domenica 31 maggio 2020

MILAN SIMECKA

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Milan Simecka, (Novy Bohumin, Praga, 6 marzo 1930 – Praga, 24 settembre 1990), è stato uno dei più importanti dissidenti cecoslovacchi, oltre che saggista, autore editorialista e “filosofo della politica”, come ebbe a chiamarlo Vilem Precan, eminente studioso di storia moderna cecoslovacca.
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Accanto a Vaclav Havel, Milan Šimečka era il dissidente più importante e maggiormente tradotto, contrario al regime comunista della Cecoslovacchia.
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E' disponibile nel sito Autori del dissenso un approfondimento sulla sua bibliografia, al seguente link :
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http://www.autorideldissenso.it/dissenso/simecka.htm

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Divenne orfano durante la seconda guerra mondiale, e dopo aver conseguito il diploma nel 1949, studiò Letteratura ceca e russa presso la Facoltà di Lettere dell’Università Masaryk di Brno, laureandosi nel 1953.
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L’anno successivo si trasferì a Bratislava dove visse e insegnò Filosofia marxista all’Università Comenius in qualità di professore membro del Partito Comunista, prima presso la Facoltà di Medicina e Farmacia (1954-1957), poi presso l’Accademia delle arti e dello spettacolo.
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Negli anni ’60 iniziò ad analizzare le utopie sociali, a cui dedicò i suoi primi libri, intitolati Le utopie sociali e gli utopisti (1963) e La crisi dell’utopia (1967).
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Per Simecka l’ utopia  consisteva in una concezione regressiva della storia, in una visione falsata della conoscenza, nell’idealizzazione della ragione, della povertà e dell’uguaglianza, in una forma di determinismo morale e in una sorta di esaltazione para religiosa.
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Analizzando l’essenza del pensiero utopico, Simecka ne ritrovò molti elementi nella pratica sociale e politica del sistema comunista.
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Studiando l’utopia riconobbe “nella forma contemporanea del socialismo (…) l’influenza delle vecchie immagini utopiche” fra cui erano compresi anche i tentativi “di creare un unico e indiscutibile schema di socialismo e comunismo”, inteso come l’ideale sommo cui aspirava il mondo intero.
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L’autore vide un futuro per il socialismo soltanto nel ritorno al valore dell’uomo e nell’abbandono delle “immagini semplicistiche del secolo precedente”.
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Questa sua posizione era ed è in conflitto con il modello leninista di socialismo e anche con il determinismo storico marxista, per questo egli si colloca nella corrente revisionistica rappresentata negli anni ’60 da molti intellettuali marxisti. 
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Tra il 1967 e il 1968 trascorse un periodo in Germania all’Istituto di Storia dell’Europa nella città tedesca di Magonza, come titolare di una borsa di studio, approfondendo soprattutto gli studi sociologici e filosofici nella Scuola di Francoforte, di orientamento marxista, e sulla “nuova sinistra”, in particolare sul pensiero di Marcuse, postulando richieste e aspettative, e manifestando atteggiamenti articolati, anziché proni alle imposizioni dell'ortodossia comunista.
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Dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia avvenuta nel 1968, trascorsero due anni dopo i quali a causa della sua oramai manifesta attività come dissidente, fu espulso dal Partito comunista e licenziato dall’Università.
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Gli venne proibito sia di esercitare l’insegnamento che di fare studi di ricerca, e il regime gli offrì un posto “di ripiego” come bibliotecario, ma Simecka rifiutò per non dover scendere a compromessi con il potere.
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Così nel 1970 si vide costretto a lasciare il campo universitario e a lavorare come muratore e operaio meccanico, mentre sua moglie venne licenziata e al figlio minore Martin Milan venne precluso l’accesso alle scuole superiori.
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In quegli anni, durante l’occupazione sovietica, Simecka pubblicò grazie all’editoria clandestina e alla rivista Samizdat, numerosi articoli e saggi, come "Segni di luce" e "Difesa circolare",  che spesso vennero tradotti all’estero e stampati sui principali periodici americani e britannici.
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Simecka si occupò personalmente di realizzare le prime copie delle edizioni di alcuni libri attraverso la primitiva ma collaudata tecnica della ricopiatura, riproducendo a mano fino a trenta copie dei medesimi articoli o editandoli con la macchina da scrivere.
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La sua produzione letteraria si arricchì progressivamente fino a raggiungere sia la pubblicazione di cinque libri, editi in decine di migliaia di copie, che di più di duecento articoli e studi di varia natura.
