domenica 26 aprile 2020

I DISASTRI COMUNISTI : CHERNOBYL E CORONAVIRUS

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Il 26 aprile 1986 verso l’una del mattino una immane esplosione all’interno del reattore nucleare numero quattro della centrale atomica di Chernobyl, in Ucraina, causò l’immediata morte degli operai presenti ed un fallout radioattivo che contaminò non solo le zone circostanti, ma spinto dalle correnti atmosferiche, buona parte dell’Europa.
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Edificio arso in seguito all'esplosione della centrale nucleare
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Va detto, per completezza di informazione, che la deflagrazione non si verificò semplicemente a causa di un incidente tecnico, come la Russia ha cercato di far credere al mondo intero, bensì come conseguenza di scelte devastanti e tragiche concepite dall’arroganza del potere comunista di quel tempo, che anteponeva la ferrea ortodossia impositiva del regime a qualsiasi criterio di sicurezza.
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I diritti umani e la vita stessa delle persone non hanno mai assunto una rilevante considerazione nell’universo comunista, e ciò è comprovato dai cento milioni di vittime prodotte nel secolo scorso dall’apparato criminale che lo costituiva e dai gerarchi che lo hanno imposto con l’uso della violenza.
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I lavori forzati e l’uso dei detenuti per ottenere manovalanza a costi vicino allo zero sono sempre stati infatti una delle prerogative del comunismo, e lo sono ancora oggi in Paesi come la Cina e la Corea del Nord, in cui i prigionieri sono reclusi in lager denominati Laogai, oppure come Centri di rieducazione attraverso il lavoro.
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Il più grave disastro nucleare della Storia dell’umanità sprigionò nell’atmosfera nove tonnellate di scorie radioattive, provocando come conseguenza l’insorgenza di nuovi tumori, leucemie, cardiopatie e malformazioni che si ripropongono ancora oggi a trentaquattro anni di distanza.
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L’esigenza sovietica di destinare la maggior parte degli stanziamenti economici alla corsa verso gli armamenti, anziché alla sicurezza delle centrali, si è rivelata uno schiaffo ai diritti umani per migliaia di persone.
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Il regime comunista nascose inizialmente l’entità del disastro e la relativa emergenza, negando l’accaduto anche due giorni dopo l’esplosione.
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La città di Pripjat, distante 5 chilometri da Chernobyl, costruita per ospitare i quasi 50 mila lavoratori della centrale, fu evacuata solamente quando oramai la ricaduta del materiale radioattivo andava avanti da 36 ore.
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Decine di tonnellate di cesio, di stronzio e di plutonio saturarono l’atmosfera in un raggio di mille e duecento chilometri, provocando una vera e propria apocalisse.
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Il parallelismo con la devastazione regalataci oggi dalla Cina comunista è d’obbligo, e ci dà la misura di continuità con cui il comunismo si rapporta alle popolazioni, oggetto e bersaglio di esperimenti incontrollati, imperizia, arroganza, e disprezzo dei diritti umani.
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Oggi il coronavirus dal comunismo cinese e nel 1986 le radiazioni nucleari del comunismo sovietico costituiscono solamente due anelli di una lunga catena fatta di odio e di auto-referenzialismo.
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Il giorno successivo all’esplosione, a Forsmark, un villaggio svedese sul Mar Baltico, il chimico Cliff Robinson che lavorava in una centrale nucleare rilevò una
altissima concentrazione di radiazioni e diede l'allarme.
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Nelle altre due centrali svedesi accade la stessa cosa, identificando la causa in una contaminazione che arrivava da sud, da Chernobyl, ma Mosca, proseguendo il suo atteggiamento di disprezzo per la vita e per i diritti umani rispose alle richieste di spiegazioni negando l’accaduto.
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Nella estesa zona paludosa della Polesia circostante la centrale di Chernobyl, si sprigionarono venti milioni di curie di radiazioni, pari a duecento bombe come quella che fu sganciata su Hiroshima, e da allora ad oggi oltre 1200 incendi hanno ulteriormente devastato il territorio.
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Gli abitanti dei villaggi di queste zone, in cui vivono oggi anche 600 bambini,  sono quotidianamente assediati da una doppia minaccia : quella della radioattività e quella del coronavirus, entrambe imputabili al comunismo.
