lunedì 13 gennaio 2020

GIAMPAOLO PANSA

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Oggi è un giorno tragico per tutti noi, per coloro che amano la libertà e la diffusione della cultura senza bavagli.
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E’ infatti venuto a mancare Giampaolo Pansa, uno dei giornalisti più rappresentativi dell’Italia del dopoguerra, artefice di una lettura veritiera degli eventi storici e non contaminata dal “grande fratello” o dagli pseudo intellettuali che subivano e subiscono ancora i dictat imposti dall’ortodossia post-comunista.
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Giampaolo Pansa
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Nato a Casale Monferrato nell’ottobre del 1935 Pansa, che fu anche vicedirettore di Repubblica e dell’Espresso, oltre che giornalista del Giorno, della Stampa e del Corriere, si è spento a Roma all’età di 84 anni.
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Personalmente lo inserii già molto tempo addietro nell’elenco degli scrittori “fuori dal coro”  nel mio sito “Autori del Dissenso”, per il suo impegno nello studio e nella riscrittura storica del dopoguerra italiano, in cui fece emergere le pesanti responsabilità dei partigiani comunisti e il ruolo criminale del comunismo stesso.
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Ecco il Link alla pagina del sito dedicata a lui :
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Come si può vedere, la sua bibliografia è ricca ed esaustiva, e ci racconta la verità sulle nefandezze che il Partito comunista prima, e le sue derivazioni polimorfiche poi (PD), ci hanno tenuto nascosto per interi decenni.
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Le sinistre lo hanno sempre attaccato proprio perché avrebbero voluto continuare a mistificare la verità, definendolo revisionista e alimentando contro di lui la “macchina del fango” che solitamente viene scatenata contro chi si oppone agli eredi di Togliatti.
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Grazie a Pansa oggi possiamo affermare senza timori reverenziali che i partigiani comunisti erano degli assassini sanguinari, veri e propri criminali protetti dal Partito comunista.
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La sua cronaca severa e imparziale ci ha regalato una vera e propria controstoria della resistenza, che risulta essere molto dissimile da quella che invece ci vorrebbe propinare il gotha delle sinistre e gli pseudo intellettuali che si prostrano a tale cospetto.
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Pansa è un eroe del nostro tempo che ha avuto il coraggio di sfidare l’arroganza con cui gli scribacchini al servizio del PCI e dell’odierno PD hanno costruito un muro omertoso per coprire le proprie sanguinose responsabilità.
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La sinistra intera, nessuno dei suoi squallidi rappresentanti escluso, è stata da lui ampiamente sbugiardata e obbligata a prendere atto che l’epoca delle loro menzogne era terminata.
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Per questo motivo Pansa è stato contestato dagli appartenenti ai cosiddetti “centri sociali”, l’accozzaglia di rifiuti umani orbitanti nell’area delle sinistre che per prime li coccolano e li usano come braccio armato quando devono impedire agli avversari politici di parlare nei comizi pubblici, i quali sbandierando un anacronistico quanto trito e ritrito antifascismo militante lo hanno contestato violentemente.
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Le Brigate Rosse, Palmiro Togliatti, i centri sociali, la violenza, il PCI e il PD, la mistificazione e l’inganno, la protervia e l’arroganza, sono tutti anelli di una medesima catena che caratterizza l’essenza stessa del comunismo a cui fanno riferimento.
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La società civile e democratica, lontana anni luce dall’universo orwelliano cui vorrebbe costringerci la sinistra, ha capito grazie anche a Pansa e alla sua coraggiosa letteratura illuminata quali siano i baluardi di libertà degni di rispetto indicati negli scritti dell’autore scomparso, e per contro chi invece debba essere oggetto del comune disprezzo.
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Giampaolo Pansa si è sempre dichiarato “di sinistra” ma il suo amore per la verità lo ha condotto a rifiutare quella stessa parte politica che si è rivelata essere completamente marcia e fondata su inganni e menzogne.
