Ciro
Raner, era un comunista italiano, nato a Pisino nel 1917 e vissuto a Trieste, che
come collaborazionista dell’esercito titino jugoslavo nel 1945-46 comandò il
famigerato lager di Borovnica (vicino a Lubiana), in cui erano stati deportati
duemila prigionieri italiani.
Secondo
le deposizioni scritte di ex deportati e secondo quanto scritto in un documento
degli Affari esteri, Raner è stato inoltre uno degli infoibatori assassini che
uccisero migliaia di italiani, i quali non sopravvissero al trattamento disumano che
veniva loro inflitto nel lager di Borovnica.
Ciro
Raner dopo aver compiuto gli studi universitari a Bologna, entrò poi a far
parte della segreteria particolare del Ministro degli esteri Edward Kardelj
(alias il partigiano Kristof), a sua volta “braccio destro” di Tito, mentre
le sue sorelle, Lea, Nada, e Vanda, fecero carriera nell’OZNA, la famigerata
polizia segreta jugoslava.
Gli
storici definiscono il campo di Borovnica come il peggior campo di
concentramento fra le decine di lager comunisti jugoslavi.
Quasi
tutti coloro che erano internati in questo lager furono sottoposti a torture e
uccisi barbaramente, mentre i loro cadaveri vennero gettati nelle foibe perché
non fossero più ritrovati.
Le
torture che Raner infliggeva ai deportati erano sadicamente ideate per
provocare una morte lenta e dolorosa e consistevano per la maggior parte nelle "pratiche" della crocifissione e del
trascinamento.
Nel
primo caso si legavano dietro la schiena le mani della vittima designata, che
veniva poi issata ad un alto palo su cui rimaneva attaccata per intere
giornate, mentre il trascinamento prevedeva che il detenuto trascinasse dei
grossi massi del peso di oltre duecento chili nonostante il fatto che questi
esseri umani fossero talmente denutriti da pesare solamente una trentina di
chili.
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La
disinformazione comunista, attraverso uno squallido negazionismo, ha sempre
cercato di nascondere i crimini commessi in nome di Marx e della bandiera
rossa, ma la verità è infine emersa grazie anche alle testimonianze dei
sopravvissuti.
Uno
di questi, Giovanni Predonzani raccontò ai Carabinieri di Trieste una
testimonianza sulla ferocia del Comandante Ciro Raner:
“Eravamo in fila con uno
scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e patate (...), quello davanti a
me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola.
Subito la
guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace.
Arrivò il
Raner che, dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito
sparandogli alla nuca".
Il
testimone raccontò poi di un altro episodio in cui i comunisti jugoslavi si
abbandonarono, in una infinita e tragica serie, ad atti di ferocia e di
disprezzo dei diritti umani:
“
Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi
allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martorizzati col
seguente sistema:
presi i
due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i
lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato.
Dopo
averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che
i due si strapparono le orecchie.
Come se
ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e
le drugarize (sentinelle, ndr), che colpirono i due con molti colpi di pistola
lasciandoli freddi sul posto.”
Nonostante la ferocia dimostrata da Raner, in particolar
modo contro i detenuti italiani, a guerra finita gli fu riconosciuta dall’Inps
di Trieste una sostanziosa pensione, con tanto di tredicesima, e una somma di
arretrati di circa 50 milioni di vecchie lire.
Ciro Raner, comandante del famigerato lager di Borovnica, fu
inquisito anche dal sostituto procuratore presso il Tribunale Militare di
Padova Dr. Sergio Dini, competente sulle Tre Venezie, ma non potè essere
processato per motivi di salute.
I legali rappresentanti di Raner, che nel frattempo aveva
raggiunto l’età di 87 anni di età, presentarono infatti un certificato medico
redatto dalle autorità croate da cui risultava che il loro assistito, abitante
a Crikvenica, una trentina di chilometri oltre Fiume, risultava affetto da una
grave forma di demenza senile, e non era quindi in grado né di intendere e di
volere e né di sostenere un processo.
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Il Magistrato dichiarò che una eventuale rogatoria
internazionale per disporre una visita fiscale, quand'anche fosse andata a buon
fine avrebbe presupposto tempi incompatibili con l'età dell'imputato, per cui
dovette chiedere l'archiviazione del fascicolo, nonostante il fatto di aver
raccolto prove importanti relative alla sua colpevolezza per le torture e le
uccisioni di militari italiani.
A capo del lager di Borovnica, dove finirono
repubblichini, uomini della Guardia civica, ma anche semplici militari, oppure
carabinieri e finanzieri considerati in quanto tali come fascisti, Raner sostituì l’ex comandante di nome Lepuscek, secondo e ultimo indagato nella stessa
inchiesta condotta dal Magistrato Sergio Dini, in cui però questi era stato già
depennato perché già deceduto da anni.
In un’autobiografia, lo scrittore Norberto Biso ci racconta
la sua testimonianza relativa alla propria prigionia nel campo di Borovnica, sotto il
comando di Ciro Raner.
Nel 1945, a guerra finita Biso, che era stato comandante di
lungo corso come militare nella decima Mas, si trovava a Trieste e stava
tornando a casa, a Lerici, nella sua Liguria, quando fu catturato da una
pattuglia di sloveni comunisti appartenenti all’esercito titino, e deportato nel
famigerato lager.