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Un comunismo che si palesa foriero di morte ovunque si presenti, sia sotto forma di deportazioni e torture che di omicidi, stupri, violenze e sangue, ma anche come responsabile dell’assoggettamento intellettuale delle coscienze, della disinformazione, della coercizione mentale al pensiero unico, della manipolazione e dell’imposizione pseudo culturale.
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L’universo comunista, ove presente, poggia sull’odio verso tutto ciò che non si inchina all’ortodossia imposta dal regime, sia esso cinese che russo, piuttosto che nord coreano o cubano.
Emergono similitudini tra i due disastri comunisti, Chernobyl e la pandemia cinese, riscontrabili nell’evidenza di consapevoli insabbiamenti e criminali ritardi nelle comunicazioni, aggravate da minacce verso coloro che responsabilmente si opponevano al “modus operandi” imposto dal regime.
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Il primo maggio del 1986 il secondo Segretario dell’ambasciata sovietica negli Stati Uniti, Vitaly Churkin, dopo aver ammesso l’esplosione del reattore numero quattro dell’impianto nucleare di Chernobyl, disse :
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La situazione sta migliorando, non è fuori controllo”.
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La mancanza di trasparenza e di comunicazione, unite all’occultamento di una realtà già accertata dai comunisti cinesi è esattamente ciò che il criminale Xi Jinping ha volontariamente imposto al mondo intero in occasione delle fasi iniziali dell’epidemia, trasformatasi poi in pandemia.
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Il dottor Li Wenliang, fu il primo a identificare il terribile virus nel mese di dicembre 2019, ma il suo grido di allarme fu tacitato brutalmente dalla Polizia comunista cinese che lo accusò di diffondere notizie false e lesive dell’ordine pubblico.
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Il mantra comunista si ripropone quindi ciclicamente e tragicamente, strangolando le democrazie occidentali che per troppo tempo sono state silenti e indifferenti al palese disprezzo dei diritti umani nei Paesi comunisti.
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Nonostante Chernobyl e i Laogai, i Governi Europei si affannano a stringere rapporti commerciali con i giganti asiatici, incuranti del fatto che questi siano la cartina di tornasole del fallimento intellettuale stesso delle democrazie occidentali.
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Le mutazioni genetiche generate dalle contaminazioni nucleari dopo il disastro di Chernobyl e i villaggi semi abbandonati in cui vivono come fantasmi un centinaio di sopravvissuti, dovrebbero essere sufficienti al “civile” occidente per rifiutare con decisione qualsiasi proposizione del mondo comunista.
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Entropia e distropia, democrazia e comunismo, libertà e coercizione, odio e amore, sono i parallelismi entro cui si misura il grado di civiltà in cui vivranno in futuro i nostri figli e nipoti, ed è quindi importante prendere posizione e schierarsi per la difesa della dignità umana.
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Dissenso
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venerdì 17 aprile 2020

Criminale comunista : CIRO RANER


Ciro Raner, era un comunista italiano, nato a Pisino nel 1917 e vissuto a Trieste, che come collaborazionista dell’esercito titino jugoslavo nel 1945-46 comandò il famigerato lager di Borovnica (vicino a Lubiana), in cui erano stati deportati duemila prigionieri italiani.
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CIRO RANER
Secondo le deposizioni scritte di ex deportati e secondo quanto scritto in un documento degli Affari esteri, Raner è stato inoltre uno degli infoibatori assassini che uccisero migliaia di italiani, i quali non sopravvissero al trattamento disumano che veniva loro inflitto nel lager di Borovnica.
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Ciro Raner dopo aver compiuto gli studi universitari a Bologna, entrò poi a far parte della segreteria particolare del Ministro degli esteri Edward Kardelj (alias il partigiano Kristof), a sua volta “braccio destro” di Tito, mentre le sue sorelle, Lea, Nada, e Vanda, fecero carriera nell’OZNA, la famigerata polizia segreta jugoslava.
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Gli storici definiscono il campo di Borovnica come il peggior campo di concentramento fra le decine di lager comunisti jugoslavi.
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Quasi tutti coloro che erano internati in questo lager furono sottoposti a torture e uccisi barbaramente, mentre i loro cadaveri vennero gettati nelle foibe perché non fossero più ritrovati.
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Le torture che Raner infliggeva ai deportati erano sadicamente ideate per provocare una morte lenta e dolorosa e consistevano per la maggior parte nelle "pratiche" della crocifissione e del trascinamento.
