E’ stato uno dei più grandi pugili italiani di tutti i tempi.
Nacque a Isola d’Istria, nella Slovenia italiana, il 26 aprile 1938, in un territorio a pieno titolo appartenente al Regno d’Italia, come stipulato negli accordi consensuali del Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 con il Regno di Serbia, Croazia e Slovenia.
I nuovi confini territoriali furono infatti definiti alla fine della Prima Guerra Mondiale, in cui l’Italia svolse un ruolo da vincitore.
In base agli accordi venne ammessa all’Italia la Venezia Giulia orientale, Trieste, l’Istria, Zara (Dalmazia centrale), e le isole di Cherso, Lussino, Pelagosa e Lagosta.
E’ noto a tutti oramai che fin da subito la politica del Regno slavo, nonostante gli accordi internazionali, svolse un ruolo ambiguo e criminale nei confronti dell’Italia, palesato con il finanziamento di un terrorismo dilagante in quei territori verso le popolazioni di etnia italiana.
Negli anni ’40 il nazionalismo serbo, croato, e sloveno, distinto nelle sue forme più diverse e rappresentato da gruppi armati come quello dei Domobranci, degli Ustascia, e dei Cetnici svolse un ruolo determinante nell’esasperazione conflittuale delle rivendicazioni etniche, scontrandosi non solo con la nuova entità politica rappresentata dal neonato fascismo, ma anche con le orde partigiane e comuniste del Maresciallo Tito, il nuovo Stalin dei Balcani.
Le vicende belliche dell’ultimo conflitto mondiale si avviarono alla conclusione, prima l’8 settembre 1943 con la firma dell’Armistizio fra il Regno d’Italia e le potenze cosiddette Alleate, e successivamente con la fine della guerra nel 1945.
Entrambe le date segnarono però l’inizio di un calvario per le popolazioni italiche dei territori giuliani, dell’Istria, e della Dalmazia, che divennero il bersaglio di un genocidio programmato dai comunisti slavi, finalizzato alla totale estirpazione dell’etnia italiana.
Questo disegno criminale jugoslavo ebbe lo scopo di poter affermare davanti al consesso internazionale del Trattato di Parigi del 1947 che quei territori erano popolati esclusivamente da etnie slave, e rivendicarne quindi il possesso.
A
questo scopo le orde titine, complici i comunisti italiani capitanati da
Palmiro Togliatti e i partigiani della Brigata Garibaldi sotto il comando del
criminale comunista Luigi Longo, iniziarono una metodica caccia all’italiano,
esprimendo una ferocia e un sadismo genocida devastanti.
Il PCI si espresse apertamente a favore dell’annessione di quei territori alla Jugoslavia, tradendo l’Italia e gli italiani, a favore di un disegno politico ossequioso dei dictat imposti da Mosca.
Le foibe, le fosse comuni, gli annegamenti di gruppo, la tortura e il terrore, divennero i mezzi attraverso cui il comunismo jugoslavo attuò il genocidio programmato degli italiani di quei territori, compiendo così un vero e proprio crimine contro l’umanità.
Il terrore, così come Stalin aveva insegnato ad usare, divenne endemico e capillare, al punto da indurre le popolazioni italiche ad auto esiliarsi e ad abbandonare quei territori, in cerca di una salvezza e di un rifugio che desse loro la possibilità di sottrarsi alla devastante furia del comunismo e all’odio cieco e irrazionale che ne caratterizzava l’essenza.
Nel 1954 anche Nino divenne un esule, all’età di 16 anni, dopo che la polizia di Tito, a guerra finita aveva rapito il fratello Eliano, colpevole di essere italiano.
Venne liberato solamente dopo sette mesi, tornando a casa ma diventato l’ombra di sé stesso, dimagrito e silenzioso.
Il terrore divenne parte dell’incedere quotidiano, alimentato da episodi di crudeltà dei comunisti jugoslavi, come quando uno di loro sparò a Bianca, la loro cagnetta, uccidendola per semplice “divertimento”.
