Per gentile concessione dello scrittore Alberto Rosselli pubblichiamo un suo bellissimo saggio sul nazionalismo del popolo ucraino e sulla impari lotta che esso dovette affrontare per liberarsi dalla oppressione sia nazista che sovietica.
.
~ ~ ~.
IL MOVIMENTO NAZIONALISTA UCRAINO
E LA RESISTENZA ANTI SOVIETICA 1944 – 1956
.
di Alberto Rosselli
.
 |
Alberto Rosselli |
Premesse storiche
.
Prima della rivoluzione bolscevica, molti intellettuali nazionalisti
ucraini si erano dichiarati favorevoli alla realizzazione di una Federazione
Russa nella quale l’Ucraina avesse potuto svilupparsi, sotto il profilo
amministrativo e politico, in maniera autonoma.
La quasi totalità della classe colta era
infatti disposta ad accettare l’idea di un grande stato russo caratterizzato
però da un forte decentramento.
Tuttavia, avendo i bolscevichi dimostrato
evidente avversità a tale prospettiva federalista, gli ucraini dovettero optare
per l’alternativa secessionista, proclamando, nel gennaio 1918, l’indipendenza
e la repubblica.
Anche se, nella parte occidentale
dell’Ucraina (quella ancora occupata dalle forze austriache) la popolazione fu
costretta a procrastinare la sua adesione alla nuova realtà statuale fino al
novembre 1918, cioè dopo la resa degli Imperi Centrali.
La vita della Repubblica Ucraina Unita
(istituita nel gennaio 1919), fu comunque molto breve in quanto le sanguinose
vicende legate alla Guerra Civile russa trasformarono il paese in un gigantesco
campo di battaglia che vide contrapposti gli eserciti “bianchi”, quelli polacchi,
quelli bolscevichi e l’’Armata anarchica’ di Nestor Makhno che, dopo avere
combattuto contro le forze ‘bianche’, venne tradita, attaccata e distrutta
dalle armate bolsceviche che costrinsero lo stesso Makhno e poche centinaia di
suoi seguaci a fuggire in Occidente attraverso il confine romeno.
Questi tragici avvenimenti non disarmarono però
i patrioti ucraini che nel 1921 confluirono, assieme ad ex-militari del vecchio
esercito zarista, nell’UVO (Ukrainska Viiskova Orhanizatsiia,
Organizzazione Militare Ucraina), movimento che si pose come obiettivo la
cacciata degli occupanti polacchi e bolscevichi (questi ultimi usciti vincitori
dallo scontro con i “bianchi”) e l’indipendenza totale della vasta regione.
E
sulla base di questo scarno ma concreto programma, l’UVO scatenò in Bielorussia
una sanguinosa guerriglia tesa a destabilizzare e delegittimare il potere di
Varsavia.
Agli inizi del 1923, anche l’Ucraina orientale iniziò a manifestare in
maniera più che palese la propria avversità nei confronti di Mosca.
Il 30 dicembre del 1922, con la creazione
dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Lenin aveva infatti
concesso alle singole repubbliche di conservare un buon margine di autonomia
culturale, arrogandosi tuttavia l’assoluto controllo politico delle stesse
tramite le organizzazioni locali del Partito Comunista:
atteggiamento che spinse anche gli elementi più
moderati dell’UVO verso la deriva secessionista.
Nel 1929, grazie all’adesione di altri gruppi e formazioni
indipendentisti ucraini, l’UVO si ampliò e rafforzò, trasformandosi
nell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (Orhanizatsiia Ukrainskykh
Natsionalistiv) o OUN e passando sotto la guida del colonnello Yevhen
Konovalets, un alto ufficiale dell’esercito già facente parte dell’UVO, eletto
nel corso di un congresso straordinario del movimento svoltosi lo stesso anno a
Vienna.
Anche l’OUN aveva come scopo primario la formazione
di uno stato ucraino indipendente: obiettivo da raggiungere, se necessario,
attraverso l’utilizzo della forza.
 |
Stemma dell'OUN |
Proprio per questo motivo, l’OUN decise di tagliare
i ponti con gli altri partiti politici ucraini moderati, tollerati - ma nel
contempo anche controllati - dagli occupanti polacchi e bolscevichi.
Dal punto di vista ideologico, l’OUN prese in
prestito i fondamenti dall’idealismo nazionalista dell’intellettuale Dmytro
Dontsov (1883-1973), abbracciando dottrine piuttosto radicali e, come si è
detto, comunque contrarie a quelle di altri gruppi politici ucraini e
bielorussi, accusati di arrendevolezza nei confronti del governo polacco che a
quel tempo occupava ed esercitava il potere in tutta l’Ucraina occidentale.
Non a caso, l’OUN si diede una struttura molto
forte, gerarchica, caratterizzata da un direttivo decisionista e autoritario.
In Ucraina occidentale, il programma
politico-militare dell’OUN si sviluppò quasi esclusivamente attraverso la lotta
armata e l’azione terroristica nei confronti delle forze e delle istituzioni
polacche (nel 1936, un commando dell’OUN assassinerà il ministro degli Affari Interni
polacco Pieracki).
Sotto il profilo economico e sociale, i vertici dell’OUN ponevano in
evidenza il ruolo dello Stato quale unico, o quasi, controllore di tutti i
settori produttivi e della vita civile: un progetto che ricalcava in buona
misura il modello rappresentato dall’Italia fascista.
