sabato 27 aprile 2019

CRIMINALI COMUNISTI : Vladimir Dekanozov


Vladimir Georgievich Dekanozov (Dekanozishvili) (Baku, nella Georgia di allora, oggi Azerbaigian, giugno 1898 – Mosca, 23 dicembre 1953) era un funzionario diplomatico appartenente allo stato maggiore sovietico e uno dei capi degli organi di sicurezza dello Stato.
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Il padre, Giorgi Dekanozishvili, controllore di una compagnia petrolifera, divenne il Capo del Partito socialista federalisti nella Georgia pre-rivoluzionaria, allora parte dell’Impero russo, e proveniva da una famiglia nobile georgiana appartenente alla Chiesa ortodossa autocefala della Georgia.
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Il cognome Dekanozishvili in lingua georgiana significa letteralmente “Figlio di un diacono” e sebbene questa famiglia sia stata inserita nell’elenco ufficiale dei georgiani, alcune voci suggerirono che potesse derivare invece dall’etnia armena, a causa del nome russificato.
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Pare però che queste voci abbiano avuto origine da Josif Stalin che spesso stuzzicava e derideva Dekanozov.
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Secondo l’autore del libro “Double Deception” invece, Dekanozov non era georgiano, ma piuttosto un estone, il cui vero nome era Ivan Vasil’evich Protopopov, di padre russo e di madre ebrea assimilata alla cultura del baltico tedesco.
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Le asserzioni dell’autore derivano dalle dichiarazioni del Direttore dell’FBI statunitense J. Edgar Hoover che le avrebbe desunte, a sua volta, dall’intelligence britannica.
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Alcuni sostengono che Protopopov assunse il nome di Dekanozov e un'identità etnica georgiana al fine di nascondere la sua vera origine, cosa che era abbastanza comune tra i bolscevichi. 
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Uno dei motivi per cui gli autori di "Double Deception" accettano la tesi di Hoover sull'origine etnica di Dekanozov è il suo aspetto fisico; non era scuro come il tipico caucasico, ma biondo con gli occhi celesti, che gli conferivano un aspetto più "nordico", nonostante la sua bassa statura, ed era coerente con un'origine estone.
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Vladimir si diplomò a Tbilisi, la capitale della Georgia, in una scuola ginnasiale che forniva istruzione secondaria e superiore nel corso di sette od otto anni di frequenza.
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Vladimir studiò Medicina nelle Università di Saratov e di Baku, poi nel 1918 entrò a far parte dell’Armata rossa, mentre l’anno successivo aderì al Partito bolscevico.
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La sua prima attività fu quella di agente segreto in Transcaucasia, prima per un breve periodo nel Commissariato popolare per la salute della Repubblica Democratica dell’Azerbaigian, e in seguito in compagnie petrolifere private.
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Stemma della CEKA
Dopo l’invasione dell’Azerbaigian da parte dell’Armata rossa, Dekanozov lavorò per la "Ceka", la Commissione straordinaria per la lotta alla contro-rivoluzione e al sabotaggio nella nuova Repubblica dell’Azerbaigian sovietico.
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In questo frangente conobbe Lavrentij Berjia, il futuro dirigente della famigerata NKVD entrando nella sua sfera “protettiva”.
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La carriera politica di Dekanozov proseguì con diversi incarichi affidatigli dalla "Ceka" in Azerbaigian, in Georgia e nella Transaucasia fino al 1927, anno in cui divenne istruttore del Comitato Centrale del Partito Comunista della Georgia.
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Dal 1928 al 1931 si mise in evidenza nei territori della Georgia e della Trancaucasia come leader dell’OGPU, la polizia segreta dell’Unione sovietica.
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Nel 1931 divenne segretario del Comitato centrale del Partito comunista della Georgia e nel 1936 fu nominato Commissario del popolo (Ministro) dell’industria alimentare della Georgia.
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Dal 1937 svolse un duplice incarico, come Presidente della Pianificazione Economica georgiana e come vice Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, sempre in Georgia.
