venerdì 24 luglio 2020

CRIMINALE COMUNISTA : LEV TROTSKY

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Lejba Bronstejn meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lev Davidovic Trockijy (ingl. Trotsky) o Leon Trotsky oppure Trotskij, (nato a Janovka, nella provincia Ucraina di Kherson, 7 novembre 1879  -  morto a Coyoacan, Città del Messico, 21 agosto 1940) è stato un politico, militare e rivoluzionario, nato da una famiglia ebraica contadina benestante in Ucraina e naturalizzato sovietico.
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Il padre era proprietario di 300 ettari di terreno, che veniva coltivato da servitori e braccianti, i quali accudivano le sue stalle e si occupavano del mulino, utilizzato dai contadini del distretto.
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Nella famiglia Bronstejn seppure fossero tutti ebrei non si parlava l’yiddish ma un russo misto all’ucraino.
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Il padre di Lev era analfabeta e indifferente alla religione, mentre la madre Anna L’vovna Zivotovskaja era religiosa osservante.
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Oltre che dai due genitori la famiglia era composta da otto figli, Aleksandr, Elizaveta, Rozalija (che morì in giovane età), Lev (che prese il nome dal nonno materno), Ol’ga, e altri tre bambini deceduti nella prima infanzia.
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Lev compì i suoi primi studi iniziando nel 1886 a frequentare la scuola ebraica nel villaggio di Gromoklej, ospite degli zii Abraam e Rejcel Bronstein, poi nel 1887 del cugino Moisej Spencer che si offrì di ospitarlo a Odessa (città ucraina sul Mar Nero) per fargli frequentare la Scuola secondaria.
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Si unì al movimento rivoluzionario che si contrapponeva all’Impero zarista e per questa sua attività fu prima arrestato nel 1898 e successivamente deportato in Siberia l’anno successivo, insieme a Aleksandra Sokolovskaja, che conobbe nel carcere di Mosca e con cui si sposò.
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Nel 1900 furono deportati entrambi a Ust-Kut nella Siberia centrale, dove Lev Bronstein approfondì gli studi sul marxismo, studiando i primi due volumi del Capitale sotto la guida della moglie, già socialista da tempo, e collaborando con un giornale locale (chiamato "Revisione orientale" (Vostocnoe obozrenie), riscoprendosi scrittore.
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Nel periodo del confino Trotsky ebbe due figlie da Aleksandra, a cui diedero i nomi Zinaida (n.1901- m. suicida nel 1933) e Nina (n.1902- m. di tisi nel 1928).

Nel 1902 riuscì a fuggire e a raggiungere Londra da solo, dove conobbe Lenin, iniziando una vita da agitatore e cospiratore fra gli emigrati russi e i socialisti cosmopoliti provenienti da ogni parte dell’Europa.
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Divorziò dalla prima moglie, poi nel 1903 grazie a Lenin entrò a far parte del gruppo redazionale nel giornale marxista “Iskra” che il leader bolscevico dirigeva dal suo esilio londinese.
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Trotsky raggiunse poi Parigi, dove conobbe Natal’ja Ivanovna Sedova, che divenne la sua nuova compagna.
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Trotsky e la nuova compagna, Natal'ja Sedova
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In questo periodo Trotskij manifestò il suo aperto appoggio ai menscevichi che si opponevano al bolscevismo professato da Lenin, salvo poi tornare sui suoi passi nel 1904, anno in cui il congresso del Posdr (Partito operaio socialdemocratico russo) sancì la spaccatura fra le due correnti e la socialdemocrazia russa.
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Nel 1905, dopo la sconfitta della Russia nella guerra contro il Giappone, i contadini e il ceto proletario accennarono una prima rivoluzione contro lo Zar, subito appoggiati da Trotskij che rientrò nel Paese per assumere durante i fermenti sociali in atto un ruolo guida, come Presidente del soviet di San Pietroburgo.
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Subito dopo il fallimento di questo primo tentativo rivoluzionario Trotskij venne nuovamente arrestato e condannato alla deportazione a vita, ma riuscì ad evadere a lasciare la Russia, stabilendosi a Vienna e iniziando ad auto-promuoversi come leader della rivoluzione internazionalista e permanente (in contrapposizione a Lenin), spostandosi nel corso della sua propaganda in Romania, in Svizzera, in Francia, e in Turchia, stabilendo legami politici e arruolando seguaci.
