mercoledì 26 giugno 2019

ASSASSINI PARTIGIANI COMUNISTI : la 36a BRIGATA GARIBALDI "BIANCONCINI"

Dopo aver letto il libro di Gianfranco Stella intitolato “I grandi killer della liberazione” ho voluto estrapolare tutto ciò che riguarda uno dei gruppi criminali e assassini appartenenti all’Universo comunista : quello che fu denominato 36° Brigata Garibaldi “Bianconcini”.
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Ogni anno l’Anpi e i politici legati al retaggio pseudo culturale di Palmiro Togliatti continuano a rappresentare il falso storico del mito resistenziale, secondo cui eroici combattenti comunisti sarebbero stati protagonisti della cosiddetta “Liberazione” italiana.
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Nulla di più lontano dalla realtà effettiva, in cui la presenza dei partigiani comunisti è stata in effetti una “spina nel fianco” degli anglo americani e delle formazioni partigiane non comuniste.
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Sono note infatti le molteplici uccisioni compiute dalle bande di assassini capitanate dai Commissari politici inviati dal PCI di Togliatti, allo scopo di consolidare i presupposti per una presa del potere a guerra finita ed instaurare una dittatura comunista.
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Il gotha dell'orrore comunista e partigiano
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In tale senso il biennio rosso 1919-1920 è stato prodromico alla conseguenziale diffusione di odio e di violenza prodottasi con la fine del fascismo, unico ostacolo al dilagare del comunismo.
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Fortunatamente, la spartizione dei blocchi territoriali di influenza delle zone occidentali ed orientali Europee fra Unione Sovietica e potenze occidentali, sancì la rinuncia di Mosca a fagocitare la nostra penisola a favore degli Stati Uniti.
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Finchè non si giunse a quel punto però, la ferocia comunista per mano dei partigiani comunisti assassini e sanguinari, si palesò in maniera chiara ed evidente esplodendo in manifestazioni di odio incontrollato e devastante.
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Successivamente, il PCI operò per tutto il periodo del dopoguerra al fine di proteggere e aiutare gli assassini comunisti, prima per mezzo dell’amnistia Togliatti, poi per mezzo di altri provvedimenti di clemenza, e infine ricorrendo al favoreggiamento e all’aiuto economico nei casi di latitanza di coloro che erano stati condannati per fatti di sangue.
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I più sanguinari vennero ricompensati e premiati con cariche politiche, eleggendoli Sindaci o Deputati, oppure garantendo loro un lavoro Statale come poliziotti nel Corpo di Polizia.
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Ecco ora un riassunto del modus operandi con cui i “gloriosi” partigiani comunisti spargevano il seme dell’odio e della violenza …
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Negli anni 1943 e 1944 al confine fra la Toscana e il territorio imolese, sulle colline faentine, operava un nucleo di sei partigiani denominato 8a Brigata Garibaldi a cui in seguito se ne aggiunsero un’altra ventina circa.
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A questo gruppo si aggregò una ulteriore formazione di circa 50 partigiani comunisti che era composta da elementi ravennati, imolesi, faentini e bolognesi che prese il nome di 4° Brigata Garibaldi di Romagna.
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Il criminale partigiano comunista 
e assassino Libero Lossanti
Nella formazione partigiana comunista confluirono poi altri gruppi armati come quelli guidati da Libero Lossanti alias “Capitano Lorenzini”, e da Ernesto Venzi detto “Nino”.
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Questi due criminali comunisti, coadiuvati da Andrea Gualandi detto “Bruno” e da Roberto Gerardi avevano istituito una sorta di troika allargata, un tribunale popolare in perfetto stile staliniano, che emetteva sentenze di condanne verso i prigionieri che avevano la malasorte di capitare sotto le loro unghie da carnefici.
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Il gruppo arrivò a contare circa 1200 unità e diventò il primo centro operativo della Brigata, ribattezzata con il nome di 36a Brigata Garibaldi Bianconcini.
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Lo “stato maggiore” della Brigata, comandata da Luigi Tinti detto  “Bob” (1920-1954), da Giovanni Nardi detto “Caio”, e dall’immancabile commissario politico del PCI Guido Gualandi, detto “Moro”, si era acquartierato a Molino Boldrino in un casolare  sperduto nella Valle del Sintria.