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Nel primo caso si legavano dietro la schiena le mani della vittima designata, che veniva poi issata ad un alto palo su cui rimaneva attaccata per intere giornate, mentre il trascinamento prevedeva che il detenuto trascinasse dei grossi massi del peso di oltre duecento chili nonostante il fatto che questi esseri umani fossero talmente denutriti da pesare solamente una trentina di chili.
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La disinformazione comunista, attraverso uno squallido negazionismo, ha sempre cercato di nascondere i crimini commessi in nome di Marx e della bandiera rossa, ma la verità è infine emersa grazie anche alle testimonianze dei sopravvissuti.
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Uno di questi, Giovanni Predonzani raccontò ai Carabinieri di Trieste una testimonianza sulla ferocia del Comandante Ciro Raner:
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Eravamo in fila con uno scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e patate (...), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola.
Subito la guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace.
Arrivò il Raner che, dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca".
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Il testimone raccontò poi di un altro episodio in cui i comunisti jugoslavi si abbandonarono, in una infinita e tragica serie, ad atti di ferocia e di disprezzo dei diritti umani:
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Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martorizzati col seguente sistema:
presi i due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato.
Dopo averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie.
Come se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le drugarize (sentinelle, ndr), che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli freddi sul posto.”
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Nonostante la ferocia dimostrata da Raner, in particolar modo contro i detenuti italiani, a guerra finita gli fu riconosciuta dall’Inps di Trieste una sostanziosa pensione, con tanto di tredicesima, e una somma di arretrati di circa 50 milioni di vecchie lire.
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Ciro Raner, comandante del famigerato lager di Borovnica, fu inquisito anche dal sostituto procuratore presso il Tribunale Militare di Padova Dr. Sergio Dini, competente sulle Tre Venezie, ma non potè essere processato per motivi di salute.
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I legali rappresentanti di Raner, che nel frattempo aveva raggiunto l’età di 87 anni di età, presentarono infatti un certificato medico redatto dalle autorità croate da cui risultava che il loro assistito, abitante a Crikvenica, una trentina di chilometri oltre Fiume, risultava affetto da una grave forma di demenza senile, e non era quindi in grado né di intendere e di volere e né di sostenere un processo.
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Ubicazione di Borovnica, in Slovenia, a 20 km da Lubiana

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Il Magistrato dichiarò che una eventuale rogatoria internazionale per disporre una visita fiscale, quand'anche fosse andata a buon fine avrebbe presupposto tempi incompatibili con l'età dell'imputato, per cui dovette chiedere l'archiviazione del fascicolo, nonostante il fatto di aver raccolto prove importanti relative alla sua colpevolezza per le torture e le uccisioni di militari italiani.
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A capo del lager di Borovnica, dove finirono repubblichini, uomini della Guardia civica, ma anche semplici militari, oppure carabinieri e finanzieri considerati in quanto tali come fascisti, Raner sostituì l’ex comandante di nome Lepuscek, secondo e ultimo indagato nella stessa inchiesta condotta dal Magistrato Sergio Dini, in cui però questi era stato già depennato perché già deceduto da anni.
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In un’autobiografia, lo scrittore Norberto Biso ci racconta la sua testimonianza relativa alla propria prigionia nel campo di Borovnica, sotto il comando di Ciro Raner.
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Nel 1945, a guerra finita Biso, che era stato comandante di lungo corso come militare nella decima Mas, si trovava a Trieste e stava tornando a casa, a Lerici, nella sua Liguria, quando fu catturato da una pattuglia di sloveni comunisti appartenenti all’esercito titino, e deportato nel famigerato lager.
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Ecco il suo racconto:
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Quando entrammo nel campo fummo suddivisi in gruppi di circa trecento persone e avviati verso le baracche.
Queste erano leggermente sollevate dal suolo, avevano forma rettangolare ed erano abbastanza vaste da contenerci tutti.
Non c’era niente all’interno, non un tavolo e neppure un giaciglio.
E così ci rassegnammo a dormire sul pavimento di legno (…) per i nostri bisogni usavamo delle fosse, larghe e profonde circa un metro e lunghe tre, dotate di parapetto e tientibene.
Nonostante questi accorgimenti, quando la dissenteria cominciò a infierire, non furono in pochi a cadere negli escrementi e a trovarvi una orribile fine.
Quando questo accadeva si tappava la fossa con dentro il cadavere e se ne scavava un’altra un pò più in là.
(…) La tortura più orrenda l’ho vista infliggere a un prigioniero che non era dei nostri (…)
Il ragazzo fu appeso a un palo davanti a noi:
indossava solo calzoni e fu a lungo bastonato sul petto con un sottile bastone che gli lacerava le carni, mentre il suo aguzzino gli intimava di gridare “Zivio Tito”.