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Zinaida Bronstein
Trotskij si costruì la reputazione di migliore alternativa a Lenin, all’interno dello stesso gruppo politico menscevico incolpando lo stesso Lenin di  aver costruito il suo stesso impianto ideologico sulla menzogna e sulla falsificazione.
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Nel 1913 dichiarò che Lenin era “uno sfruttatore professionista di ogni arretratezza del movimento operaio russo”.
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Nel frattempo in Russia maturarono gli eventi che condussero alla rivoluzione del mese di febbraio 1917, in cui le coalizioni popolari delle forze politiche sferrarono il loro attacco contro lo Zar Nicola II°, detronizzandolo e ponendo fine al suo regime.
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Nel frattempo Trotsky che era stato espulso dalla Francia e osteggiato dall’Inghilterra fu costretto all’esilio negli Stati Uniti, dove a New York si occupò della pubblicazione di un giornale russo, il Novyj Mir, insieme a Nikolaj Bucharin, suo collaboratore e avversario di Lenin.
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Il 27 marzo 1917 Trotsky decise di partire con la nave per Mosca insieme alla moglie e ai suoi due figli, ma quando la famiglia giunse nello scalo canadese di Halifax dovette sottostare alla procedura imposta dal Governo per i cittadini russi, in seguito alla quale dopo lunghi interrogatori i Trotsky furono trasferiti in una base militare distante alcune decine di chilometri dal porto, dove rimasero per un mese, dopodiché il 29 aprile furono imbarcati su un piroscafo danese diretto in Finlandia, da dove poi proseguirono per la Russia.
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Nina Bronstein
Trotskij raggiunse Pietrogrado nel mese di Maggio 1917, acclamato dai suoi sostenitori e iniziò con loro a valutare una revisione della propria linea politica, fino a quel momento ostile a Lenin e alle sue teorie.
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Dopo aver incontrato Lenin, che gli offrì di fondere la sua organizzazione con il Partito bolscevico, Trotsky cambiò strategia e dopo 14 anni di opposizione accettò la fusione, coinvolgendo anche l’importante seguito di cui godeva soprattutto a livello internazionale e forte  dell’appoggio di un folto gruppo di dissidenti di sinistra appartenenti agli “mezrajontsi” (interdistrettuali) del proletariato di Pietrogrado.
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Tutto ciò consentì a Trotsky di diventare prima Segretario del Soviet di quella città, poi di far parte del Governo di coalizione fra menscevichi, bolscevichi, e socialisti rivoluzionari con il ruolo di Commissario agli affari esteri, dopo il primo congresso panrusso dei soviet.
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La convergenza politica fra Trotsky, ex avversario dei bolscevichi, e Lenin, deus ex machina della cosiddetta Rivoluzione (in realtà la rivoluzione l’avevano già fatta coloro che deposero lo Zar) innescò una feroce guerra civile insurrezionale per il raggiungimento del Potere.
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Trotsky, a capo dell’Armata rossa, affrontò le armate del Governo provvisorio guidato da  Aleksandr Kerensky che era stato instaurato dopo la sconfitta dello Zar, obbligando lo stesso Kerensky a scappare e a rifugiarsi all’estero.
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La forza d’urto delle truppe dell’Armata rossa fu decisiva per le sorti della guerra civile che sconvolse i territori dell’Unione sovietica dopo l’ottobre del 1917.
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I comunismi occidentali hanno fatto di Trotsky un’icona da beatificare come vittima di Stalin, ma in realtà si nasconde il fatto che Trotsky fosse d’accordo sia con lui che con Lenin, soprattutto nel considerare la borghesia come classe nemica e portatrice di distruzione dell’economia mondiale, accusandola di allungare le mani e di non mollare la presa, motivo per cui dichiarò che fosse necessario tagliargliele.
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Durante la repressione delle fazioni che si opponevano alla presa del potere bolscevico e al colpo di Stato attuato, Trotsky si dimostrò uno spietato oppressore, mandando a morte per fucilazione migliaia di persone, al punto che si meritò l'inquietante nomignolo di “demone della rivoluzione”.
