numerose, le riforme della scuola e quelle del diritto, le pensioni, le liquidazioni, le tredicesime, gli uffici di collocamento, le tredicesime.
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Ai tempi della mia gioventù si diceva :
“Quando il dito indica il cielo, l’imbecille guarda il dito”.
Fiano, Boldrine e compari del governo arcobaleno continuano a cazzeggiare invitando gli italiani a crederci, ad andare avanti, come l’orchestrina del “Titanic” spronata a suonare mentre il transatlantico si inabissava per far convinti i passeggeri che non stava accadendo nulla.
Ma lorsignori sanno benissimo che non ci saranno scialuppe per tutti.
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postato da Dissenso
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martedì 25 luglio 2017

UNA CINICA ELITE AL POTERE

Propongo di seguito un bellissimo articolo scaturito dalla penna del Professor Francesco Lamendola, fine intellettuale e autore illuminato dei nostri tempi, che ci illustra le tematiche relative agli sconvolgimenti finanziari mondiali, frutto di una vera e propria rivoluzione.
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Attori principali sono i personaggi politici legati al mondo delle sinistre, la cui metamorfosi nascendo da una palesata volontà di ridistribuzione della ricchezza, di origine marxista, conduce ad una spregiudicata manipolazione planetaria per inglobare tali ricchezze, parassitando l'intera società.
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Ecco l'articolo :
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UNA CINICA ELITE AL POTERE
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Una nuova classe decide il destino del pianeta

di

 Francesco Lamendola
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Sono almeno tre le crisi finanziarie che hanno sconvolto il mondo dopo quella, tristemente famosa, del 1929 :
quella del 1987, quella del 2002 e quella del 2007, dalle cui tremende conseguenze non ci siamo ancora interamente ripresi, né, forse, ci riprenderemo mai del tutto.
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Ciascuna di esse è nata da una bolla speculativa, o da un insieme di bolle speculative ;
ciascuna di esse non ha avuto origine da una reale crisi industriale o produttiva, ma esclusivamente da un eccesso di speculazione finanziaria, che, poi, si è trasformata anche in crisi del sistema industriale e produttivo ;
e ciascuna di esse è passata tranquillamente sulla testa dei politici, rivelandone la totale impotenza, e ha distrutto il risparmio e la ricchezza reale delle persone, causando, nello stesso tempo, il realizzarsi d’immense e improvvise fortune da parte di soggetti come le banche, ma anche i tecnici, gli operatori finanziari, gli “esperti” che ruotano attorno ad esse e che lavorano in Borsa, i quali non svolgono alcun ruolo nella produzione della ricchezza reale e che, perciò, è corretto classificare alla stregua di mostruosi parassiti della società e dell’economia mondiale.
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Tutto ciò ha un sapore rivoluzionario.
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Una rivoluzione consiste, a livello ideologico, nell’imposizione di un cambio di paradigma culturale ;
a livello materiale, in una gigantesca ridistribuzione della ricchezza e, quindi, nella nascita di una nuova classe proprietaria, o nel suo enorme rafforzamento ;
e, per converso, nell’impoverimento delle classi preesistenti, alle quali viene sottratta la disponibilità del grande capitale.
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La cultura dominante negli ultimi decenni ci ha abituati a pensare che la rivoluzione sia necessariamente una cosa di “sinistra” e sia l’attuazione violenta di un progresso ormai indilazionabile, al quale le forze della conservazione si erano inutilmente opposte ;
ebbene, questa vecchia idea non corrisponde alla realtà, ed è tempo di sbarazzarsene.
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La rivoluzione è essenzialmente un fatto tecnico e si realizza attraverso modalità tecniche :
tanto è vero che hanno successo le rivoluzioni nelle quali le forze del cambiamento sanno usare con rapidità, decisione e spregiudicatezza le tecniche della presa del potere ;
falliscono quelle in cui ciò non avviene.