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La violenza della sinistra e l’odio, entrambi insiti nel DNA degli eredi di Togliatti, sono le caratteristiche palesi che oggi tutta Italia ha potuto chiaramente osservare, non solo per le evidenze quotidiane che traspaiono dall’uso reiterato della “macchina del fango” da parte dei centri sociali o delle neonate “sardine”, ma anche grazie alle verità finalmente svelate e pubblicate da Giampaolo Pansa, un maestro che ha resistito alla violenza di quella sinistra che lo voleva annichilire, così come facevano anche i criminali marxisti delle Brigate rosse per tacitare gli oppositori del comunismo.
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Si potrebbe dire che Pansa ha inaugurato una nuova resistenza, non più quella criminale e comunista di partigiani che si sono nutriti del sangue degli italiani, ma quella che anzi si contrappone a tutto ciò, in nome della verità e della libertà.
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Una nuova resistenza che non canta “bella ciao”, così come fanno invece ostentatamente i politicanti che occupano oggi abusivamente gli scranni parlamentari, ma che rifugge dagli schematismi imposti dall’intellighenzia radical chic dell’universo marxista e contrappone ad essi una visione oggettiva della realtà.
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Le nefandezze del comunismo sono ormai note (su questo argomento ho scritto un libro, reperibile su Amazon, che ha per titolo “Gli scheletri nell’armadio del comunismo”) ma il PD continua a tentare di spadroneggiare, usando le stesse tattiche e la stessa violenta arroganza che da sempre gli appartengono, rivolgendola verso coloro che, come Pansa, li sbugiardano.
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La sinistra oggi nel suo variegato complesso che comprende PD, “sardine”, Leu, Italia Viva, centri sociali, e tutto il microcosmo di gay, lesbiche, universi paralleli come quello di Bibbiano, è una immensa associazione a delinquere che tenta di sopravvivere all’estinzione facendo pagare un caro prezzo al Popolo italiano.
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Solo diffondendo i valori dell’anticomunismo e facendo conoscere a tutti i loro crimini e criminali, si può proseguire nel percorso che condurrà alla vittoria contro di loro, proprio come ha fatto Giampaolo Pansa.
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Grazie Giampaolo, ci mancherai.
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Dissenso
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martedì 7 gennaio 2020

STALIN E IL GENOCIDIO EBRAICO


Non tutti sanno che Stalin prima di morire aveva iniziato un vero e proprio piano di sterminio della popolazione ebraica che era presente sul territorio sovietico, nonostante il fatto che più della metà dell’apparato criminale  comunista fosse composto proprio da elementi ebrei.
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Sul ruolo degli ebrei nella società comunista ecco di seguito il link ad un mio vecchio articolo :
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Il pretesto scatenante con cui il dittatore georgiano iniziò quello che sarebbe diventato un vero e proprio percorso genocida della razza ebraica, fu il cosiddetto “processo dei medici”, progettato e costruito appositamente a tale scopo, così come tutti gli altri “processi farsa” con cui Stalin eliminò i suoi avversari.
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Le direttive di Iosif Stalin per istituire tale processo puntavano ad attribuire precise responsabilità  dei medici ebrei in un complotto antirivoluzionario.
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Il piano generale prevedeva di lanciare una nuova grande ondata di Terrore di cui sarebbero state prodromiche proprio le persecuzioni anti-ebraiche e i pogrom già ampiamente sperimentati in tutta la Russia.

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Quadro di Vladimiro Schereechewsky  -  Una tappa dei deportati in Siberia
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Se la morte non avesse colto Stalin il 5 marzo 1953, il piano criminale che era già stato avviato negli ultimi mesi del 1952 sarebbe stato eseguito alla lettera e completato, essendo già pianificato nei minimi particolari dal suo ideatore.
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Naturalmente il comunismo italiano e le sue propaggini metamorfizzate, fino ad oggi, si sono ben guardati dal menzionare tutto ciò, riferendosi a Stalin solo come ad un “faro”, come guida da seguire, identificando come unico sterminatore di ebrei solamente Adolf Hitler.
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I medici ebrei riconosciuti colpevoli sarebbero stati impiccati nella Piazza Rossa, su una piattaforma di pietra che nel Medioevo veniva usata per le esecuzioni capitali.
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Nel frattempo la famigerata polizia segreta, quella per intenderci con cui collaborava Palmiro Togliatti, il numero due del Comintern, avrebbe organizzato dei pogrom in tutta l’Unione Sovietica.