Nel 1956 la mamma di Nino, estremamente angosciata, morì di crepacuore.
La polizia politica di Tito, conosciuta attraverso il famigerato acronimo di OZNA, si presentò un giorno a casa della famiglia Benvenuti affermando che da quel momento in poi l’abitazione sarebbe diventata di loro proprietà.
Nino fu così costretto ad abbandonare l’Istria e tutto il suo mondo, la sua casa, la vigna, le barche usate dalla famiglia per la pesca, la sua stessa adolescenza, le tradizioni, e a riparare a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni.
A Trieste Nino e la famiglia furono etichettati come fascisti, definiti tali non solo perché italiani ma anche perché erano scappati dall’Istria diventata comunista.
La boxe divenne la grande passione di Nino.
A Isola d’Istria (“zona B di Trieste”), nello scantinato dove abitava prima del trasferimento nella “zona A” di Trieste amministrata dall’Italia, aveva ricavato insieme al padre una sorta di palestra, delineando un ring triangolare per mezzo di corde legate alle colonne, e aveva incominciato ad allenarsi molto intensamente.
Il padre, che condivideva la sua stessa passione per il pugilato, lo aiutò ad appendere al soffitto dello scantinato un sacco pieno di foglie di mais, che Nino si esercitava a colpire picchiandovi sopra con foga, al punto che si faceva sanguinare le nocche delle mani.
Entrò a far parte dell’Accademia pugilistica di Trieste e iniziò la sua graduale ma ininterrotta ascesa verso l’Olimpo dei grandi campioni.
Nel 1957 vinse la medaglia d’Oro agli Europei di Praga e nel 1959 la rivinse agli Europei di Lucerna.
Divenne Campione olimpico dei pesi welter nel 1960 battendo per KO alla undicesima ripresa il rivale Tommaso Truppi, poi Campione mondiale dei pesi medi tra il 1967 e il 1970, vincendo anche il prestigioso premio di Fighter Of the Year nel 1968.
Nel 1961, dopo 120 vittorie da dilettante Nino passò al professionismo, vincendo fino al 1963 tutti i 29 incontri disputati, dei quali molti ottenendo la vittoria prima del limite.
Oltre all’Oro olimpico vinse anche la Coppa Val Barker, come pugile tecnicamente migliore del torneo, fregiandosi di tale riconoscimento come unico pugile italiano, insieme a Patrizio Oliva, ad averlo ottenuto.
Un desiderio di Nino, espresso per quando la vita lo abbandonerà, è che le sue ceneri vengano sparse in mare da uno scoglio di Isola d’Istria, dove il campione imparò a nuotare da bambino, nel territorio rubato all’Italia dal comunismo jugoslavo.
Nino Benvenuti ha affidato i suoi ricordi alle pagine di un libro edito da Eracle, scritto in collaborazione con Mauro Grimaldi e intitolato “L’isola che non c’è”, dedicato a Isola d’Istria, il luogo che gli diede i natali ma che ora risulta essere per lui come priva della propria identità.
In un brano estrapolato dalle sue memorie scrive :
“La prima volta che sono salito su un ring, era nel mio paese, Isola d’Istria, avevo 13 anni, dinnanzi ad una piazza gremita di gente, e il mio avversario era un compagno di palestra, Gigi Viezzoli di 16 anni, che voleva dimostrare al pubblico amico, che ci conosceva entrambi, che era lui e non io la speranza del pugilato, visto che dicevano questo di me.
Fu l’arbitro dopo tre
riprese da due minuti a venire verso di me ad alzarmi il braccio in segno di
vittoria.
Non avrebbe dovuto
farlo, il confronto era dimostrativo, ma era tale l’entusiasmo della folla ed
il suo, per quello che avevo fatto, che non poté farne a meno.
Ricordo che mi
sollevarono sulle spalle e mi fecero fare il giro della piazza”.
La storia e l’autobiografia di Benvenuti esule e Campione sono mirabilmente tratteggiate anche nella graphic novel edita da "Ferrogallico" intitolata “Nino Benvenuti. Il mio esodo dall’Istria”, realizzata in collaborazione con Mauro Grimaldi.