Yevhen Onatsky, un giornalista ed intellettuale che
fece parte della nomenclatura della cosiddetta Repubblica del Popolo Ucraino in
qualità di ambasciatore, viene ricordato come uno dei più ferventi ammiratori
di Mussolini ed uno dei maggiori sostenitori del modello politico fascista.
Nel corso delle sue missioni in Occidente e in
Italia, Onatsky tentò anche di ottenere l’appoggio del regime italiano alla
causa nazionale ucraina, senza però ottenere alcun risultato concreto.
.
 |
Mykola Stsiborsky |
Un altro importante teorico di uno stato ucraino
modellato su quello creato da Mussolini fu Mykola Stsiborsky che nel 1935
patrocinò l’istituzione di un’organizzazione politica e statuale molto simile a
quella italiana dell’epoca, soprattutto sotto il profilo economico e sociale.
Stsiborsky sosteneva infatti la necessità
di dare vita
ad uno stato corporativo, robustamente industrializzato, modernista, tale da consentire all’Ucraina, paese
tradizionalmente legato all’agricoltura, di entrare un giorno a fare parte del
gruppo delle nazioni europee più progredite.
Quello di Stsiborsky era però un progetto destinato
a fallire, in quanto gran parte dei vertici dell’OUN mantenevano riguardo alla
“modernizzazione” socio-economica non pochi pregiudizi, essendo essi stessi
ancorati all’immagine di un’Ucraina sì forte, ma contadina, fondata su valori
antichi, ma anche antiquati, e comunque condivisi da buona parte della stessa
popolazione.
Ciò che l’élite tradizionalista ucraina auspicava era senz’altro un
rafforzamento economico e politico dello Stato e soprattutto un contestuale
miglioramento delle condizioni della classe contadina.
I tradizionalisti spingevano in direzione di una
grande riforma agraria che garantisse agli agricoltori l’affrancamento dai
retaggi dei vecchi regimi feudali, pur nel rispetto della proprietà (cioè in
antitesi con le tesi bolsceviche), ma nel contempo diffidavano dei modelli
occidentali e modernisti considerati, probabilmente, troppo distanti dalla
mentalità del popolo ucraino.
Nel 1933, con l’ascesa di Hitler in Germania, i leader e gli
intellettuali dell’OUN si vennero a trovare in una situazione particolare e per
certi versi imbarazzante.
Sulle prime, infatti, il nazionalsocialismo tedesco
e le sue teorie relative al ruolo e al primato di uno Stato forte, autoritario
e popolare, esercitarono, seppure con qualche distinguo, una certa influenza o
attrazione su alcuni membri dell’OUN, anche se l’Onatsky ne diffidò subito,
comprendendo tra l’altro l’evidente diversa natura esistente tra il fenomeno
nazista e quello fascista italiano, che egli prediligeva.
Successivamente, Onatsky giunse a condannare senza
riserve il nazionalsocialismo come fenomeno imperialista, pangermanista,
razzista e anticristiano, andando così ad unirsi al fronte critico
rappresentato da Stsiborsky.
Tuttavia, alla metà degli anni Trenta, la Germania
(nonostante alcune intese raggiunte con l’Unione Sovietica relative a scambi
commerciali e consulenze militari) appariva agli occhi di buona parte dei
vertici OUN l’unica potenza dell’Europa centrale in grado, almeno teoricamente,
di controbilanciare la Russia comunista dal cui giogo l’OUN e gli ucraini
volevano liberarsi.
Queste considerazioni circa il ruolo della Germania
nel futuro dell’Ucraina continuarono ad esercitare per molto tempo un discreto
fascino su diversi esponenti del movimento.
Il fatto poi che, successivamente, la Germania si
dimostrasse una delle peggiori nemiche della Polonia (nazione che gli ucraini
ovviamente detestavano), non fece altro che consolidare in alcuni la
convinzione che Hitler potesse un giorno rivelarsi un buon interlocutore e
finanche un alleato.
E fu così che, pur mantenendo molte riserve di
carattere ideologico sul nazismo, nel 1937 l’OUN decise di allacciare contatti
con gli ambienti militari e dell’intelligence tedeschi, fornendo ad
essi informazioni sulle attività del governo polacco e sovietico.
 |
Dmytro Dontsov |
Questo nuovo rapporto di cooperazione venne accolto positivamente da
ideologi nazionalisti ucraini come Dmytro Dontsov che lodarono più volte la
politica interna ed estera di Hitler.
Pur condividendo, almeno in parte, queste opinioni,
Dontsov non tralasciò mai di sottolineare nei suoi scritti le sue personali
simpatie nei confronti dei regimi fascisti, falangisti e corporativisti europei
come quelli di Mussolini, Franco e Salazar.
Sebbene Dontsov non facesse parte dell’OUN, i suoi
trattati esercitarono comunque una considerevole influenza sui membri più
giovani dell’organizzazione.
Senza considerare che molti intellettuali ucraini,
anche moderati, sottoposti alla persecuzione polacca, iniziarono, con il
passare del tempo, ad assumere posizioni molto vicine a quelle dello stesso
Dontsov, che ricevette critiche soltanto da Onatsky e Stsiborsky.