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Tra il 1977 e il 1979 scrisse La restaurazione dell’ordine, in cui analizzava il processo di soffocante “normalizzazione”, apportato dal socialismo reale, che seguì lo schiacciamento dei moti connessi alla Primavera di Praga dopo il 1969, ed esprimeva il proprio scetticismo verso ogni costruzione ideologica:
"l’ideologia è sempre servita a conferire una dimensione sovrumana ai crimini, così da dare l’impressione che essi non siano commessi dalla mano dell’uomo, ma dalla potente ed imperscrutabile mano della storia”.
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Simecka e la moglie furono costantemente vessati e perseguitati dalla polizia, al punto che di fronte alla minaccia di espulsione dall’università del loro figlio maggiore, il dissidente si trovò costretto a non firmare la famosa Dichiarazione di Charta ’77, con cui le opposizioni chiedevano al regime il rispetto dei diritti umani sanciti nell’accordo di Helsinki.
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Il 6 maggio 1981 venne arrestato e rinchiuso in detenzione preventiva a Bratislava e poi nella famigerata prigione di Ruzyne (Praga) per oltre un anno, con l’accusa di “attività sovversiva” ai sensi dell’articolo 98 del codice penale, per aver contrabbandato i suoi testi fuori dal Paese con l’intenzione di pubblicarli.
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Durante la detenzione nelle carceri comuniste cecoslovacche scrisse 144 lettere, raccolte poi con il titolo di Lettere dalla prigione, in cui a causa del divieto di menzionare la politica poté solo disquisire di persone, di amore, di riflessioni filosofiche e di relazioni umane.
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Fu scarcerato il 27 maggio 1982, anche per le numerose proteste dell’opinione pubblica all’estero ma la sua salute risultò essere gravemente minata dalla reclusione.
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Nell’introduzione dell’edizione  del 2001 del libro Lettere dalla prigione, curata dalla sua cara amica Jirina Siklova, si legge :
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"Oggi, a oltre dieci anni dalla caduta del regime comunista, anche io, che ho trascorso la maggior parte della mia vita in regimi totalitari senza libertà, trovo impossibile capire come sia stato possibile imprigionare le persone per aver inviato i loro manoscritti di libri all'estero, per tradurre George Orwell, o Hannah Arendt, per aver scritto saggi politici su Andrei Sakharov, Solzhenitsyn o Heinrich Boll, prestando le riviste Svedectvi pubblicate a Parigi o Listy pubblicate a Roma o leggendo i romanzi di Milan Kundera pubblicati in ceco in esilio ...
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Era sufficiente per tre persone a testimoniare davanti al tribunale che un testo li incitava contro l'ordine socialista e l'autore poteva essere condannato ".
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Nel 1984 pubblicò il saggio Il Winston Smith céco, un commento al libro di Orwell 1984, in cui confrontava il mondo del romanzo con il socialismo reale.
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Nello stesso anno scrisse insieme a Miroslav KusyEsperienze europee di fronte al socialismo realeuna raccolta di saggi di politologia in cui veniva analizzato lo sviluppo del pensiero utopico facendone una lettura critica.
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In altri libri Simecka ha ripercorso la storia del pensiero marxista e la sua attuazione nella pratica :
nei saggi Da Ovest a Est e  L’ideologia russa vengono esaminati l’evoluzione del marxismo in URSS e la sua interconnessione con i regimi totalitari in Europa, mentre in altri scritti si analizza il comunismo.
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L’autore affermò : “il sistema socio-economico creato da Stalin è divenuto il fondamento stabile del socialismo reale”, vedendo con ciò la continuità indissolubile tra le diverse fasi di sviluppo dei regimi comunisti.
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Nel 1985 pubblicò nell’editoria clandestina una serie di saggi in cui rifletteva sul destino dei singoli individui, spesso tragicamente colpiti dal potere e dall’apparato al servizio dell’ideologia, miranti a far perdere loro la propria identità e individualità.
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Descrivendo l’azione del regime, che tendeva al controllo totale della vita del singolo, Simecka analizzò anche un altro aspetto del socialismo reale:
il tentativo dei sistemi dell’Europa dell’Est di fermare la storia”, costringendo i propri cittadini a vivere solo dentro “una piccola storia”, una dimensione ridotta dell’effettiva portata storica globale.
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L’autore studiò i metodi con cui i regimi comunisti manipolavano la memoria storica, spersonalizzandola in modo da ridurre la storia a un processo astratto:
una piramide eretta da costruttori anonimi (…), cosa che a priori esclude la domanda se le pietre avessero potuto essere collocate in modo e secondo un ordine diversi, e soprattutto se tutto l’edificio abbia un senso”.
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Nel 1986 gli fu conferito il Premio Jan Palach, a riconoscimento della sua attività letteraria.
