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NATALIA
CHUSAINOVNA ESTEMIROVA
(Kamyslov,
Oblast di Sverdlovsk, 28/02/1958 – Inguscezia, 15/07/2009)
E’
stata una giornalista russa, attivista per i diritti umani in seno
all’associazione moscovita Memorial, di cui divenne rappresentante locale per
la città di Grozny (Cecenia) nel 2000.
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Memorial
è una organizzazione moscovita che si batte per il rispetto dei diritti umani e si occupa
anche della documentazione inerente al trascorso totalitarismo sovietico, e fu fondata il 28 gennaio 1989 da Andrej Sacharov, il fisico russo e attivista per i diritti umani che nel 1975 ricevette il Premio Nobel per la Pace.
La
giornalista, che stava conducendo una inchiesta sulle violazioni dei diritti
umani avvenute in Cecenia ad opera delle truppe di Putin, fu rapita da sconosciuti
il 15 luglio 2009 verso le 8.30 del mattino a Grozny, nei pressi della sua
abitazione.
Alcuni
testimoni riferiscono di aver assistito al rapimento mentre lei si avviava alla
fermata dell’autobus, a cento metri da casa sua, lungo un viale di palazzoni
con giganteschi poster del signore della guerra Ramzan Kadyrov e del Primo
Ministro Vladimir Putin, e di averla sentita urlare che la stavano sequestrando
mentre veniva caricata a forza da quattro uomini su un veicolo.
Il
cadavere di Natalia fu ritrovato alle 16.30 dello stesso giorno nella vicina
Inguscezia in un’area boschiva nei pressi del villaggio di Gazi-Yurt, crivellato da cinque colpi di arma da fuoco alla
testa e al torace.
La
giornalista si era laureata in Storia all’Università di Grozny, in Cecenia,
dove poi lavorò come insegnante di quella materia in una scuola superiore fino
al 1998.
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Durante
questo periodo, nel 1991 collaborò come corrispondente con alcuni giornali
locali come The Voice e The Worker of Grozny, e realizzò anche
per una emittente televisiva una serie di tredici brevi documentari sulle
vittime delle spedizioni punitive che l’esercito russo usava compiere
ciclicamente ai danni della popolazione.
Natalia,
che rimase vedova in seguito alla morte del marito, un poliziotto ceceno,
raccolse testimonianze sulle violazioni dei diritti umani fin dall’inizio della
Seconda guerra cecena, nel 1999, e fu costretta ad affidare la figlia ad alcuni
parenti che vivevano a Ekaterinburg per garantirne la sicurezza.
Come
giornalista collaborava spesso anche con il giornale indipendente moscovita
”Novaja Gazeta” in cui avevano lavorato Anna Politkovskaja, Anastasia Baburova
e Stanislav Markelov, prima di essere assassinati dai sicari di Putin
rispettivamente nel 2006 e nel 2009.
Natalia
documentò il lancio di missili balistici contro la città di Grozny che nel 1999
fu rasa al suolo e che provocò la morte di oltre 100 vittime civili.
Nel
2004 fu insignita dal Parlamento svedese del premio Right Livelihood Award e
nel 2005 ricevette, insieme al Presidente di Memorial Sergej Kovalev, la
medaglia Robert Schumann da parte del Gruppo del Partito Popolare
Europeo.
Due
anni dopo, nel 2007, fu insignita del Premio Anna Politkovskaja da parte della
organizzazione RAW (Reach All Women in War) per la sua attività e il suo
impegno nella difesa dei diritti umani nei contesti di guerra.
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Natalia
fu tumulata nel cimitero del suo villaggio di origine secondo il rito islamico,
mentre in suo ricordo fu organizzata una veglia a Mosca, in Piazza Puskin, nove
giorni dopo l’assassinio, come previsto dalla tradizione ortodossa.
In
quella occasione la Polizia di Putin arrestò Viktor Sotirko, il membro di
Memorial che aveva organizzato l’evento, accusandolo di aver turbato l’ordine
pubblico, a dimostrazione del fatto che l’arroganza e la dittatura del regime
imposto dal nuovo Zar era apertamente ostile ai diritti umani.
E’
proprio sulle violazioni di tali diritti che si svolgeva l’attività
investigativa e giornalistica di Natalia, impegnata nella ricostruzione di
centinaia di casi di rapimento, di torture e di esecuzioni arbitrarie attuate
dalle truppe russe in Cecenia, come avevano fatto prima di lei sia Anna Politkovsakja che Anastasia Baburova.
