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Lejba
Bronstejn meglio conosciuto con lo
pseudonimo di Lev Davidovic Trockijy (ingl. Trotsky) o Leon Trotsky oppure
Trotskij, (nato a Janovka, nella
provincia Ucraina di Kherson, 7 novembre 1879
- morto a Coyoacan, Città del Messico,
21 agosto 1940) è stato un politico, militare e rivoluzionario, nato da una
famiglia ebraica contadina benestante in Ucraina e naturalizzato sovietico.
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Il padre era proprietario di 300 ettari di terreno, che
veniva coltivato da servitori e braccianti, i quali accudivano le sue stalle e
si occupavano del mulino, utilizzato dai contadini del distretto.
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Nella
famiglia Bronstejn seppure fossero tutti ebrei non si parlava l’yiddish ma un
russo misto all’ucraino.
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Il
padre di Lev era analfabeta e indifferente alla religione, mentre la madre Anna
L’vovna Zivotovskaja era religiosa osservante.
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Oltre
che dai due genitori la famiglia era composta da otto figli, Aleksandr,
Elizaveta, Rozalija (che morì in giovane età), Lev (che prese il nome dal nonno
materno), Ol’ga, e altri tre bambini deceduti nella prima infanzia.
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Lev
compì i suoi primi studi iniziando nel 1886 a frequentare la scuola ebraica nel
villaggio di Gromoklej, ospite degli zii Abraam e Rejcel Bronstein, poi nel
1887 del cugino Moisej Spencer che si offrì di ospitarlo a Odessa (città ucraina sul
Mar Nero) per fargli frequentare la Scuola secondaria.
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Nel 1900
furono deportati entrambi a Ust-Kut nella Siberia centrale, dove Lev Bronstein approfondì
gli studi sul marxismo, studiando i primi due volumi del Capitale sotto la
guida della moglie, già socialista da tempo, e collaborando con un giornale
locale (chiamato "Revisione orientale" (Vostocnoe obozrenie), riscoprendosi scrittore.
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Nel periodo del confino Trotsky ebbe due figlie da Aleksandra, a cui diedero i nomi Zinaida (n.1901- m. suicida nel 1933) e Nina (n.1902- m. di tisi nel 1928).
Nel
1902 riuscì a fuggire e a raggiungere Londra da solo, dove conobbe Lenin, iniziando una
vita da agitatore e cospiratore fra gli emigrati russi e i socialisti
cosmopoliti provenienti da ogni parte dell’Europa.
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Divorziò dalla prima moglie, poi nel 1903 grazie a Lenin entrò a far parte del gruppo redazionale nel giornale marxista “Iskra” che il leader bolscevico dirigeva dal suo esilio londinese.
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Trotsky raggiunse poi Parigi, dove conobbe Natal’ja Ivanovna Sedova, che divenne la sua nuova
compagna.
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In
questo periodo Trotskij manifestò il suo aperto appoggio ai menscevichi che si
opponevano al bolscevismo professato da Lenin, salvo poi tornare sui suoi passi
nel 1904, anno in cui il congresso del Posdr (Partito operaio socialdemocratico russo) sancì la spaccatura fra le due
correnti e la socialdemocrazia russa.
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Nel
1905, dopo la sconfitta della Russia nella guerra contro il Giappone, i
contadini e il ceto proletario accennarono una prima rivoluzione contro lo Zar,
subito appoggiati da Trotskij che rientrò nel Paese per assumere durante i
fermenti sociali in atto un ruolo guida, come Presidente del soviet di San
Pietroburgo.
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Subito
dopo il fallimento di questo primo tentativo rivoluzionario Trotskij venne
nuovamente arrestato e condannato alla deportazione a vita, ma riuscì ad
evadere a lasciare la Russia, stabilendosi a Vienna e iniziando ad
auto-promuoversi come leader della rivoluzione internazionalista e permanente
(in contrapposizione a Lenin), spostandosi nel corso della sua propaganda in
Romania, in Svizzera, in Francia, e in Turchia, stabilendo legami politici e
arruolando seguaci.