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Il volume La fine dell’immobilità del 1988 raccolse i risultati delle ricerche sulla perestrojka in URSS e sulla ripresa d’iniziativa della società cecoslovacca. 
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Dopo la rivoluzione del 1989, sotto la Presidenza di Vaclav Havel, Simecka fu nominato deputato al Consiglio Nazionale Slovacco, e nella primavera del 1990 divenne consulente del presidente Havel per la politica estera.
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Nel corso di una sua conferenza Simecka dichiarò :
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Dopo la prima euforia, la rivoluzione in Cecoslovacchia si sta avvicinando cautamente ai rischi della libertà.
La cultura dissidente, emersa dall'invocazione della libertà come supremo valore umano, sta accettando i rischi.
È tutto meglio della pesante immobilità in cui rimasero la Cecoslovacchia e le sue nazioni.
È forse l'unica cosa indiscutibile nella società post-dissidente.
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Morì a Praga nel 1990 per un attacco di cuore all’età di 60 anni.
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Un mese prima gli fu assegnato l’IPI Press Freedom Award per il miglior articolo dell’anno, mentre nel 1991 il Presidente Vaclav Havel lo insignì di un riconoscimento alla memoria.
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Nel febbraio 1991 nacque la Fondazione Milan Šimečka che risulta quindi essere una delle più antiche organizzazioni non governative presenti in Slovacchia, creata dopo la sua morte dai suoi amici Martin Bùtora, Juraj Flamik, Fedor Gàl, Miroslav Kusy, Frantisek Miklosko, Peter Tatàr e Peter Zajac.
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La nascita di questa istituzione fu motivata con l’obiettivo di incoraggiare e sostenere le attività volte a sviluppare la democrazia, la cultura, la tolleranza e la società civile.
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Dissenso
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lunedì 18 maggio 2020

SERGEJ PETROVIC MEL'GUNOV

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SERGEJ PETROVIC MEL’GUNOV
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(IL TERRORE ROSSO IN RUSSIA - 1918-1923)
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(Mosca, 24/12/1879 – Parigi, 26/05/1956)
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Sergej Mel'gunov è stato un politico, storico e pubblicista russo, conosciuto per la sua opposizione al bolscevismo, autore di numerosi lavori sulla rivoluzione e sulla guerra civile del 1917 in Russia.
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Nacque a Mosca da madre polacca (Gruszacka), in una famiglia aristocratica decaduta a causa degli stravizi del padre.
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Si laureò a Mosca nel 1904 e iniziò la sua carriera politica e accademica nella Russia dell’Impero zarista.
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Nel 1906 entrò a far parte dei “cadetti” del Partito Democratico Costituzionale russo e l’anno successivo si iscrisse al Partito socialista popolare.
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Scrisse e pubblicò testi sulla massoneria, sui movimenti religiosi e sull’ortodossia, e curò le opere dello scrittore Lev Tolstoj che frequentava prima che questi venisse a mancare.
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Nel 1911 fondò una casa editrice, sotto forma di cooperativa, a cui diede il nome di Zadruga, in cui raccolse intorno a sé oltre seicento fra soci, scrittori, giornalisti e studiosi, dei quali pubblicò più di 500 libri raggiungendo una tiratura complessiva di dieci milioni di copie ed entrando di fatto nella leggenda dell’editoria russa.
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Dopo il colpo di Stato bolscevico del mese di Ottobre 1917 divenne un avversario attivo di Lenin e delle sue politiche aderendo all’Unione anti-sovietica della Rinascita della Russia, auspicando la lotta armata per il rovesciamento del regime bolscevico, e lavorando come responsabile degli Archivi.
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Nel 1919 venne arrestato e condannato a morte, poi graziato con pena commutata in detenzione, e poi rilasciato nel 1921 con l’obbligo dell’esilio. 
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Nel 1922 Mel’gunov riparò quindi a Praga, poi a Berlino, e infine si stabilì a Parigi dove si dedicò agli studi e alle ricerche storiche, curando la pubblicazione di diverse riviste per emigrati.
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Nei quattro anni precedenti l’esilio, Mel’gunov fu sottoposto ad arresti, a perquisizioni e a requisizioni, ma riuscì comunque, come archivista, a raccogliere una imponente mole documentale, composta da testimonianze e da documenti ufficiali, come i verbali degli interrogatori condotti dalla Ceka.
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Grazie a questa esauriente documentazione nel 1923 pubblicò a Berlino la sua opera più famosa intitolata  Il Terrore rosso in Russia (1918-1923)”, un lavoro dettagliato sul sanguinoso periodo degli scontri fra bolscevichi e Armate Bianche, in cui la minoranza politica rappresentata da Lenin impose alla Russia il famigerato Terrore attraverso cui mise in atto la repressione delle opposizioni e dei moti operai e contadini.