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Stalin, Lenin, e Trotsky, il trio criminale comunista che ha insanguinato la Russia
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Si spostava attraverso l’immenso territorio dell’Unione Sovietica coprendo le distanze a bordo di un treno blindato personale e sottoponeva gli abitanti delle località che di volta in volta raggiungeva alle sanguinarie e spietate regole del terrore rosso.
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Diffuse l’orrore sfrenato che caratterizzava l’operato dei sadici commissari politici del bolscevismo, coadiuvato dall’ancor più sanguinario collaboratore Feliks Dzerzinskij, a capo della famigerata polizia staliniana denominata Ceka.
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Il terrore rivoluzionario delle masse (in realtà contro le masse) e la violenza auspicate da Trotsky portarono al saccheggio di migliaia di proprietà fondiarie, di atrocità inaudite, di esecuzioni sommarie, e al sadico accanimento sui cadaveri, in un crescendo di odio a cui Trotsky, Lenin, e Stalin inneggiavano apertamente.
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Per ostacolare la reazione delle popolazioni vittime della macelleria sociale in atto, Trotsky ne arrestava preventivamente i rappresentanti locali e le famiglie ostili, e li faceva deportare in campi di concentramento appositamente allestiti, considerandoli ostaggi.
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In caso di attacco gli ostaggi venivano fucilati per scoraggiare altre eventuali  azioni ostili.
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Trotsky affermò che per ripulire l’Ucraina dalle “bande di banditi” (i contadini che si opponevano alla collettivizzazione e alle requisizioni forzate) occorreva usare la forza e usare la “scopa di ferro” indicando con tale metafora che la repressione doveva essere inesorabile.
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La persecuzione bolscevica si accanì anche contro il clero e Trotsky in persona firmò gli ordini di fucilazione di decine di Vescovi della Chiesa sovietica.
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La violenza anti-ecclesiastica provocò la morte di migliaia di appartenenti all’universo religioso e la confisca dei loro beni, oltre che dei Monasteri che custodivano la tradizione ortodossa.
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Per completare il progetto bolscevico di sradicare il sentimento religioso popolare, Trotsky mise in atto un vergognoso progetto che prevedeva di distruggere la Chiesa dal suo interno, finanziando alcuni gruppi di sacerdoti  vicini al movimento rivoluzionario chiamati “rinnovatori” (obnovlency), offrendo loro una tutela in cambio di atteggiamenti favorevoli nei casi di requisizione dei beni ecclesiastici.
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1919 - Poster delle armate Bianche che palesa l'ostilità verso Trotsky
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La Storia ci dice che l’apporto di Trotsky fu decisivo per l’ascesa al potere del bolscevismo, ma dopo la morte di Lenin la sua visione politica si rivelò inconciliabile con quella espressa dalla troika costituita da Zinoviev, da Kamenev e da Stalin, dei quali contestava la volontà di concepire e ricercare l’affermazione del socialismo in un solo Paese, contraria a quella della rivoluzione permanente da lui auspicata.
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Il contrasto con Stalin si fece insanabile al punto che nel 1925 Trotsky fu rimosso dalla sua carica di Commissario del popolo, poi estromesso dal Politburo l’anno successivo.
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Nel 1927 furono espulsi dal Partito e arrestati tutti i principali dirigenti dell’opposizione, Trotsky, Kamenev, Radek, Zinov’ev, e Rakovskij e iniziò la caccia di Stalin a coloro che, come nemici, furono definiti “trotzkisti” o “zinovievisti”.
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Nel 1928 Trotsky, oramai in disgrazia e ritenuto uno dei maggiori nemici del popolo, fu deportato ad Alma Ata, in Turkestan a 4000 chilometri da Mosca, ed infine nel 1929 venne espulso dalla Russia come traditore e “nemico del popolo”.
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Inizialmente Trotsky riparò in esilio prima in Turchia poi in Francia, e nel 1938 fondò la Quarta Internazionale, per raccogliere i consensi delle componenti politiche legate all’anti-stalinismo internazionale.