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Sarebbe iniziato il genocidio, articolato in tre distinte fasi programmate a tavolino.
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La prima fase prevedeva di deportare gli ebrei residenti nelle città sovietiche in campi di prigionia appositamente preparati nei territori ad est degli Urali.
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Russia. Treno merci carico di deportati destinati al gulag
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Successivamente si sarebbe proceduto a mettere le elite ebraiche una contro l’altra, spingendo i leader a compiere provocazioni di vario tipo e rendendo così apparentemente giustificabili le reazioni governative.
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L’anno precedente Stalin aveva già fatto uccidere le elite intellettuali ebraiche, sbarazzandosi di scrittori, poeti, e artisti di lingua yiddish, e nella seconda fase si sarebbe poi proseguito in questa direzione.
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L’ultima fase sarebbe stata quella in cui si sarebbe proceduto a sterminare gli ebrei rimasti, arrivando così a compiere un genocidio di milioni di persone innocenti su base etnico, sociale, e religiosa, del tutto simile all’olocausto nazista.
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Poco prima della morte di Stalin, a Kovotcenko e a Melnikov rispettivamente Capo del Governo e Primo Segretario del Partito, in Ucraina, venne impartito l’ordine di dare il via ai pogrom nella loro regione.
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Meno di due mesi prima che Stalin morisse si stava approntando un enorme numero di mezzi di trasporto per la prevista deportazione di intere masse popolari, costituite appunto dagli ebrei.
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Verso la fine del 1952 Stalin diede l’ordine al Partito Comunista Polacco di prepararsi ad individuare e ad arrestare tutti i circa 70 mila ebrei presenti in Polonia, e di chiuderli in campi di lavoro in attesa della loro deportazione in Siberia.
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Era previsto infatti che le deportazioni dovessero colpire tutti gli ebrei presenti nei territori satelliti dell’Est europeo.
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Louis Rapoport
Louis Rapoport nel suo libro “La guerra di Stalin contro gli ebrei” racconta che fu approntato un immenso campo di lavoro negli altipiani vicini a Barnaul, una cittadina nella regione del Kuzbass, a nordest del Kazakhstan, a sud di Novosibirsk e della zona petrolifera della Siberia occidentale.
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Tutta quest’area, grande come l’Italia e la Jugoslavia messe insieme, era letteralmente costellata di centinaia di campi di concentramento sovietici.
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Un tecnico ebreo che lavorava per la Marina russa nella Siberia occidentale vide uno di questi campi, dalle enormi estensioni, in cui migliaia di baracche componevano una città fantasma che si estendeva per almeno due chilometri quadrati.
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Nel 1956 vennero trovati nelle remote regioni  del Birobidzan altri due campi dalle proporzioni gigantesche, costruiti per espresso ordine di Stalin nel 1952 insieme ad altri che si trovavano sull’isola di Novaja Zemlja nell’Artico, a nord est di Arcangelo.
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Alcune testimonianze confermano di aver sentito conversazioni fra funzionari ben pasciuti e impellicciati che discutevano sulle località più adatte per deportare gli ebrei, e che propendevano per la regione siberiana della Kazakhinskoje, presso Krasnojarsk, ad alcune centinaia di chilometri da Barbaul.
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Il disegno genocida di Stalin era ben delineato e se non fosse morto si sarebbe verificato il più grande olocausto della storia dell’umanità, a danno non solo degli ebrei, tragicamente superiore in numero a quello nazista.
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Forte dell’esperienza dei gulag, l’apparato criminale comunista sovietico avrebbe costituito un immenso impero industriale, grazie alla schiavitù di due milioni di ebrei, a cui si sarebbero aggiunti prigionieri di varie etnie nazionali deportate e altri milioni di detenuti politici.
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Nella regione desertica del kazakhstan, che assomiglia ad una fredda steppa lunare, erano già stati deportati dalla Polizia di Berja una gran varietà di elementi di etnia lettone, tatari di Crimea, ceceni, ingusci del Caucaso, coreani, moldavi, tedeschi del Volga, greci, turchi, e altri ancora.