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Nel 1925 venne pubblicata la traduzione in lingua inglese, mentre nel 1927 uscirono anche quella spagnola e quella francese.
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Nel 1975 il libro arrivò anche negli Stati Uniti, mentre nel 1990, nel periodo della glasnost di Gorbaciov, fu pubblicato anche in Russia.
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Tra i suoi numerosi libri, ripubblicati in Russia tra il 2003 e il 2008 ricordiamo :
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I giorni di Marzo 1917.
Come i bolscevichi si sono impadroniti del potere.
La tragedia dell’ammiraglio Kolcak. Dalla storia della guerra civile.
Sulle vie delle congiure di palazzo. I complotti prima della rivoluzione del 1917.
“La chiave d’oro tedesca” per la rivoluzione bolscevica.
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In Italia l’opera di Mel’gunov approdò tardivamente solamente nel 2010, a causa dell’apparato mistificatore delle sinistre, che per decenni tentarono in tutti i modi di nascondere al Popolo le atrocità e le nefandezze del comunismo a cui loro stesse facevano riferimento.
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Il libro, curato da Sergio Rapetti e Paolo Sensini, ci racconta come la soppressione della Democrazia nell’Unione sovietica andasse di pari passo con l’istituzione della Ceka, la tristemente e onnipotente polizia segreta bolscevica, e all’avvento dei tribunali rivoluzionari che si sostituirono ai soviet.
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Il Terrore si focalizzò sulle odiate classi borghesi, dilagando nell’intera società sovietica e accanendosi contro tutto e tutti indistintamente.
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L’uso della tortura divenne endemico e diffuso capillarmente in ogni territorio, e prodromico alla soppressione delle vittime, elevando i peggiori istinti primordiali a sistema di potere, e giustificandone gli eccessi come necessari per stroncare la classe borghese.
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La morte arrivava sotto forma di fucilazione, di percosse, di efferati procedimenti di tortura per estorcere confessioni, per stupri e sevizie, mutilazioni, e non di rado le vittime venivano seppellite ancora vive in fosse comuni colme di cadaveri e di altri sventurati agonizzanti.
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Mel’gunov, avendo vissuto la detenzione proprio nel periodo del Terrore, ci racconta dettagliatamente e con agghiacciante dovizia di particolari, cosa avveniva realmente in quel Paradiso comunista che tanto piaceva ai comunisti occidentali come il PCI italiano piuttosto che il PCF francese.
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Il suo racconto ci mostra come fosse diffuso il sistema di violenza attuato dal comunismo, frutto non di intemperanze episodiche e disgiunte dal contesto generale, ma di imposizioni dogmatiche all’uso del Terrore che Lenin attraverso la Ceka aveva reso obbligatorie.
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La sanguinaria dittatura bolscevica si avvalse anche del sistema degli ostaggi, con cui Lenin e la Ceka ricattavano le opposizioni minacciandone lo sterminio in caso di attacchi militari o di attentati.
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Interi gruppi familiari, politici, e sociali, venivano arbitrariamente tenuti in carcere in attesa di essere giustiziati nel caso che si fossero verificate delle intemperanze da parte delle opposizioni.
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Tutta la classe borghese, denominata col termine dispregiativo di “colletti bianchi” e “donne col cappellino” fu sottoposta a rastrellamento e a cattura, cui seguiva la detenzione, la tortura, la deportazione, o la morte immediata.
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Le persone venivano arrestate per strada o in seguito all’irruzione nelle abitazioni, in un clima surreale di violenza che solo il comunismo ha saputo creare contro la Popolazione civile.
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I contadini erano assediati dalle truppe bolsceviche poichè riluttanti a consegnare loro ogni risorsa alimentare, e subivano per questo motivo incendi di interi villaggi, requisizioni, stupri, bombardamenti, e ogni altra forma di violenza che si concludeva poi con lo sterminio totale dei rivoltosi.
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In questo periodo di verificò il genocidio dei Cosacchi, le cui popolazioni  dopo la ribellione alle imposizioni comuniste furono oggetto di una repressione che comportò la morte e la deportazione di mezzo milione di persone.
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Il libro di Mel’gunov è considerato un “classico” dalla cui consultazione non si può  prescindere per l’accertamento delle responsabilità del Totalitarismo sovietico e del ruolo svolto in quanto essenza di un Male assoluto denominato comunismo.
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La testimonianza di Mel’gunov, così come quella di Aleksandr Solzenicyn, conferma la pesante responsabilità di Lenin come maestro di Stalin nella pratica del Terrore, smentendo le tesi sostenute maldestramente e ambiguamente dalle sinistre che assolverebbero Lenin disgiungendo il suo operato dai crimini di Stalin.