La risposta flebile ma ferma era sempre la stessa:
“Heil Hitler”.
(…) La tortura continuò con ripetuti lanci di una tegola che colpì quello sventurato in varie parti del corpo, facendolo sanguinare abbondantemente.
Il poveretto non reagiva:
emetteva solo un flebile lamento, assolutamente inadeguato al dolore che doveva provare.
Lo sentii urlare solo quando il suo aguzzino gli fece un buco nella carne con un coltello, in corrispondenza del muscolo pettorale, e passò dentro questo buco una corda che prese poi a tirare.
Per sua fortuna quel supplizio durò poco, perché il ragazzo svenne.
Lo fecero rinvenire con una secchiata d’acqua e lo deposero dal palo.
Gli slegarono i polsi e lo sospinsero a calci verso il ruscello.
“Lavati”, gli dissero, facendolo cadere nell’acqua con uno spintone.
Intontito e con i polsi spezzati il poveretto non poteva ubbidire.
Lo colpirono allora con una serie di calci sulla testa e lo fulminarono poi con una raffica di mitra che pose fine al suo tormento (…).
La vita a Borovnica, testimoniata anche dai ricordi personali di Rossi Kobau, andava al di là delle condizioni di sopportabilità umana ed era al limite della sopravvivenza.”
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Ndr: (Lionello Rossi Kobau era un Bersagliere della Rsi arruolato nel battaglione Benito Mussolini e catturato dopo che il suo battaglione si era arreso ai titini il 30 aprile 1945.)
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I cosiddetti pasti vengono distribuiti ogni secondo giorno e consistono in un quarto di litro di acqua calda con bucce di patate provenienti dai pasti delle nostre guardie.
Siamo tutti nelle stesse condizioni:
gambe scheletriche, spigoli alle spalle in rilievo, occhi sbarrati e un peso medio che si aggira fra i 30 e 40 chili.
(…) sveglia con una sirena manuale alle 2,30 d’estate e alle 6,30 d’inverno, segue appello e formazione delle squadre di lavoro.
Lungo le marce di trasferimento molti prigionieri crollavano per lo sfinimento.
Decine e decine di chilometri senza cibo.
Coloro che cadevano e non riuscivano a rialzarsi venivano fucilati senza pietà.
Il lavoro era durissimo, per dodici, sedici ore al giorno:
ti sistemavano una o due fette di legno sulle spalle.
Il peso varia molto tra pezzo e pezzo (…) comunque una buona media può essere due pezzi da 10 e 15 chili ciascuno, oppure uno solo da 20 o 30 chili.
La temperatura poteva variare dai 35° gradi dell’estate ai -35° dell’inverno e l’abbigliamento era sempre lo stesso:
(…) canottiera rotta, un paio di mutande di tela di quando ero bersagliere, una camicia stracciata, una giacca del Regio Esercito, due pezzi di stoffa per avvolgere i piedi, un paio di zoccoli.
I prigionieri potevano essere uccisi in qualsiasi momento, per la più piccola trasgressione o, anche, semplicemente perché così decidevano:
(…) dagli interrogatori i più escono con i denti rotti, con lividi su tutto il corpo, con gli occhi tumefatti e con il sangue che fluisce dalle narici e dalla bocca.
Il terrore e la morte a Borovnica si possono fissare in due periodi precisi.
Fine maggio – metà luglio 1945 e ottobre – dicembre stesso anno.
Riferendomi al primo periodo, quello in cui si conta ormai il settanta per cento dei nostri deceduti, si verificano scene feroci anche fra i prigionieri, ormai abbruttiti dalla fame e dalle sofferenze.
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Quello sopra descritto è uno scenario tipico che si ripropone ogni qualvolta ci si trovi ad esaminare l’universo comunista, intriso di odio, di sangue e di ferocia, identificato da un prototipo che lo caratterizza, fondato sul disprezzo della vita umana.
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Ciro Raner è deceduto in Croazia nel 2003, liberando così l’umanità dall’onere della sua presenza e della sua malvagità, tipiche di un membro degli apparti comunisti.
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Il mondo senza di lui è certamente migliore.
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Dissenso
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domenica 12 aprile 2020

Criminale comunista : LEV KAMENEV


Lew Borisovic Rozenfeld  (Mosca, 18/07/1883 – Mosca, 25/08/1936) fu un politico e rivoluzionario ebreo russo, meglio noto con lo pseudonimo di KAMENEV.