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Secondo le dichiarazioni di Roy Medvedev, storico e critico dello stalinismo, il cui padre morì in un lager comunista, Stalin aveva scelto non il Birobidzan o la Siberia per la deportazione dei due milioni di ebrei, ma le regioni settentrionali del Kazakhstan.
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Il solo campo di Karaganda, esteso per oltre 450 chilometri, ne avrebbe accolti una buona parte.
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In alcune zone erano già presenti consistenti nuclei di deportati, come la colonia di bessarabi esiliati dopo l’annessione della provincia rumena  nel 1940, oltre a gruppi di ebrei ucraini provenienti da Kiev, oppure da Odessa e da altre città.
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Costoro erano invisi alla popolazione locale, che era stata “informata” dal regime del “complotto dei medici” e del ruolo di traditori degli ebrei.
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I deportati venivano quindi trattati con disprezzo, al punto che i bambini locali picchiavano i bambini deportati, cantando loro canzoncine le cui parole erano :
 “Giudeo, giudeo, penzola da una corda … Ebreo Abramo, prima schiatti, meglio è..
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Nel febbraio del 1953 Stalin iniziò il piano di deportazione, mandando nel Kazakhstan gli intellettuali ebrei e le loro famiglie, insieme ai bolscevichi ebrei della vecchia guardia, e la stampa di regime incominciò una campagna di odio verso di loro.
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Solo la morte di Stalin interruppe quello che sarebbe stato, altrimenti,  il genocidio di milioni di persone innocenti …
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Tutto ciò è stato accuratamente nascosto dai criminali comunisti italiani, come Palmiro Togliatti, i cui eredi ancora oggi mistificano la verità attraverso un apparato pseudo intellettuale che nasconde la verità.
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Una verità quella comunista, fatta di sangue e di orrore.
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Dissenso
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domenica 5 gennaio 2020

La strage di ACCA LARENZIA


Il 7 gennaio del 1978 a Roma avvenne un gravissimo episodio di sangue, ordito dalle frange violente di Lotta Continua contro alcuni attivisti del Movimento Sociale Italiano.
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Cinque giovani militanti missini, che stavano uscendo dalla sede romana di via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano, per distribuire volantini che pubblicizzavano un concerto di un gruppo musicale chiamato Amici del Vento, furono presi di mira da un gruppo di fuoco composto da cinque o sei persone, che esplosero diversi colpo di armi automatiche contro di loro.
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La sede di Via Acca Larenzia a Roma dopo l'eccidio
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Il ventenne Franco Bigonzetti, iscritto al primo anno della Facoltà di Medicina e chirurgia rimase ucciso sul colpo.
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In tre, il meccanico Vincenzo Segneri (ferito ad un braccio), il responsabile dei comitati di quartiere Maurizio Lupini e lo studente Giuseppe D’Audino, riuscirono a riparare all’interno della sede e a chiudere la porta blindata dietro di loro, sfuggendo all’attacco terroristico e a salvarsi.
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Un quinto ragazzo, lo studente diciottenne Francesco Ciavatta, fu ferito e tentò di scappare percorrendo la scalinata sita a lato della sezione, ma venne inseguito dagli assalitori che gli spararono nuovamente colpendolo alla schiena.
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Il giovane morì in ambulanza durante il trasporto all’ospedale.
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Nelle ore concitate che seguirono l’attentato si radunò una folla sgomenta di attivisti e di militanti missini che si riunirono in un sit-in improvvisato per protestare contro l’aggressione, ma forse a causa del gesto di un giornalista che pare abbia distrattamente gettato un mozzicone di sigaretta sul sangue raggrumato di una delle vittime, scoppiarono tafferugli e scontri, prima con la troupe della Rai e poi con le forze dell’ordine.
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La polizia sparò diversi candelotti lacrimogeni, e uno di questi colpì anche l’allora Segretario del fronte della Gioventù, Gianfranco Fini.
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I Carabinieri spararono anche alcuni colpi di pistola e secondo alcuni testimoni il Capitano Edoardo Sivori sparò mirando ad altezza d’uomo, ma la sua pistola si inceppò.