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Raggiunse il grado di Deputato del Soviet supremo dell’Urss e mantenne tale carica dal 1937 al 1950.
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Lavrentij Berija
Quando Lavrentij Berija divenne Capo della NKVD, volle con sé Dekanozov, nominandolo vice capo del GUGB (un ramo dell’agenzia segreta) e come Capo dei dipartimenti di intelligence estera e del controspionaggio (INO), dal 1938 al 1939.
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Il 17 dicembre 1938, fu anche nominato vice capo del GUGB NKVD.
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In quella veste, divenne l'assistente principale di Beria nell'epurare il GUGB dagli elementi della NKVD protetti del suo ex Direttore, Nikolaj Ezov.
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Dekanozov supervisionò anche le epurazioni dell'esercito, che erano già state indebolite dagli arresti nel 1937 e nel 1938.
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Vladimir Dekanozov era alto a malapena un metro e cinquanta, con un naso piccolo e a becco, con pochi capelli appiccicati al cranio pelato e quindi appariva di aspetto insignificante, ma le numerose condanne a morte che aveva ordinato nel Caucaso negli anni ’20 lo resero noto come “il “boia di Baku”.
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In seguito il suo comportamento sanguinario durante il periodo del Terrore staliniano di cui fu complice ed esecutore confermò la fama che lo precedeva.
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Dekanozov fu nominato anche responsabile per le purghe dell’Armata rossa e dei sostenitori di Nikolaj Ezov all’interno della NKVD.
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Nel 1939 divenne vice capo del Commissariato del popolo per gli Affari esteri (NKID) e responsabile della sfera di influenza che comprendeva Iran, Turchia, Afghanistan, Mongolia, e Xinjiang, così come i consolati, i quadri,  e le finanze della NKVD.
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Dopo il Patto Molotov–Ribbentrop fra Unione Sovietica e Germania nazista del 23 agosto 1939, prodromico alla conquista dei territori relativi alle rispettive sfere di influenza, Dekanozov si occupò degli stati confinanti con il settore nord occidentale russo, e cioè degli Stati baltici, Lettonia, Estonia, e Lituania.
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12 novembre 1940. Molotov a Berlino per la firma del Patto di non aggressione con la Germania
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Paventando un problema di sicurezza ed una inesistente trama dei Paesi baltici, appunto, con le Borse Valori di Parigi e di Londra, Dekanozov riunì nel proprio ufficio alla Lubjanka parecchi funzionari tra cui Andrej Vysinskij, il Procuratore che istruiva i processi farsa per conto di Stalin.
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Dekanozov affidò loro la missione di intervenire e di iniziare l’annessione dei territori baltici alla Russia, affermando che i lavoratori di quegli Stati chiedevano a gran voce di essere “liberati” dai rispettivi regimi borghesi e di essere trasformati in altrettante Repubbliche socialiste sovietiche.
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Dekanozov avrebbe guidato quindi la missione in Lituania e Vysinskij sarebbe andato in Lettonia, mentre Zdanov si sarebbe occupato dell’Estonia.
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Il piano “preliminare alla liquidazione” ideato da Dekanozov con la collaborazione della NKVD per la Lituania prevedeva l’abolizione attiva dei partiti ostili, i nazionalisti, i voldemaristi (socialisti), i populisti, i democratici cristiani, i giovani lituani, i trotzkisti, i socialdemocratici, la guardia nazionale e tutti coloro che potessero opporre un qualsiasi dissenso.
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I "Fratelli della Foresta", i partigiani anticomunisti baltici che si opposero agli invasori sovietici
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A metà luglio 1940 i popoli baltici, sottoposti a repressioni e ad un controllo pressochè totale, furono indotti a votare sotto la supervisione della NKVD.
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La coercizione sovietica produsse come risultato una maggioranza comunista del 99 % in Lituania, del 97,8 % in Lettonia, e del 92,8 % in Estonia, prodromica alla richiesta di annessione all’Urss.