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Lev Kamenev
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Nacque dall’unione fra il padre, ferroviere ebreo, e la madre, russa di fede ortodossa.
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Sposò Olga Davidovna Bronstejn, una delle due sorelle del rivoluzionario russo Lev Trockij, diventando suo cognato.
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La biografia di Kamenev ci testimonia sintomaticamente come l’apparato staliniano fosse impregnato di un intenso e sistematico odio, rivolto non solo verso gli oppositori politici, ma anche diretto a colpire i singoli individui che appartenendo alla macchina del potere comunista bolscevico ne costituivano  l’ossatura.
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Le alleanze, le prese di distanza, i giochi di potere, le trame, i tradimenti o il servilismo, sono tutti strumenti attraverso cui Kamenev si palesò come protagonista stereotipato dell’”homo” comunista.
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La compiacenza verso Stalin fu il motivo conduttore che guidò l’operato dei personaggi di potere dell’apparato comunista bolscevico, costituito per circa la metà da ebrei che, mettendo in secondo piano le loro origini e la loro supposta umanità, ne tradirono l’essenza stessa.
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Non a caso infatti i dirigenti del Comitato centrale del partito bolscevico che parteciparono alla riunione in cui fu deciso di prendere il potere con la forza erano dodici : quattro russi (incluso Lenin, di origini ebraiche), un georgiano (Stalin), un polacco (Dzerzinsky) e sei ebrei.
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Kamenev è da considerare a tutti gli effetti un criminale comunista, al pari dei più feroci Berija, Ezov o Jagoda, in quanto elemento di spicco su cui poggiava saldamente il folle teorema del terrore staliniano, in perfetta simbiosi con le paranoie che lo identificavano come interprete del Male assoluto.
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Fece i suoi primi studi a Vilnius, in Lituania, dove nei mesi estivi, durante le vacanze, alternava lo studio al lavoro in fabbrica.
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Il padre lavorava come meccanico della ferrovia Mosca-Kursk e nel 1896 fu dislocato a Tbilisi, in Georgia, dove si trasferì con tutta la famiglia.
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Qui Kamenev proseguì gli studi del ginnasio ed entrò a far parte dei circoli politici clandestini anti-zaristi.
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Nel 1900 una ondata di arresti colpì molti dei suoi compagni e Kamenev fu sospettato di connivenza con gli studenti ribelli, motivo per cui fu espulso dall’Università nel 1901 con una nota di cattiva condotta che gli precluse il proseguo degli studi universitari a Tbilisi.
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Nello stesso anno Kamenev entrò a far parte del partito socialdemocratico.
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Per poter continuare a studiare dovette trasferirsi a Mosca, dove frequentò i corsi di giurisprudenza e dove fu eletto a rappresentare la corporazione degli studenti denominata la “Fraternità”, ma nel 1902 durante una riunione della stessa, questa fu sciolta dalla Polizia che eseguì anche numerosi arresti fra i capi del movimento studentesco.
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Kamenev allora si occupò di riorganizzare la corporazione, collegandola agli studenti di Pietroburgo e promuovendo una manifestazione di studenti e di operai.
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Nel 1903 confluì nell’ala bolscevica del partito socialdemocratico.
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Cortile interno del carcere moscovita di Butyrka
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Kamenev, che assunse questo nome a 21 anni (“uomo di pietra”), nel 1904,  fu arrestato e conobbe così le prigioni zariste della Butyrka e della Taganka a Mosca, a causa appunto della sua attività politica come socialista, per la quale si era distinto anche come valente teorico e oratore.
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Dopo un paio di mesi Kamenev fu scarcerato e dopo la sua espulsione dall’Università fu rimandato a Tbilisi, dove si unì al circolo socialdemocratico iniziando a svolgere attività politica presso i ferrovieri.
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Nell’autunno del 1902 espatriò e si trasferì a Parigi, dove conobbe Lenin entrando a far parte del gruppo dell’Iskra, il giornale socialdemocratico russo di cui Lenin, appunto, fu co-fondatore.
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Dopo alcuni trasferimenti, prima a Ginevra, dove scrisse alcuni articoli contro la dissidenza dei cosiddetti “marxisti legali” Struve, Berdjaev, e Bulgakov, poi  a Londra nel 1903, dove si tenne il II° Congresso del Partito social-democratico, Kamenev tornò in Russia poi nuovamente a Parigi dove durante una riunione del Bund (il movimento socialista ebraico di Lituania, Polonia, e Russia) conobbe Ol’ga Bronstejn, una delle sorelle di Trotsky, che sposò dopo un paio di anni.
