domenica 31 maggio 2020

MILAN SIMECKA

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Milan Simecka, (Novy Bohumin, Praga, 6 marzo 1930 – Praga, 24 settembre 1990), è stato uno dei più importanti dissidenti cecoslovacchi, oltre che saggista, autore editorialista e “filosofo della politica”, come ebbe a chiamarlo Vilem Precan, eminente studioso di storia moderna cecoslovacca.
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Accanto a Vaclav Havel, Milan Šimečka era il dissidente più importante e maggiormente tradotto, contrario al regime comunista della Cecoslovacchia.
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E' disponibile nel sito Autori del dissenso un approfondimento sulla sua bibliografia, al seguente link :
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http://www.autorideldissenso.it/dissenso/simecka.htm

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Divenne orfano durante la seconda guerra mondiale, e dopo aver conseguito il diploma nel 1949, studiò Letteratura ceca e russa presso la Facoltà di Lettere dell’Università Masaryk di Brno, laureandosi nel 1953.
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L’anno successivo si trasferì a Bratislava dove visse e insegnò Filosofia marxista all’Università Comenius in qualità di professore membro del Partito Comunista, prima presso la Facoltà di Medicina e Farmacia (1954-1957), poi presso l’Accademia delle arti e dello spettacolo.
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Negli anni ’60 iniziò ad analizzare le utopie sociali, a cui dedicò i suoi primi libri, intitolati Le utopie sociali e gli utopisti (1963) e La crisi dell’utopia (1967).
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Per Simecka l’ utopia  consisteva in una concezione regressiva della storia, in una visione falsata della conoscenza, nell’idealizzazione della ragione, della povertà e dell’uguaglianza, in una forma di determinismo morale e in una sorta di esaltazione para religiosa.
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Analizzando l’essenza del pensiero utopico, Simecka ne ritrovò molti elementi nella pratica sociale e politica del sistema comunista.
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Studiando l’utopia riconobbe “nella forma contemporanea del socialismo (…) l’influenza delle vecchie immagini utopiche” fra cui erano compresi anche i tentativi “di creare un unico e indiscutibile schema di socialismo e comunismo”, inteso come l’ideale sommo cui aspirava il mondo intero.
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L’autore vide un futuro per il socialismo soltanto nel ritorno al valore dell’uomo e nell’abbandono delle “immagini semplicistiche del secolo precedente”.
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Questa sua posizione era ed è in conflitto con il modello leninista di socialismo e anche con il determinismo storico marxista, per questo egli si colloca nella corrente revisionistica rappresentata negli anni ’60 da molti intellettuali marxisti. 
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Tra il 1967 e il 1968 trascorse un periodo in Germania all’Istituto di Storia dell’Europa nella città tedesca di Magonza, come titolare di una borsa di studio, approfondendo soprattutto gli studi sociologici e filosofici nella Scuola di Francoforte, di orientamento marxista, e sulla “nuova sinistra”, in particolare sul pensiero di Marcuse, postulando richieste e aspettative, e manifestando atteggiamenti articolati, anziché proni alle imposizioni dell'ortodossia comunista.
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Dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia avvenuta nel 1968, trascorsero due anni dopo i quali a causa della sua oramai manifesta attività come dissidente, fu espulso dal Partito comunista e licenziato dall’Università.
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Gli venne proibito sia di esercitare l’insegnamento che di fare studi di ricerca, e il regime gli offrì un posto “di ripiego” come bibliotecario, ma Simecka rifiutò per non dover scendere a compromessi con il potere.
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Così nel 1970 si vide costretto a lasciare il campo universitario e a lavorare come muratore e operaio meccanico, mentre sua moglie venne licenziata e al figlio minore Martin Milan venne precluso l’accesso alle scuole superiori.
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In quegli anni, durante l’occupazione sovietica, Simecka pubblicò grazie all’editoria clandestina e alla rivista Samizdat, numerosi articoli e saggi, come "Segni di luce" e "Difesa circolare",  che spesso vennero tradotti all’estero e stampati sui principali periodici americani e britannici.
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Simecka si occupò personalmente di realizzare le prime copie delle edizioni di alcuni libri attraverso la primitiva ma collaudata tecnica della ricopiatura, riproducendo a mano fino a trenta copie dei medesimi articoli o editandoli con la macchina da scrivere.
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La sua produzione letteraria si arricchì progressivamente fino a raggiungere sia la pubblicazione di cinque libri, editi in decine di migliaia di copie, che di più di duecento articoli e studi di varia natura.
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Tra il 1977 e il 1979 scrisse La restaurazione dell’ordine, in cui analizzava il processo di soffocante “normalizzazione”, apportato dal socialismo reale, che seguì lo schiacciamento dei moti connessi alla Primavera di Praga dopo il 1969, ed esprimeva il proprio scetticismo verso ogni costruzione ideologica:
"l’ideologia è sempre servita a conferire una dimensione sovrumana ai crimini, così da dare l’impressione che essi non siano commessi dalla mano dell’uomo, ma dalla potente ed imperscrutabile mano della storia”.
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Simecka e la moglie furono costantemente vessati e perseguitati dalla polizia, al punto che di fronte alla minaccia di espulsione dall’università del loro figlio maggiore, il dissidente si trovò costretto a non firmare la famosa Dichiarazione di Charta ’77, con cui le opposizioni chiedevano al regime il rispetto dei diritti umani sanciti nell’accordo di Helsinki.