L’atteggiamento sempre più filotedesco assunto dall’OUN, indusse sia la
Polonia che l’Unione Sovietica ad accentuare la sorveglianza e ad inasprire la
repressione contro il movimento ucraino, tanto che, il 23 maggio 1938, a
Rotterdam, agenti della NKVD giunsero ad assassinare (utilizzando una carica di
esplosivo) il leader Konovalets, al quale succedette il colonnello Andrij
Melnyk.
Nel tentativo di arginare e superare le posizioni
dei membri più giovani ed estremisti dell’organizzazione, l’OUN si diede una
struttura maggiormente solida e centralizzata, modificando la sua stessa
costituzione.
Ciononostante, nel 1940, un gruppo di radicali
(molti dei quali erano stati perseguitati e incarcerati dai polacchi) decise
uscire dall’OUN, considerata ormai troppo statica e inconcludente, per dare
vita ad un nuovo soggetto politico-operativo: la Direzione Rivoluzionaria, alla
cui testa si pose l’ex-capo dell’Esecutivo Territoriale dell’Ucraina
Occidentale dell’OUN, Stepan Bandera.
La resistenza
antisovietica in Ucraina
Nella seconda metà di
settembre del 1939, in seguito all’invasione sovietica della Polonia orientale,
la posizione dell’OUN in Ucraina occidentale si fece molto complessa, in quanto
Mosca - lasciata dai tedeschi libera di agire in Polonia orientale e in
Bielorussia - avviò una violenta repressione nei confronti dell’organizzazione
nazionalista ucraina, arrestando, uccidendo o deportando in Siberia centinaia
di militanti o di semplici simpatizzanti.
Il fatto che Hitler avesse avvallato,
in virtù del patto Ribbentrop-Molotov, l’occupazione sovietica della Polonia
orientale creò nei vertici OUN un notevole disappunto, anche perché, nella
primavera del 1939, la Germania aveva ad essi già dimostrato la sua evidente e
scarsa considerazione nei confronti della causa ucraina, consentendo
all’Ungheria di liquidare la neonata Repubblica Ucraino-Carpatica, appoggiata
dall’OUN.
Gli ostili atteggiamenti del Fuhrer
raffreddarono la simpatia precedentemente manifestata dai leader dell’OUN per
il Terzo Reich, anche se una parte di essi continuò a sperare in un possibile
deterioramento dei rapporti tra Berlino e Mosca: eventualità in effetti non del
tutto remota, che avrebbe potuto ridare all’Ucraina una nuova possibilità di
perseguire l’agognato obiettivo dell’indipendenza. Per questo motivo, dopo
l’attacco tedesco alla Russia (22 giugno 1941), l’OUN non ebbe esitazioni nello
scatenare la guerriglia contro le forze sovietiche, organizzando i primi nuclei
combattenti (pokhidni hrupy): unità che, approfittando della travolgente
avanzata della Wehrmacht, disturbarono le retrovie dell’Armata Rossa.
Con questa mossa, i leader ucraini
sperarono, abbastanza ingenuamente, di indurre Hitler a prendere un
atteggiamento più favorevole nei confronti dell’Ucraina.
Proprio in questo periodo, la fazione
“eretica” del movimento guidata da Stepan Bandera (personaggio destinato a
diventare il vero, seppure molto discusso e criticato, leader del movimento
indipendentista armato ucraino) mise in piedi due battaglioni di volontari che,
dopo essere stati addestrati da ufficiali della Wehrmacht, andarono ad
affiancare l’esercito tedesco ormai all’inseguimento dell’Armata Rossa.
.
 |
Stepan Bandera |
Vista la situazione, anche l’OUN non tardò a
dichiarare apertamente il proprio sostegno alle forze germaniche che nel
frattempo stavano facendo sloggiare i russi dall’Ucraina occidentale.
Se da un lato questa dichiarazione di intenti
venne accolta con favore dai generali tedeschi - ai quali faceva assai comodo
l’appoggio della popolazione e delle unità di volontari ucraini - dall’altra essa
lasciò del tutto indifferente Hitler che, oltre a non ritenere affatto esiziale
il contributo dell’OUN allo sforzo militare germanico, confermò le sue pesanti
opinioni circa la natura dei popoli slavi (ucraini inclusi) - paragonati ad
esseri “sub umani” – e ordinò nel contempo alla Gestapo di eliminare i leader
del movimento indipendentista ucraino.
Secondo i piani di Hitler, l’Ucraina sarebbe
infatti diventata un territorio di conquista da sottomettere e sfruttare.
Per questa nazione si apriva dunque un periodo
tra i più neri e contraddittori della sua lunga storia.
Il duro regime di occupazione nazista e la
negazione da parte della Germania di una benché minima forma di autonomia,
spaccò il movimento indipendentista ormai incapace di prendere una coerente e
dignitosa posizione tale da mantenere unito lo sfortunato popolo ucraino.
La sostanziale incapacità politica palesata dai
vertici OUN gettò infatti il paese nel caos spingendo i giovani, ma anche i
meno giovani, ad optare per scelte politico-militari degradanti se non
addirittura infamanti (tra l’estate del 1941 e l’estate del 1944, molti
accettarono - in odio ai russi e al bolscevismo - di arruolarsi in formazioni
paramilitari che vennero poi utilizzate dai tedeschi per combattere i
partigiani sovietici, ma anche per dare la caccia agli ebrei e ai polacchi).
