domenica 3 maggio 2020

Criminale comunista : GIORGIO AMENDOLA


Giorgio Amendola
Giorgio Amendola (Roma, 21 novembre 1907 – Roma, 5 giugno 1980) è stato un criminale partigiano particolarmente compenetrato nell’attuazione delle politiche sanguinarie che costituivano l’ossatura dell’apparato delinquenziale comunista, durante e dopo gli anni della seconda guerra mondiale.
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Iscritto al Partito comunista dal 1929, nel periodo in cui i seguaci di Marx svolgevano in Italia la loro attività politica clandestinamente, in quanto illegale, Amendola espatriò poi in Francia per svolgere attività con il partito comunista francese.
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Nel 1932 tornò in Italia clandestinamente e fu arrestato a Milano, per essere poi condannato al confino sull’isola di Ponza, dove nel 1934 si sposò con Germaine Lecocq.
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Fu liberato nel 1937 e dopo essersi spostato prima in Francia, poi in Tunisia e infine nuovamente in Francia (1939), tornò in Italia nel 1943 per entrare a far parte del Comando Generale delle Brigate Garibaldi, le formazioni comuniste partigiane criminali organizzate dal Partito Comunista Italiano.
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L’apparato delinquenziale dirigente comunista era composto anche da Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta, e Antonio Carini, il gotha della sanguinaria cupola omicida che programmava di prendere il potere con le armi a guerra finita e di trasformare l’Italia in un “satellite” comunista al soldo di Mosca.
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Amendola sopraintendeva anche all’attività dei GAP romani (Gruppi di azione partigiana) e nel 1944 divenne membro del PCI all’interno del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) insieme a Sandro Pertini (PSIUP), Riccardo Bauer (PdA), Giuseppe Spadaro (DC), Manlio Brosio (PLI), e Mano Cevolotto (DL).
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Amendola fu l’ideatore dell’attentato di Via Rasella, attuato il 23 marzo 1944 dai GAP contro l’11a Compagnia del III° Battaglione della Polizia d’ordine di Bolzano, composto NON da SS ma da reclute altoatesine del sud Tirolo dislocate a Roma con compiti di vigilanza.
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Il piano terroristico dei GAP capitanati da Amendola prevedeva di compiere una strage, pur nella criminale consapevolezza che ciò avrebbe scatenato una ritorsione tedesca, allo scopo non di liberare Roma dall’occupante nazista (che peraltro stava per lasciare quei territori) ma con il preciso intento di decimare i partigiani di altre formazioni politiche, in particolare quelli appartenenti a Bandiera Rossa, sapendo che sarebbero stati colpiti dalle inevitabili rappresaglie.
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Le 32 vittime del terrorismo comunista delle Gap innescarono infatti la reazione tedesca passata alla Storia come Strage delle Fosse Ardeatine, in cui possiamo affermare che furono i piani criminali di Amendola e del PCI a costare il sacrificio di ben 335 persone, mentre i partigiani responsabili della strage si sottrassero all’arresto e alle loro indubbie responsabilità criminali.
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La fredda pianificazione “a tavolino” della strategia terroristica ideata da Amendola, nonostante il divieto dei Comandi militari della Resistenza romana a compiere atti di violenza che avrebbero prodotto gravi rappresaglie, aveva due finalità principali.
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La prima era quella di “guastare la “riconciliazione” fra la popolazione civile e gli occupanti, riattizzando l’odio contro i tedeschi e scatenando la loro prevedibile reazione in caso di attacco, ben sapendo che altrimenti le trattative fasciste con Kappler avrebbero delineato un ritiro tedesco da Roma senza alcuno spargimento di sangue.
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La seconda consisteva nell’intento di lasciar colpire dalle rappresaglia le formazioni partigiane non allineate all’ortodossia comunista, lasciandole in balìa della reazione tedesca.
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Amendola fu il primo fautore di questa epurazione programmata diretta a colpire i comunisti trockisti o bordighisti, oppure gli appartenenti alla fazione di Bandiera Rossa, o a quella filo-monarchica e di altre forze politiche.
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Amendola ordinò di compiere l’attentato, senza preavvisare alcuna componente della Resistenza e nascondendosi subito dopo la strage, lasciando come unici bersagli della rappresaglia tedesca le altre forze presenti sul territorio, decapitando così ogni concorrenza alternativa a quella comunista.