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Spostò nuovamente il suo esilio scegliendo la Norvegia, poi optò per il Messico, su invito del pittore Diego Rivera e dalla di lui moglie, l’artista Frida Kahlo, stabilendosi come ospite nella loro stessa abitazione situata nel sobborgo di Città del Messico denominato Coyoacan.
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Trotsky con la moglie Natalia Sedova e con l'artista Frida Khalo (al centro)
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Il 20 agosto 1940 il sicario comunista Ramon Mercader, sotto le mentite spoglie del giornalista Jacques Mornard ufficialmente desideroso di scrivere la biografia dell’esule russo, mise in atto il piano omicida ordinatogli da Stalin per uccidere l’ex fondatore e comandante dell’Armata Rossa.
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Il sicario ricevette l’incarico dall’Ufficiale ebreo della NKVD Leonid Rajchman, che a sua volta era agli ordini diretti di Berija, anche lui ebreo per parte di padre.
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Ramòn Mercader era fratellastro dell’attrice Maria Mercader, seconda moglie del regista Vittorio De Sica e madre dell’Attore Christian De Sica, che quindi del criminale comunista è incolpevolmente il nipote.
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Trotsky morì il giorno successivo all’attentato, con il cranio sfondato dalla piccozza che il sicario di Stalin gli aveva calato con ferocia sulla testa
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La furia omicida di Stalin si manifestava quindi anche nella ossessiva ricerca di coloro che a suo giudizio dovevano essere uccisi perché, anche all'esterno dei confini nazionali, non si erano inchinati ai dogmi della sua ortodossia.
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Tre anni prima, nel 1937 scomparve a Parigi Rudolf Klement, il responsabile della segreteria internazionale dell’opposizione trotzkista, il cui cadavere fu trovato senza testa e senza gambe nelle acque della Senna.
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Lev Sedov
L’anno successivo Lev Sedov, il figlio di Trotsky e Natal'ja, che era sorvegliato dalla NKVD, morì a Parigi nel mese di febbraio dopo un intervento chirurgico in circostanze sospette.
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Dopo aver scontato la pena per l’omicidio di Trotsky il criminale comunista Mercader rientrò a Mosca, dove fu accolto come un eroe e insignito con l’onorificenza dell’ordine di Lenin.
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Morì nel 1978 a Cuba dove Fidel Castro lo aveva invitato come consulente del Ministero degli Interni, e le sue spoglie furono riportate in Patria e tumulate con discrezione nella capitale russa.
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Gli autori del libro nero del comunismo si sono interrogati su un dilemma che è basilare per capire la storia del comunismo :
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Perché Lenin, Trotsky, Stalin e gli altri gerarchi comunisti, hanno ritenuto necessario sterminare tutti coloro che definivano nemici ?
Perché si sono creduti autorizzare a infrangere il codice non scritto che regola la vita dell’umanità che recita “non uccidere?
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La risposta va ricercata nell’essenza stessa di un comunismo intriso di odio e alimentato fin dalle sue origini, ancora in stato embrionale, dagli scritti di Karl Marx.
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Ancora oggi l’elemento trainante che lega fra loro i paradossi del comunismo sfuggiti e sopravvissuti alla conclamazione della realtà risulta essere l’odio.

Un odio cieco e insanabile, mostruosamente vivo e insaziabile, con cui il comunismo e gli eredi di Stalin, di Lenin, e di Trotsky divorano le loro vittime, nutrendosi del sangue degli esseri umani …
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Dissenso
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martedì 14 luglio 2020

NATALIA ESTEMIROVA


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NATALIA CHUSAINOVNA ESTEMIROVA
(Kamyslov, Oblast di Sverdlovsk, 28/02/1958 – Inguscezia, 15/07/2009)
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E’ stata una giornalista russa, attivista per i diritti umani in seno all’associazione moscovita Memorial, di cui divenne rappresentante locale per la città di Grozny  (Cecenia) nel 2000.
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Natalia Estemirova
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Memorial è una organizzazione moscovita che si batte per il rispetto dei diritti umani e si occupa anche della documentazione inerente al trascorso totalitarismo sovietico, e fu fondata il 28 gennaio 1989 da Andrej Sacharov, il fisico russo e attivista per i diritti umani che nel 1975 ricevette il Premio Nobel per la Pace.