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Il 3 agosto 1940 l’Urss ci fu l’annessione ufficiale della Lituania, seguita il 5 agosto da quella della Lettonia e il 6 agosto da quella dell’Estonia.
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Dekanozov e la NKVD proseguirono nella loro “missione” , deportando a decine di migliaia le popolazioni baltiche.
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Solo nella notte fra il 14 e il 15 giugno 1940 furono deportati 60 mila estoni, 34 mila lettoni, e 38 mila lituani.
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Furono caricati su carri bestiame ferroviari e condotti nei campi di prigionia sovietici distanti migliaia di chilometri, nei famigerati gulag della Siberia e dell’Uzbekistan.
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Quando iniziò l’invasione tedesca della Russia nel 1941, erano già stati deportati il 4 % degli estoni, il 2 % dei lettoni e dei lituani.
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In precedenza, nel mese di novembre del 1940, Dekanozov fu nominato Ambasciatore e capo dell’INO (il servizio informazioni) in Germania da Stalin in persona.
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L'ambasciatore sovietico Dekanozov nella Cancelleria del nuovo Reich tedesco.
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Nonostante il servilismo delatorio e la sua mentalità arrogante, intrigante e feroce, Dekanozov si rese responsabile, nel ruolo di Ambasciatore e capo dell’Intelligence in Germania, del peggior disastro russo nel campo delle informazioni, non riuscendo a captare e a prevedere il piano di invasione tedesco che era stato preparato con il nome di “Operazione Barbarossa”.
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In pratica Dekanozov non seppe valutare la situazione e rimase all’oscuro dei piani aggressivi di Hitler.
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Stalin si fidava ciecamente di Dekanozov, tanto da concedergli il posto d’onore al proprio fianco nel palco delle autorità, in occasione della parata del 1° maggio nella Piazza Rossa a Mosca, ma quando finalmente Dekanozov si decise a trasmettergli un messaggio di allarme relativo ai piani di invasione tedeschi, il dittatore georgiano lo considerò il prodotto della disinformazione che dilagava nella ambasciate.
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D’altra parte, fino a quel momento entrambi condividevano l’opinione che fosse in atto una campagna di disinformazione escogitata dagli inglesi per minare i rapporti fra Germania e Unione Sovietica e nemmeno la notizia e la conferma dello schieramento di 180 divisioni tedesche al confine li aveva minimamente preoccupati.
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Dopo la guerra Dekanozov molestò e sedusse una ragazza che si rivelò essere la figlia di un leader di rango elevato, il quale si rivolse a Molotov per avere giustizia, e poiché Stalin in questo frangente non intervenne a sua difesa, Dekanozov fu sanzionato dal Partito ed espulso dal Commissariato degli Affari esteri il 19 marzo 1947.
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Come membro della “nomenklatura” però fu successivamente nominato deputato, ma nel 1949 fu nuovamente estromesso da ogni incarico e rimase senza lavoro fino al 1952, anno in cui ricevette un incarico minore come membro del Comitato radiofonico presso il Consiglio dei Ministri dell’Urss.
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Boris Merkulov, suo amico fin da quando erano studenti al Politecnico di Baku, nel 1915/16, e capo dell’Agenzia per le Proprietà Sovietiche all’estero (GUSIMZ), oltre che appartenente alla “banda” di Berija, lo nominò suo vice, affidandogli un incarico da svolgere presso gli uffici di Budapest.
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Alla morte di Stalin fu richiamato da Berija, che era stato temporaneamente nominato Primo Vice Ministro, a far parte della Commissione degli Affari Interni della Repubblica Georgiana.
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Dopo la caduta di Berija, nell’estate del 1953, fu arrestato a Tbilisi insieme ad altri membri della “banda” di Berija, giudicato dalla Corte Suprema dell’Urss e condannato a morte.
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Dekanozov, che era sposato con Nora Tigranovna ed aveva due bambini, Nana e Regik, venne fucilato insieme a Berija (un sadico predatore sessuale) e ad altri assassini del loro stesso stampo.
