mercoledì 27 giugno 2018

DOPOGUERRA : L'ambiguo ruolo del PCI


Premessa :
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20 aprile 1949  -  Nasce a Parigi il “Comitato mondiale dei partigiani della Pace  -  Primo Congresso
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Ottobre 1949  -  Secondo Congresso internazionale, a Roma
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Marzo 1950  -  Terzo Congresso internazionale a Stoccolma
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Nel 1950 Mosca decise di “lanciare” la cosiddetta grande “offensiva di Pace”, promuovendo tramite il Congresso di Stoccolma una campagna di interdizione assoluta alla guerra atomica.
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Ambiguamente l’Unione Sovietica però, nel mese di settembre del 1949 e cioè l’anno precedente a questa iniziativa, sperimentò la sua prima bomba atomica, rivelando così l’evidenza di finalità diverse da quelle propagandate.
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Il III° Congresso dei “Partigiani della Pace” riunito a Stoccolma, preparò una  petizione  per un appello, proclamato dal Presidente Joliot-Curie (Premio Nobel per la Fisica), inerente al divieto assoluto dell’arma atomica e alla sua messa al bando come “arma di intimidazione e di sterminio di massa”.
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Questa campagna si ricollegava alla risoluzione del Politburo russo del 17 gennaio 1950 sulle “Misure per un ulteriore sviluppo del Movimento dei partigiani della Pace”.
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Tale risoluzione, delineò un appello alla cui stesura parteciparono Thorez (segretario del Partito Comunista Francese), Josè Casanova (Partito Comunista Portoghese), Joliot-Curie in qualità di Presidente, e lo scrittore Aleksandr Fadeev (scrittore e deputato del Soviet supremo dell’Urss), oltre a Gabriel d’Arbussier (Uno dei fondatori dell’African Democratic Rally, per la decolonizzazione dell’Africa), e a Pierre Cot (politico del Partito Comunista Francese), e che reintroduceva una nuova nozione riguardante i “crimini contro l’umanità”.
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In pratica l’impianto ideologico costruito sapientemente da Mosca, e propagato attraverso l’organizzazione pseudo-pacifista, dichiarava criminale di guerra e contro l’umanità quello Stato che “per primo” avesse fatto ricorso all’arma nucleare, dichiarando però che la responsabilità dell’aggressione era da imputare “a priori” all’imperialismo, in quanto tale.
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Furbescamente e non a caso, Suslov (Deputato del Soviet Supremo dell’Urss) affermò, sostenendo poi la sua tesi dal 1954 fino al 1963, che l’Unione Sovietica si dichiarava apertamente a favore della possibile coesistenza pacifica tra Russia e Stati capitalistici, riprendendo il concetto già espresso da Lenin nel 1920.
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Ne conseguiva, secondo Suslov, che chiunque si fosse sottratto all’obbligo di un dialogo, avrebbe di fatto dichiarato la propria ostilità, prefigurando una aggressività dal potenziale criminale.
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Togliatti da parte sua rincarò la dose affermando :
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è necessario lo schieramento di tutti i popoli per chiedere con voce di irresistibile potenza che sia sancito da tutti gli Stati civili il divieto delle armi atomiche, che a questo scopo venga concluso un solenne patto internazionale e siano dichiarati criminali di guerra coloro che lo violino o ad esso si rifiutino.
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Il passo successivo, inevitabile quanto ricercato e fortemente voluto da Mosca, incentrò il fulcro della propria posizione, avvalorata da tutta la pubblicistica comunista, sul concetto di “criminale potenziale”.
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Il mondo comunista tentò in questo modo di ergersi a punto di riferimento della morale e del giudizio, e la petizione dei Partigiani della Pace iniziò quindi a circolare per essere sottoposta all’approvazione universale, fermo restando che chiunque non l’avesse firmata sarebbe stato bollato come aspirante criminale di guerra.
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In Italia l’assunto della politica “nazionale” del PCI negli anni 50 era imperniato sulla supposta “imminenza di una guerra” e sulle direttive emanante dall’Unione Sovietica  a cui affidarsi  a priori”, a prescindere dagli eventi futuri.
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Le proposte politiche comuniste rivolte da Togliatti alla popolazione, come ad esempio quella del “Piano del Lavoro”, costituivano in realtà delle proposizioni tattiche che avevano il solo scopo di mantenere un contatto con le masse popolari in chiave antimperialista.
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Richiamandosi alla “Lotta per la Pace” il PCI pianificò una sorta di “unità dei lavoratori”, sventolando un inesistente spauracchio fascista ed un fondamentalismo ideologico che paventava il pericolo imperialista.