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Il 6 maggio 1981 venne arrestato e rinchiuso in detenzione preventiva a Bratislava e poi nella famigerata prigione di Ruzyne (Praga) per oltre un anno, con l’accusa di “attività sovversiva” ai sensi dell’articolo 98 del codice penale, per aver contrabbandato i suoi testi fuori dal Paese con l’intenzione di pubblicarli.
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Durante la detenzione nelle carceri comuniste cecoslovacche scrisse 144 lettere, raccolte poi con il titolo di Lettere dalla prigione, in cui a causa del divieto di menzionare la politica poté solo disquisire di persone, di amore, di riflessioni filosofiche e di relazioni umane.
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Fu scarcerato il 27 maggio 1982, anche per le numerose proteste dell’opinione pubblica all’estero ma la sua salute risultò essere gravemente minata dalla reclusione.
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Nell’introduzione dell’edizione  del 2001 del libro Lettere dalla prigione, curata dalla sua cara amica Jirina Siklova, si legge :
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"Oggi, a oltre dieci anni dalla caduta del regime comunista, anche io, che ho trascorso la maggior parte della mia vita in regimi totalitari senza libertà, trovo impossibile capire come sia stato possibile imprigionare le persone per aver inviato i loro manoscritti di libri all'estero, per tradurre George Orwell, o Hannah Arendt, per aver scritto saggi politici su Andrei Sakharov, Solzhenitsyn o Heinrich Boll, prestando le riviste Svedectvi pubblicate a Parigi o Listy pubblicate a Roma o leggendo i romanzi di Milan Kundera pubblicati in ceco in esilio ...
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Era sufficiente per tre persone a testimoniare davanti al tribunale che un testo li incitava contro l'ordine socialista e l'autore poteva essere condannato ".
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Nel 1984 pubblicò il saggio Il Winston Smith céco, un commento al libro di Orwell 1984, in cui confrontava il mondo del romanzo con il socialismo reale.
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Nello stesso anno scrisse insieme a Miroslav KusyEsperienze europee di fronte al socialismo realeuna raccolta di saggi di politologia in cui veniva analizzato lo sviluppo del pensiero utopico facendone una lettura critica.
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In altri libri Simecka ha ripercorso la storia del pensiero marxista e la sua attuazione nella pratica :
nei saggi Da Ovest a Est e  L’ideologia russa vengono esaminati l’evoluzione del marxismo in URSS e la sua interconnessione con i regimi totalitari in Europa, mentre in altri scritti si analizza il comunismo.
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L’autore affermò : “il sistema socio-economico creato da Stalin è divenuto il fondamento stabile del socialismo reale”, vedendo con ciò la continuità indissolubile tra le diverse fasi di sviluppo dei regimi comunisti.
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Nel 1985 pubblicò nell’editoria clandestina una serie di saggi in cui rifletteva sul destino dei singoli individui, spesso tragicamente colpiti dal potere e dall’apparato al servizio dell’ideologia, miranti a far perdere loro la propria identità e individualità.
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Descrivendo l’azione del regime, che tendeva al controllo totale della vita del singolo, Simecka analizzò anche un altro aspetto del socialismo reale:
il tentativo dei sistemi dell’Europa dell’Est di fermare la storia”, costringendo i propri cittadini a vivere solo dentro “una piccola storia”, una dimensione ridotta dell’effettiva portata storica globale.
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L’autore studiò i metodi con cui i regimi comunisti manipolavano la memoria storica, spersonalizzandola in modo da ridurre la storia a un processo astratto:
una piramide eretta da costruttori anonimi (…), cosa che a priori esclude la domanda se le pietre avessero potuto essere collocate in modo e secondo un ordine diversi, e soprattutto se tutto l’edificio abbia un senso”.
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Nel 1986 gli fu conferito il Premio Jan Palach, a riconoscimento della sua attività letteraria.
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Il volume La fine dell’immobilità del 1988 raccolse i risultati delle ricerche sulla perestrojka in URSS e sulla ripresa d’iniziativa della società cecoslovacca. 
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Dopo la rivoluzione del 1989, sotto la Presidenza di Vaclav Havel, Simecka fu nominato deputato al Consiglio Nazionale Slovacco, e nella primavera del 1990 divenne consulente del presidente Havel per la politica estera.
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Nel corso di una sua conferenza Simecka dichiarò :
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Dopo la prima euforia, la rivoluzione in Cecoslovacchia si sta avvicinando cautamente ai rischi della libertà.
La cultura dissidente, emersa dall'invocazione della libertà come supremo valore umano, sta accettando i rischi.
È tutto meglio della pesante immobilità in cui rimasero la Cecoslovacchia e le sue nazioni.
È forse l'unica cosa indiscutibile nella società post-dissidente.
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Morì a Praga nel 1990 per un attacco di cuore all’età di 60 anni.
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Un mese prima gli fu assegnato l’IPI Press Freedom Award per il miglior articolo dell’anno, mentre nel 1991 il Presidente Vaclav Havel lo insignì di un riconoscimento alla memoria.
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Nel febbraio 1991 nacque la Fondazione Milan Šimečka che risulta quindi essere una delle più antiche organizzazioni non governative presenti in Slovacchia, creata dopo la sua morte dai suoi amici Martin Bùtora, Juraj Flamik, Fedor Gàl, Miroslav Kusy, Frantisek Miklosko, Peter Tatàr e Peter Zajac.
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La nascita di questa istituzione fu motivata con l’obiettivo di incoraggiare e sostenere le attività volte a sviluppare la democrazia, la cultura, la tolleranza e la società civile.
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Dissenso
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