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Dissenso
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lunedì 22 aprile 2019

STALIN E HITLER

Gli importanti studi storici sui totalitarismi condotti negli ultimi decenni hanno messo in evidenza fatti, situazioni, intrighi, e collusioni che ritraggono e certificano una palese simbiosi tra i maggiori totalitarismi del secolo scorso, il nazismo e il comunismo.
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Hitler e Stalin
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Mentre l’apparato disinformatore comunista si poneva davanti agli occhi dell’opinione pubblica come il baluardo e l’argine contro il nazismo, dall’altro astutamente copriva le tracce della propria collaborazione proprio con la Germania di Hitler.
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Oggi è risaputo, e appartiene alla Storia, il fatto che Stalin e Hitler si siano spartiti i territori e le relative sfere di influenza di tutti i territori del continente asiatico ed europeo.
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Voglio soffermarmi, a tale proposito, su uno degli accordi simbolo di questa simbiosi, che ha visto le popolazioni interessate soccombere sotto il peso schiacciante di due superpotenze avide di potere :
il patto Ribbentrop–Molotov, detto anche patto Hitler-Stalin.
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Si trattò di un accordo di non aggressione della durata di dieci anni, stipulato a Mosca il 23 agosto 1939 fra la Germania nazista e l’Unione sovietica comunista, firmato appunto dai rispettivi Ministri degli esteri, quello tedesco Joachim von Ribbentrop e quello sovietico Vjaceslav Molotov.
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Il patto prevedeva, oltre che ad un mutuo impegno a non aggredirsi reciprocamente, anche un protocollo di clausole segrete con cui si delineavano le rispettive “sfere di influenza” corrispondenti ai reciproci interessi territoriali.
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Grazie a questo patto l’Unione sovietica si impossessò della Polonia orientale, dei Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), della Finlandia, e della Bessarabia (i territori compresi fra le attuali Moldavia e Ucraina), mentre la Germania si accaparrò la Polonia occidentale.
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Durante questo percorso intanto, la popolazione russa viveva già in una condizione di terrore e di estremo disagio, succube delle politiche devastanti del suo aguzzino, Josif Stalin, e del suo apparato criminale comunista.
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Le connivenze del comunismo italiano, ad opera del criminale Palmiro Togliatti sono oggi ben documentate e ci danno la misura del grado di falsificazione storica operato dalla disinformazione delle sinistre nel dopoguerra.
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Milioni di deportati e interi popoli annichiliti dalla furia paranoica del dittatore georgiano, con la complicità e il tacito consenso di personaggi come Togliatti, rappresentano il biglietto da visita del comunismo e dei suoi eredi metamorfizzati.
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A proposito del ruolo comunista nel disastro epocale che lo rappresenta voglio riportare alcune righe tratte dal libro di Christopher Andrew e Oleg Gordievskij intitolato “La storia segreta del Kgb”, che consiglio a tutti di leggere.
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… da pagina 268 …
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Mentre la Gestapo organizzava la persecuzione dei “nemici razziali” nella Polonia occupata dai tedeschi, l’NKVD se la prese con i “nemici di classe”. 
I decreti dell’NKVD nel 1940 elencavano quattordici categorie di persone da deportare.
La prima, ed era significativo, comprendeva i trotzkisti e altri eretici del marxismo.
Poi venivano le persone che avevano fatto viaggi all’estero o avevano avuto “contatti con rappresentanti di Paesi stranieri”, categoria vastissima in cui figuravano perfino gli esperantisti e i filatelici.
La maggior percentuale dei deportati era costituita dai capi della comunità e dalle loro famiglie: uomini politici, impiegati statali, ufficiali, agenti di polizia, avvocati, proprietari terrieri, uomini d’affari, proprietari di alberghi e di ristoranti, sacerdoti e “persone attive nella vita parrocchiale”. 
Non diversamente dalle SS e dalla Gestapo, l’NKVD era impegnata, come disse in seguito il generale Wladyslaw Anders, a “decapitare la comunità”, distruggendo ogni tipo di leadership potenzialmente in grado di organizzare la resistenza contro il dominio sovietico.