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Dobbiamo perciò spogliarci dell’idea romantica della rivoluzione e vederla essenzialmente  nella sua vera natura di tecnica della forza.
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A decidere le rivoluzioni è la tecnica, nel senso più ampio della parola :
anche reperire i finanziamenti per preparare il terreno, agire attraverso la propaganda, corrompere le forze avverse, minare le basi dell’ordine sociale, rientra in una strategia di tipo tecnico.
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Per fare un esempio, si pensi agli aiuti logistici (il famoso “vagone piombato”) e ai cospicui finanziamenti forniti dal governo del kaiser Guglielmo II a Lenin e ai bolscevichi, in vista della Rivoluzione d’ottobre.
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Il regista di tutta quella operazione fu Parvus, un magnate ebreo russo divenuto cittadino tedesco, dal passato rivoluzionario e, a suo modo, sincero ammiratore di Lenin :
era un tecnico nel senso che qui intendiamo, cioè un uomo d’affari senza scrupoli, che aveva fatto un sacco di soldi con oscure operazioni finanziarie, e che giudicava Lenin in senso puramente tecnico.
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Egli seppe cioè vedere con sicuro intuito, in quell’uomo ormai anziano e malato, che viveva isolato, in esilio, e che aveva apparentemente fallito la sua missione di rivoluzionario, il solo capace, in mezzo a tanti velleitari parolai, di prendere il potere in Russia, se gli fossero stati forniti i mezzi per arrivarci e diffondervi le sue parole d’ordine.
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Un altro esempio, su un piano parzialmente diverso, è dato da ciò che è accaduto nella Chiesa cattolica durante e dopo il Concilio Vaticano II :
l’introduzione surrettizia della rivoluzione modernista, realizzata – con suprema abilità – senza che la stragrande maggioranza dei fedeli se ne sia accorta, almeno sul momento.
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Eppure, anche quella fu una rivoluzione :
una rivoluzione religiosa, culturale e spirituale, anche morale ;
ma sempre una rivoluzione.
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I princìpi rivoluzionari sono stati introdotti dentro la Chiesa per opera della Chiesa stessa, osservò, lucidamente, monsignor Lefebvre :
ma il cambio di paradigma fu così abile e netto, da far sì che la rivoluzione venisse percepita come un necessario e benefico “aggiornamento” dell’esistente, non come la distruzione e l’azzeramento di quest’ultimo.
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E ad attuare quella rivoluzione, che prosegue tuttora a ritmo sempre più serrato (ci vuole comunque del tempo per azzerare duemila anni di tradizione!), sono stati, ancora una volta, i “tecnici”:
vale a dire i teologi, o meglio, i teologi di tendenza modernista, cioè gli eredi di quel modernismo che san Pio X aveva solennemente denunciato come eretici e scomunicato mezzo secolo prima.
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Una rivoluzione, inoltre, è attuata da un soggetto ben preciso :
una classe sociale emergente, smaniosa d’impadronirsi di tutto il potere, sia quello economico-finanziario, che è il suo vero obiettivo, sia quello politico e culturale, che ne è lo strumento necessario – o, almeno, lo era per le rivoluzioni del passato.
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Oggi il quadro è cambiato, perché, in una società sempre più tecnica come la nostra, e con una economia sempre più di tipo finanziario e tendenzialmente speculativo, invece che produttivo (oltre il 95% dell’economia mondiale non consiste di beni e servizi reali, né esiste, da alcuna parte, la massa di denaro reale che possa garantirne l’eventuale solvibilità, perché nessuno si è dato la pena di stamparlo), chi vuol fare la rivoluzione non ha più bisogno di prendere materialmente il potere perché, tanto, controllando le borse e il mercato, il potere politico lo tiene già sotto controllo, come un cagnolino al guinzaglio.