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La paranoia sovietica plasmò i comunisti italiani ed europei, proni e asserviti, in quanto economicamente dipendenti da Mosca, imponendo le basi per la radicalizzazione di teorie complottiste e di politiche che avevano come baluardo l’antifascismo e l’antimperialismo americano.
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Togliatti, nei suoi interventi in Parlamento, raffigurava la società occidentale come un mondo in crisi, ostile e in preda alle convulsioni, causate dagli imbrogli del mondo capitalista e dai cattolici  allo scopo di erigere barriere fra i popoli,  di accentuare gli odi, e di frenare il progresso.
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Nella mente contorta di colui che ancora oggi viene definito “il Migliore” da schiere di fanatici nostalgici della “falce e martello” marxista, il capitalismo era destinato a scomparire una volta che fosse venuto meno l’appoggio delle forze reazionarie, identificate nel clero e negli imperialisti.
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In questo contesto la “Lotta per la Pace  doveva dotarsi di un altissimo grado di compattezza ideologica, e identificarsi totalmente con la linea generale del partito comunista di Mosca.
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Era però necessario allargare l’orizzonte dei partecipanti e dei sostenitori dello schieramento pacifista, riuniti sotto l’egida organizzativa dei Comitati che avevano come simbolo il disegno della colomba ideato da Pablo Picasso dietro richiesta del partito comunista francese.
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Il partito comunista si rivolse quindi ad esplorare universi politici che potessero alimentare la “Lotta per la Pace”, imponendo però un rigido criterio, ribadito più volte da Togliatti, che era quello fissato dalla linea politica della Terza Conferenza del Kominform, e prendendo le distanze da chi non si allineava agli interessi geostrategici dell’Unione Sovietica.
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Il pacifismo indiscriminato, cioè scevro da ideologie preconfezionate, non era accettato da Togliatti, che lo considerava nocivo in quanto discriminava le “guerre giuste” condotte dall’Unione Sovietica da quelle “ingiuste” intraprese dall’Occidente.
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Un pacifismo quindi, organizzato e strutturato come arma tattica, da utilizzare per coinvolgere le masse indecise, sottraendole all’egemonia democristiana, attirandole all’interno di una “sfera della Pace” in simbiosi con un rinnovato e pilotato spirito di unità nazionale.
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L’ambiguità sta nel fatto che però la raccolta delle firme relative alla petizione di Stoccolma fosse di pertinenza esclusiva dei “Partigiani della Pace” e non delle cellule e delle sezioni del Partito Comunista, allo scopo di conferire ai comitati per la Pace una sorta di verginità e di autonomia, e per evitare che si palesassero etichette di partito, controproducenti all’esito propagandistico.
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La pubblica scoperta di una simbiosi identificativa dell’attività dei Partigiani della Pace con le Federazioni del Partito comunista, avrebbe potuto allontanare personaggi autorevoli come Rettori di Università, Direttori di Istituti Scientifici, Conservatori di Musei o Biblioteche, medici, assicuratori, enti assistenziali, e tutto un panorama sociale di persone non proprio legate al comunismo e al marxismo.
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I grandi nomi dello sport, del cinema, del teatro, della scienza, così come i vescovi e il mondo clericale, generalmente estranei alle prese di posizione politiche, vennero fagocitati mediante questa procedura improntata alla falsità ideologica, opacizzando i riferimenti e i connotati di Partito.
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Il controllo del pensiero è stato sempre alla base della mentalità comunista, fondata sulla spersonalizzazione dell’individuo, sul controllo dei sentimenti, sulla disciplina, sul senso del collettivo, e sulla sottomissione volontaria al partito.
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Partendo da questi assiomi Togliatti riuscì ad allargare il consenso verso i Partigiani della Pace, e grazie alla mobilitazione di massa, acquisì una maggiore capacità di incidenza sulle scelte di politica estera del Governo, seguendo le direttive dell’Unione Sovietica.
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Il suo ruolo di traditore della Patria si delineò perfettamente, divenendo  chiaramente inequivocabile, e oggi, alla luce di tutto ciò, è assurdo che ancora ci siano vie o piazze nei territori italiani che portano il suo nome.
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L’organizzazione dei Partigiani della Pace venne costantemente finanziata dal Partito Comunista, fin dalla sua nascita, come si evince dalla lettura dei libri contabili conservati a Follonica, da cui risulta che, ad esempio, nel 1957 il contributo del PCI era di 14.300.000 Lire, mentre altri 19.300.000 Lire vennero ricavati dalla vendita di materiale e da contributi di singoli simpatizzanti.