In effetti, l’NKVD collaborò con le SS e con la Gestapo, scambiando comunisti tedeschi detenuti nei gulag contro russi e ucraini emigrati in Germania.
Margarete Buber-Neumann fu una dei comunisti tedeschi consegnati alle SS a Brest-Litovsk, presso il ponte sul fiume Bug. Dopo lo scambio dei saluti, gli ufficiali delle SS e dell’NKVD si trattavano da vecchi amici :
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- Quando fummo a metà del ponte, mi voltai indietro.
Gli ufficiali dell’NKVD erano ancora là, in gruppo, a guardarci partire.
Alle loro spalle si stendeva la Russia sovietica.
Ricordai con amarezza la lituania comunista :
Patria dei lavoratori; Baluardo della libertà; Rifugio dei perseguitati … -
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Un totale di circa un milione di polacchi nemici del popolo fu trasportato per migliaia di chilometri, in lunghi convogli di carri bestiame, fino alle enormi distese del Kazakistan e della Siberia.
Quando, dopo l’invasione della Russia da parte dei tedeschi nel giugno 1941, fu dichiarata l’amnistia, quasi metà dei deportati era morta.
I 15.000 ufficiali polacchi perirono in campi di sterminio più vicini alla patria.
L’ultima annotazione nel diario di uno di loro, il maggiore Solski, racconta il momento in cui gli uomini dell’NKVD lo condussero nella foresta di Katyn, vicino a Smolensk, il 9 aprile 1940 :
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- Siamo arrivati in un piccolo bosco che sembra un campeggio di vacanza. 
Ci hanno tolto gli anelli e gli orologi, che segnavano le 6.30 del mattino, anche le cinture e i coltelli.
Che cosa sarà di noi ? -
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Tre anni dopo il cadavere di Solski, con il diario ancora in tasca, fu scoperto dalle truppe tedesche insieme ai corpi di altri 4.000 ufficiali nelle fosse comuni della foresta di Katyn.
Molti di loro avevano le mani legate dietro la schiena e una pallottola nella nuca.
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Questo è il vero volto del comunismo.
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Il comunismo propagandato in Italia da elementi criminali come Togliatti, Longo, Cossutta, Napolitano e tutta l’accozzaglia di comunisti che sedevano sugli scranni parlamentari della Repubblica italiana mentre contemporaneamente prendevano ordini da Mosca, oltre che finanziamenti a piene mani.
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Mi chiedo quindi, a fronte di dati storici incontrovertibili, come mai il comunismo non sia ancora stato messo fuori legge e bandito dai consessi internazionali come “male assoluto”.
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Mi chiedo come mai la Sindaca di Roma, la "grillina" Raggi, si sia opposta alla richiesta di intitolare una via di Roma a Giorgio Almirante mentre per contro permetta che ci siano nella Capitale vie e piazze intitolate a gerarchi comunisti come Togliatti e Lenin.
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Non mi risulta che Almirante, lo scomparso leader del Movimento Sociale Italiano, abbia mai deportato, ucciso, o torturato i suoi connazionali, come hanno fatto invece Lenin e Stalin.
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Non mi risulta che Almirante, abbia mai stilato liste di personaggi da destinare ai gulag siberiani, come ha invece fatto Togliatti, coadiuvato dalla sua congrega di assassini del PCI, lordandosi del sangue dei suoi stessi “compagni.“
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Molti comportamenti criminali dei leader che comandavano nazismo e comunismo sono stati spesso l’uno prodromico dell’altro, a cominciare dalle persecuzioni contro gli ebrei, iniziate da Stalin molto tempo prima dell’olocausto hitleriano, come la Storia ha dimostrato.
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Oggi, con le conoscenze di cui siamo in possesso, non è più concepibile dichiararsi comunisti, a meno non si voglia palesemente porsi in antitesi con i più elementari princìpi di democrazia e di convivenza civile.