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La Brigata fu organizzata in quattro Battaglioni :
1° Battaglione, Libero, comandato da Edmondo Golinelli
2° Battaglione, Ravenna, comandato da Ivo Mazzanti
3° Battaglione, comandato da Carlo Nicoli
4° Battaglione, comandato da Guerrino De Giovanni
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Questa Brigata si contraddistinse per la ferocia e l’efferatezza delle azioni criminali compiute in totale disprezzo dei diritti umani.
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Anche i criminali assassini comunisti appartenenti a questa Brigata  beneficiarono dei provvedimenti di amnistia emanati da Palmiro Togliatti e dai Governi del dopoguerra, che come si sa, tutelarono questi delinquenti in ogni modo.
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Le condanne capitali costituivano la norma, precedute sempre da sevizie e torture di ogni genere, così com’era consuetudine fra gli “eroici” combattenti comunisti, stupratori di vittime innocenti, ladri, torturatori e sadici.
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A riprova di queste affermazioni ci sono le salme riesumate guerra finita, che erano state nascoste e seppellite nell’aia del casolare di Molino e che furono sottoposte ad autopsia per ordine dell’autorità giudiziaria.
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La prima salma apparteneva a Michele Biagi che presentava chiari segni di tortura, avendo i denti spezzati e segni di trascinamento.
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Le indagini, con l’ausilio anche di testimonianze giudiziarie, provarono che la vittima era stata legata alla coda di un cavallo e trascinata fino a ridursi ad un ammasso sanguinolento e informe, poi fu finita con un colpo di fucile alla testa.
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Cirillo Bernardi, la seconda vittima, era invece stato bastonato prima di essere ucciso a colpi di pistola, mentre la terza vittima, che aveva il cranio fratturato,  non venne mai identificata.
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La quarta salma presentava anch’essa diverse fratture nel cranio ed era priva di denti.
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La quinta salma ci dà l’esatta dimensione della ferocia e del sadismo di questi assassini comunisti, che furono comunque sempre protetti dal Partito comunista italiano.
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Era una donna, identificata come Maria Paoletti ed era gravida al quinto mese di gestazione, ma ciò non bastò a impedire che fosse seviziata  violentata, e infine impiccata con una corda che le fu trovata ancora attorcigliata al collo al momento della riesumazione.
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Il sadismo dei comunisti partigiani assassini, osannati ancora oggi dagli eredi di Togliatti, si manifestò ancora più apertamente contro due vittime innocenti, Olga Benericetti di 19 anni e la sorella Pasqualina di 15.
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Le sorelle si erano recate fino al casolare Molino alla ricerca del padre che dopo essere stato prelevato alcuni giorni prima, non aveva più fatto ritorno a casa.
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Le sorelle, a cui partigiani diedero scarso ascolto e considerazione,  insistettero nella loro richiesta di sapere dove fosse il loro padre e minacciarono di rivolgersi al comando tedesco, ma il loro atteggiamento irritò gli “eroici” combattenti comunisti che scatenarono la loro libidine e la loro perversione contro le inermi fanciulle.
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L’autopsia rivelò infatti evidenti prove di sevizie e di violenza sessuale in entrambe le salme, ma la sorella minore presentava chiari  segni di abuso anche nella regione rettale.
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I partigiani, non ancora soddisfatti, appagarono il loro sadismo tentando di enucleare gli occhi dalle orbite conficcandole un chiodo nel cranio.
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In seguito la mamma delle due bambine rimasta sola con un’altra figlia di otto anni non resse al dolore e impazzì, e per questo fu ricoverata nel manicomio di Imola, dove morì pochi mesi dopo.
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I responsabili di queste atrocità, oltre al comandante Bob e al commissario politico Moro, furono i seguenti :
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Pietro Ferrucci, l’esecutore materiale del duplice omicidio delle sorelle Benericetti che poi fu messo dal CLN a dirigere il Comune di Faenza, come Sindaco.