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D’altra parte, anche quando Amendola stazionava a Parigi nelle file di un Partito Comunista in cui era diventata evidente la discrepanza fra l’avvio della stagione dei fronti popolari e il terrore scatenato da Stalin, lui non aveva mai espresso la benchè minima critica sulle infamie del comunismo, delineandosi come personaggio ambiguo e di infima caratura morale.
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La servile linea di condotta di Amendola verso la direzione del PCI espresse dapprima una timida critica a Togliatti, reo di non aver tenuto in debita considerazione il famoso “rapporto segreto” di Krusciov sui crimini di Stalin, ma poi lo palesò come aperto sostenitore e difensore dell’intervento sovietico in Afghanistan.
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Del resto anche Giorgio Napolitano (ex presidente della Repubblica italiana), Emanuele Macaluso (Direttore de l'Unità) e altri all’interno del PCI che ufficialmente si discostavano dalle politiche di apertura estrinsecate da Enrico  Berlinguer, rifiutando parallelamente la scelta di una “terza via” teorizzata dal loro segretario, in realtà si riconoscevano in un percorso cosiddetto “riformista” di ispirazione socialista contraddetto però dal loro stesso modus operandi.
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Per delineare esattamente la predisposizione pseudo intellettuale di Amendola e l’eredità politica di cui egli assorbì il relativo retaggio è sufficiente leggere la prefazione che scrisse nel libro autobiografico del partigiano Davide Lajolo intitolato “A conquistare la rossa primavera”, che è esattamente una disquisizione apologetica sulla grandezza di Stalin, suo primario e irrinunciabile punto di riferimento :
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Ugualmente schietto e sincero risuona (nella Resistenza n.d.r.) il grido di Viva Stalin.
I combattenti cadono al grido di Viva l’Italia e di Viva Stalin.
La ristampa del libro di Ulisse ci permette di recuperare un linguaggio che era politico, non economicistico, era un linguaggio nazionale e internazionalista, che esprimeva la forza dei grandi ideali nazionali ed internazionalistici, di indipendenza e di pace, che guidarono i partigiani italiani.
La critica a Stalin non deve fare dimenticare quello che egli allora rappresentava:
l’URSS, l’Esercito sovietico, la vittoria di Stalingrado, la grande guerra patriottica del popolo russo e la coalizione antifascista mondiale”.
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Il quadro di insieme che comprende l’antefatto delle Fosse Ardeatine e la sudditanza di Amendola ai riferimenti dogmatici dell’ortodossia comunista imposti da Stalin, ci mostrano una tragica realtà in cui emerge con chiarezza che i partigiani comunisti, per via delle rappresaglie indotte, uccisero più italiani che militari tedeschi.
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I partigiani comunisti inoltre non vollero nemmeno consegnare le armi a guerra finita, come testimoniato dallo stesso Amendola che confermò l’intento proclamato dal PCI di abbattere la borghesia e di confidare nell’aiuto sovietico per il raggiungimento del potere.
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La manipolazione intellettuale che il PCI ha operato sulle masse nel dopoguerra tramite un imponente apparato disinformativo, ha trasformato il criminale Amendola in una figura di riferimento, rivalutandone l’essenza e indicandolo come esempio di illuminato riformista.
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Forse non tutti sanno che nell’estate del 1967, dopo il colpo d stato militare in Grecia, Amendola coadiuvato da Longo (altro criminale comunista e dirigente del partito) chiese formalmente assistenza a Mosca, a nome del PCI, per preparare il partito a muoversi in condizione di clandestinità nel caso in cui anche in Italia si fosse verificato un analogo golpe.
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Mosca rispose all’appello del Partito Comunista Italiano dotandolo di un proprio Servizio segreto composto da personale ben addestrato ad agire in clandestinità, e finanziando anche un sistema di collegamento radio.
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Il KGB organizzò anche l’addestramento dei comunisti italiani alla produzione di documenti di riconoscimento falsi e di procedure operative fino alla fine del 1970, richiedendo come contropartita l’ammorbidimento nelle dichiarazioni ufficiali del PCI sull’invasione sovietica della Cecoslovacchia.
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Da tutto ciò emerge chiaramente la caratura criminale di Giorgio Amendola e nonostante il fatto che alcune delle Amministrazioni che guidano le città italiane, fra cui la rossa Bologna, gli abbiano intitolato le vie principali, possiamo con certezza definire tale personaggio come efferato criminale comunista.
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Dissenso
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