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I diritti umani sono incompatibili con il mondo comunista, anche se i loro gerarchi e i loro disinformatori di professione ci hanno far voluto credere il contrario.
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Il disprezzo e l’arroganza, unite ad una continua violenza sono in effetti ciò che contraddistingue, da sempre, qualsiasi forma di Governo comunista.
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La Corea del Nord e la Cina sono lì, davanti agli occhi di tutti, ancora oggi, per confermarlo !
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Dissenso
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domenica 21 aprile 2019

L'ECCIDIO DI ROVETTA


Durante la seconda guerra mondiale, durante le operazioni belliche, fu disposto dai comandi militari italiani che la 1° Divisione d’Assalto “M”, Legione Tagliamento venisse spostata e dislocata nel territorio bresciano, in particolare nella Val Camonica.
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Il suo compito era quello di contrastare le formazioni partigiani attive nell’area, che minacciavano l’integrità delle linee di comunicazione della Wehrmacht, le Forze armate tedesche, e di presidiare i cantieri della Todt, l’organizzazione di costruzioni che operava nei territori a fianco dell’esercito tedesco.
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Il 26 aprile 1945 un gruppo di militari della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che presidiavano la località “Cantoniera della Presolana”, un valico alpino in provincia di Bergamo, al comando del Sottotenente Roberto Panzanelli, venne a sapere attraverso le comunicazioni radiofoniche della resa tedesca e italiana, e per questo motivo decise di lasciare il presidio e di raggiungere Bergamo.
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I militari si incolonnarono, al seguito di Alessandro Franceschetti, l’albergatore presso cui i militi erano alloggiati al Passo della Presolana, che li precedeva sventolando una bandiera bianca in segno di resa.
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Quando il gruppo arrivò nel paese di Rovetta, nella Val Seriana a circa quaranta chilometri da Bergamo, deposero le armi e si consegnarono al Comitato di Liberazione Nazionale locale.
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In questo frangente stipularono accordi per sancire la loro posizione di prigionieri di guerra, e fu siglato un documento a garanzia dei prigionieri, firmato e sottoscritto da tutte le componenti, a partire dal Sottotenente Panzanelli, ai rappresentanti del CLN, nella persona del Parroco Don Giuseppe Bravi, per finire con il Maggiore Pacifico ed altri.
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Dopo la firma dell’accordo i prigionieri furono trasferiti nei locali dele scuole elementari di Rovetta in attesa di essere consegnati al comando alleato.
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Il giorno 28 aprile (lo stesso giorno dell’omicidio di Mussolini) però, un gruppo di partigiani che appartenevano alla 53a Brigata Garibaldi Tredici Martiri, alla Brigata Camozzi e alle Fiamme Verdi, prelevarono il gruppo di militi dalle scuole elementari e li scortarono a piedi verso il cimitero del paese.
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Durante il percorso uno dei prigionieri, Fernando Caciolo, riuscì a scappare e a nascondersi nella casa di Don Bravi per circa tre mesi, prima di fare ritorno al suo paese di origine, ad Anagni, nel Lazio.
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Il sottotenente Panzanelli protestò con i partigiani, esibendo il foglio in cui era siglato l’accordo e le garanzie per il suo gruppo di militi, ma i partigiani glielo strapparono e calpestarono con disprezzo.
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Giunti al cimitero i partigiani assassini si disposero a formare due plotoni di esecuzione, e fucilarono 43 prigionieri compresi fra i 15 e i 22 anni di età.
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Ne furono risparmiati solo tre, a causa della loro giovane età :
Cesare Chiarotti di 14 anni, Sergio Bricco di 15 e Enzo Ausili di 16.
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I partigiani scoprirono che uno dei militi era figlio di Edvige Mussolini, sorella di Benito, e per questo motivo lo obbligarono ad assistere alla fucilazione di tutti i suoi commilitoni prima di essere a sua volta fucilato.