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La giornalista, che stava conducendo una inchiesta sulle violazioni dei diritti umani avvenute in Cecenia ad opera delle truppe di Putin, fu rapita da sconosciuti il 15 luglio 2009 verso le 8.30 del mattino a Grozny, nei pressi della sua abitazione.
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Alcuni testimoni riferiscono di aver assistito al rapimento mentre lei si avviava alla fermata dell’autobus, a cento metri da casa sua, lungo un viale di palazzoni con giganteschi poster del signore della guerra Ramzan Kadyrov e del Primo Ministro Vladimir Putin, e di averla sentita urlare che la stavano sequestrando mentre veniva caricata a forza da quattro uomini su un veicolo.
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Il cadavere di Natalia fu ritrovato alle 16.30 dello stesso giorno nella vicina Inguscezia in un’area boschiva nei pressi del villaggio di Gazi-Yurt,  crivellato da cinque colpi di arma da fuoco alla testa e al torace.
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La giornalista si era laureata in Storia all’Università di Grozny, in Cecenia, dove poi lavorò come insegnante di quella materia in una scuola superiore fino al 1998.
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Il logo dell'Associazione per i diritti umani Memorial
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Durante questo periodo, nel 1991 collaborò come corrispondente con alcuni giornali locali come The Voice e The Worker of Grozny, e realizzò anche per una emittente televisiva una serie di tredici brevi documentari sulle vittime delle spedizioni punitive che l’esercito russo usava compiere ciclicamente ai danni della popolazione.
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Natalia, che rimase vedova in seguito alla morte del marito, un poliziotto ceceno, raccolse testimonianze sulle violazioni dei diritti umani fin dall’inizio della Seconda guerra cecena, nel 1999, e fu costretta ad affidare la figlia ad alcuni parenti che vivevano a Ekaterinburg per garantirne la sicurezza.
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Come giornalista collaborava spesso anche con il giornale indipendente moscovita ”Novaja Gazeta” in cui avevano lavorato Anna Politkovskaja, Anastasia Baburova e Stanislav Markelov, prima di essere assassinati dai sicari di Putin rispettivamente nel 2006  e nel 2009.
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Natalia documentò il lancio di missili balistici contro la città di Grozny che nel 1999 fu rasa al suolo e che provocò la morte di oltre 100 vittime civili.
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Nel 2004 fu insignita dal Parlamento svedese del premio Right Livelihood Award e nel 2005 ricevette, insieme al Presidente di Memorial Sergej Kovalev, la medaglia Robert Schumann da parte del Gruppo del Partito Popolare Europeo.
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Due anni dopo, nel 2007, fu insignita del Premio Anna Politkovskaja da parte della organizzazione RAW (Reach All Women in War) per la sua attività e il suo impegno nella difesa dei diritti umani nei contesti di guerra.
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Natalia fu tumulata nel cimitero del suo villaggio di origine secondo il rito islamico, mentre in suo ricordo fu organizzata una veglia a Mosca, in Piazza Puskin, nove giorni dopo l’assassinio, come previsto dalla tradizione ortodossa.
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In quella occasione la Polizia di Putin arrestò Viktor Sotirko, il membro di Memorial che aveva organizzato l’evento, accusandolo di aver turbato l’ordine pubblico, a dimostrazione del fatto che l’arroganza e la dittatura del regime imposto dal nuovo Zar era apertamente ostile ai diritti umani.
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E’ proprio sulle violazioni di tali diritti che si svolgeva l’attività investigativa e giornalistica di Natalia, impegnata nella ricostruzione di centinaia di casi di rapimento, di torture e di esecuzioni arbitrarie attuate dalle truppe russe in Cecenia, come avevano fatto prima di lei sia Anna Politkovsakja che Anastasia Baburova.
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In quel preciso momento storico il Presidente russo era Dmitrij Medvedev che, ufficialmente dichiarò il proprio sdegno per il brutale assassinio, ma appare evidente la responsabilità dello Stato russo e la sua strategia del terrore con cui Putin, deus ex machina dell’apparato criminale post-sovietico si era appropriato del vero potere, gestito dietro le quinte come Capo del Governo.