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Ora, la classe naturalmente rivoluzionaria dei nostri giorni è quella dei tecnici che lavorano, direttamente o indirettamente (come i pubblicitari o i dipendenti delle agenzie di sondaggi e di rating) nel settore finanziario e speculativo, i quali, stanchi di operare per conto terzi, si sono dati a lavorare in proprio.
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Padroneggiando i meccanismi con i quali è possibile orientare, manipolare e drogare opportunamente il mercato, provocando oscillazioni mirate degli indici di borsa e realizzando fantastici guadagni grazie alla rapidità con cui comprano e vendono le azioni, essi sono in grado di padroneggiare, alla lettera, i destini del mondo :
determinando espansione o recessione, crisi, bancarotte, collassi o impennate di singole aziende quotate in Borsa, di singoli Stati, o anche della Borsa nel suo insieme.
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E ciò a livello planetario, perché l’economia globalizzata è planetaria :
tipico esempio, il Lunedì nero del 19 ottobre 1987, quando il tracollo della Borsa di Hong Kong ebbe effetti a catena che coinvolsero tutte le altre Borse del mercato mondiale, a cominciare dall’Europa e gli Stati Uniti, cioè dalle aree finanziariamente più sensibili dell’intero pianeta.
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La sola importante differenza con le classi rivoluzionarie del passato è che quella odierna, diversamente da tutte le precedenti, non solo ambisce alla ricchezza altrui, ma non ha una sua ricchezza da mettere in gioco :
costruisce le proprie fortune sul nulla e quindi non rischia niente, non avendo niente da rischiare.
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Il che significa che è una classe parassitaria al cento per cento :
prende, ma senza dare alcunché.


E dal punto di vista ideologico, in che cosa questa nuova classe di “tecnici” può considerarsi rivoluzionaria ?
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Lo può, in un duplice senso :
direttamente, perché una classe che sovverte l’ordine mondiale e si impadronisce di gran parte della ricchezza, a spese delle altre, è praticamente obbligata a elaborare una ideologia “rivoluzionaria”, e sia pure nel senso più egoistico, ristretto e meschinamente materiale che sia dato immaginare ;
in questo caso, la ricchezza per la ricchezza, il potere per il potere.
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In fondo, è un’ideologia anche questa :
l’ideologia che meglio esprime la “cultura” di questa tarda modernità, e che, a ben guardare, non fa che portare all’esasperazione e al parossismo degli elementi che già esistevano, anzi, che già erano essenziali all’ideologia moderna, ben prima che si innescassero i grandi processi speculativi del XX e del XXI secolo.
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E lo può indirettamente, perché molti di questi “tecnici” hanno un background culturale di sinistra, marxista o addirittura libertario ;
sono figli del ’68 e di quella cultura rivoluzionaria, allora ancor malata di romanticismo.
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Oggi, guariti dal romanticismo, molti di quei giovani sono gli uomini di potere della new economy (o magari i loro figli, cresciuti in quella mitologia politica):
non tanto i proprietari, ripetiamo, quanto gli esperti, i consulenti, gli operatori di borsa, i responsabili del marketing, gli esperti delle tecniche pubblicitarie.
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Chi riesce a controllare la pubblicità, controlla l’immaginario collettivo ;
chi controlla l’immaginario collettivo, controlla i meccanismi psicologici, e quindi gli stili di vita, anche finanziari, degli abitanti del pianeta Terra.
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È da un pezzo, del resto, che gli ex rivoluzionari comunisti si sono convertiti al liberismo più estremo, al capitalismo più speculativo e selvaggio :
basta osservare chi guida le politiche della sinistra occidentale, da alcuni decenni a questa parte, e quali sono le sue ricette per uscire dalla crisi ;
non quelle sbandierate nei comizi e nelle manifestazioni sindacali, beninteso, ma quelle concretamente attuate, allorché quei signori sono portati al governo dalla inconsapevolezza del corpo elettorale, che continua a votarli, non essendosi accorto della loro mutazione genetica.