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Così ancora una volta i partigiani si macchiarono del sangue di vittime innocenti, ad armi deposte, confermando la ferocia che identificava e distingueva le formazioni assassine e la loro indubbia vigliaccheria.
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Ecco l’elenco delle vittime :
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ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando, anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonio, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16
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Per anni la responsabilità è stata addossata principalmente a un misterioso agente al soldo dei servizi segreti britannici (Soe) attivi sul territorio bergamasco, tale Paolo Podujie, conosciuto con il nome di battaglia di “il Moicano”.
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Secondo quanto scritto da Grazia Spada nel suo libro “Il Moicano e i fatti di Rovetta ” invece, la responsabilità materiale sarebbe da ascrivere ai partigiani socialisti della brigata “Camozzi” di Gustizia e Libertà, che in quei giorni avevano il controllo di Rovetta.
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Premetto che Rovetta venne “ufficialmente liberata” il 1 maggio 1945.
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Nel 1946 fu aperto un procedimento penale in cui vennero indagati i responsabili della strage, tra cui Paolo Poduje, capo della 53esima brigata e ritenuto il maggiore responsabile dell’eccidio.
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La sentenza del Tribunale di Bergamo, che arrivò nel 1951, fu oscena :
venne infatti dichiarato dai Giudici di Bergamo che non si doveva procedere nei confronti degli imputati, poiché il fatto (l’eccidio) avvenne tre giorni prima della liberazione della città, quindi non costituiva un crimine di guerra ma una semplice azione bellica.
Esattamente decretava il non luogo a procedere in virtù del fatto che :
“Il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”.
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In pratica le “toghe rosse” bergamasche non ritennero che fosse un atto criminale quello di trucidare a sangue freddo 43 ragazzini disarmati, arruolati da poco, che non avevano mai partecipato ad azioni di guerra, e che si erano comunque arresi.
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Dell’eccidio fino ad oggi nessuno ha mai chiesto scusa o ha dimostrato pentimento, e nemmeno si è voluto riconoscere come pagina buia della Resistenza questo gravissimo fatto.
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L’Anpi ha taciuto per decenni, così come l’Istituto storico della Resistenza, oppure coloro che oggi chiedono di vietarne la commemorazione, palesando un “disprezzo antifascista” che va oltre l’umana razionalità, sconfinando in un bieco odio di parte e nella mistificazione di partito.
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Il Parroco, Don Bravi, ha prima promesso salva la vita a questi ragazzi, poi ha permesso che venissero trucidati, senza che nemmeno la Curia poi, in futuro, prendesse atto di tale barbarie.
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Non una scusa, non un momento di riflessione, ma solo falsità e silenzio su un fatto di sangue efferato compiuto su ragazzini innocenti, vittime della Storia che al momento indossavano la divisa per così dire “sbagliata”.
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Tornando ai responsabili, occorre dire che l’enorme mole letteraria sull’argomento è divisa e contradditoria, almeno per quanto riguarda le tesi della  scrittrice Grazia Spada sopracitata.
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Molti autori indicano come responsabili dell’eccidio il già citato “Moicano”, insieme a :
Lanfranch”, Fomoni detto “Walter ” da Ardesio, “Fulmine” da Costavolpino, “Cascio>” da Costavolpino, Rossi “Buchi” da Castione della Presolana, con il concorso esplicito del maggiore Pacifici, già della Sussistenza del disciolto esercito regio.
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Rimane comunque il fatto che forze partigiane assassine si siano evidentemente contese il controllo del territorio, arrogandosi il diritto di decidere della vita di ragazzini dell’età compresa fra i quindici e i vent’anni, senza che alcuno di questi “eroici” comunisti o socialisti che fossero, si sia mai degnato di profferire una sola parola di pietà o di scuse al riguardo.
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Onore dunque alle vittime di Rovetta, che continueremo a commemorare e a ricordare.
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Dedichiamo loro un pensiero ed una preghiera amorevole, in vece del silenzio molto poco cristiano espresso dal Clero e dai suoi componenti fino ad oggi.
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Dissenso
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