venerdì 17 aprile 2020

Criminale comunista : CIRO RANER


Ciro Raner, era un comunista italiano, nato a Pisino nel 1917 e vissuto a Trieste, che come collaborazionista dell’esercito titino jugoslavo nel 1945-46 comandò il famigerato lager di Borovnica (vicino a Lubiana), in cui erano stati deportati duemila prigionieri italiani.
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CIRO RANER
Secondo le deposizioni scritte di ex deportati e secondo quanto scritto in un documento degli Affari esteri, Raner è stato inoltre uno degli infoibatori assassini che uccisero migliaia di italiani, i quali non sopravvissero al trattamento disumano che veniva loro inflitto nel lager di Borovnica.
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Ciro Raner dopo aver compiuto gli studi universitari a Bologna, entrò poi a far parte della segreteria particolare del Ministro degli esteri Edward Kardelj (alias il partigiano Kristof), a sua volta “braccio destro” di Tito, mentre le sue sorelle, Lea, Nada, e Vanda, fecero carriera nell’OZNA, la famigerata polizia segreta jugoslava.
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Gli storici definiscono il campo di Borovnica come il peggior campo di concentramento fra le decine di lager comunisti jugoslavi.
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Quasi tutti coloro che erano internati in questo lager furono sottoposti a torture e uccisi barbaramente, mentre i loro cadaveri vennero gettati nelle foibe perché non fossero più ritrovati.
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Le torture che Raner infliggeva ai deportati erano sadicamente ideate per provocare una morte lenta e dolorosa e consistevano per la maggior parte nelle "pratiche" della crocifissione e del trascinamento.
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Nel primo caso si legavano dietro la schiena le mani della vittima designata, che veniva poi issata ad un alto palo su cui rimaneva attaccata per intere giornate, mentre il trascinamento prevedeva che il detenuto trascinasse dei grossi massi del peso di oltre duecento chili nonostante il fatto che questi esseri umani fossero talmente denutriti da pesare solamente una trentina di chili.
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La disinformazione comunista, attraverso uno squallido negazionismo, ha sempre cercato di nascondere i crimini commessi in nome di Marx e della bandiera rossa, ma la verità è infine emersa grazie anche alle testimonianze dei sopravvissuti.
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Uno di questi, Giovanni Predonzani raccontò ai Carabinieri di Trieste una testimonianza sulla ferocia del Comandante Ciro Raner:
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Eravamo in fila con uno scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e patate (...), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola.
Subito la guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace.
Arrivò il Raner che, dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca".
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Il testimone raccontò poi di un altro episodio in cui i comunisti jugoslavi si abbandonarono, in una infinita e tragica serie, ad atti di ferocia e di disprezzo dei diritti umani:
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Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martorizzati col seguente sistema:
presi i due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato.
Dopo averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie.
Come se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le drugarize (sentinelle, ndr), che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli freddi sul posto.”
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Nonostante la ferocia dimostrata da Raner, in particolar modo contro i detenuti italiani, a guerra finita gli fu riconosciuta dall’Inps di Trieste una sostanziosa pensione, con tanto di tredicesima, e una somma di arretrati di circa 50 milioni di vecchie lire.
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Ciro Raner, comandante del famigerato lager di Borovnica, fu inquisito anche dal sostituto procuratore presso il Tribunale Militare di Padova Dr. Sergio Dini, competente sulle Tre Venezie, ma non potè essere processato per motivi di salute.
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I legali rappresentanti di Raner, che nel frattempo aveva raggiunto l’età di 87 anni di età, presentarono infatti un certificato medico redatto dalle autorità croate da cui risultava che il loro assistito, abitante a Crikvenica, una trentina di chilometri oltre Fiume, risultava affetto da una grave forma di demenza senile, e non era quindi in grado né di intendere e di volere e né di sostenere un processo.
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Ubicazione di Borovnica, in Slovenia, a 20 km da Lubiana