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Seguono i nomi degli altri responsabili, tutti criminali comunisti e tutti partigiani della 36° Brigata :
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Argelli Sergio
Arienti Primo
Bianchi Paolo
Car..li (?) Ermenegildo
Carpino Amelio
Casadio Luigi
Cavina Stefano
Chiarini Otello
Cimatti Onelio
Dalla Valle Luigi
Dal Monte Ciro
Domenicali Giuseppe
Falconi Attilio
Ferretti Romualdo
Ferri Adelmo
Gaudenzi Umberto
Gentilini Francesco
Giacometti Ciro
Grandi Valter
Marabini Filippo
Mazzotti Armando
Mazzotti Mario
Melandri Stefano
Meneghetti Gugliemo
Pratini Federico
Ragazzini Giuseppe (1928-1991)
Spada Domenico
Spada Vincenzo
Tabanelli Giovanni
Turicchia Franco
Visani Torquato
Zappi Graziano
Zappi Lino
Zauli Medardo
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Ragazzini Giuseppe, evidentemente non pago del sangue innocente versato,  commise anche gli omicidi Sarti del 13 maggio ’45, Ronchi del 24 maggio ’45, e Rondinini del 5 gennaio 1946.
Morì all’età di 63 anni a Ravenna, dove si era trasferito.
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Il comandante Luigi Tinti alias "Bob", una volta sciolta la Brigata Bianconcini, si arruolò nella Brigata Cremona dove però gli fu dato il grado di soldato semplice.
Per i crimini commessi dopo la cosiddetta “liberazione” fu sottoposto a processo, ma poi stralciato dal procedimento essendo venuto a mancare per tisi nel 1954.
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Nella 36° Brigata Bianconcini si distinse per i crimini commessi anche il sopracitato Guido Gualandi (Dozza Imolese 1908-1964) che fu autore di diversi delitti, tra cui l’uccisione di Bandini a San Cassiano nel luglio 1944, l’omicidio Guerra a Casola Valsenio nell’agosto 1944, e l’eliminazione di  Quadralti a Brisighella nel settembre dello stesso anno.
Questo “curriculum” gli valse la protezione a vita da parte del PCI, che poi si trasmise al di lui figlio che fu infatti nominato Segretario del PCI di Imola, poi Sindaco, ed infine Deputato per diverse legislature.
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Zauli Medardo alias "Pedro" (1922), che troviamo nella lista di assassini del Molino, divenne Vigile urbano nel Comune di Riolo Bagni dopo la “liberazione”.
Fu processato per tre gravi fatti di sangue :
l’omicidio di due fratelli, Eugenio e Giuseppe Sartori, commessi il 17 maggio 1945, l’omicidio di Battista Braghini il 21 maggio, e quello di Bruno Berti, il giorno 28 dello stesso mese.
Si diede alla latitanza e fu aiutato dal PCI a riparare in Cecoslovacchia, dove trovavano rifugio tutti coloro che il Partito comunista italiano poneva sotto la sua protezione, nonostante fossero delinquenti, assassini, e sadici assetati di sangue.
Il mandante di questi omicidi fu un capo partigiano riolese, il comunista Angelo Morini.
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Marabini Filippo, alias “Cucaracia” nativo di Castel San Pietro (1923-1986) aveva scelto come suo rifugio la canonica diroccata di Croara, una borgata delle colline imolesi e da qui partiva per compiere i suoi delitti.
Fu accusato di un numero enorme di omicidi tra cui quello  dei tre fratelli Neri, Francesco, Luigi e Zenobio, prelevati la notte dell’11 settembre 1944 e condotti nei pressi del cimitero, dove furono falciati a raffiche di mitra.
Questo sadico assassino comunista uccise anche il Maresciallo dei Carabinieri di Fontanelice, Salvatore Pantaleo, tagliandogli la gola per vendicarsi del fatto che poco tempo prima questi lo aveva arrestato per furto.
Forte dell’appoggio di altri assassini partigiani comunisti gli inflisse una ventina di coltellate alla gola, compiacendosi poi di raccontare gli ultimi istanti di vita della sua vittima, affogata nel suo stesso sangue.