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Zinaida Bronstein |
Trotskij
si costruì la reputazione di migliore alternativa a Lenin, all’interno dello
stesso gruppo politico menscevico incolpando lo stesso Lenin di aver costruito il suo stesso impianto
ideologico sulla menzogna e sulla falsificazione.
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Nel
1913 dichiarò che Lenin era “uno sfruttatore professionista di ogni
arretratezza del movimento operaio russo”.
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Nel
frattempo in Russia maturarono gli eventi che condussero alla rivoluzione del
mese di febbraio 1917, in cui le coalizioni popolari delle forze politiche sferrarono il
loro attacco contro lo Zar Nicola II°, detronizzandolo e ponendo fine al suo
regime.
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Nel
frattempo Trotsky che era stato espulso dalla Francia e osteggiato
dall’Inghilterra fu costretto all’esilio negli Stati Uniti, dove a New York si
occupò della pubblicazione di un giornale russo, il Novyj Mir, insieme a
Nikolaj Bucharin, suo collaboratore e avversario di Lenin.
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Il
27 marzo 1917 Trotsky decise di partire con la nave per Mosca insieme alla
moglie e ai suoi due figli, ma quando la famiglia giunse nello scalo canadese
di Halifax dovette sottostare alla procedura imposta dal Governo per i
cittadini russi, in seguito alla quale dopo
lunghi interrogatori i Trotsky furono trasferiti in una base militare distante
alcune decine di chilometri dal porto, dove rimasero per un mese, dopodiché il
29 aprile furono imbarcati su un piroscafo danese diretto in Finlandia, da dove
poi proseguirono per la Russia.
Trotskij
raggiunse Pietrogrado nel mese di Maggio 1917, acclamato dai suoi sostenitori e
iniziò con loro a valutare una revisione della propria linea politica, fino a
quel momento ostile a Lenin e alle sue teorie.
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Dopo
aver incontrato Lenin, che gli offrì di fondere la sua organizzazione con il
Partito bolscevico, Trotsky cambiò strategia e dopo 14 anni di opposizione
accettò la fusione, coinvolgendo anche l’importante seguito di cui godeva
soprattutto a livello internazionale e forte dell’appoggio di un folto
gruppo di dissidenti di sinistra appartenenti agli “mezrajontsi”
(interdistrettuali) del proletariato di Pietrogrado.
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Tutto
ciò consentì a Trotsky di diventare prima Segretario del Soviet di quella
città, poi di far parte del Governo di coalizione fra menscevichi, bolscevichi,
e socialisti rivoluzionari con il ruolo di Commissario agli affari esteri, dopo
il primo congresso panrusso dei soviet.
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La
convergenza politica fra Trotsky, ex avversario dei bolscevichi, e Lenin, deus
ex machina della cosiddetta Rivoluzione (in realtà la rivoluzione l’avevano già
fatta coloro che deposero lo Zar) innescò una feroce guerra civile
insurrezionale per il raggiungimento del Potere.
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Trotsky,
a capo dell’Armata rossa, affrontò le armate del Governo provvisorio guidato
da Aleksandr Kerensky che era stato
instaurato dopo la sconfitta dello Zar, obbligando lo stesso Kerensky a
scappare e a rifugiarsi all’estero.
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La
forza d’urto delle truppe dell’Armata rossa fu decisiva per le sorti della
guerra civile che sconvolse i territori dell’Unione sovietica dopo l’ottobre
del 1917.
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I
comunismi occidentali hanno fatto di Trotsky un’icona da beatificare come
vittima di Stalin, ma in realtà si nasconde il fatto che Trotsky fosse
d’accordo sia con lui che con Lenin, soprattutto nel considerare la borghesia
come classe nemica e portatrice di distruzione dell’economia mondiale,
accusandola di allungare le mani e di non mollare la presa, motivo per cui dichiarò che fosse necessario tagliargliele.