Fino a quando, nel 1944, in seguito alla
ritirata tedesca e al ritorno dell’Armata Rossa, tutti gli indipendentisti
ucraini compresero che la loro lotta, fattasi ormai disperata, si sarebbe ancora protratta
per molto tempo e, probabilmente, nell’isolamento più totale.
Dal punto di vista storico, il periodo
dell’occupazione tedesca dell’Ucraina corrisponde alla cosiddetta “prima fase
bellica” (luglio 1941-luglio 1944) della resistenza antisovietica.
Questo periodo fu caratterizzato dal vigoroso
sviluppo di un nuovo soggetto politico-militare ucraino: l’UPA (Ukrainska
Povstanska Armiia), creata a Volyn il 14 ottobre 1942 da Roman Shukhevych.
.
 |
1942 - Unità militari dell'UPA nell'Ucraina Nord Occidentale |
.
Lo scopo principale di questa organizzazione fu
inizialmente quello di difendere la popolazione dalle operazioni di pulizia
etnica intraprese dai nazisti e dagli attacchi delle formazioni partigiane
comuniste che, a partire dalla fine dell’estate del 1941, iniziarono ad operare
nelle retrovie tedesche.
L’UPA perseguì inoltre l’obiettivo di
ricostituire un esercito nazionale ucraino indipendente: progetto che,
tuttavia, non riuscì mai a concretizzare per la ferma opposizione di Hitler.
A dimostrazione della palese quanto profonda
avversità dei nazisti nei confronti dei nazionalisti ucraini si ricordi che, il
30 giugno 1941, a Lvov (l’ex-Leopoli), allorquando Stepan Bandera osò
proclamare l’indipendenza dell’Ucraina, la Gestapo lo arrestò immediatamente
assieme ai suoi più stretti collaboratori.
E stessa sorte toccò anche
al leader dell’OUN Melnyk che dopo essere stato richiuso in un carcere, nel
1944 venne internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen.
Sempre nell’estate del
1941, la Gestapo iniziò a rastrellare e ad eliminare tutti i membri delle principali
fazioni nazionaliste ucraine, deportando in Germania migliaia di attivisti e
semplici cittadini impiegandoli nei lavori più duri e umilianti.
Il vero volto della “Nuova
Europa” nazista stava venendo alla luce.
Nonostante le rappresaglie tedesche,
nel 1942, l’UPA annoverava tra le sue file circa 100.000 combattenti, suddivisi
in numerosi gruppi operativi, sia in Ucraina occidentale che nei Carpazi
orientali.
All’inizio del 1944, i suoi organici salirono a
quasi 200.000 uomini, parte dei quali impegnati contro i tedeschi e parte
contro i partigiani comunisti appoggiati e riforniti tramite mezzi aerei
dall’Armata Rossa.
Nell’agosto 1943, in occasione della Terza
Assemblea Straordinaria indetta dalla fazione di Bandera, l’OUN, ormai alle
strette, adottò una guida collegiale, riconoscendo l’UPA quale formazione
militare ufficiale rappresentante l’intero popolo ucraino.
Tra la primavera e l’estate del 1944,
sotto la spinta delle armate sovietiche, l’UPA si ritrovò praticamente sola nel
contrastare l’avanzata russa.
A Stalin - che ai suoi generali aveva
già impartito l’ordine di sterminare tutti i ribelli accusati di
collaborazionismo con i nazisti - si presentava finalmente l’occasione per
liquidare una volta per tutte l’annosa “questione ucraina”.
Sebbene consci della gravità e
pericolosità della situazione, i partigiani ucraini accettarono però il
confronto, iniziando a raccogliere armi e a creare basi nelle vaste foreste e
paludi presenti nella regione.
In breve tempo i vertici UPA riuscirono a costituire
una struttura militare efficiente e completa, dotata di comandi centrali e
intermedi, suddivisa in reparti che agivano secondo criteri operativi e tattici
molto precisi.
A fianco dei gruppi combattenti, manovravano
unità di supporto e logistiche e numerose cellule composte da informatori e
agenti, alle quali venivano affidati compiti di intelligence e
missioni di sabotaggio e di “eliminazione” di importanti personalità militari
sia sovietiche che naziste.
.
 |
1944 - L'Armata Rossa invade l'Ucraina |
.
Va ricordato a questo proposito l’assassinio
del maresciallo dell’Armata Rossa Nikolai Vatutin (marzo 1944), ma anche
l’uccisione diversi alti ufficiali delle SS e della Gestapo, come il capo di
stato maggiore delle SA, Viktor Lutze.
Nonostante le molteplici ed oggettive difficoltà,
il comando dell’UPA fronteggiò quindi piuttosto bene l’avvio della “seconda
fase” della resistenza antisovietica che, tra alterne vicende e tramite il
seppur discontinuo appoggio dei servizi segreti occidentali, si sarebbe
protratta fino alla metà degli anni Cinquanta.
Con l’entrata dell’Armata Rossa in Ucraina, l’UPA provò, prima di dare
campo alle armi, a persuadere i soldati russi circa l’inutilità di una lotta
fratricida.
E a questo scopo fece trovare lungo il cammino delle
colonne sovietiche manifesti e volantini inneggianti alla “pace e l’unità dei
popoli russo e ucraino”.