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Fu Kruscev che nel 1956 inventò il cosiddetto “stalinismo” inteso come fenomeno criminale, allo scopo di addossare esclusivamente al dittatore georgiano la responsabilità e i crimini attuati dal comunismo.
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Esecuzioni sommarie - Disegno di Danzig Baldaev - Tratto da "Drawings from the GULAG"
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In realtà Stalin proseguì ciò che Lenin aveva ideato ed iniziato, costruendo una struttura di potere fondata sulla malvagità e sul Terrore indiscriminato.
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La tesi di Kruscev fu prontamente acclamata dalle sinistre europee, felici di poter assolvere (davanti al loro elettorato) il comunismo russo, oltraggiato da un criminale di nome Stalin.
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Questa falsità storica che il PCI ha sostenuto per decenni, si sposa con un’altra palese mistificazione diffusa dalle schiere di pseudo intellettuali delle sinistre, riguardante la Rivoluzione russa.
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Ancora oggi gli eredi di Togliatti celebrano la Rivoluzione russa come quella attuata da Lenin nel mese di Ottobre, mentre quella effettiva e reale si compì nel mese di Febbraio, attuata da un movimento democratico di operai, studenti, e militari che dopo aver detronizzato lo Zar Nicola II Romanov formarono un Governo provvisorio comandato dall’avvocato socialista e antizarista Aleksandr Kerenskij, vicepresidente del Soviet di Pietroburgo.
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Lenin a quel tempo era in Svizzera, a Zurigo, e rientrò in Russia per organizzare quella che le sinistre hanno denominato “Rivoluzione di Ottobre”, ma che in realtà fu un vero e proprio colpo di Stato militare per nulla rivoluzionario.
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I bolscevichi capeggiati da Lenin e forti dell’alleanza con l’Armata Rossa guidata da Trocky, assaltarono il Palazzo d’Inverno e si sostituirono al Governo democratico di Kerenskij, e non al regime zarista, che era già caduto nel mese di febbraio !
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Il risultato fu quello dell’instaurazione di un regime barbaro e inumano guidato da Lenin, che usò la ferocia e il Terrore come modus operandi per annichilire il Popolo russo, consegnando poi a Stalin le redini di un comunismo che produsse cento milioni di vittime innocenti nel secolo scorso.
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L’opera di Mel’gunov ci consente di rigettare la proposizione pseudo intellettuale secondo cui Lenin aprì la via ad un socialismo “sostenibile”, constatandone invece le prerogative criminali con cui il comunismo ha sprofondato il suo stesso universo in un abisso di orrore senza fine.
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Mel’gunov è stato il primo, nel 1923, a denunciare la realtà storica in cui il Terrore bolscevico ha affermato il suo potere in Russia, cancellando ogni traccia della cultura che lo aveva preceduto, e sostituendola con un “pensiero unico” dominante imposto a priori.
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La Ceka fu ideata per distruggere gli esseri umani e plasmare i sopravvissuti, rendendoli schiavi di un mostruoso esperimento di ingegneria sociale, terrificante e devastante per l’intera umanità, in nome del comunismo.
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Non è un caso che uno dei fondatori del PCI, Antonio Gramsci, si riferisse a coloro che non erano allineati ai dictat del Partito definendoli come “pulci di cane tignoso”, mentre asseriva che i nemici politici DEVONO essere insultati con parolacce e con la denigrazione, poiché l’insulto secondo il dogma comunista è uno strumento pedagogico finalizzato alla trasformazione rivoluzionaria del mondo…
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Torture - Disegno di Danzig Baldaev - Tratto da "Drawings from the GULAG"
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L’odio era per i comunisti alla base della loro stessa essenza e del loro nutrimento quotidiano, che veniva appagato dando libero sfogo alle più feroci manifestazioni di tale sentimento.
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Mel’gunov cita fra gli altri il famigerato Martyn Lacis, capo della Ceka, il quale espresse assiomi di riferimento imponendo la seguente linea guida :
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Noi non lottiamo più contro singole persone, noi sterminiamo la borghesia come classe”.
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In osservanza di tali dogmi la Ceka “annientava i nemici di classe” gettandoli vivi dentro altiforni, con mani e piedi legati, oppure incatenandoli e buttandoli in mare aperto, dopo averli torturati.
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Le numerose testimonianze prodotte dalla Commissione Denikin, raccolte a partire dal 1919 e consultabili negli archivi oggi accessibili, a cui anche Mel’gunov ha attinto a piene mani, confermano che il Terrore istituzionalizzato e l’odio di classe, poi generalizzato, diedero vita ad uno dei periodi più bui della Storia dell’Umanità.