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Dal matrimonio nacquero due figli ma nel 1927 la coppia divorziò e Kamenev si risposò con Tat’jana Glebova.
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Tornò a Tbilisi alla fine del 1903 e organizzò insieme al gruppo locale dei socialdemocratici uno sciopero dei ferrovieri del Caucaso, ma dovette fuggire a Mosca  a causa della reazione della Polizia.
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Nella capitale fu coinvolto nella lotta fra la fazione bolscevica e quella menscevica, decidendo di parteggiare per il bolscevismo.
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Fu arrestato nel febbraio del 1904 a causa della sua attività organizzativa nella  preparazione di una manifestazione in programma per il 4 marzo, ma fu poi scarcerato alla fine di giugno.
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Fu rimandato nuovamente a Tbilisi ed entrò nel Comitato dell’Unione del Caucaso, del quale faceva parte anche Stalin.
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Collaborò alla diffusione del giornale illegale pubblicato dal Comitato (La lotta del proletariato) e intanto collaborò con l’Avanti, il settimanale pubblicato a Ginevra da Lenin.
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Nel 1905 durante la rivoluzione contro l’Impero zarista fu inviato nella Russia centrale per perorare i tatticismi del bolscevismo.
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Alla fine di ottobre partecipò ai moti di Minsk, durante i quali l’esercito zarista sparò sulla folla.
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Ripiegò a San Pietroburgo, proprio nel momento in cui Lenin rientrava in Russia, venendone in contatto e iniziando una collaborazione di propaganda e agitazione che durò fino al 1° maggio 1908, data in cui fu arrestato per volantinaggio contro il Governo zarista.
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Kamenev fu rilasciato nel mese di luglio e si trasferì a Ginevra, dove era situato il Centro estero del partito, collaborando con la redazione dell’organo “Proletarij”.
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Divenne delegato bolscevico dell’Internazionale socialista, e come tale partecipò al Congresso di Copenaghen nel 1910, a quello di Basilea del 1912 e al Congresso dei socialdemocratici tedeschi a Chemnitz.
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Sotto la supervisione di Lenin scrisse il libro “Due partiti”, con il quale ruppe definitivamente con i menscevichi.
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Nel 1913 si unì a Lenin e a Zinov’ev a Cracovia e fu da questi inviato a Pietroburgo a dirigere la Pravda, oltre che la frazione bolscevica dei deputati alla IV Duma (il Parlamento russo).
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Nel 1914 il giornale venne proibito dalle autorità zariste e Kamenev espatriò in Finlandia.
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Allo scoppio della 1a guerra mondiale, nel luglio del 1914, Kamenev tornò a Pietroburgo, dove fu arrestato insieme a 5 deputati bolscevichi e deportato in Siberia, dove rimase fino al 1917, anno in cui venne scarcerato subito dopo la Rivoluzione di febbraio.
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Una volta libero Kamenev si trovò a dirigere il Partito bolscevico insieme a Stalin e a Muranov, in attesa che tornasse Lenin dall’estero.
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Lenin rientrò il 16 aprile, presentando al Comitato centrale del partito le sue direttive politiche sui compiti del proletariato nell’attuazione della rivoluzione.
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Le sue tesi furono approvate dal Partito che lo elesse membro del Comitato centrale richiedendo la sua presenza ai negoziati di pace di Brest-Litovsk fra la Russia Bolscevica e gli Imperi centrali (Germania , Austria-Ungheria, Impero ottomano e Regno di Bulgaria). 
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Dopo le dimostrazioni di luglio, le forze del Governo provvisorio, composte dagli appartenenti al Partito dei cadetti (Liberali), ai socialisti e ai menscevichi, attaccarono i bolscevichi nel tentativo di distruggerli politicamente.
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Lenin e Zinov’ev furono costretti a nascondersi, mentre Kamenev fu arrestato con l’accusa di essere un agente dell’Ochrana, la polizia zarista.
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Quando fu rilasciato, il 23 ottobre, prese parte alla riunione clandestina del Comitato centrale bolscevico che decise l’insurrezione proposta da Lenin.
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Lenin, Trockij e Kamenev
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Kamenev e Zinov’ev si opposero, richiedendo di attendere le elezioni dell’assemblea costituente.