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L’ufficiale dei Carabinieri si fece dare quindi un’altra pistola dal suo attendente e saprò di nuovo, stavolta colpendo in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus.
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Il giovane morì dopo due giorni di agonia.
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Le tre giovani vittime dell'odio comunista

Il Capitano Sivori fu poi scagionato da una perizia balistica sostenendo che il colpo che uccise il giovane Recchioni fu sparato da uno dei brigatisti presenti sul luogo.
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Alcuni mesi dopo l’eccido, il padre della giovane vittima Francesco Ciavatta, si tolse la vita per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.
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Le prime indagini non portarono a conclusioni di rilievo.
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Il Capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori, inizialmente indagato, fu prosciolto dal giudice istruttore Guido Catenacci il 21/02/1983, con sentenza di proscioglimento definitivo.
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Nel 1987 grazie alle confessioni di una pentita, Livia Todini, si arrivò all'arresto di alcuni militanti di Lotta Continua, il movimento comunista rivoluzionario che diede origine poi al Nuclei Armati proletari, a Prima Linea e alle Brigate rosse.
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Gli assassini che furono identificati erano :
Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis.
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Mario Scrocca si tolse la vita in cella il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici, forse sopraffatto dal rimorso.
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Gli altri tre arrestati furono assolti in primo grado per insufficienza di prove, e la stessa sorte toccò a un'altra imputata latitante che si sottrasse alla cattura scappando in Nicaragua, Daniela Dolce moglie del brigatista Fausto Marini.
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La mitraglietta Skorpion usata dai criminali comunisti nell'agguato mortale di via Acca Larenzia
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Una delle armi usate per uccidere i ragazzi di via Acca Larenzia, una mitraglietta Skorpion, fu trovata in un covo delle Brigate rosse in via Dogali a Milano nel 1988 e gli esami balistici stabilirono che fu usata per commettere altri tre omicidi : quello dell'economista Ezio Tarantelli nel 1985, dell'ex sindaco di Firenze Lando Conti nel 1986 e del senatore democristiano Roberto Ruffilli nel 1988.
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A seguito di un'interpellanza parlamentare del 2013 , furono fatte altre indagini per ricostruire la provenienza iniziale dell'arma, e si scoprì che fu originariamente acquistata nel 1971 dal cantante (e appassionato di armi) Jimmy Fontana e che fu da questi venduta nel 1977 a un ispettore di polizia.
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Nonostante questa scoperta rimase però ignoto il modo in cui l'arma sia poi giunta nelle mani dei terroristi, ponendo altri interrogativi inquietanti.
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La strage di Acca Larenzia viene regolarmente commemorata dai militanti di destra, e in alcuni casi le celebrazioni sono sfociate in ulteriori scontri nei quali la violenza delle cosiddette Forze dell’ordine si è manifestata nuovamente uccidendo ancora.
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Nel primo anniversario del 10 gennaio 1979, l'agente di polizia in borghese Alessio Speranza uccise il diciassettenne Alberto Giaquinto che stava scappando insieme con l'amico Massimo Morsello durante gli scontri con le forze dell'ordine nel quartiere Centocelle.
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Lo Stato e la Magistratura delle “toghe rosse” si sono dimostrati latitanti nel corso di indagini che non hanno portato ad alcun colpevole, fornendo così agli assassini comunisti la consueta condiscendenza di cui godono in Italia i seguaci di Togliatti.
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In questo modo rimarrà sempre una ferita aperta nei cuori di chi non può dimenticare la protervia e la violenza di chi usa le armi per affermarsi, come i comunisti.
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Il 1978 è ricordato come l’anno dell’omicidio Moro, ma va detto che anche la strage di Acca Larenzia è una tragedia nazionale e deve avere la giusta attenzione dalle istituzioni riguardo le commemorazioni.
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Purtroppo i governi di sinistra preferiscono alimentare l’odio sociale, preferendo cantare “bella ciao” in ogni occasione possibile, ignorando le vittime di quel comunismo da cui anche loro stesso traggono le origini.
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Personalmente, mi unisco al ricordo dei camerati caduti per la libertà vittime dell’insanabile odio comunista, salutandoli e abbracciandoli.
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Nobis !
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Dissenso
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