Incredibilmente, questa apparentemente bizzarra
iniziativa riscosse un successo tale da indurre centinaia di soldati
dell’Armata Rossa a ribellarsi ai propri comandanti e addirittura a disertare.
In alcune zone dell’Ucraina si verificarono infatti
casi di ribellione e disobbedienza da parte di intere unità che vennero passate
per le armi da truppe scelte della NKVD.
Ripristinato l’ordine e la disciplina, la Stavka, cioè il Comando
Supremo delle forze armate sovietiche, riprese quindi all’offensiva contro
l’UPA.
Nell’autunno-inverno 1944 l’Armata Rossa e le forze
speciali della NKVD eliminarono 57.405 combattenti ucraini e ne catturarono
50.387.
E sempre secondo fonti sovietiche sembra che 15.990 ribelli
si siano arresi spontaneamente.
Va comunque segnalato, anche a fronte di questi
dati, che, tra il 1944 e il 1954, l’attività dell’UPA si rivelerà molto intensa
e si tradurrà in ben 14.424 attacchi contro raggruppamenti motorizzati e di
fanteria dell’Armata Rossa e della NKVD, senza contare gli attentati a presidi,
caserme, quartieri generali, uffici e depositi:
fatti d’arme che provocheranno
la morte e il ferimento di almeno 35.000 tra ufficiali e militari sovietici e
la distruzione di centinaia di autoveicoli e mezzi blindati.
Inferti i primi duri colpi ai raggruppamenti
partigiani, i sovietici cercarono di isolare il movimento nazionalista dalla
popolazione civile che, nel contempo, venne sottoposta a vessazioni di ogni
tipo.
La tattica più frequentemente adottata fu quella
(già sperimentata con successo negli anni Trenta) di bloccare le forniture
alimentari e di sementi ai villaggi e ai centri agricoli ucraini sospettati di
dare appoggio ai partigiani.
Queste misure, applicate da Stalin anche nei Paesi
Baltici, si protrassero con maggiore o minore intensità per diversi anni.
Secondo i documenti emersi nel 1995 dagli archivi
moscoviti, tra il 1945 e il 1948, il Cremlino fece ridurre in percentuale
variabile tutte le derrate alimentari e di generi di prima necessità destinati
all’Ucraina:
iniziativa che provocò la morte per inedia di almeno 10.000
persone.
Come seconda mossa, sia nelle città che nei villaggi
agricoli, i commissari politici avviarono una martellante propaganda avente
come scopo quello di gettare discredito sull’UPA, facendo ricadere su di essa
la responsabilità di tutte le stragi e privazioni inflitte al popolo ucraino.
Nei paesi maggiormente colpiti dalle “carestie
artificiali” i funzionari comunisti giunsero a promettere non soltanto cibo, ma
anche generi di conforto a chi avesse collaborato in qualità di spia o delatore.
Queste operazioni (concernenti perquisizione dei
villaggi, distruzione di abitazioni e raccolti, sequestro di bestiame e
deportazione di contadini nei gulag) vennero condotte soprattutto dalle forze
speciali della NKVD ed in misura minore da reparti dell’Armata Rossa.
Nell’arco dei primi quattro mesi del 1945, i sovietici fucilarono o
impiccarono altri 95.083 tra uomini e donne, portando, alla fine dell’anno, il
totale degli ucraini eliminati a 218.865 unità.
.
 |
Deportati ucraini raffigurati in un dipinto che li ritrae ammassati in un carro bestiame |
Contestualmente, essi scatenarono una serie di
offensive contro i nuclei più consistenti dell’UPA, ottenendo diversi successi:
tra il 1945 e il 1947 vennero infatti uccisi oltre 35.000 aderenti al movimento.
Nel 1945, il confine fra URSS e Polonia venne ridisegnato da Mosca, e
in questo nuovo contesto Stalin impose anche uno “scambio di popolazione su
base etnica”: manovra che innescò il processo di “russificazione” dell’Ucraina
occidentale.
Alla metà del 1947, la pratica della deportazione e
quella del ripopolamento forzato portarono allo spostamento di circa 14.000
ucraini dalle zone orientali della Polonia ad altri siti.
In Ucraina occidentale circa 78.000 individui - per
la maggior parte intellettuali e attivisti, ma anche ex-prigionieri e forzati
che erano stati rimpatriati dalla Germania – vennero deportati in Siberia e in
altre zone remote dell’Urss.
Tra il 1945 e il 1946, il cosiddetto “scambio
volontario di popolazione” con la Polonia permise al primo segretario del
Partito Comunista Ucraino, Nikita Kruscev, di attuare la pressoché
completa deportazione dei suoi compatrioti occidentali in Ucraina orientale.
Oltre a ciò, Mosca ordinò che certe zone della
regione venissero “colonizzate” da contadini provenienti da altre repubbliche
dell’Unione.
Si trattò indubbiamente di una pratica molto
efficace che permise a Stalin di “tagliare l’erba” sotto i piedi dei
partigiani.
La “colonizzazione” e l’immissione in Ucraina di
elementi etnici estranei ruppe infatti quei legami con la popolazione che
avevano garantito all’UPA buona parte del sostentamento necessario.