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Durante
la repressione delle fazioni che si opponevano alla presa del potere
bolscevico e al colpo di Stato attuato, Trotsky si dimostrò uno spietato oppressore, mandando a morte per
fucilazione migliaia di persone, al punto che si meritò l'inquietante nomignolo di “demone
della rivoluzione”.
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Si
spostava attraverso l’immenso territorio dell’Unione Sovietica coprendo le
distanze a bordo di un treno blindato personale e sottoponeva gli abitanti
delle località che di volta in volta raggiungeva alle sanguinarie e spietate regole del terrore rosso.
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Diffuse
l’orrore sfrenato che caratterizzava l’operato dei sadici commissari politici
del bolscevismo, coadiuvato dall’ancor più sanguinario collaboratore Feliks
Dzerzinskij, a capo della famigerata polizia staliniana denominata Ceka.
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Il
terrore rivoluzionario delle masse (in realtà contro le masse) e la violenza
auspicate da Trotsky portarono al saccheggio di migliaia di proprietà
fondiarie, di atrocità inaudite, di esecuzioni sommarie, e al sadico
accanimento sui cadaveri, in un crescendo di odio a cui Trotsky, Lenin, e
Stalin inneggiavano apertamente.
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Per
ostacolare la reazione delle popolazioni vittime della macelleria sociale in
atto, Trotsky ne arrestava preventivamente i rappresentanti locali e le
famiglie ostili, e li faceva deportare in campi di concentramento appositamente
allestiti, considerandoli ostaggi.
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In
caso di attacco gli ostaggi venivano fucilati per scoraggiare altre eventuali azioni ostili.
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Trotsky
affermò che per ripulire l’Ucraina dalle “bande di banditi” (i contadini che si
opponevano alla collettivizzazione e alle requisizioni forzate) occorreva usare
la forza e usare la “scopa di ferro” indicando con tale metafora che la
repressione doveva essere inesorabile.
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La
persecuzione bolscevica si accanì anche contro il clero e Trotsky in persona
firmò gli ordini di fucilazione di decine di Vescovi della Chiesa sovietica.
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La
violenza anti-ecclesiastica provocò la morte di migliaia di appartenenti
all’universo religioso e la confisca dei loro beni, oltre che dei Monasteri che custodivano la tradizione ortodossa.
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Per
completare il progetto bolscevico di sradicare il sentimento religioso
popolare, Trotsky mise in atto un vergognoso progetto che prevedeva di
distruggere la Chiesa dal suo interno, finanziando alcuni gruppi di
sacerdoti vicini al movimento rivoluzionario
chiamati “rinnovatori” (obnovlency), offrendo loro una tutela in cambio di
atteggiamenti favorevoli nei casi di requisizione dei beni ecclesiastici.
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La
Storia ci dice che l’apporto di Trotsky fu decisivo per l’ascesa al potere del
bolscevismo, ma dopo la morte di Lenin la sua visione politica si rivelò
inconciliabile con quella espressa dalla troika costituita da Zinoviev, da
Kamenev e da Stalin, dei quali contestava la volontà di concepire e ricercare
l’affermazione del socialismo in un solo Paese, contraria a quella della
rivoluzione permanente da lui auspicata.
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Il
contrasto con Stalin si fece insanabile al punto che nel 1925 Trotsky fu rimosso dalla sua
carica di Commissario del popolo, poi estromesso dal Politburo l’anno
successivo.
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Nel
1927 furono espulsi dal Partito e arrestati tutti i principali dirigenti
dell’opposizione, Trotsky, Kamenev, Radek, Zinov’ev, e Rakovskij e iniziò la
caccia di Stalin a coloro che, come nemici, furono definiti “trotzkisti” o
“zinovievisti”.