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Il partigiano comunista Sergio Battilani detto “Roco” (Imola 1924), dopo la cosiddetta “liberazione” divenne Sindaco di Casalfiumanese dal 1948 al 1951.
A lui vengono attribuiti gli omicidi del calzolaio Sanzio Biondi e della sua famiglia nella frazione imolese di Fabbrica.
Nell’eccidio non vennero risparmiati nemmeno la moglie Lea Morsiani e i due figli, Anita di 25 anni, e Giuseppe di 17.
La sua responsabilità fu accertata e comprovata da una testimonianza ma venne inspiegabilmente assolto per insufficienza di prove.
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Uno fra i più spietati killer comunisti fu Augusto Monti, arrestato nel 1951 e condannato poi nel 1954 all’ergastolo dalla Corte di Assise di Bologna per numerosi omicidi di cui uno in particolare, commesso il 29 settembre 1945, gli precluse la fruizione delle 5 amnistie emanate e che gli costò la carcerazione all’Asinara per diversi anni.
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Concludo con una riflessione che mi porta a chiedere come mai certi personaggi politici legati al mondo delle sinistre come Laura Boldrini oppure come gli squallidi personaggi appartenenti al PD, o all’Anpi, sapendo tutto ciò, non vogliano ancora chiedere scusa per il male prodotto dai partigiani comunisti, ma anzi siano così ostinati, anno dopo anno, a celebrarne il ricordo.
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Malafede ? 
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O forse accade perché l’essenza comunista di cui sono inzuppati impedisce loro di provare empatia con le vittime e li spinge al disprezzo totale dei diritti umani, così come accade ancora oggi nei regimi comunisti esistenti ?
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Dissenso
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venerdì 21 giugno 2019

FRANCO ZEFFIRELLI, REGISTA e INTELLETTUALE ANTICOMUNISTA


La società civile italiana del dopoguerra è stata letteralmente avvelenata dal seme dell’odio seminato dai partigiani appartenenti al Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti, espressione di una delle più feroci e criminali appendici del dittatore sovietico Iosif Stalin.
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Le manipolazioni della disinformazione comunista hanno inglobato, fino ad oggi, intere generazioni, offrendo loro un modello di riferimento, quello comunista, che era esattamente l’opposto di quello reale.
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Veniva propagandato come un “paradiso” per gli operai e i contadini, mentre oggi sappiamo che le prime vittime dell’apparato bolscevico e della sua metamorfosi comunista furono proprio il proletariato e il mondo agricolo.
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Stalin diede il via libera all’istituzione dei “Partigiani della Pace” nell'aprile del 1949, un organismo internazionale che manifestava l’intento di opporsi alle armi e alle guerre, ma che in realtà fu creato solo per contrastare l’imperialismo in chiave anti-americana e anti-ebraica.
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Lo dimostra il fatto che mentre illustri artisti di fama mondiale come Picasso e Guttuso aderivano al progetto di Pace del leader comunista, questi nel frattempo realizzava la prima bomba atomica dell’Unione sovietica nell'agosto dello stesso anno.
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29 agosto 1949  -   1° test nucleare sovietico 
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Non tutti gli intellettuali però si fecero fagocitare dalle lusinghe, svendendo sull’altare del comunismo la democrazia e la libertà, ma ci furono anche pochi illuminati personaggi che furono in grado di ragionare con la propria testa e di respingere le tentazioni offerte dalle sinistre.
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Una di queste persone, il regista Franco Zeffirelli, scomparso sabato 15 giugno 2019, è stata una vera e propria stella che brillerà per sempre nel firmamento intellettuale di coloro che si opposero al Male assoluto : il comunismo.
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Zeffirelli nel 1967
Zeffirelli raccontava che addirittura prepararono un attentato contro di lui, che doveva sembrare un incidente automobilistico, e al quale scampò solo perché un amico lo avvertì in tempo.
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Era odiato dai comunisti, che come si sa usavano la cieca violenza per sopraffare chi non la pensava come loro e chi non si allineava ai loro dictat, ma lui, Zeffirelli, credeva anche in Dio e questo gli diede la forza per proseguire il suo percorso, raggiungendo fama, agiatezza, e popolarità.