Tra il 1946 e il 1947, venne poi varato il Quarto
Piano Quinquennale che ebbe come risultato un’intensa collettivizzazione
dell’agricoltura e un contestuale, rapido aumento dell’industrializzazione:
provvedimenti che, se da un lato consentirono la raccolta, e quindi il
controllo, nelle fabbriche, di gran parte della popolazione, dall’altra non
sortirono alcun sostanziale effetto benefico sull’economia della regione.
La grave siccità del 1946 e la paurosa diminuzione
della produttività agricola causata dalla deportazione di decine di migliaia di
contadini, provocarono infatti una spaventosa carestia che colpì quasi un
milione di persone.
Secondo gli storici, il vero e proprio “stato di assedio” dell’Ucraina
da parte delle forze sovietiche ebbe inizio nel marzo 1945, quando Stalin,
fondamentalmente insoddisfatto dai risultati conseguiti, diede il via alla
prima campagna di pulizia etnica del secondo dopoguerra.
Il massiccio intervento, affidato alla polizia
politica, ma anche ad alcuni reparti dell’esercito, cominciò nel distretto di
Sambir e, nell’arco di poche settimane, portò al massacro di 6.000 civili, in
gran parte impiccati o fucilati.
In certe zone paludose prescelte per le esecuzioni
era pratica corrente eliminare i cadaveri legandoli con filo di ferro e
facendoli sprofondare negli acquitrini, mentre in altri casi i corpi venivano
ammassati in grandi fosse scavate da bulldozer, cosparsi di calce viva ed
interrati; dopodiché sull’area venivano piantati alberi e arbusti.
Questo nuovo giro di vite non piegò però la popolazione e tanto meno i
combattenti dell’UPA che, a partire dalla primavera del 1945, scatenarono
numerosi attacchi a colonne motorizzate e a caserme e depositi sovietici.
Non mancarono, da parte dei partigiani, azioni
terroristiche nei centri urbani, anche con l’utilizzo di esplosivi.
Nel corso di queste imprese, vennero fatte saltare
in aria centrali di polizia, locali e ristoranti frequentati da militari e
agenti.
Secondo alcune stime, tra il 1945 e il 1946, i
ribelli uccisero o ferirono 35.000 tra soldati e uomini della sicurezza.
Nel febbraio 1947, in una località non precisata dei
Carpazi, un commando UPA tese un’imboscata ed uccise il generale polacco Karol
Swierczewski.
Attentato che indusse il governo di Varsavia a
deportare - di comune intesa con Mosca - dall’area di Lemkivschyna in altri
siti migliaia di contadini ucraini sospettati di dare appoggio ai commando dell’UPA.
Documenti di fonte ucraina
forniscono alcune indicazioni circa il numero delle azioni di guerriglia condotte dalle forze
dell’UPA.
Nel corso del 1948, i commando
nazionalisti effettuarono 42 attacchi nella zona di Volyn, trecentottantasette
in quella di Drohobych, otto in quella di Kamianets Podilskyi; due nell’area di
Kiev, duecentosettantaquattro nel comprensorio di Lvov, sessantasette in quello
di Rivne, più 344 nella zona di Stanyslaviv, duecentoottantadue in quella di
Ternopol, due a Chernihiv, dodici a Chernivtsi e due a Brest (Bielorussia).
Sebbene l’UPA riuscisse a
portare a compimento molte operazioni, nel 1948, a fronte dell’aumentare degli
effettivi dell’Armata Rossa e, soprattutto, delle forze speciali, alcuni
reparti partigiani furono costretti ad abbandonare le aree pianeggianti del
paese e a trasferirsi più ad occidente verso le zone montagnose dei Carpazi
orientali.
Già a partire dalla fine del 1946,
l’esercito sovietico, avvalendosi anche dell’appoggio di reparti aerei tattici,
aveva infatti scatenato una serie di possenti e concentriche offensive
circondando ed eliminando diversi gruppi ribelli operanti tra il corso del
Dniepr e quello del Dniestr e nell’area di Zitomir e Kiev.
Ragione per cui i vertici dell’UPA
avevano deciso di ridurre gli organici dei singoli reparti (portati ad un
massimo 15/20 elementi ciascuno), rendendoli in questo modo assai più agili e
in grado di sgusciare tra le maglie della sorveglianza nemica.
La frammentazione dei gruppi consentì
anche di ridurre il pericolo di infiltrazione di agenti o informatori nemici,
pratica molto utilizzata dai russi.
Di pari passo con le loro offensive militari, i sovietici continuarono
ad esercitare una forte pressione materiale e psicologica sulla popolazione
locale.
Tra il 1945 e il 1946, la NKVD arrestò decine di
migliaia (si parla di almeno 50.000 individui) tra cittadini e contadini.
Queste attività vennero coordinate in buona misura
dal primo segretario Profatilov, divenuto, nel 1945, responsabile di un
apparato di sorveglianza e antiguerriglia estremamente efficace e articolato,
formato da elementi dell’esercito regolare, reparti della NKVD (utilizzati per
la difesa interna), unità Spetsgrup della NKVD (adoperati per
interventi speciali), sezioni operative della NKGB, gruppi della GRU (Servizio
Informazioni Militari), agenti dalla SMERSH (Controspionaggio Militare),
battaglioni della Milizia Territoriale, reparti misti di unità della Milizia
(addetti alla sorveglianza di ferrovie, ponti, fabbriche, ecc.), Istrebitelnye
Bataliony (o battaglioni “strybki”) e drappelli di autodifesa dei
villaggi.