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Il 29 ottobre ci fu una nuova riunione, allargata ai quadri bolscevichi di Pietrogrado, ma anche in questa occasione fra i 25 partecipanti solamente Kamenev e Zinov’ev si opposero, ribadendo poi durante una intervista che una insurrezione armata, pochi giorni prima del Congresso dei soviet, sarebbe stata fatale per il proletariato e per la la rivoluzione.
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Le rivelazioni fatte durante l’intervista fecero infuriare Lenin che chiese l’espulsione sia di Kamenev che di Zinov’ev, ma il Partito non adottò alcun provvedimento, se non quello di decidere la data dell’insurrezione, che venne fissata per la sera del 6 novembre.
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Il 7 novembre il Congresso dei Soviet aprì la seduta decretando la vittoria della rivoluzione e i bolscevichi in maggioranza elessero Kamenev presidente del comitato esecutivo centrale.
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Kamenev e Zinov’ev rimasero però all’opposizione interna al Partito, proclamandosi a favore di un Governo di coalizione  con menscevichi e socialisti rivoluzionari, pur consapevole che questi avevano però già iniziato a combattere la rivoluzione bolscevica.
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Nel 1917 Kamenev fece parte della delegazione russa per trattare con la Germania la pace di Brest-Litowske e successivamente fu inviato sia in Francia (1918) che in Gran Bretagna (1920) per comunicare ai rispettivi Governi di quei paesi gli obiettivi del Governo sovietico.
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Kamenev fu espulso da Londra dopo una settimana di permanenza e decise di rientrare in Russia passando per la Finlandia proprio quando la guerra civile fra i finlandesi rossi (comunisti e socialdemocratici) e finlandesi bianchi (conservatori) era già iniziata.
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In questo frangente Kamenev fu catturato dai Bianchi finlandesi, i quali lo liberarono in agosto grazie ad uno scambio di prigionieri con la Russia.
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Nel 1919 fu designato come delegato straordinario del consiglio di difesa al fronte della guerra civile.
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Kamenev e Trockij
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Quando Lenin si ammalò di una gravissima forma di arteriosclerosi subendo due ictus in successione che comportarono la paralisi parziale del lato destro del corpo, Kamenev divenne Presidente del Soviet di Mosca e, insieme a Zinov’ev, a sua volta Presidente del Soviet di Pietrogrado e dell’internazionale comunista, e a Stalin (segretario del Partito), fece opposizione a Trockij.
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Alla morte di Lenin, nel 1924, la guida dell’Unione sovietica fu nelle mani della troika composta da Stalin, Kamenev, e Zinov’ev, mentre il principale oppositore  di Stalin all’interno al Partito divenne Trockij, che propugnava la teoria della “Rivoluzione permanente” contraria a quella di Stalin della “costruzione del socialismo in un solo paese”.
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Negli anni 1924-25 la troika fu responsabile degli arresti e delle deportazioni delle opposizioni, i cui partecipanti furono imprigionati  e deportati a migliaia.
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Stalin accrebbe il suo potere proprio grazie all’alleanza con Zinov’ev e Kamenev, che usò per contrastare Trockij.
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Per combattere la troika Trockij diede alle stampe un resoconto degli avvenimenti del 1917, intitolato “Lezioni d’Ottobre”, evidenziando l’atteggiamento tenuto a quel tempo da Kamenev e Zinov’ev, che erano contrari e ostili alla presa di potere da parte dei bolscevichi.
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L’alleanza di Kamenev e di Zinov’ev con Stalin in chiave anti Trockij si concretizzò fino al 1925, anno in cui Stalin estromise i due compagni, stringendo una nuova alleanza sia con Nikolaj Bucharin, un teorico comunista redattore della Pravda con Aleksej Rykov.
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Nel frattempo Trockij che si era ammalato, fu costretto a dimettersi sia dalla carica di Commissario del Popolo per l’Esercito che da quella di Presidente del Consiglio Militare Rivoluzionario.
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Zinov’ev e Kamenev si allearono con la vedova di Lenin, Nadezda Krupskaja, e a Grigorij Sokol’nikov, Commissario del popolo per la Finanza e membro del Plitburo, formando la cosiddetta “Nuova Opposizione”, ostile a Stalin.
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Nel settembre del 1925, durante una riunione della Commissione Centrale del partito, e a dicembre durante il XIV Congresso del PCUS Kamenev e Zinov’ev arrivarono a chiedere pubblicamente la rimozione di Stalin dalla carica di Segretario generale, ma si trovarono in minoranza e furono sconfitti.