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Nei primi anni “duemila” raccontava di essere stato un raro esemplare di cocciuto superstite fra coloro che sognavano una cultura liberale opponendosi al moloch comunista, e di essere stato sempre oggetto di una ostilità bestiale da parte della sinistra nella sua lunga carriera.
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Il maestro fiorentino affermava che pochissimi avevano saputo resistere con coerenza al virus comunista che era penetrato capillarmente nell’intimo tessuto dell’intellighenzia occidentale, e fra questi lui includeva sé stesso.
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Zeffirelli accettò quindi l’offerta fattagli dall’amico Silvio Berlusconi di entrare a far parte di Forza Italia, di cui divenne Senatore per un periodo di sette anni.
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2019 - Zeffirelli in carrozzella
Affermava che se Berlusconi non fosse entrato in politica l’Italia sarebbe diventata un Paese comunista e quando l’amico fu condannato per frode fiscale nel 2013, lui si presentò alla manifestazione di solidarietà nonostante il caldo estivo e il fatto che avesse già 90 anni e fosse anche in carrozzella.
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In quella occasione affermò che l’Italia continuava ad essere soggiogata da “una dittatura profonda, incorreggibile, della sinistra italiana, fiorita spudoratamente dopo la guerra a colpi di ricatto e calunnie”.
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Il suo anticomunismo si arricchisce di un valore aggiunto se consideriamo il fatto che Zeffirelli si definiva un cattolico di sinistra ed era omosessuale, pur opponendosi al matrimonio fra persone dello stesso sesso.
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Era quasi disgustato dall’avanzata del Movimento 5 stelle e considerava Beppe Grillo come un “becero comico”, mentre a sinistra aveva in simpatia sia Piero Fassino che Matteo Renzi che a suo dire “aveva previsto il tracollo dei comunisti”.
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Negli ultimi anni il maestro fiorentino soleva dire :
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Oriana Fallaci
Meno mi immergo nel pentolone della politica italiana e meglio mi sento”.
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Nel 2002, in occasione del raduno dei “no global” a Firenze, si alleò con Oriana Fallaci proclamando che si sarebbero dati fuoco in Piazza della Signoria come il Savonarola per impedirne la realizzazione, inconcepibile in un contesto medioevale inviolabile come quello fiorentino.
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Realizzò nell’ex Tribunale di Piazza San Firenze, dietro Palazzo Vecchio, un Centro culturale delle arti e dello spettacolo della Fondazione Zeffirelli, in cui vengono custoditi i ricordi della memoria artistica, come i costumi di scena, i filmati, i prodigi, gli incanti, le scenografie, le foto di tutta una vita trascorsa al servizio del cinema e della cultura.
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Zeffirelli era un uomo di grande cultura e si muoveva con disinvoltura fra teatro e cinema, ma si rapportava anche con l’immediatezza dei linguaggi popolari, come la lirica, e riadattando per la televisione molti tratti distintivi della cultura legata al melodramma, ma sempre esibendo con ostentazione il suo valore aggiunto, l’anticomunismo.
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Conosciuto a livello internazionale Zeffirelli fu candidato all’Oscar nel 1968 per “Romeo e Giulietta” e vinse due Emmy Award, due David di Donatello, e un Nastro d’Argento.
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Ricevette importanti onorificenze come la nomina a Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana nel 1977, la nomina di Cavaliere Commendatore dell’ordine dell’Impero Britannico nel 2004, e una Medaglia d’oro ai benemeriti della Cultura e dell’Arte nel 2003.
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Tra gli oltre venti lavori di cui diresse la regia e quelli nei quali il Maestro curò anche la sceneggiatura, ricordiamo il film televisivo “il Gesù di Nazareth”, trasmesso in cinque puntate dalla Rai nel 1977, interpretato da attori famosi come Robert Powell, Claudia Cardinale, Anthony Queen, e Olivia Hussey.
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Fra le sue migliori pellicole spicca “La bisbetica domata”, un film del 1967 tratto dall’omonima commedia di William Shakespeare e interpretato da Elisabeth Taylor e Richard Burton.