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Mel’gunov nel suo libro "Il terrore rosso in Russia" descrive le torture che stuoli di ferventi comunisti applicarono contro le loro vittime, manifestando i più bassi istinti brutali e la più feroce indole sanguinaria mai estesi prima a livello così endemico e capillare.
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Recentemente l’Unione Europea ha equiparato comunismo e nazismo al medesimo totalitarismo, decretandone la messa al bando, ma nelle città italiane ed europee permangono manifestazioni di simpatia verso gerarchi e criminali comunisti, palesati dall’esistenza di vie e piazze nelle nostre città che sono intitolate a Stalin, Lenin, Tito, Togliatti, ecc.
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L’arroganza comunista descritta da Mel’gunov è ancora evidentemente presente, e ciò rappresenta un insulto alla memoria delle vittime del comunismo e un freno allo sviluppo culturale e intellettuale della società democratica.
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Un grazie di cuore a Sergej Mel’gunov per averci testimoniato la reale portata del Male assoluto, tramandandoci i suoi scritti e il suo incessante lavoro di opposizione letteraria ai crimini del comunismo.
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Questo libro, come anche Arcipelago Gulag di Solzenicyn, dovrebbe essere studiato a scuola, perché i nostri figli e nipoti comprendano appieno cosa sia stato e cosa è ancora oggi il comunismo.
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Dissenso
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domenica 10 maggio 2020

Criminale comunista : Ivan Aleksandrovic SEROV


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(Afimskoe, Vologda, 13 agosto 1905 – Mosca, 1 luglio 1990)
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Ivan Aleksandrovic Serov nacque nel Governatorato (Provincia) di Vologda, in Russia, da una famiglia di estrazione contadina.
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Durante gli anni dell’adolescenza passò attraverso la Rivoluzione russa anti-zarista del mese di febbraio 1917 e poi per il successivo colpo di Stato attuato dai bolscevichi nel mese di novembre dello stesso anno, che era rivolto contro i veri protagonisti, appunto, della rivoluzione.
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Documento di Ivan Serov - Ministero degli Affari Interni dell'Urss
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All’età di 18 anni (1923) si arruolò nell’Armata Rossa, poi divenne Sindaco del villaggio di Afimskoe nel biennio 1924/1925.
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L’anno successivo (1926) al termine del mandato entrò a far parte del Partito Comunista, poi nel 1928 si iscrisse all’Università di Leningrado e successivamente a quella Militare di Frunze, dove si laureò nel 1939 a 34 anni di età.
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Appena laureato entrò come dirigente presso il Commissariato del popolo per gli affari interni, noto anche come NKVD.
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Serov passò indenne attraverso le grandi purghe di Partito successive all’assassinio di Sergej Kirov del 1934 che diedero a Stalin il pretesto per epurare i quadri di Partito e le Forze Armate sovietiche da presunti cospiratori.
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A questo proposito, gli venne affidato l’incarico di sovraintendere personalmente alle operazioni repressive, che comprendevano gli arresti e le fucilazioni di personaggi di rilievo dell’Armata Rossa, come ad esempio il Generale Michail Nikolaevic Tuchacevskji.
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Stalin pretese che fosse pesantemente decapitata l’Armata Rossa, che venne così epurata di ben 3 Marescialli su 5, 14 Generali di Corpo d’Armata su 67, 136 Generali di Divisione su 199, 221 Generali di Brigata su 397, tutti gli 8 Ammiragli, tutti gli 11 Commissari Politici d’Armata, e ben 35.000 ufficiali sia superiori che subalterni.
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Inoltre la ferocia di Stalin, espressa attraverso Serov, si spinse a perseguitare anche la famiglia del Generale Tuchacevskji, arrestando e deportando i suoi due fratelli con le rispettive mogli, così come le quattro sorelle con i relativi mariti, e fucilando la di lui moglie in un lager del Kazakistan.
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Russia - Deportazione in massa dei contadini ucraini
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Tutti i suoi nipoti, a cui fu cambiato il cognome in Tomasevic, furono dispersi in vari orfanotrofi, mentre l’anziana madre fu costretta a chiedere l’elemosina per le strade di Astrachan dove poi morì.
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Nel 1939 venne nominato Commissario ucraino dell’NKVD fino al 1941 e in questo ruolo fu responsabile della deportazione e della morte di centinaia di migliaia di contadini ucraini.
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Nel 1940 Stalin iniziò l’occupazione militare delle Repubbliche del Baltico, a cui seguì l’invio dei rappresentanti del Cremlino nelle varie capitali: il procuratore Vysinskij a Riga (Lettonia), Zdanov a Tallin (Estonia), e il vice Ministro per gli Affari esteri Dekanozov a Kaunas (Lituania).