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Kamenev fu anche ambasciatore in Italia, a Roma per tutto il 1927, ma a causa della sua opposizione a Stalin fu richiamato in Russia dove venne dapprima retrocesso da membro con diritto di voto a membro senza voto, poi espulso dal Partito insieme a Trockij.
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Nel 1928 sia Kamenev che Zinov’ev proclamarono mediante una lettera pubblica il loro distacco dai trockisti e chiesero la riammissione al Partito.
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La domanda fu accolta sei mesi più tardi ma nel 1932 furono nuovamente espulsi, salvo poi essere riammessi nel 1933 dopo una loro “autocritica”.
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Due anni più tardi furono accusati di essere implicati nell’assassinio di Sergej Kirov e per questo motivo Kamenev nel gennaio del 1935 fu condannato a cinque anni di prigione a cui si sommarono nel mese di luglio altri cinque anni.
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IL 24 agosto 1936 furono entrambi condannati a morte.
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Kamenev e Zinov’ev furono i principali imputati nel cosiddetto “processo dei sedici”, in cui sia il procedimento che le condanna a morte di questo periodo, cosiddetto delle grandi purghe (nella seconda metà degli anni ’30), facevano parte delle repressioni volute da Stalin a seguito dell’omicidio di Sergej Kyrov (importante dirigente del partito a Leningrado), per epurare il Partito comunista da presunti cospiratori.
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Nonostante il carcere, le torture, e le condanne, Kamenev durante questo periodo scrisse una lettera a Stalin di assoluta sottomissione:
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« In un momento in cui l'anima mia è piena di amore per il Partito e per la sua dirigenza, quando, avendo vissuto tra esitazioni e dubbi, posso dire con coraggio che ho imparato a fidarmi totalmente della volontà della Commissione centrale e di ogni decisione che tu, compagno Stalin, decida di prendere; sono stato arrestato per i miei legami con persone che mi sono estranee e che mi disgustano
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Prima del processo, Zinov'ev e Kamenev avevano acconsentito a dichiararsi colpevoli in cambio della promessa di non essere giustiziati e della salvezza delle rispettive famiglie, condizione accettata da Stalin.
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Contrariamente agli accordi, poche ore dopo la loro condanna, Stalin ordinò l'esecuzione dei due.
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Fra le loro nefandezze si ricordano l’eliminazione totale degli anarchici, nonostante questi avessero aderito al Partito e si fossero allineati all’ortodossia bolscevica.
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Kamenev si fece promotore di una legge, insieme a Zinov’ev, che prevedeva la pena di morte per i bambini di dodici anni, stabilendo la responsabilità dei loro genitori.
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Nel mese di novembre 1917 in piena contro rivoluzione bolscevica contro i veri rivoluzionari che avevano sconfitto il potere zarista, Kamenev a capo degli insorti lesse la formazione del Nuovo Governo provvisorio imposto alla popolazione :
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Presidente del Consiglio : Vladimir Ul’janov (Lenin)
Interni : A. I. Rykov
Agricoltura : Vladimir Pavlovic Miljutin
Lavoro : A. G. Sljapnikov
Guerra e marina : un comitato composto da V. A. Ovseenko (Antonov), N. V.   Krylenko e F. M. Dybenko
Commercio e industria : V. P. Nogin
Istruzione pubblica : A. V. Lunacarskij
Finanze : Ivan Ivanovic Skvorcov (Stepanov)
Affari esteri : L. D. Bronstejn (Trockij)
Giustizia : G. I. Oppokov (Lomov)
Approvvigionamenti : Ivan Adol’fovic Teodorovic
Poste e telegrafi : N. P. Avilov (Glebov)
Incaricato per le nazionalità : Josif Vissarionovic Dzugasvili (Stalin)
Ferrovie : Titolare non ancora designato
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Kamenev fu anche membro di una commissione speciale (insieme a Kurskij, Unsliht e Mancev) incaricata di schedare gli intellettuali, filosofi, scrittori, storici, e professori universitari, destinati ad essere espulsi dalla Russia pena la fucilazione.
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Nel biennio 1924–25 la troika composta da Stalin, Zinov’ev e Kamenev estromise Lev Trockij dalle posizioni di potere, perseguitando con brutalità i suoi seguaci e tutte le altre opposizioni.
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Dissenso
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