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Ecco il suo racconto:
“Quando entrammo nel campo fummo suddivisi in gruppi di
circa trecento persone e avviati verso le baracche.
Queste erano leggermente sollevate dal suolo, avevano forma
rettangolare ed erano abbastanza vaste da contenerci tutti.
Non c’era niente all’interno, non un tavolo e neppure un
giaciglio.
E così ci rassegnammo a dormire sul pavimento di legno (…)
per i nostri bisogni usavamo delle fosse, larghe e profonde circa un metro e
lunghe tre, dotate di parapetto e tientibene.
Nonostante questi accorgimenti, quando la dissenteria
cominciò a infierire, non furono in pochi a cadere negli escrementi e a
trovarvi una orribile fine.
Quando questo accadeva si tappava la fossa con dentro il
cadavere e se ne scavava un’altra un pò più in là.
(…) La tortura più orrenda l’ho vista infliggere a un
prigioniero che non era dei nostri (…)
Il ragazzo fu appeso a un palo davanti a noi:
indossava solo calzoni e fu a lungo bastonato sul petto con
un sottile bastone che gli lacerava le carni, mentre il suo aguzzino gli
intimava di gridare “Zivio Tito”.
La risposta flebile ma ferma era sempre la stessa:
“Heil Hitler”.
(…) La tortura continuò con ripetuti lanci di una tegola che
colpì quello sventurato in varie parti del corpo, facendolo sanguinare
abbondantemente.
Il poveretto non reagiva:
emetteva solo un flebile lamento, assolutamente inadeguato al
dolore che doveva provare.
Lo sentii urlare solo quando il suo aguzzino gli fece un buco
nella carne con un coltello, in corrispondenza del muscolo pettorale, e passò
dentro questo buco una corda che prese poi a tirare.
Per sua fortuna quel supplizio durò poco, perché il ragazzo svenne.
Lo fecero rinvenire con una secchiata d’acqua e lo deposero
dal palo.
Gli slegarono i polsi e lo sospinsero a calci verso il
ruscello.
“Lavati”, gli dissero, facendolo cadere nell’acqua con uno
spintone.
Intontito e con i polsi spezzati il poveretto non poteva
ubbidire.
Lo colpirono allora con una serie di calci sulla testa e lo
fulminarono poi con una raffica di mitra che pose fine al suo tormento (…).
La vita a Borovnica, testimoniata anche dai ricordi personali
di Rossi Kobau, andava al di là delle condizioni di sopportabilità umana ed era
al limite della sopravvivenza.”
Ndr: (Lionello Rossi Kobau era un Bersagliere della Rsi
arruolato nel battaglione Benito Mussolini e catturato dopo che il suo
battaglione si era arreso ai titini il 30 aprile 1945.)
“I cosiddetti pasti vengono distribuiti ogni secondo
giorno e consistono in un quarto di litro di acqua calda con bucce di patate
provenienti dai pasti delle nostre guardie.
Siamo tutti nelle stesse condizioni:
gambe scheletriche, spigoli alle spalle in rilievo, occhi
sbarrati e un peso medio che si aggira fra i 30 e 40 chili.
(…) sveglia con una sirena manuale alle 2,30 d’estate e alle
6,30 d’inverno, segue appello e formazione delle squadre di lavoro.
Lungo le marce di trasferimento molti prigionieri crollavano
per lo sfinimento.
Decine e decine di chilometri senza cibo.
Coloro che cadevano e non riuscivano a rialzarsi venivano
fucilati senza pietà.
Il lavoro era durissimo, per dodici, sedici ore al giorno:
ti sistemavano una o due fette di legno sulle spalle.
Il peso varia molto tra pezzo e pezzo (…) comunque una buona
media può essere due pezzi da 10 e 15 chili ciascuno, oppure uno solo da 20 o
30 chili.
La temperatura
poteva variare dai 35° gradi dell’estate ai -35° dell’inverno e l’abbigliamento
era sempre lo stesso:
(…) canottiera rotta, un paio di mutande di tela di quando
ero bersagliere, una camicia stracciata, una giacca del Regio Esercito, due
pezzi di stoffa per avvolgere i piedi, un paio di zoccoli.
(…) dagli interrogatori i più escono con i denti rotti, con
lividi su tutto il corpo, con gli occhi tumefatti e con il sangue che fluisce
dalle narici e dalla bocca.
Il terrore e la morte a Borovnica si possono fissare in due
periodi precisi.
Fine maggio – metà luglio 1945 e ottobre – dicembre stesso anno.
Riferendomi al primo periodo, quello in cui si conta ormai il
settanta per cento dei nostri deceduti, si verificano scene feroci anche fra i
prigionieri, ormai abbruttiti dalla fame e dalle sofferenze.
Quello sopra descritto è uno scenario tipico che si
ripropone ogni qualvolta ci si trovi ad esaminare l’universo comunista, intriso
di odio, di sangue e di ferocia, identificato da un prototipo che lo caratterizza, fondato sul disprezzo della vita umana.
Ciro Raner è deceduto in Croazia nel 2003, liberando così
l’umanità dall’onere della sua presenza e della sua malvagità, tipiche di un membro degli apparti comunisti.
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Il mondo senza di lui è certamente migliore.
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Dissenso
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