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Il
26 aprile 1986 verso l’una del mattino una immane esplosione all’interno del
reattore nucleare numero quattro della centrale atomica di Chernobyl, in
Ucraina, causò l’immediata morte degli operai presenti ed un fallout
radioattivo che contaminò non solo le zone circostanti, ma spinto dalle
correnti atmosferiche, buona parte dell’Europa.
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Va
detto, per completezza di informazione, che la deflagrazione non si verificò
semplicemente a causa di un incidente tecnico, come la Russia ha cercato di far
credere al mondo intero, bensì come conseguenza di scelte devastanti e tragiche
concepite dall’arroganza del potere comunista di quel tempo, che anteponeva la
ferrea ortodossia impositiva del regime a qualsiasi criterio di sicurezza.
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I
diritti umani e la vita stessa delle persone non hanno mai assunto una
rilevante considerazione nell’universo comunista, e ciò è comprovato dai cento
milioni di vittime prodotte nel secolo scorso dall’apparato criminale che lo
costituiva e dai gerarchi che lo hanno imposto con l’uso della violenza.
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I
lavori forzati e l’uso dei detenuti per ottenere manovalanza a costi vicino
allo zero sono sempre stati infatti una delle prerogative del comunismo, e lo
sono ancora oggi in Paesi come la Cina e la Corea del Nord, in cui i
prigionieri sono reclusi in lager denominati Laogai, oppure come Centri di
rieducazione attraverso il lavoro.
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Il
più grave disastro nucleare della Storia dell’umanità sprigionò nell’atmosfera
nove tonnellate di scorie radioattive, provocando come conseguenza l’insorgenza
di nuovi tumori, leucemie, cardiopatie e malformazioni che si ripropongono
ancora oggi a trentaquattro anni di distanza.
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L’esigenza
sovietica di destinare la maggior parte degli stanziamenti economici alla corsa
verso gli armamenti, anziché alla sicurezza delle centrali, si è rivelata uno schiaffo ai diritti umani per migliaia di persone.
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Il
regime comunista nascose inizialmente l’entità del disastro e la relativa
emergenza, negando l’accaduto anche due giorni dopo l’esplosione.
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La
città di Pripjat, distante 5 chilometri da Chernobyl, costruita per ospitare i quasi 50 mila lavoratori della centrale, fu evacuata solamente quando oramai la ricaduta del
materiale radioattivo andava avanti da 36 ore.
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Decine
di tonnellate di cesio, di stronzio e di plutonio saturarono l’atmosfera in un
raggio di mille e duecento chilometri, provocando una vera e propria
apocalisse.
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Il
parallelismo con la devastazione regalataci oggi dalla Cina comunista è
d’obbligo, e ci dà la misura di continuità con cui il comunismo si rapporta
alle popolazioni, oggetto e bersaglio di esperimenti incontrollati, imperizia,
arroganza, e disprezzo dei diritti umani.
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Oggi
il coronavirus dal comunismo cinese e nel 1986 le radiazioni nucleari del
comunismo sovietico costituiscono solamente due anelli di una lunga catena
fatta di odio e di auto-referenzialismo.
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Il
giorno successivo all’esplosione, a Forsmark, un villaggio svedese sul Mar
Baltico, il chimico Cliff Robinson che lavorava in una centrale nucleare rilevò una
altissima concentrazione di radiazioni e diede l'allarme.
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Nelle
altre due centrali svedesi accade la stessa cosa, identificando la causa in una
contaminazione che arrivava da sud, da Chernobyl, ma Mosca, proseguendo il suo
atteggiamento di disprezzo per la vita e per i diritti umani rispose alle
richieste di spiegazioni negando l’accaduto.
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Nella
estesa zona paludosa della Polesia circostante la centrale di Chernobyl, si
sprigionarono venti milioni di curie di radiazioni, pari a duecento bombe come
quella che fu sganciata su Hiroshima, e da allora ad oggi oltre 1200 incendi
hanno ulteriormente devastato il territorio.
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Gli
abitanti dei villaggi di queste zone, in cui vivono oggi anche 600 bambini, sono quotidianamente assediati da una doppia
minaccia : quella della radioattività e quella del coronavirus, entrambe
imputabili al comunismo.
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Un
comunismo che si palesa foriero di morte ovunque si presenti, sia sotto forma
di deportazioni e torture che di omicidi, stupri, violenze e sangue, ma anche
come responsabile dell’assoggettamento intellettuale delle coscienze, della
disinformazione, della coercizione mentale al pensiero unico, della
manipolazione e dell’imposizione pseudo culturale.
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L’universo
comunista, ove presente, poggia sull’odio verso tutto ciò che non si inchina
all’ortodossia imposta dal regime, sia esso cinese che russo, piuttosto che
nord coreano o cubano.
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Emergono
similitudini tra i due disastri comunisti, Chernobyl e la pandemia cinese,
riscontrabili nell’evidenza di consapevoli insabbiamenti e criminali ritardi
nelle comunicazioni, aggravate da minacce verso coloro che responsabilmente si
opponevano al “modus operandi” imposto dal regime.
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Il
primo maggio del 1986 il secondo Segretario dell’ambasciata sovietica negli
Stati Uniti, Vitaly Churkin, dopo aver ammesso l’esplosione del reattore numero
quattro dell’impianto nucleare di Chernobyl, disse :
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“La situazione sta migliorando, non è fuori
controllo”.
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La
mancanza di trasparenza e di comunicazione, unite all’occultamento di una
realtà già accertata dai comunisti cinesi è esattamente ciò che il criminale Xi Jinping ha
volontariamente imposto al mondo intero in occasione
delle fasi iniziali dell’epidemia, trasformatasi poi in pandemia.
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Il
dottor Li Wenliang, fu il primo a identificare il terribile virus nel mese di
dicembre 2019, ma il suo grido di allarme fu tacitato brutalmente dalla Polizia
comunista cinese che lo accusò di diffondere notizie false e lesive dell’ordine
pubblico.
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Il
mantra comunista si ripropone quindi ciclicamente e tragicamente, strangolando
le democrazie occidentali che per troppo tempo sono state silenti e
indifferenti al palese disprezzo dei diritti umani nei Paesi comunisti.
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Nonostante
Chernobyl e i Laogai, i Governi Europei si affannano a stringere rapporti
commerciali con i giganti asiatici, incuranti del fatto che questi siano la
cartina di tornasole del fallimento intellettuale stesso delle democrazie occidentali.
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Le
mutazioni genetiche generate dalle contaminazioni nucleari dopo il disastro di Chernobyl e i villaggi semi abbandonati in cui vivono come fantasmi un
centinaio di sopravvissuti, dovrebbero essere sufficienti al “civile” occidente
per rifiutare con decisione qualsiasi proposizione del mondo comunista.
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Entropia e distropia, democrazia e comunismo,
libertà e coercizione, odio e amore, sono i parallelismi entro cui si misura il
grado di civiltà in cui vivranno in futuro i nostri figli e nipoti, ed è quindi
importante prendere posizione e schierarsi per la difesa della dignità umana.
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Dissenso
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