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La mannaia della repressione russa era già calata su migliaia di oppositori politici, di giornalisti, di avvocati, e su chiunque si opponesse allo strapotere dittatoriale esercitato da Putin, che non esitò mai a ricorrere all’omicidio e al massacro.
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Una serie di esecuzioni che furono meticolosamente sponsorizzate dallo Stato russo e dall’ex colonnello del KGB Vladimir Putin, salito al potere grazie agli accordi che gli apparati dei servizi segreti strinsero con le potenti mafie di San Pietroburgo dopo la caduta del Muro di Berlino.
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Natalia collaborava con associazioni del calibro di Memorial, di Amnesty International, e di Human Rights Watch, le quali facevano da cassa di risonanza alle sue inchieste, in cui si evidenziavano i crimini degli apparati militari del Governo di Mosca in terra di Cecenia.
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Oggi grazie a lei sappiamo che il macellaio Ramzan Kadirov e le sue truppe, agli ordini di Putin, hanno perpetrato una serie infinita di crimini contro l’umanità, seguendo uno spietato disegno genocida rivolto ad annichilire le popolazioni cecene per appropriarsi dei loro territori.
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I colpevoli del brutale omicidio di Natalia non sono ancora stati individuati, nonostante le proteste dei gruppi di attivisti che si battono per il rispetto dei diritti umani in Russia e in Cecenia.
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Lo spietato dittatore ceceno Ramzan Kadyrov
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Nel 2008 la giornalista si oppose all’obbligo di indossare  il velo imposto dal Governo ceceno alle donne, e in quel frangente fu minacciata personalmente  dal Presidente Kadyrov e definita sia come ”nemica del popolo” che come “collaboratrice dei terroristi”.
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Nel 2009 Oleg Petrovich Orlov, Presidente dell’Associazione per la difesa dei diritti umani Memorial ha pubblicamente accusato il Presidente ceceno Ramzan Kadyrov, alleato di Putin, della morte di Natalia Estemirova, innescando un procedimento giudiziario che tra alti e bassi, fra ricorsi e appelli, si trascina ancora oggi.
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Orlov dichiarò :
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"Noi dichiariamo che esistono elementi molto importanti per poter pensare che persone appartenenti alle autorità cecene siano coinvolti nell'omicidio di Natasha. L'ultimo suo lavoro riguardava una esecuzione avvenuta in uno dei villaggi ed è stato questo materiale che ha causato una reazione negativa da parte di Raman Kadyrov, secondo quanto fatto trapelare dal suo entourage".
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Ramzan, vice-ministro ceceno nel 2004, era al comando del gruppo paramilitare governativo che collaborava con le milizie russe di Putin, operando una feroce repressione contro il nazionalismo ceceno e contro la successiva e conseguente radicalizzazione islamica di quei territori.
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L'uomo del KGB : Vladimir Putin
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Nel 2007, Kadyrov divenne Presidente della Repubblica cecena, instaurando un regime brutale e sanguinario in cui l’omicidio e la tortura costituivano il suo modus operandi, spalleggiato da Vladimir Putin, ex colonnello del KGB.
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Ai nostri giorni Kadyrov ha lungamente nascosto l’esistenza del virus Covid-19 che circolava invece già da tempo in Cecenia, e non ha preso alcuna contromisura per contrastarlo, al punto che lui stesso si è ammalato ed è stato ricoverato in una clinica di Mosca.
Kadyrov è accusato anche, sia da Amnesty international che da Novaja Gazeta, di aver aperto un campo di concentramento nel quale vengono deportati e torturati coloro che si dichiarano omosessuali.
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Dal 1993 fino al momento del brutale omicidio di Natalia nel 2009, si contano ben 415 vittime della repressione di Putin, tutte riconducibili all’evidente disegno totalitario ideato dagli apparati comunisti e criminali della ex dittatura sovietica e dal KGB, ora metamorfizzato in FSB.
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Putin, come ex ufficiale, appunto, di questo organismo delinquenziale, ne prosegue l’itinerario, nel più totale disprezzo dei diritti umani.
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Ricordiamo Natalia come eroina e come martire della libertà, in quanto vittima del post-comunismo russo e dei suoi sanguinari carnefici.
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Dissenso
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