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la metamorfosi

Magari li vota perché, poveretto, gli è stato detto che solo così si potrà fermare il “populismo”, nuova versione dell’intramontabile spauracchio un tempo chiamato “fascismo”:
vedi come i partiti della sinistra francese hanno invitato i loro elettori a votare per Macron - l’uomo delle banche ! - pur di fermare la Le Pen (e vedi però come molti operai, meno sprovveduti di quel che pensavano i loro referenti politici, hanno fatto il contrario).
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Scrive Giulietto Chiesa - uno dei non molti giornalisti di estrazione marxista che siano, al tempo stesso, onesti e indipendenti nelle analisi e nei giudizi, e perciò appunto finito nel mirino della disinformazione politically correct - nel libro “Superclan. Chi comanda l’economia mondiale ?”, scritto in collaborazione con Marcello Villari (Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 23-24) :
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Una nuova classe si aggira per il pianeta.
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I primi di questa nuova classe, i Ceo statunitensi  [gli amministratori delegati] hanno commesso la più gigantesca truffa mai immaginata ai danni di milioni di risparmiatori americani, violando le leggile leggi e le regole del mercato mentre ne esaltavano le virtù, distorcendone fino all’inverosimile i meccanismi, usando nel più spregiudicato dei modi i sistemi d’informazione  e di comunicazione resi disponibili dalle nuove tecnologie per trarre in inganno i cittadini, utenti inconsapevoli dl sistema mediatico, consumatori indifesi, risparmiatori ciechi.
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Ora è evidente che, senza l’ideologia della crescita infinita, del capitalismo ormai liberato per sempre dalle crisi cicliche,  della new economy come nuova Bengodi, non sarebbe stato possibile creare e gonfiare a dismisura le bolle speculative a Wall Street e nelle altre Borse valori, coinvolgendo milioni e milioni di risparmiatori nella più fantastica – in senso proprio e figurato – orgia finanziaria nella storia del capitalismo.
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Come avrebbe fatto altrimenti questa nuova classe a convincere tanta gente della “scientificità” delle sue analisi e delle sue previsioni di una crescita senza limiti ?
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E come avrebbe potuto, senza la potenza dei sistemi mediatici,  mantenere la sua credibilità così a lungo,  anche quando il boom speculativo stava rivelando tutte e sue crepe, anche quando le previsioni cominciavano a mostrarsi per quello che erano, costruzioni prive di fondamento ?
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Come avrebbero potuto, analisti e consulenti, vendere impunemente azioni di aziende  fino a un minuto prima dell’annuncio della loro bancarotta, liberandosene in tutta fretta mentre convincevano gli altri ad acquistarle ?
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Bancarotta certa, ma nota solo a chi l’aveva fraudolentemente procurata. […]
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Nel 1995, il sociologo americano Christopher Lasch ha fornito una prima descrizione di questa classe nel suo libro ”La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia”.
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Studiando il decadimento della mitica classe media americana, Lasch parla della nascita di una nuova classe.
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I suoi mezzi di sussistenza non dipendono tanto dalla proprietà, quanto, in primo luogo, dall’abilità nel trattare le informazioni  e, in secondo luogo, dalla qualificazione professionale, intesa come  capacità di vendere sul mercato le proprie competenze.
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”Ciò li distingue dalla vecchia classe proprietaria della fase precedente del capitalismo – scrive Lasch – perché hanno capito che le basi per far crescere il loro potere sono in primo luogo l’istruzione e la formazione.
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La nuova classe abbraccia una grande varietà di professionisti :
agenti di Borsa, banchieri, consulenti, scienziati, medici, giornalisti, editori, pubblicitari, produttori e registi televisivi, cineasti, artisti, scrittorie docenti universitari.
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Non è necessario che tutti questi professionisti abbiano un punto di vista politico comune, ma certamente hanno un interesse comune :
far fuori la classe dirigente dei politici professionali e ridurre il potere della borghesia proprietaria tradizionale”.