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Dopo aver sciolto i Parlamenti e le Istituzioni locali, gli occupanti sovietici permisero di indire per il 14 e 15 di luglio le nuove elezioni, ma il Partito comunista fu l’unico ad essere autorizzato a presentare candidati.
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Nelle fasi precedenti a queste elezioni “farsa” Serov si occupò di arrestare gli elementi “ostili” al potere sovietico, individuando circa 20.000 persone delle quali cui agli inizi del mese di luglio ne furono fucilate 1480 nella sola Lettonia.
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A metà del mese di giugno Serov si occupò anche di un’altra operazione di deportazione che colpì non solo i Paesi Baltici per un numero complessivo di quasi 100.000 persone, ma anche la Moldavia, la Bielorussia e l’Ucraina occidentale inglobando circa 26.000 vittime nel vortice di terrore del comunismo stalinista.
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Si ritiene che Serov abbia avuto anche un ruolo nella famigerata strage di Katyn, in cui nel 1940 vennero trucidati a sangue freddo per mano dell’NKVD 21.857 ufficiali e cittadini polacchi.
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Katyn - I cadaveri delle vittime estratti dalle fosse comuni
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Nel mese di settembre Berja affidò a Serov il compito di deportare le famiglie russe di etnia tedesca nei gelidi territori delle Siberia meridionale.
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Forte di un contingente di 14.000 uomini dell’NKVD Serov deportò 446.480 tedeschi, suddividendoli in 230 convogli ferroviari di 50 vagoni l’uno (circa 2000 persone a convoglio).
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Serov organizzò molte delle atrocità sovietiche nel corso della seconda guerra mondiale, e collaborò con Berija nel coordinamento di una serie di "purghe" che continuarono fino alla morte di Stalin.
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Ivan Serov e Bogdan Kobulov, entrambi assistenti del famigerato Lavrentij Berija, il nuovo sanguinario capo dell’NKVD che subentrò a Ezov dopo che questi fu giustiziato per ordine di Stalin, furono attivi nelle 5 grandi deportazioni che il comunismo bolscevico attuò nel 1943 e 1944.
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Oltre 93.000 Calmucchi, più di 520.000 Ceceni e Ingusci, e 360.000 Tatari di Crimea, vennero stipati entro decine di convogli ferroviari ermeticamente chiusi, in cui i deportati morirono come mosche, per la fame, la sete, e per la mancanza d’aria.
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La destinazione erano le lande desolate del Kazakistan, del Kirghizistan e dell’Uzbekistan, oppure i gelidi territori della Siberia, in cui i deportati si trovavano a sopportare condizioni di vita in cui la precarietà rappresentava la consuetudine e in cui la mortalità era una compagna quotidiana.
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Quadro che raffigura i deportati tatari della Crimea su carri bestiame
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L’ingresso in Polonia delle truppe dell’Armata Rossa nel 1945, subordinate al controllo del Generale Serov, Consigliere generale dell’NKVD presso il Ministero polacco della Pubblica Sicurezza, portò a rastrellamenti e ad arresti di civili, per un totale di circa 30.000 persone, che furono deportate nell’Urss, compresi 15.000 minorenni che vennero inviati nei campi del Donbass in Ucraina, o in quelli della Siberia occidentale.
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Serov contrastò le truppe dell’esercito Nazionale polacco instaurando il Terrore comunista e portando la distruzione in tutto il Paese, a causa del fatto che le truppe sotto il suo comando furono autorizzate ad abbandonarsi al furto, all’arbitrio totale verso i Cittadini, e all’omicidio.
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Nella primavera del 1945 il generale Serov fu inviato a Berlino in Germania, per dirigere la sezione del KGB dell’Aeronautica Militare Sovietica (SMA) che dopo poco arrivò a contare ben 2.000 uomini, destinati a costituire “gruppi operativi” deputati al controllo totale della società.
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Speziallager Nr. 3
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Serov iniziò un piano di sovietizzazione che fagocitò i partiti politici, le Chiese, i Sindacati, la cittadinanza, e costituì una base operativa di spionaggio in funzione anti-Occidente e organizzando numerosi campi di detenzione.
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Serov inaugurò il primo Campo (Speziallager nr. 1) l’8 settembre del 1945 alla periferia di Muhlberg sull’Elba, il quale rimase in attività fino al novembre 1948.
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Il secondo (Speziallager nr. 2) fu quello nazista di Buchenwald, ristrutturato e aperto nel 1945 per accogliere i nuovi internati “nemici del socialismo”, che rimase aperto fino al 1950 e che conservò appeso ai cancelli il cartello con la scritta: “Jedem das Seine”, e cioè “A ciascuno il suo”.