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Mentre Mosca rilasciava un vero e proprio fiume di denaro verso i Partiti comunisti europei, come risulta dal libro di Valerio Riva "Oro da Mosca", dal 1960 in poi il Partito Comunista Italiano ridusse sempre di più i finanziamenti ai Partigiani della Pace, limitandosi a sostenere le iniziative ritenute prioritarie e smantellando progressivamente i Comitati territoriali.
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Questo comportamento è una ulteriore riprova del fatto che ai comunisti italiani, Togliatti in testa, interessava solamente compiacere l’Unione Sovietica, utilizzando, manipolando, e spremendo qualsiasi eventuale risorsa, interrompendo poi il rapporto a seconda della opportunità contestuale.
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Durante questo percorso Togliatti ha partecipato alle purghe staliniane ed è stato complice del dittatore georgiano, in quanto corresponsabile politico, dello sterminio delle masse contadine ucraine.
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E’ stato responsabile della deportazione di decine di comunisti italiani esuli in Russia, compilando le liste dei personaggi scomodi al Partito.
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Togliatti fece parte del Tribunale ideologico che consegnò alla Polizia sovietica l’intero gruppo dirigente polacco, decretandone la morte, così come di quello dei comunisti tedeschi, anch’essi eliminati.
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Durante la guerra civile spagnola partecipa all’annientamento degli anarchici.
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E’ quindi protagonista non dichiarato della politica di terrore espressa da Stalin e dal comunismo sovietico, che produrrà anche epurazioni, assassinii, deportazioni, decimazioni interne al Partito.
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Un Togliatti quindi che solo alcuni vecchi nostalgici in malafede si arrischiano a denominare come “il Migliore”.
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Dissenso
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martedì 26 giugno 2018

IL TABU' DELLO ZINGARO

Propongo un articolo scaturito dalla penna del filosofo, fine intellettuale e scrittore Marcello Veneziani, edito sul sito "Nuova Italia", su un argomento di attualità abbastanza scabroso, e cioè quello degli zingari, assunti finora ad emblema del pernicioso buonismo delle sinistre, ma che in realtà ricoprono un ruolo parassitario nella società in cui viviamo.
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IL TABU' DELLO ZINGARO
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di Marcello Veneziani, 19 giugno 2018
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Se volete capire che cos’è il politicamente corretto inalberato dalla sinistra e adottato da quasi tutti i media, e quali danni realmente produce nella vita quotidiana, i rom sono il campione perfetto.
Un tempo dicevi zingari e mettevi subito mano al portafogli o alla borsetta, sapendo che correvi un rischio in loro presenza.
Ciascuno di noi ha visto o subito non uno ma dieci episodi di furti e di tentati furti ad opera loro.
In autobus, per strada, nei luoghi affollati.
O anche in casa. 
Dicevi zingari e nella migliore delle ipotesi ti venivano fuori le immagini di donne che ti chiedono l’elemosina in modo insistente e minaccioso, ti infilano con forza dei fiori tra le mani per pretendere soldi, o ti lanciavano maledizioni. 
Dicevi zingari e ti venivano fuori immagini di uomini zazzeruti col coltello in mano e ti auguravi di non incontrarli mai in spazi solitari.
Dicevi zingari e ti ricordavi dei loro centri degradati, peggio dei centri d’accoglienza per immigrati, luoghi sporchi e loschi da cui bisogna stare lontani.
Appena si installava un insediamento di zingari i furti nelle case e nelle strade aumentavano paurosamente.
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Accampamento rom
Condizioni di miseria, certo, ma poi non ti spiegavi alcuni lussi e alcune auto di grossa cilindrata.
Poi un bel giorno, avvenne il miracolo.
Scattò un divieto.
Non il divieto di rubare, di accamparsi abusivamente, di sfruttare i bambini per attività furtive.
No, il divieto di chiamarli zingari.
Furono chiamati rom e la musica cambiò d’incanto.
Si parlò di cultura rom, di stile di vita nomade, alcuni filosofi li videro come i precursori della vita nomade moderna e del pensiero nomade, senza legami di luogo e di legge, senza norme né confini.
Si ricordò dei rom finiti nei lager.
Si parlò di culture emarginate, di tutela delle minoranze.
Zingaro diventò una parola vietata, persino la canzone di Nicola di Bari e di Iva Zanicchi sulla zingara passò alla clandestinità.
E chi non la pensa così, vuole che tornino le leggi razziali, è razzista.
Il vero degrado, dice la Nuova inquisizione, non sono i campi rom ma l’idea di chiuderli anziché migliorarli coi nostri soldi pubblici.