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Siamo dunque di fronte a una classe, a suo modo rivoluzionaria, che ha approfittato delle circostanze per accumulare potere.
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Con tecniche metaforicamente “bolsceviche” è andata all’attacco dell’establishment precedente usando con spregiudicatezza l’arma antica dell’ideologia e quella moderna della comunicazione.
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Consapevole del nuovo ruolo dell’informazione nella società, essa l’ha usata ai propri fini con una determinazione e una ferocia Insider trading, falsificazione dei dati di bilancio, con gli immensi profitti correlati, sono serviti a manipolare idee e coscienze.
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Le relazioni industriali e finanziarie sono state progressivamente trasformate in combattimenti di pugilato senza regole.
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Le legislazioni vigenti sono state scagliate oltre limiti del campo, a colpi di mazza da baseball.
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L’ormai inutile e irriso armamentario del marxismo-leninismo veniva sostituito dal “pensiero unico” e il gioco era fatto.
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Non è un caso che questa nuova classe sia emersa con decisione nel corso  delle due più grandi bolle speculative del dopoguerra,  quella degli anni ottanta e quella di cui parliamo in questo libro [quella del luglio 2002].
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Non è nemmeno un accidente il fatto che, in Italia e altrove, alcuni dei rappresentanti, o dei maggiordomi, di questa nuova classe siamo stati di diretta o mediata provenienza dai movimenti di contestazione esplosi nel ’68 o negli anni successivi.
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In quel’epoca hanno appreso l’infarinatura necessaria delle tecniche politiche rivoluzionarie (di quelle militari non ne avevano bisogno).
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In seguito, le avrebbero applicate su un altro terreno e, quel che più conta, cambiando campo.
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Per Lasch, l’elemento unificante di questa nuova classe è un atteggiamento laico e analitico,  ma con due potenti additivi :
i suoi membri sono affascinati dal mercato capitalistico e sono caratterizzati da un’ossessiva avidità di profitto.
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Aggiungiamo che la facilità estrema con cui enormi fortune sono state realizzate (praticamente sul nulla, sulla prontezza di riflessi, sulla capacità di cogliere al balzo l’occasione) ha introdotto nella mentalità della nuova classe una variante dell’idea dell’imprenditore costruita sul colpo di fortuna, sul “prendi e scappa”.
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In altre parole, siamo di fronte a un ceto di intellettuali moderni, una sorta di avanguardia in grado di padroneggiar ei più avanzati mezzi della tecnologia, della scienza e della comunicazione, ma con un unico fine :
il proprio potere e il proprio reddito.
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Non vi è in loro alcuna visione prospettica che vada al di là del benessere e del poter immediato.
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Sono privi di qualunque progettualità perché nella loro visione del mondo non esistono alternative reali.
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Per loro, il reale non è soltanto razionale :
è l’unico possibile, l’unico immaginabile.
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Vi ricordate Mickey Rourke in Nove settimane e mezzo ?
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Era un arbitraggista di Wall Street, membro di questa new class cinica, amorale e ossessivamente avida di denaro.
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E vi ricordate come difesero il film, contro i giudizi negativi della critica “borghese”, giornali di sinistra come Il Manifesto ?
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Curioso, non è vero ?
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Ci si sarebbe aspettati che un miserabile speculatore di borsa, uno squallido personaggio che può concedersi un alto tenore di vita, con tutti i relativi vizi e divertimenti, solo perché sa giocare in modo sopraffino con i risparmi della gente comune, sarebbe incappato nel disprezzo dei “compagni” marxisti, che lo avrebbero riconosciuto, con o senza la storia d’amore e di sesso con la bellissima Kim Basinger (ancora il romanticismo !, mio Dio, riusciremo mai a liberarcene ?), per quel che realmente è :
un parassita sociale della peggiore specie.
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E invece no !
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Su questo aspetto del film, cioè sul fatto che i due protagonisti possono sbizzarrirsi nei loro giochi erotici con la sicurezza economica che viene da una più che discutibile attività professionale di lui, silenzio totale.