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Il terzo lager (Speziallager nr. 3) era formato da una serie di edifici che facevano parte dell’Istituto nazista per l’assistenza pubblica popolare e di una ex fabbrica alla periferia di Berlino.
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Museo dello Speziallager russo n° 7 dell'NKVD a Weesow in Germania
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Nel 1947 divenne un Centro per gli interrogatori della Polizia politica sovietica, in cui questa praticava la tortura in celle prive di finestre ubicate in un’area che per questo motivo fu denominata “U-Boot”, il Sommergibile.
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Nel 1951 questa struttura diventò un Centro segreto e non segnato nemmeno sulle mappe geografiche della DDR, per la detenzione politica e lo spionaggio gestito dalla famigerata Stasi.
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La lista dell’organizzazione repressiva instaurata da Serov prosegue con altri numerosi Campi, che fra il 1945 e il 1946 accolsero non meno di 20.000 persone di cui molte non sopravvissero.
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Dopo la morte di Stalin (1953), in piena era Kruscev, Serov fu designato nel 1954 a guidare la nuova Polizia Politica, che prese il nome di KGB.
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Nel 1956 all’inizio della rivolta ungherese contro la dittatura sovietica, in cui il popolo magiaro manifestava nelle piazze chiedendo libere elezioni e il ritiro delle truppe di occupazione russe, Serov che ricopriva l’incarico di Presidente del KGB si recò a Budapest per gestire personalmente le operazioni di repressione.
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Serov durante una riunione con gli organi politici comunisti denunciò la loro riluttanza a sparare sulla folla dei manifestanti, dichiarando:
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I fascisti e gli imperialisti stanno riempiendo le strade di Budapest con le loro truppe d’assalto, e nelle forze armate del vostro Paese ci sono ancora compagni che esitano a usare le armi!
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Serov organizzò quindi la repressione della rivolta ungherese iniziando con l’arrestare i membri del Governo appartenenti al gruppo di Imre Nagy.
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1956  -  A  Budapest il Popolo ungherese  abbatte la statua di Stalin e la decapita
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La sua fama di sanguinario massacratore si estese a livello internazionale tanto che in occasione di una sua visita nel Regno Unito nel 1956 divenne il bersaglio degli attacchi dei Media inglesi che lo denominarono "Ivan il Terribile" e il Macellaio”, obbligandolo ad una ritirata tanto strategica quanto precipitosa.
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Fu rimosso dal suo ruolo di Presidente del KGB nel 1958 da Nikita Chruscev che lo nominò Capo del Direttorato dell’intelligence (GRU).
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Questo cambio al vertice del KGB fu dettato, secondo alcuni autori, dal fatto che Serov avesse rubato la corona del Re del Belgio e altri oggetti preziosi appartenenti alla collezione dei trofei russi trafugati nella Germania occupata, mentre per altri si trattò di una strategia organizzativa di Chruscev per ristrutturare la Polizia.
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Il declino definitivo di Serov avvenne repentinamente per un duplice motivo:
da un lato la caduta di Chruscev di cui era un protetto, e dall’altro la scoperta del tradimento di Oleg Penkovskij, suo amico e compagno di bevute.
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Penkovsky era un agente segreto, colonnello proprio di quel GRU del quale Serov era a capo, e dopo essere stato arrestato e torturato venne fucilato.
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Una mamma con il suo bambino deportati dal comunismo. Si noti la scritta CCCP (trad : URSS)
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Inoltre, durante il periodo in cui Serov fu alla guida del GRU si verificarono una serie di insuccessi che portarono alla disgregazione dell’apparato stesso, alla rimozione del suo Direttore nel 1963, e in seguito all'espulsione dal Partito.
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Ivan Serov è stato, fra l’altro, autore di un vero e proprio manuale del deportatore di comunità, in cui consigliava, ad esempio, i modi migliori per separare i padri dal resto delle rispettive famiglie durante i trasferimenti.
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Il titolo di queste “istruzioni” su come effettuare le deportazioni di massa in Siberia è: “Sulla procedura per la realizzazione della deportazione di elementi antisovietici da Lituania, Lettonia ed Estonia”.
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Lo storico Pierre Faillant de Villemarest, autore di diverse pubblicazioni, ha detto: “da lui al tempo della comune occupazione della Polonia, i nazionalsocialisti avranno senz’altro appreso molto!
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Per ironia della sorte Serov morì nel 1990, l'anno prima della dissoluzione dell'Unione Sovietica e alcuni mesi dopo che gli Stati Baltici avevano dichiarato il ripristino della loro indipendenza.
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Dissenso
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