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Accampamento rom
Ecco il miracolo.
È bastato chiamarli rom e tutto ciò che noi sapevamo di loro, per diceria e pregiudizio ma soprattutto per esperienza di vita è stato cancellato per legge.
E se li tiri fuori ecco la romfobia, l’odio razziale …
Un nome per depurare e lasciare così alla vecchia e proibita parola zingari le nefandezze del passato.
Il guaio è che la leggenda dei rom è una cosa ma la realtà degli zingari non è cambiata, resta sempre la stessa.
Furti, minacce, coltelli, abusi dei minori, insicurezza sociale.
Per carità mai generalizzare, ma bisogna ammettere che la media, lo standard è quello. 
Non conosco progressista e umanitario che alla presenza di una zingara in un bus non si allontani e non vigili sul suo portafogli o sulla sua roba.
Ecco i danni pratici della retorica, per giunta a norma di legge, con una raccomandazione aggiuntiva :
costruiamo per i rom quelle cittadine residenziali che non riusciamo a ricostruire per i terremotati o diamo loro le case popolari che non siamo in grado di dare agli italiani indigenti.
Forzando, oltretutto, la loro natura nomade, obbligandoli a diventare stanziali.
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Zingare
Ora lasciamo da parte la leggenda dei rom e la realtà degli zingari coi rispettivi pregiudizi, e facciamo un ragionamento serio.
Prima di tutto serve un censimento vero di chi non ha fissa dimora e non ha attività lavorativa : non basta sapere quanti sono ma cosa fanno, di che vivono, quale attività lecita svolgono per permettersi quelle auto o semplicemente per vivere.
Se non svolgono alcuna attività come pensate che si sostengano ?
E non dovrebbe la legge italiana, l’autorità, le forze dell’ordine intervenire di conseguenza, prevedendo in questi casi anche espulsioni ?
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Antonio Casamonica, mafioso dell'omonimo clan romano e zingaro
Volgendo in positivo la prescrizione :
i rom-zingari rispettino le nostre leggi, mandino a scuola i figli, siano reperibili, nonostante il loro statuto di nomadi, dimostrino la loro attività di sostentamento, paghino le tasse, pur minime se in stato d’indigenza, e nessuno avrà nulla da obiettare a loro, anzi potranno beneficiare dei servizi sociali.
Che vivano pure la loro vita nomade, ma non in grandi villaggi abusivi e degradati, esposti alla delinquenza organizzata, alle faide tra tribù, incendi inclusi.
Ma in singole roulotte autorizzate, mai raggruppate in numero maggiore di 3-4 unità.
Questo dice la ragione, vista l’esperienza comune.
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Nessun giudizio a priori, solo diffidenza a posteriori, per quel che di solito accade in presenza di nomadi e dei loro campi.
Ma la realtà per il politically correct non conta niente e se diverge dall’ideologia, tanto peggio per la realtà.
Poi si chiedono perché la gente protesta, vota Salvini o populista o non si sente protetta.
Perché alla fine il reato è di chi li chiama zingari e non di chi ruba.
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(P.S. : Le immagini non fanno parte dell'articolo originale, ma sono state aggiunte dal blog)
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Dissenso
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lunedì 25 giugno 2018

CRIMINALE COMUNISTA : Andrej Aleksandrovic ZDANOV


(Mariupol’ – Ucraina,  26 febbraio 1896  -  Mosca, 31 agosto 1948)
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Andrej Zdanov
Zdanov fu un politico sovietico che, sebbene sia tutt’ora sconosciuto alle masse europee, ricoprì un ruolo importante e criminale all’interno della feroce cricca comunista staliniana dell’Unione sovietica.
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Divenne bolscevico nel 1915 a 19 anni e dopo qualche anno partecipò alla guerra civile russa (1918-20), dove si distinse combattendo negli Urali.
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Divenne poi segretario del partito presso Niznij Novgorod dal 1924 al 1934.
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In queste vesti partecipò attivamente al devastante piano di collettivizzazione dell’agricoltura, che produsse milioni di vittime innocenti, sacrificandole a favore del piano di Stalin per lo sviluppo dell’industrializzazione.
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Nel mese di gennaio del 1934 Zdanov partecipò al XVII Congresso del partito, pronunciando il suo primo discorso politico, e successivamente prese parte al Congresso degli scrittori sovietici, come fautore dei princìpi del cosiddetto “realismo socialista” e, nel suo discorso del 17 agosto, pronunciò una enfatica quanto delirante dichiarazione :
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Il compagno Stalin ha chiamato i nostri scrittori gli «ingegneri delle anime».