Nel 1948, in talune zone dell’Ucraina, il Cremlino varò una politica di
pacificazione e normalizzazione, basata su iniziative rivolte a rassicurare la
popolazione.
.
.
Abbandonato momentaneamente il bastone, i sovietici
offrirono agli ucraini la carota.
Mosca ordinò infatti larghe distribuzioni di viveri
e medicinali, intraprendendo nel contempo la costruzione di ospedali, scuole,
centri per l’infanzia e case popolari.
Furono anche indette elezioni politiche (ovviamente,
a scheda unica):
uno stratagemma considerato utile per verificare il
livello di eventuale disaffezione della popolazione nei confronti del movimento
partigiano la cui attività, in effetti, aveva provocato gravi disagi all’intera
comunità.
Tuttavia, i risultati di questa prima consultazione
si rivelarono un autentico fallimento.
L’affluenza alle urne non superò infatti il 35% e
tale assenteismo costrinse gli scrutinatori di partito a compilare centinaia di
migliaia di schede.
Come riferirono gli stessi commissari politici
incaricati di sovrintendere le operazioni di voto, “quasi il 75% della
popolazione non si era infatti presentata ai seggi, accusando malanni e
contrattempi di tutti i tipi”.
Nel gennaio 1949, Kruscev
venne nominato segretario del Comitato Centrale Comunista a Mosca e al suo
posto, in Ucraina, arrivò Leonid Melnikov, che pur continuando con la politica
di normalizzazione, non tralasciò di perseguitare molti intellettuali e uomini
di chiesa, accusati di connivenza con l’UPA.
Nel paese vennero vietate tutte le
manifestazioni e le iniziative di carattere culturale o religioso che potessero
in qualche modo corroborare o rinsaldare lo spirito patriottico ucraino.
E di pari passo Melnikov intensificò
ulteriormente il processo di “russificazione” della vasta regione, abolendo
anche dal calendario tutte le ricorrenze tradizionali e le festività legate
alla storia dell’Ucraina cristiana e ai suoi legami, anche quelli più antichi,
con l’Occidente.
Nel corso del 1949, i
sovietici incominciarono a “modificare” la struttura stessa della popolazione
ucraina, sottraendo alle famiglie contadine la custodia dei propri figli e
riunendo tutta l’infanzia e l’adolescenza nelle organizzazioni giovanili di
partito (gli Octoborists, i Pionieri e il Komsomol).
In ogni villaggio vennero indetti
corsi serali di “rieducazione politica” per giovani e meno giovani, gestiti da
esperti del ministero dell’Educazione.
E contestualmente proseguirono le
elargizioni di viveri ai contadini:
soprattutto pane, latte, sale, sementi e
vestiario.
Con l’inizio della Guerra Fredda, gli anglo-americani, che temevano un
progressivo espandersi dell’influenza sovietica nel mondo, incominciarono –
come abbiamo già avuto modo di dire - a considerare i movimenti di resistenza
anticomunisti dell’Europa Orientale, e in modo particolare quello ucraino, alla
stregua di potenziali e utili alleati.
A questo proposito, va ricordato che tra il 1948 e
il 1952, tre speciali reparti aerei alleati, il 580°, il 581° e il 582° nucleo
dell’Air Resupply and Communication Squadron e del Psycological Storm Wing,
dotati di speciali quadrimotori a grande autonomia Boeing B29 (totalmente
dipinti di nero, privi di insegne ed affidati ad equipaggi polacchi, cechi e
più raramente americani), effettuarono, partendo da basi situate in territorio
cipriota, turco e tedesco, diverse missioni di supporto ai partigiani dell’UPA.
Nell’ambito di un’operazione segreta chiamata in
codice “Integral”, il SIS inglese, che da tempo in Inghilterra e in Germania
addestrava piccoli gruppi di volontari ucraini, e baltici, che erano riusciti a
fuggire in Occidente, organizzò aviolanci per trasferire in territorio
sovietico commando e informatori ucraini, ma anche appartenenti ad altre minoranze,
come quella armena e azerbaigiana.
Ma come abbiamo già avuto modo di approfondire, la
spia Kim Philby mise tempestivamente al corrente i sovietici di questi piani,
provocandone il loro quasi totale fallimento.
 |
La spia Kim Philby |
Nella fattispecie, nel marzo 1951, Philby riferì a Mosca che la CIA
aveva in programma un lancio in Ucraina di tre squadre di sei uomini ciascuna.
L’articolata operazione scattò nel mese di maggio
dello stesso anno quando da una base inglese situata nell’isola di Cipro, un
bimotore britannico con immatricolazione civile trasferì 18 agenti di origine
ucraina (che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano prestato servizio nella
Divisione SS “Galizia”) in territorio turco, da dove avrebbero poi dovuto
raggiungere la Bulgaria, passare in Romania e quindi in Moldavia.
La prima parte della missione ebbe esito positivo,
ma allorquando il raggruppamento tentò di entrare in Bulgaria esso venne
individuato e neutralizzato dalle forze di polizia comuniste.
Tra l’agosto e l’ottobre 1951, gli americani tentarono
altri voli con relativo trasferimento di agenti e materiali, ma tutte queste
operazioni (sempre negate dagli Stati Uniti) fallirono miseramente.