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In fondo, è pur sempre una storia d’amore ;
di un amore che lotta per sopravvivere nello squallore e nell’alienazione della società capitalista, eccetera, eccetera.
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Ecco :
quello fu un segnale ;
e ce ne sono stati molti altri, non solo nel mondo virtuale del cinema, del teatro, della letteratura o della musica leggera, ma anche in quello, estremamente reale, dell’economia, della politica, della pubblica amministrazione, della cronaca quotidiana.
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Solo in pochi se ne accorsero, specialmente nel popolo della sinistra :
era il segnale di una mutazione genetica in atto.
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La cosa preoccupante è che perfino oggi, che i giochi si sono fatti così terribilmente chiari, c’è chi non vede, perché si rifiuta di vedere.
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Ma la realtà è quella indicata da Christopher Lasch, da Giulietto Chiesa e da alcuni altri (per la par conditio, mettiamoci dentro almeno anche un Alain De Benoist) :
è in atto una rivoluzione, e la nuova classe rivoluzionaria è proprio quella élite finanziaria mondiale, estremamente ristretta, estremamente cinica e spietata, immensamente avida di potere, che si sta arricchendo in maniera spropositata attraverso l’impoverimento accelerato della restante popolazione umana.
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Il tutto senza che il grosso dell’opinione pubblica, istupidito dai mass media controllati dall’élite, se ne renda neppure conto…
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11 luglio 2017
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postato da Dissenso .


mercoledì 19 luglio 2017

PROVE DI COMUNISMO

Il Governo svela il suo vero volto, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, palesando comportamenti dittatoriali di stampo comunista.
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Dopo aver fatto l'occhiolino ai governanti comunisti del "Celeste Impero" il  cosiddetto "premier" Gentiloni, insieme a Renzi e alla compagnia di criminali che compongono l'elite politica, compiono una serie di atti (e misfatti) volti a compiacere i governanti comunisti.
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Mentre da un lato la congrega criminale accoglie centinaia di migliaia di clandestini (non autorizzati ad entrare in Italia, come dice la parola stessa), a discapito della popolazione italiana, dall'altro vietano ai monaci religiosi buddisti il sacrosanto diritto di partire dall'India alla volta del nostro Paese.
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I monaci sono soggetti, loro malgrado, allo status di rifugiati, di cui avrebbero fatto volentieri a meno se il comunismo cinese non avesse fagocitato, distruggendolo, tutto il loro universo.
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Il Dalai Lama è stato costretto all'esilio, mentre l'etnia cinese di stirpe han ha sostituito interi strati sociali nella regione del Tibet, in cui sono stati distrutti i monasteri e deportati gli abitanti, monaci compresi.
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Il regime comunista cinese, verso cui si sono prostrati i nostri governanti, avidi di collaborazioni commerciali, è ben contento che vengano boicottati i monaci buddisti, e che la compiacenza dei loro lacchè italiani si spertichi in manovre servili che soddisfino la Cina.
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L'enorme lager a cielo aperto cinese, composto da migliaia di laogai, produce materiali a costo zero, o quasi, grazie alla mano d'opera di milioni di schiavi, a cui poi una volta deceduti verranno espiantati perfino gli organi, per essere commercializzati in tutto il mondo.
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E che dire di Mattarella, sempre pronto a bearsi di frasi roboanti, riempendosi la bocca con paroloni quali libertà, diritti umani, dignità dell'uomo ...
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La figura presidenziale appare svilita e incongrua di fronte a tutto ciò, palesemente vilipesa da un comportamento offensivo e inadeguato, proprio nei riguardi di coloro che sono sottoposti a privazione della libertà di culto e di espressione, oltre che sopraffatti dalla violenza comunista.
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Evidentemente tutto ciò piace ai nostri governanti, Mattarella in testa.