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Il Magistrato dichiarò che una eventuale rogatoria internazionale per disporre una visita fiscale, quand'anche fosse andata a buon fine avrebbe presupposto tempi incompatibili con l'età dell'imputato, per cui dovette chiedere l'archiviazione del fascicolo, nonostante il fatto di aver raccolto prove importanti relative alla sua colpevolezza per le torture e le uccisioni di militari italiani.
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A capo del lager di Borovnica, dove finirono repubblichini, uomini della Guardia civica, ma anche semplici militari, oppure carabinieri e finanzieri considerati in quanto tali come fascisti, Raner sostituì l’ex comandante di nome Lepuscek, secondo e ultimo indagato nella stessa inchiesta condotta dal Magistrato Sergio Dini, in cui però questi era stato già depennato perché già deceduto da anni.
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In un’autobiografia, lo scrittore Norberto Biso ci racconta la sua testimonianza relativa alla propria prigionia nel campo di Borovnica, sotto il comando di Ciro Raner.
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Nel 1945, a guerra finita Biso, che era stato comandante di lungo corso come militare nella decima Mas, si trovava a Trieste e stava tornando a casa, a Lerici, nella sua Liguria, quando fu catturato da una pattuglia di sloveni comunisti appartenenti all’esercito titino, e deportato nel famigerato lager.
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Ecco il suo racconto:
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Quando entrammo nel campo fummo suddivisi in gruppi di circa trecento persone e avviati verso le baracche.
Queste erano leggermente sollevate dal suolo, avevano forma rettangolare ed erano abbastanza vaste da contenerci tutti.
Non c’era niente all’interno, non un tavolo e neppure un giaciglio.
E così ci rassegnammo a dormire sul pavimento di legno (…) per i nostri bisogni usavamo delle fosse, larghe e profonde circa un metro e lunghe tre, dotate di parapetto e tientibene.
Nonostante questi accorgimenti, quando la dissenteria cominciò a infierire, non furono in pochi a cadere negli escrementi e a trovarvi una orribile fine.
Quando questo accadeva si tappava la fossa con dentro il cadavere e se ne scavava un’altra un pò più in là.
(…) La tortura più orrenda l’ho vista infliggere a un prigioniero che non era dei nostri (…)
Il ragazzo fu appeso a un palo davanti a noi:
indossava solo calzoni e fu a lungo bastonato sul petto con un sottile bastone che gli lacerava le carni, mentre il suo aguzzino gli intimava di gridare “Zivio Tito”.
La risposta flebile ma ferma era sempre la stessa:
“Heil Hitler”.
(…) La tortura continuò con ripetuti lanci di una tegola che colpì quello sventurato in varie parti del corpo, facendolo sanguinare abbondantemente.
Il poveretto non reagiva:
emetteva solo un flebile lamento, assolutamente inadeguato al dolore che doveva provare.
Lo sentii urlare solo quando il suo aguzzino gli fece un buco nella carne con un coltello, in corrispondenza del muscolo pettorale, e passò dentro questo buco una corda che prese poi a tirare.
Per sua fortuna quel supplizio durò poco, perché il ragazzo svenne.
Lo fecero rinvenire con una secchiata d’acqua e lo deposero dal palo.
Gli slegarono i polsi e lo sospinsero a calci verso il ruscello.
“Lavati”, gli dissero, facendolo cadere nell’acqua con uno spintone.
Intontito e con i polsi spezzati il poveretto non poteva ubbidire.
Lo colpirono allora con una serie di calci sulla testa e lo fulminarono poi con una raffica di mitra che pose fine al suo tormento (…).
La vita a Borovnica, testimoniata anche dai ricordi personali di Rossi Kobau, andava al di là delle condizioni di sopportabilità umana ed era al limite della sopravvivenza.”
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Ndr: (Lionello Rossi Kobau era un Bersagliere della Rsi arruolato nel battaglione Benito Mussolini e catturato dopo che il suo battaglione si era arreso ai titini il 30 aprile 1945.)
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I cosiddetti pasti vengono distribuiti ogni secondo giorno e consistono in un quarto di litro di acqua calda con bucce di patate provenienti dai pasti delle nostre guardie.
Siamo tutti nelle stesse condizioni:
gambe scheletriche, spigoli alle spalle in rilievo, occhi sbarrati e un peso medio che si aggira fra i 30 e 40 chili.
(…) sveglia con una sirena manuale alle 2,30 d’estate e alle 6,30 d’inverno, segue appello e formazione delle squadre di lavoro.
Lungo le marce di trasferimento molti prigionieri crollavano per lo sfinimento.
Decine e decine di chilometri senza cibo.
Coloro che cadevano e non riuscivano a rialzarsi venivano fucilati senza pietà.
Il lavoro era durissimo, per dodici, sedici ore al giorno:
ti sistemavano una o due fette di legno sulle spalle.
Il peso varia molto tra pezzo e pezzo (…) comunque una buona media può essere due pezzi da 10 e 15 chili ciascuno, oppure uno solo da 20 o 30 chili.
La temperatura poteva variare dai 35° gradi dell’estate ai -35° dell’inverno e l’abbigliamento era sempre lo stesso:
(…) canottiera rotta, un paio di mutande di tela di quando ero bersagliere, una camicia stracciata, una giacca del Regio Esercito, due pezzi di stoffa per avvolgere i piedi, un paio di zoccoli.
I prigionieri potevano essere uccisi in qualsiasi momento, per la più piccola trasgressione o, anche, semplicemente perché così decidevano:
(…) dagli interrogatori i più escono con i denti rotti, con lividi su tutto il corpo, con gli occhi tumefatti e con il sangue che fluisce dalle narici e dalla bocca.
Il terrore e la morte a Borovnica si possono fissare in due periodi precisi.
Fine maggio – metà luglio 1945 e ottobre – dicembre stesso anno.
Riferendomi al primo periodo, quello in cui si conta ormai il settanta per cento dei nostri deceduti, si verificano scene feroci anche fra i prigionieri, ormai abbruttiti dalla fame e dalle sofferenze.
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Quello sopra descritto è uno scenario tipico che si ripropone ogni qualvolta ci si trovi ad esaminare l’universo comunista, intriso di odio, di sangue e di ferocia, identificato da un prototipo che lo caratterizza, fondato sul disprezzo della vita umana.
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Ciro Raner è deceduto in Croazia nel 2003, liberando così l’umanità dall’onere della sua presenza e della sua malvagità, tipiche di un membro degli apparti comunisti.
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Il mondo senza di lui è certamente migliore.
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Dissenso
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