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Nel
1928 Trotsky, oramai in disgrazia e ritenuto uno dei maggiori nemici del popolo,
fu deportato ad Alma Ata, in Turkestan a 4000 chilometri da Mosca, ed infine
nel 1929 venne espulso dalla Russia come traditore e “nemico del popolo”.
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Inizialmente
Trotsky riparò in esilio prima in Turchia poi in Francia, e nel 1938 fondò la
Quarta Internazionale, per raccogliere i consensi delle componenti politiche legate all’anti-stalinismo
internazionale.
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Spostò
nuovamente il suo esilio scegliendo la Norvegia, poi optò per il Messico, su
invito del pittore Diego Rivera e dalla di lui moglie, l’artista Frida Kahlo,
stabilendosi come ospite nella loro stessa abitazione situata nel sobborgo di
Città del Messico denominato Coyoacan.
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Il
20 agosto 1940 il sicario comunista Ramon Mercader, sotto le mentite spoglie
del giornalista Jacques Mornard ufficialmente desideroso di scrivere la biografia
dell’esule russo, mise in atto il piano omicida ordinatogli da Stalin per
uccidere l’ex fondatore e comandante dell’Armata Rossa.
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Il
sicario ricevette l’incarico dall’Ufficiale ebreo della NKVD Leonid Rajchman,
che a sua volta era agli ordini diretti di Berija, anche lui ebreo per parte di
padre.
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Ramòn
Mercader era fratellastro dell’attrice Maria Mercader, seconda moglie del
regista Vittorio De Sica e madre dell’Attore Christian De Sica, che quindi del
criminale comunista è incolpevolmente il nipote.
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La
furia omicida di Stalin si manifestava quindi anche nella ossessiva ricerca di
coloro che a suo giudizio dovevano essere uccisi perché, anche all'esterno dei confini nazionali, non si erano inchinati
ai dogmi della sua ortodossia.
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Tre
anni prima, nel 1937 scomparve a Parigi Rudolf Klement, il responsabile della
segreteria internazionale dell’opposizione trotzkista, il cui cadavere fu
trovato senza testa e senza gambe nelle acque della Senna.
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Lev Sedov |
L’anno
successivo Lev Sedov, il figlio di Trotsky e Natal'ja, che era sorvegliato dalla NKVD, morì
a Parigi nel mese di febbraio dopo un intervento chirurgico in circostanze
sospette.
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Dopo
aver scontato la pena per l’omicidio di Trotsky il criminale comunista Mercader rientrò a Mosca, dove fu accolto
come un eroe e insignito con l’onorificenza dell’ordine di Lenin.
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Morì
nel 1978 a Cuba dove Fidel Castro lo aveva invitato come consulente del
Ministero degli Interni, e le sue spoglie furono riportate in Patria e tumulate
con discrezione nella capitale russa.
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Gli
autori del libro nero del comunismo si sono interrogati su un dilemma che è
basilare per capire la storia del comunismo :
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“Perché
Lenin, Trotsky, Stalin e gli altri gerarchi comunisti, hanno ritenuto
necessario sterminare tutti coloro che definivano nemici ?
Perché
si sono creduti autorizzare a infrangere il codice non scritto che regola la
vita dell’umanità che recita “non uccidere”?
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La
risposta va ricercata nell’essenza stessa di un comunismo intriso di odio e
alimentato fin dalle sue origini, ancora in stato embrionale, dagli scritti di
Karl Marx.
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Ancora
oggi l’elemento trainante che lega fra loro i paradossi del comunismo sfuggiti
e sopravvissuti alla conclamazione della realtà risulta essere l’odio.
Un odio cieco e insanabile, mostruosamente vivo e
insaziabile, con cui il comunismo e gli eredi di Stalin, di Lenin, e di Trotsky
divorano le loro vittime, nutrendosi del sangue degli esseri umani …
..
Dissenso
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