Che cosa significa ciò ?
Che obbligo vi impone questo titolo ?

Ciò vuol dire, da subito, conoscere la vita del popolo per poterla rappresentare verosimilmente nelle opere d'arte, rappresentarla niente affatto in modo scolastico, morto, non semplicemente come la «realtà oggettiva», ma rappresentare la realtà nel suo sviluppo rivoluzionario.
E qui la verità e il carattere storico concreto della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di trasformazione ideologica e di educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo.
Questo metodo della letteratura e della critica è quello che noi chiamiamo il metodo del realismo socialista.»
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La figura criminale di Zdanov è tratteggiata anche  da Ignazio Silone nella sua rivista “Tempo presente”, che lo descrive come inquisitore specializzato nella soffocazione dello spirito creativo (Anno II n° 2 : “Un dialogo difficile : dal disgelo al neo stalinismo).
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Zdanov partecipò, nella seconda metà degli anni Trenta (1935-38), alla epurazione di vari personaggi in seno al partito, così come ordinato da Stalin, rendendosi suo complice attivo in questo misfatto, negli eccessi e negli orrori che lo caratterizzarono.
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Diventò membro del Politbjuro nel 1939 e al XVIII° Congresso fece un’ampia autocritica, in cui ammise  e condannò tali sanguinosi eccessi, definendoli come errori, rivelandoci come una sintassi modificata (da orrori a errori) possa costituire un alibi.
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Divenne Presidente del Soviet Supremo nel 1945 e avvalendosi dell’autorità maturata in ambito culturale come massimo cultore del “realismo socialista” rinnovò, dopo la guerra, un totale controllo statale su tutta la produzione culturale sovietica.
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Si dedicò infatti con accanimento al rifiuto delle culture occidentali e alla loro eventuale influenza sulla letteratura sovietica, scagliandosi contro autori connazionali del calibro di Michail Zoscenko (scrittore satirico) e Anna Achmatova (poetessa) e contro tutti coloro che non seguivano le direttive di Stalin, di cui era divenuto il fedele delfino (1946-48).
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Era molto beneamato da Stalin, che lo considerava come il suo naturale successore, e nel 1947 ricoprì un importante ruolo nel Kominform, l’organismo internazionale di cui sembra essere l’ideatore.
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Fu un acceso sostenitore della “guerra fredda” e il promotore delle direttive inviate ai partiti comunisti occidentali tese ad un inasprimento della lotta alle forze democratiche.
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In particolare si scagliò contro il piano Marshall, con cui l’America offrì un consistente aiuto economico all’Europa per la ricostruzione e la ripresa nel dopoguerra, definendolo un’arma dei disegni imperialistici americani.
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Juri, suo figlio, sposò la figlia di Stalin,  Svetlana Alliluyeva (1926-2011), da cui ebbe la figlia Ekaterina, divorziando poi nel 1950.
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Obeso e alcolista morì nel 1948 a causa di un arresto cardiaco, ma si sospetta un coinvolgimento di Berja e Malenkov, che subito dopo il suo decesso avviarono le indagini per l’”affare di Leningrado”, e l’epurazione delle sue clientele politiche.
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La sua città natale, dal 1948 fino al 1989 prese il nome di Zdanov in suo onore, come se gli orrori da lui commessi lo qualificassero come eroe.
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Dissenso
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domenica 24 giugno 2018

Comunismo cinese e dissidenza : HU SHIGEN


Hu Shigen
Hu Shigen, è un attivista cinese che si batte per i diritti fondamentali dell’uomo, ed è laureato alla prestigiosa Università di Pechino, dove è stato poi anche insegnante come Professore.
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E’ diventato attivista in occasione delle proteste a favore della democrazia iniziate nel 1989 a Piazza Tienanmen, sfociate in una violenta repressione del partito comunista.
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Nel 1994 è stato arrestato e condannato a 20 anni di prigione con l'accusa di sovversione, ed è stato poi scarcerato nel 2008, dopo 14 anni di detenzione, per una riduzione di pena.
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Nel 2014 Hu è stato nuovamente arrestato e condannato nel 2016  a 7 anni e mezzo di carcere per avere "danneggiato la sicurezza nazionale ed avere messo in pericolo la stabilità sociale" .
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Da notare che l’anziano attivista (61 enne) è scomparso da casa il 10 luglio 2015 e i suoi familiari hanno ricevuto un avviso di arresto a metà 2016, e la notizia che l’attivista era recluso nel centro di detenzione di Tianjin N° 1.