Nel novembre dello stesso anno, un altro velivolo,
questa volta americano, con a bordo apparecchi radio, materiale militare e
valuta russa destinati ai partigiani ucraini, venne intercettato e catturato
dai sovietici.
E l’incidente si trasformò in un caso molto
imbarazzate, almeno per Washington.
In sede Onu, il rappresentante di Mosca, Andrei
Vysinskiy accusò apertamente gli Stati Uniti di intromissione illegale e di
atti palesemente ostili nei confronti dell’Unione Sovietica, costringendo il
governo americano a pagare la somma di 120.000 dollari per il riscatto
dell’equipaggio che si scoprì essere statunitense.
Va notato a questo proposito che in altri casi,
quando cioè si trattò di equipaggi polacchi e cecoslovacchi ingaggiati dalla
CIA per missioni di intruding finiti nelle mani della polizia
politica o dell’esercito sovietico, Washington si rifiutò sempre di patteggiare
per la loro liberazione, e tanto meno di riconoscere collusioni o altre
responsabilità di sorta.
Nel 1952, in seguito al progressivo aumentare della repressione russa,
il comando dell’UPA accelerò lo spostamento di molti suoi reparti verso
occidente nella speranza che essi, dopo avere attraversato Polonia, Germania
Orientale, Ungheria o Cecoslovacchia, potessero trovare asilo nell’Europa
libera.
Già nel settembre 1947, infatti, ad un reparto
(la Compagnia 95) era riuscito, seppure al prezzo di alte perdite,
di passare in Germania Occidentale.
Su 100 uomini facenti parte dell’unità, soltanto 36
arrivarono alla meta. (si veda a questo propositoThousands of Roads di
Maria Savchyn Pyskir, traduzione inglese di Ania Savage. Jefferson, N.C.; McFarland & Company, Inc.)
Gli assassinii di personalità politiche e militari sovietiche o
polacche e di “collaborazionisti” comunisti rientravano nel tipo di lotta
armata intrapreso dall’UPA.
Nel novembre 1949, a Lvov, un commando ucraino
massacrò a colpi di ascia Yaroslav Galan, un ideologo sovietico molto impegnato
nella lotta politica contro i cosiddetti “banditi” dell’UPA.
Ma il 5 marzo 1950, nei pressi del villaggio di
Chorny Lis in Ucraina occidentale, i russi si presero un’importante rivincita.
Un contingente speciale della MVD alle dirette
dipendenze di Pavel Anatolievich Sudoplatov (uomo di fiducia di Stalin, autore
tra l’altro del piano realizzato per assassinare Trotsky), dopo lunghe ricerche
riuscì a scovare e ad uccidere il leader partigiano Roman Shukhevych.
.
 |
L'agente segreto russo Sudoplatov |
Anche se alcune fonti ucraine sostengono che il loro
comandante si sia invece suicidato per non cadere nelle mani dei sovietici.
Sta di fatto che, dopo la morte di Shukhevych tutte
le attività clandestine, condotte sotto il comando del successore
colonnello Vasyl Kuk, iniziarono a perdere progressivamente mordente e intorno
al 1955 (dopo la cattura di Kuk da parte di un commando MVD-MGM) gli ultimi
gruppi armati dell’UPA cessarono ogni resistenza.
Secondo certi storici, l’ultimo scontro armato degno
di rilievo tra partigiani ucraini e forze sovietiche si verificò nel novembre
del 1956 ai confini con l’Ungheria, allorquando alcuni guerriglieri UPA si
unirono ad un gruppo di ribelli magiari in lotta contro i russi.
Successivamente, il leader Kruscev avviò una
politica sicuramente meno oppressiva, anche se totalmente illiberale, nei
confronti del disgraziato popolo ucraino.
Circa la connivenza ideologica tra parte degli ucraini nazionalisti e
tedeschi, nel secondo dopoguerra gran parte della pubblicistica non ha avuto
dubbi nel liquidare sia l’UPA che l’OUN alla stregua di “fenomeni prettamente
reazionari, filo fascisti e violenti”, e in quanto tali da condannare in toto.
Fiumi di inchiostro sono stati versati a questo
proposito sulle “nefandezze” compiute dalle formazioni ucraine (formate da
volontari o coscritti) inserite nell’esercito tedesco.
Si veda, a questo proposito, la 14ma Divisione di
fanteria Waffen-SS “Galizia”, che comprendeva numerosi membri sia
dell’OUN che dell’UPA.
Durante l’occupazione tedesca della Polonia e
dell’Unione Sovietica occidentale, le unità ucraine delle SS si distinsero, in
effetti, nelle persecuzioni contro la popolazione civile polacca (circa
70.000/110.000 civili residenti in Galizia, Volhynia, Polesie e in alcune zone
della Polonia sud-orientale vennero massacrati).
Ma sostenere, come è stato fatto, che il movimento
nazionalista ucraino si sia dedicato esclusivamente allo sterminio di russi,
polacchi ed ebrei non corrisponde al vero, anche se – come si è detto – una
parte degli aderenti all’UPA e dei volontari ucraini delle Waffen SS si
macchiarono indubbiamente di orribili crimini.
.
.
P.S. Le immagini sono state aggiunte dal blog
.
.
Dissenso
.