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In
quel preciso momento storico il Presidente russo era Dmitrij Medvedev che,
ufficialmente dichiarò il proprio sdegno per il brutale assassinio, ma appare
evidente la responsabilità dello Stato russo e la sua strategia del terrore con
cui Putin, deus ex machina dell’apparato criminale post-sovietico si era
appropriato del vero potere, gestito dietro le quinte come Capo del Governo.
La mannaia della repressione russa era già calata su migliaia di oppositori politici, di giornalisti, di avvocati,
e su chiunque si opponesse allo strapotere dittatoriale esercitato da Putin,
che non esitò mai a ricorrere all’omicidio e al massacro.
Una
serie di esecuzioni che furono meticolosamente sponsorizzate dallo Stato russo e dall’ex colonnello del KGB Vladimir Putin, salito al potere grazie agli accordi
che gli apparati dei servizi segreti strinsero con le potenti mafie di San
Pietroburgo dopo la caduta del Muro di Berlino.
Natalia
collaborava con associazioni del calibro di Memorial, di Amnesty International,
e di Human Rights Watch, le quali facevano da cassa di risonanza alle sue
inchieste, in cui si evidenziavano i crimini degli apparati militari del
Governo di Mosca in terra di Cecenia.
Oggi grazie a lei sappiamo che il
macellaio Ramzan Kadirov e le sue truppe, agli ordini di Putin, hanno perpetrato una
serie infinita di crimini contro l’umanità, seguendo uno spietato disegno genocida rivolto ad annichilire le popolazioni
cecene per appropriarsi dei loro territori.
I
colpevoli del brutale omicidio di Natalia non sono ancora stati individuati, nonostante le
proteste dei gruppi di attivisti che si battono per il rispetto dei diritti
umani in Russia e in Cecenia.
Nel
2008 la giornalista si oppose all’obbligo di indossare
il velo imposto dal Governo ceceno alle donne, e in quel frangente fu
minacciata personalmente dal Presidente
Kadyrov e definita sia come ”nemica del popolo” che come “collaboratrice dei
terroristi”.
Nel
2009 Oleg Petrovich Orlov, Presidente dell’Associazione per la difesa dei
diritti umani Memorial ha pubblicamente accusato il Presidente ceceno Ramzan Kadyrov,
alleato di Putin, della morte di Natalia Estemirova, innescando un procedimento
giudiziario che tra alti e bassi, fra ricorsi e appelli, si trascina ancora
oggi.
Orlov dichiarò :
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"Noi dichiariamo
che esistono elementi molto importanti per poter pensare che persone
appartenenti alle autorità cecene siano coinvolti nell'omicidio di Natasha.
L'ultimo suo lavoro riguardava una esecuzione avvenuta in uno dei villaggi ed è
stato questo materiale che ha causato una reazione negativa da parte di Raman
Kadyrov, secondo quanto fatto trapelare dal suo entourage".
Ramzan,
vice-ministro ceceno nel 2004, era al comando del gruppo paramilitare
governativo che collaborava con le milizie russe di Putin, operando una feroce
repressione contro il nazionalismo ceceno e contro la successiva e conseguente radicalizzazione
islamica di quei territori.
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Nel
2007, Kadyrov divenne Presidente della Repubblica cecena, instaurando un regime
brutale e sanguinario in cui l’omicidio e la tortura costituivano il suo modus
operandi, spalleggiato da Vladimir Putin, ex colonnello del KGB.
Ai
nostri giorni Kadyrov ha lungamente nascosto l’esistenza del virus Covid-19 che
circolava invece già da tempo in Cecenia, e non ha preso alcuna contromisura
per contrastarlo, al punto che lui stesso si è ammalato ed è stato ricoverato
in una clinica di Mosca.
Kadyrov
è accusato anche, sia da Amnesty international che da Novaja Gazeta, di
aver aperto un campo di concentramento nel quale vengono deportati e torturati
coloro che si dichiarano omosessuali.
Dal
1993 fino al momento del brutale omicidio di Natalia nel 2009, si contano ben
415 vittime della repressione di Putin, tutte riconducibili all’evidente disegno totalitario ideato dagli apparati comunisti
e criminali della ex dittatura sovietica e dal KGB, ora metamorfizzato in FSB.
Putin,
come ex ufficiale, appunto, di questo organismo delinquenziale, ne prosegue l’itinerario,
nel più totale disprezzo dei diritti umani.
Ricordiamo
Natalia come eroina e come martire della libertà, in quanto vittima del post-comunismo
russo e dei suoi sanguinari carnefici.
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Dissenso
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