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Hu ha dichiarando di non volersi appellare alla sentenza, probabilmente temendo la vita a causa di una repressione cruenta da parte del regime comunista
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Piazza Tienanmen  -  un attivista per i diritti umani si oppone ai carri armati del regime comunista
Hu è stato accusato di guidare una "organizzazione sotterranea (clandestina)" che agiva sotto la copertura di una Chiesa ma che si dedicava ad individuare e pubblicizzare gli abusi del governo.
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In realtà Hu faceva parte di uno studio legale che si occupa di casi di diritti umani molto delicati, come i sequestri di terre, le demolizioni, e anche problematiche di tipo religioso.
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Inoltre durante la sua attività Hu ha rappresentato legalmente decine di casi che riguardano la libertà religiosa e la libertà di parola, la corruzione, i prigionieri politici e altro ancora.
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Il Partito comunista cinese ha in atto una vera e propria feroce repressione contro gli attivisti che si battono per i diritti umani che, per la dittatura governativa, corrisponde ad una attività che manipola l’opinione pubblica e crea disordine sociale.
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Nel periodo in cui Hu risultava scomparso ed era invece trattenuto dalle autorità comuniste a Tianjin, la moglie dell’attivista ha dato alla luce una bambina mentre la mamma  è invece deceduta, senza che lui ne fosse informato.
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Nel settembre del 2017 ha pubblicato un libro intitolato “In ricordo della repressione 709 e 100 domande sulla democrazia pacifica in Cina”, nel quale ha raccontato la sua esperienza durante i lunghi mesi di segregazione illegale
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Nello stesso mese ha pubblicato una lettera  aperta a Xi Jinping, al partito comunista, e ai suoi colleghi cinesi, chiedendo la fine della dittatura e il rilascio di tutti i prigionieri politici e di avviare un percorso per trasformare la Cina in una Repubblica costituzionale.
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A seguito di ciò è iniziata una serie di molestie e di minacce da parte della polizia, che rappresenta lo strumento di terrore con cui il comunismo cinese tenta di annichilire le coscienze e di mistificare la verità.
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Lo stesso corpo di Polizia cinese, parte integrante della ferocia e del potere comunista, è stato invitato a presenziare con pattuglie di agenti anche in quattro città italiane, Roma, Milano, Venezia, e Prato, insieme alla Polizia di Stato italiana, 28 maggio fino al 17 giugno 2018.
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Lo scopo dell’affiancamento sarebbe quello di far sentire i tanti turisti cinesi a loro agio, ma secondo me tutto ciò, visti i presupposti, è semplicemente offensivo nei confronti di chi ha a cuore i diritti umani e i princìpi di libertà che proprio la Polizia cinese contribuisce a calpestare.
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Dal 2012, anno in cui Xi Jinping è diventato Segretario generale del Partito comunista cinese, sono aumentate a dismisura le condanne verso i crimini contro “la sicurezza dello Stato”, come i reati di opinione, le manifestazioni che minano la sicurezza dell’ordine pubblico, la sovversione politica, l’organizzazione di proteste.
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Tutti questi “reati” sono in realtà l’espressione di un dissenso democratico e non violento che gli attivisti per i diritti umani in Cina tentano di esercitare, nonostante la repressione del regime comunista.
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Il Partito imprigiona gli oppositori come Hu Shigen deportandoli in luoghi isolati e sconosciuti, privandoli di legami affettivi, tentando di annichilire le loro menti con l’uso della tortura e portandoli verso la schizofrenia.
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Questi sono i cinesi a cui i politici italiani, e non solo, strizzano l’occhio ?
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E’ semplicemente vergognoso e rivoltante, e va contro ttutti i princìpi democratici della nostra Costituzione e alla coscienza di chi, come me, ha a cuore i diritti dell’uomo.
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Dissenso
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Manifesti anticomunisti

Propongo alcuni splendidi manifesti reperiti in "rete" del periodo fascista, sul tema dell'anticomunismo.
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Si può chiaramente notare come sia evidenziato il richiamo alla violenza comunista e a quella dei cosiddetti "liberatori", così come oggi è sentenziato dalla verità storica.
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La ferocia e l'arroganza del bolscevismo da un lato, e degli americani dall'altra, ci danno un quadro esatto di chi siano costoro, avidi manipolatori della verità, nel totale disprezzo dei diritti umani ...
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Dissenso
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sabato 23 giugno 2018

Comunismo cinese e dissidenza : LIU XIAOBO


(Chagchun, Cina, 28 dicembre 1955  -  Ospedale di Shenyang, Cina, 13 luglio 2017)
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Liu Xiaobo trascorse l’infanzia nella Mongolia interna, in una comune nella quale fu trasferita l’intera famiglia a seguito dela Rivoluzione culturale di Mao Zedong.