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Lo provano i fatti, e le nefandezze quotidiane decise a tavolino nella sede del PD, come quella, ad esempio di vietare alle persone di pensare con la propria testa (saluti romani, manifestazioni fasciste, ecc, ecc)
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Lo provano lo "ius soli" grazie al quale l'Italia diviene meta di parti programmati e di rovesciamento delle identità culturali ed etniche, religiose e sociali, così come la grande Oriana Fallaci aveva pronosticato.
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Lo provano le collusioni con i poteri forti, che tolgono soldi dalle tasche degli italiani per riempire quelle dei banchieri senza scrupoli che speculano impuniti sulla pelle dei risparmiatori (vedi Monte Paschi Siena e Banche venete).
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Propongo ora un articolo scritto da C. Alessandro Mauceri, sul sito "Notizie geopolitiche" che tratteggia l'argomento del rifiuto dei visti ai monaci buddisti.
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VI SAREBBERO I RAPPORTI CON LA CINA ALLA BASE DEI VISTI NEGATI AI MONACI BUDDISTI
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18 luglio 2017
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Mentre nel sud del paese continuano gli sbarchi di migliaia di migranti irregolari provenienti dall’Africa e il governo cerca di trovare un modo per regolarizzare la loro presenza (si parla del visto per scaricarli negli altri paesi europei), ad alcuni monaci tibetani non è stato concesso di partire dall’India, nonostante avessero lo status di rifugiato e il relativo invito arrivato dall’Italia.
L’ambasciata italiana in India infatti ha concesso il visto solo a tre dei sei monaci che dovevano arrivare per un incontro religioso al monastero Buddista di Pomaia, il più grande d’Europa, adducendo a quanto pare la scusa che l’Identity Certificate finora riconosciuto come valido da tutti i paesi dell’area Schengen ad eccezione della Svezia e del Portogallo, non è accettato dall’Italia o esisterebbero pericoli di contraffazione dei titoli di viaggio che abilitano i monaci buddisti a viaggiare in Europa.
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Una giustificazione quest’ultima che appare strana dato che fino a poche settimane fa il rilascio dei visti ai rifugiati tibetani veniva accettato senza problemi dalle autorità di frontiera.
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Il provvedimento appare anomalo soprattutto perché, al contrario di quanto avviene con le migliaia di migranti irregolari, le persone che avevano chiesto di varcare i confini lo avevano fatto solo per partecipare ad alcuni incontri ed eventi religiosi che tradizionalmente si svolgono in questo periodo dell’anno.
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Dure le critiche della comunità tibetana in Italia, delle associazioni a sostegno del popolo tibetano e della sua cultura, dei i centri di Buddhismo e dei gruppi a difesa dei diritti umani.
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L’associazione Italia-Tibet intende attivarsi per conoscere le ragioni di tale decisione e chiedere la revoca del provvedimento.
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La vera motivazione, secondo molti, sarebbe politica e legata ai rapporti con la Cina.
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Per decenni l’Italia ha rilasciato i visti ai monaci tibetani come dimostrano le numerose visite dal Dalai Lama nel Paese.
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Come hanno fatto notare alcuni giornalisti, quella dei giorni scorsi potrebbe essere una “svolta diplomatica di avvicinamento alla Cina”.
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Entrambe le giustificazioni addotte alla decisione di non ammettere i monaci nel Paese appaiono arbitrarie e poco fondate.
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Negare l’ingresso a poche decine di monaci buddisti in possesso di regolari documenti mentre in altre regioni si accetta l’ingresso nel paese di migliaia di migranti appare davvero assurdo.
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Tanto più se si considera che, come è stato confermato da un recente rapporto dell’UCOI al ministro dell’Interno, in Italia esistono centinaia di moschee e luoghi di culto non autorizzati.
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Una disparità di trattamento che, cosa questa ancora più strana, pochi mezzi di stampa ufficiali hanno segnalato.


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Dissenso



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