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L’anno successivo fu la volta della trasposizione cinematografica della celebre opera teatrale di William Shakespeare “Romeo e Giulietta”, girata in lingua inglese con il diciassettenne Leonard Whiting (Romeo) e la sedicenne Olivia Hussey (Giulietta) come protagonisti.
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Una delle pellicole più belle della sua intera produzione fu senza dubbio “Fratello sole, sorella una” del 1972, con cui Zeffirelli vinse il David di Donatello come miglior regista.
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Non riesco però a non muovere un solo ma deciso appunto al Maestro, relativo al fatto che pur calato nella sua immensa produzione di qualità non abbia mai rivolto la sua attenzione professionale per dirigere film sul gulag sovietico, o sulle stragi delle Foibe, oppure su crimini come le famigerate “marocchinate” delle “forze di liberazione” francesi nel 1944, così come fecero invece Alberto Moravia e Vittorio De Sica.
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L’anticomunismo per essere costruttivo ed efficace deve passare attraverso l’informazione e l’attività continue e capillari sul territorio e non fermarsi a palesi dichiarazioni di intenti.
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Il comunismo va combattuto come Male assoluto, così come le sue emanazioni metamorfiche che si sono diramate come metastasi nella società italiana.
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Non a caso nelle nostre città esistono ancora oggi vie e piazze intitolate a criminali comunisti come Tito, Lenin, Stalin, o Togliatti…
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Dissenso
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domenica 9 giugno 2019

IL MASSACRO DI PIAZZA TIENANMEN

Nella Cina comunista del 1989, circa sette mesi prima che nella Germania dell’Est cadesse il famigerato Muro di Berlino che segnò la fine della dittatura comunista, gli studenti e gli intellettuali, supportati dal mondo operaio, iniziarono una serie di proteste e di dimostrazioni che si protrassero per circa due mesi, dal 15 aprile al 4 giugno.
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L'immagine simbolo della protesta di Piazza Tienanmen
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La Primavera democratica cinese, come venne anche denominata la rivolta popolare contro l’oppressione di un comunismo feroce e sanguinario, fu prodromica ad altre rivolte negli Stati satelliti dell’Urss  che produssero poi la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la fine della “guerra fredda” nel 1991..
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Il regime comunista represse duramente le proteste che inizialmente si svolsero a Pechino nella famigerata Piazza Tienanmen, e soffocò nel sangue ogni tentativo di liberarsi dal giogo imposto dai gerarchi cinesi.
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I carri armati e l’esercito massacrarono i dimostranti, dilaniando i corpi dei rivoltosi, sparando ad altezza d’uomo e arrestando chiunque si trovasse nella Piazza per manifestare il proprio dissenso anticomunista.
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I capi comunisti fecero poi di tutto, negli anni a seguire, per occultare ogni traccia dell’avvenuto massacro, boicottando anche le manifestazioni commemorative che si tengono ogni 4 giugno.
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Particolare ingrandito della foto precedente
Il Primo Ministro Li Peng, appartenente all’ala più conservatrice dell’apparato dirigente comunista cinese e “uomo forte” di Deng Xiaoping, una delle massime autorità del Paese,  si espresse a favore di una linea dura come risposta all’occupazione della Piazza da parte degli studenti, e diede inizio al massacro, prima promulgando la legge marziale, poi aizzando l’esercito contro la moltitudine di manifestanti.
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Dopo i massacri Li Peng, che si guadagnò l’appellativo di “macellaio di Tienanmen”, affermò che la repressione era stata una grande e importante vittoria storica per il partito comunista.
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Deng Xiaoping definì le proteste come “un tumulto contro-rivoluzionario” che aveva l’obiettivo di abbattere lo Stato socialista per creare una Repubblica borghese dipendente dall’Occidente.
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Carri armati in Piazza Tienanmen
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Ai nostro giorni ciò che accadde nella “Primavera di Pechino”  nelle giornate in cui la libertà del Popolo cinese fu annegata nel sangue, viene ostentatamente taciuto e definito ufficialmente dalla autorità comuniste come un semplice “incidente”.