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Come tutti ormai sanno la Rivoluzione culturale gettò praticamente nel caos l’intero settore culturale cinese, comprese le scuole, le università, le biblioteche, e i centri culturali, azzerando di fatto secoli di conoscenza pregressa.
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Alla morte del “Grande Timoniere” gradatamente la situazione tornò alla normalità e furono riaperte le scuole, dando modo quindi a Liu di laurearsi all’università di Jilin e di specializzarsi alla Normale di Pechino, con un master che verteva sulla “Estetica e libertà dell’uomo”.
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Liu Xiaobo fu anche un attivista per la difesa dei diritti umani in Cina, oltre che uno scrittore e  un intellettuale.
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Studiò prima in Europa poi in America, dove lavorava come insegnante alla Columbia University
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Nel 1989 tornò in Cina per partecipare alle proteste di Tienanmen e alla “primavera” cinese insieme agli studenti, in prima linea nell’organizzare scioperi della fame e trattative con i militari.
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Dopo il massacro di Tienanmen venne condannato a tre anni lavori forzati.
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Liu incontrò una giovane poetessa di nome Liu Xia, conosciuta quando lui era un giovane docente, che sarebbe poi diventata sua moglie.
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Nel 1999 tornò a casa dal campo di rieducazione, ma non rieducato, come è scritto nella prefazione del suo libro “No Enemy, No Heatred”.
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In occasione della ricorrenza dei 60 anni della Dichiarazione Onu sui diritti umani Liu fondò “Charta 08”, un manifesto firmato da 303 attivisti, nel quale chiese la fine del Partito Unico e alcune riforme importanti, partendo dai diritti e dalle libertà fondamentali, oltre che da libere elezioni.
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Il manifesto verrà poi sottoscritto da oltre 12 mila persone.
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Ricevette anche il Premio Nobel per la Pace, conferitogli nel 2010 per la sua attività e il suo pacifico impegno, ma Liu non potè mai ritirarlo perché incarcerato dal regime comunista nel 2008 in seguito alla pubblicazione del manifesto Charta 08.
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Il diploma del Premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo nel 2010
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L’immagine della “sedia vuota” su cui era stata appoggita l’onoreficenza fece il “giro del mondo”.
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Nel 2009 Liu subì un processo e fu condannato per eversione a ben 11 anni di carcerazione.
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Fu liberato solamente nei primi giorni di luglio del 2017 perché morente, secondo la macabra consuetudine del Partito comunista cinese che tende a evitare che qualche detenuto muoia in stato di prigionia.
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Liu se ne è andato per un cancro al fegato che, secondo i medici poteva essere trattato all’estero in altri ospedali, anziché quelli del regime comunista cinese, ma il Partito gli negò il permesso, dimostrando ancora una volta quanto sia feroce e spietato il comunismo.
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Con la sua scomparsa la Cina e il mondo intero hanno perso un importante testimone delle libertà democratiche degli individui.
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Il regime comunista cinese ora infierisce sulla moglie di Liu, rimasta vedova, impedendole di uscire e confinandola in casa dal 2010, nonostante lei soffra di una grave forma di depressione a causa della mancanza del marito.
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La sua unica colpa è quella di essere la moglie di Liu Xiaobo, sebbene vedova, ed è stata privata di tutto, oltre che della libertà.
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Liu Xiaobo e Liu Xia
Liu Xia, poetessa ed artista, ha dichiarato recentemente che “è più facile morire che vivere”, affermando di essere pronta a lasciarsi morire in segno di protesta per gli arresti domiciliari ai quali è costretta dal comunismo cinese, pur in assenza di contestazioni formali dal 2010.
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Ancora una volta assistiamo al vero volto del comunismo e a ciò di cui è realmente intriso, e cioè la violenza cieca, il sadismo, la ferocia.
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E’ sotto gli occhi di tutti, e per questi motivi dovremmo interrompere i rapporti commerciali con la Cina.
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La democrazia e i diritti umani non possono prescindere da tali rapporti commerciali, per vantaggiosi che siano, pena il diventare complici del misfatto comunista …
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Dissenso
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Traditore della Patria : il comunista Palmiro Togliatti


Oramai il sipario è caduto !
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Colui che ancora oggi viene definito “il Migliore” da schiere di petulanti quanto nostalgici e fanatici del comunismo, è invece classificabile (senza timore di smentita) come traditore della Patria !
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Già nel casellario fascista Togliatti era indicato come Comunista pericoloso.