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Il Partito-Stato-Padrone nel suo ruolo di interprete di un comunismo feroce  e sanguinario, ha decretato il silenzio assoluto sui fatti accompagnato da una fredda determinazione a censurare qualsiasi riferimento ai massacri di Piazza Tienanmen.
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In Occidente rimane l’immagine simbolo dell’uomo che indifeso e da solo si parò davanti ad un carro armato per arrestarne l’avanzata.
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Le manifestazioni studentesche si allargarono ad altre zone della Cina, e le manifestazioni coinvolsero almeno quattrocento località e università.
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Decine di migliaia di studenti e di dissidenti riempirono le strade per manifestare contro il regime, in particolare in cinquantamila a Tianjin, in ventimila a Taiyuan e a Shenyang , in diecimila nel Nord-est (nelle piazze di Changchun e Harbin), in quarantamila a Xi’an il 22 aprile, in diecimila ad Hangzhou (il 4 maggio) che poco dopo diventarono centomila (il giorno 18 maggio), in diecimila a Shaoyang e Wuhan (il 19 maggio), in centomila  a Guiyang nel sud-ovest (il 18 maggio), in ventimila a Chongqing (il 20 maggio), in sessantamila a Shanghai (il giorno 23 maggio), in trentamila a Nanchino (il 28 maggio), in trentamila a Changsha nella regione centro-meridionale.
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Il criminale comunista
DENG XIAOPING
In questi territori le proteste si affievolirono verso fine maggio, ma solamente perché i manifestanti raggiunsero Piazza Tienanmen per continuare la protesta.
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Le direttive di Li Peng, che inviò 300 mila uomini nella Capitale, insieme alle divisioni corazzate, furono di stroncare senza pietà la mobilitazione studentesca, ricorrendo alle armi e alla violenza.
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Tra il 4 e il 6 giugno 1989 moltissime vittime, che alcune stime indicano dalle centinaia alle decine di migliaia di unità, caddero sotto i colpi delle armi automatiche, oppure schiacciate dai mezzi cingolati degli aguzzini comunisti.
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Wu’er Kaixi, uno dei tre maggiori leader della protesta insieme a Wang Dan e Chai Ling,  fu costretto a scappare in Francia, poi negli Stati Uniti e infine a Taiwan dove vive in esilio con la moglie e i due figli.
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Wang Dan venne condannato a scontare 11 anni di prigione, poi nel 1998 fu esiliato.
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Wu’er racconta che il regime comunista ha trasformato la Cina in un vero e proprio Stato di “polizia” nel quale ha concesso al Popolo una apertura di tipo economico in cambio di una completa sottomissione politica, negando così una qualunque forma di dissidenza verso il Partito.
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La costante manipolazione comunista sulle coscienze popolari ha condotto le masse cinesi a disinteressarsi oggi dei fatti del 1989, fornendo loro nuovi strumenti di management imprenditoriale basati sulla liberalizzazione di prezzi e abbandonando il controllo statale diretto sulle imprese, passando da una economia di tipo socialista ad un'altra denominata "economia socialista di libero mercato".
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Tutto ciò condusse verso una corruzione dilagante in cui solamente coloro che avevano rapporti diretti con la tecnocrazia politica del partito comunista potevano arricchirsi, a discapito però dei lavoratori, privati definitivamente di qualsiasi diritto o garanzia.
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Il criminale comunista cinese Xi Jinping
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Il “Grande fratello” raccontato da Orwell è oggi in Cina una cruda e triste realtà, tangibile e asfissiante, prodromica a altre e ancor più nefaste devianze di cui è intriso l’apparato criminale comunista, come la deportazione nei Laogai, la privazione della libertà, l’annichilimento della personalità, la tortura, la malvagità e il sadismo.
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Il web, che normalmente appare nel mondo come strumento di comunicazione e di informazione universale, è tenuto in Cina sotto costante controllo e assoggettato ad una spietata censura governativa.
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In questo modo il regime cancella ogni riferimento a fatti come quelli di Tienanmen o a proposizioni del dissenso anticomunista cinese, e falsa la realtà dei fatti in un continuo e mai sopito disprezzo per i diritti umani.
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Dissenso
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