Infatti, mentre il rosso Palmiro sedeva sugli scranni parlamentari della Repubblica Italiana, contemporaneamente perseguiva subdolamente finalità politiche care al “Congresso” moscovita sovietico e a Stalin, da cui prendeva direttamente ordini e soldi.
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Togliatti, traditore e vigliacco, così facendo illudeva, o tentava di farlo, le masse popolari che guardavano a lui con fiducia, carpendone l’intima essenza.
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La menzogna, l’ipocrisia, e l’ambiguità politica, insieme ad una malcelata ferocia, hanno contraddistinto infatti il comunista Togliatti, collocandolo senza alcun dubbio storico come nemico del popolo italiano e come traditore della Patria.
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Togliatti, sulle rive del Volga
La ferocia cui accennavo, è facilmente riscontrabile nei suoi atti, tutti documentati, nei quali si scopre il suo ruolo attivo nella deportazione di molti comunisti italiani esuli in Russia, di cui egli ha caldeggiato personalmente la condanna, oppure nel suo coinvolgimento negli eccidi delle foibe, dando il via libera ai suoi partigiani rossi per una piena collaborazione con quelli titini, spietati esecutori delle stragi etniche di italiani nei territori carsici.
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Il Migliore”, che non esiterei a ribattezzare “il Peggio del Peggio”, ha da sempre contribuito a consolidare le politiche mistificatorie di Stalin e del Kominform, allo scopo di indirizzare la società occidentale verso una visione politica in chiave antiamericana, antimperialista, e antiebraica.
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Per ottenere questo risultato Togliatti non ha esitato a mobilitare interi strati sociali, non solo italiani, sobillandoli e canalizzandoli verso una protesta organizzata e pianificata sotto l’egida della organizzazione internazionale dei “Partigiani della Pace”, fortemente voluta da Stalin e proseguita dagli pseudo intellettualoidi dell’universo sinistroide mondiale.
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La cosiddetta “Lotta per la Pace” in realtà aveva lo scopo di standardizzare concetti ben precisi per farne un riferimento di univoca simbiosi sintattica, del tipo :
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America = guerra, patto atlantico = guerra, America = imperialismo = sionismo = guerra.
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Manifesto cattolico contro i cosiddetti "Partigiani della Pace"
Togliatti, come n° 2 del Komintern garantiva a Stalin, non solo per quanto riguarda l’Italia, la mobilitazione delle masse operaie, fagocitate, plasmate e irretite da attivisti e propagandisti di professione, addestrati a tale scopo.
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La subdola ferocia di Togliatti, incurante del reale bisogno e degli interessi del popolo italiano, si prostituiva in ogni modo alla volontà di Stalin, arrivando anche ad ipotizzare durante il suo ruolo di Parlamentare e deputato del PCI (spalleggiato da Sandro Pertini, che sarebbe poi diventato Presidente della repubblica Italiano) un eventuale fiancheggiamento all’esercito sovietico nel caso (da loro ipotizzato) di aggressione americana.
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Pertini, nella sua enfasi comunista andò anche oltre, dichiarando testualmente:
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In nessuna circostanza, neppure in caso di occupazione, i lavoratori devono ricorrere alle armi contro l’URSS.”
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In un suo discorso alla Camera dei deputati Pertini proclamò inoltre :
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... noi ci batteremo sempre per la Pace, ma nel caso che dovesse verificarsi un conflitto, il nostro posto è già scelto : sarebbe a fianco del mondo del lavoro rappresentato  dall’Urss”.
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Una vera e propria dichiarazione di servitù e di vassallaggio verso il “faro” di riferimento, non solo ideologico, a cui aspiravano i comunisti italiani, Togliatti in testa.
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Il tradimento di personaggi come Togliatti, Pertini, Napolitano, Cossutta, tanto per citarne alcuni, è palese e davanti agli occhi di tutti, così come il loro comunismo feroce e partigiano, pronto a schierarsi a favore dell’invasione russa dell’Ungheria o solidale con l’Armata Rossa durante la repressione della Primavera di Praga.
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Personaggi, questi, di infima levatura morale, da considerare alla stregua di carnefici, poiché complici di Stalin, e caratterizzati dal loro disprezzo per i diritti umani.
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La Storia, nel suo annoso percorso, dichiarerà la responsabilità di Togliatti, nonostante i quotidiani tentativi, ancora oggi, di mistificarne la portata.
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A pieno titolo quindi Palmiro Togliatti può essere classificato tra i criminali comunisti, insieme a Stalin, Lenin e molti altri feroci personaggi, con buona pace di chi li sostiene, come i seguaci del PD.
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Dissenso
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