Oltre al già citato libro “L’isola che non c’è”, sono dello stesso autore, in relazione a Nino Benvenuti, anche altri tre saggi intitolati :
“L’orizzonte degli eventi. Appunti di vita”,
“N.Y. 1967. La notte che ha fatto sognare l’Italia. Nino Benvenuti, Emile
Griffith”,
“Diari paralleli”.
Nino Benvenuti non ha mai dimenticato che la sua storia, come quella di un intero popolo, nasce dall’umiliazione di essere stato calpestato, deriso, e strappato dalla propria terra senza che alcuna persona sia mai intervenuta a difenderlo.
Il campione nella prefazione della sua grapich novel ribadisce il concetto che tutto ciò è stato accuratamente cancellato anche dai libri di storia, allo scopo di negare la verità.
Solamente la forza di coloro che come lui non hanno mai abbassato la testa, ha consentito nonostante tutto, di conservare quella dignità che ha permesso di ridare voce alle popolazioni dei territori italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Le vicende delle foibe e delle migliaia di vittime dell’orrore comunista, così come l’esodo di 350 mila italiani che hanno dovuto abbandonare quei territori, sono state oscurate e nascoste per oltre 60 anni dall’apparato disinformatore delle sinistre.
I “guru” che pontificando nei “salotti” dell’intellettualismo “radical chic” si sono affannati per decenni a proporre triti e ritriti anacronismi legati alle vicende di “Anna Frank”, inneggiando e intonando canzonette come “bella ciao”, e puntando il dito contro il fascismo, si sono dimenticati di dire che Palmiro Togliatti, il loro leader di riferimento, condannò a morte più antifascisti lui che l’intero apparato gerarchico del ventennio di Mussolini.
L’omertoso silenzio sulle Foibe e sull’esodo epocale che costrinse gli italiani a emigrare da quei territori, appartiene al modus operandi degli eredi di Togliatti, complici morali di tali crimini, e artefici di un disegno eversivo che ancora oggi continua il percorso di odio iniziato da Stalin e proseguito da Tito e dal PCI.
Il negazionismo e il riduzionismo che emerge dalle proposizioni dei politicanti delle sinistre si scontra con l’evidenza storica dei loro stessi crimini, e delle fosse comuni che ancora oggi vengono periodicamente scoperte nei territori del genocidio degli italiani.
Molti personaggi famosi che hanno reso grande il nostro Paese provengono da quei territori, oltre a Nino benvenuti, come lo scrittore Enzo Bettiza (da Spalato), l’attrice Irma Gramatica (da Fiume), l’investigatore Tommaso Ponzi (da Pola), il pittore e scrittore Piero Tarticchio (da Gallesano), il politico Leo Valiani (da Fiume), lo scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini (da Pisino d’Istria), la ristoratrice e Chef Lidia Bastianich (da Pola), lo scienziato Silvio Ballarin (da Zara), l’attrice Laura Antonelli (da Pola), e tantissimi altri.
I negazionisti di oggi, tutti appartenenti all’universo delle sinistre e all’intellighenzia marxista, si arrovellano in proposizioni che assumono il valore di sciacallaggio morale, etico, e sociale, ignorando il genocidio degli italiani a opera dei comunisti jugoslavi,.
L’apparato delinquenziale e mistificatore che fa capo al PD e ai suoi organi di diffusione e di propaganda, trae le sue origini dal retaggio culturale o pseudo tale di un comunismo che ha prodotto cento milioni di vittime innocenti, sacrificate sull’altare del nuovo sistema burocratico marxista con cui Lenin ha imposto i suoi dictat all’intera società russa nel 1917.
Lo stravolgimento della verità e l’imposizione di pseudo assiomi nati dall’odio osmotico che permea il tessuto dell’essenza comunista sono divenuti i prodromi su cui gli eredi metamorfizzati ne hanno elaborato il costrutto, senza uscire dai collaudati binari dell’ortodossia di riferimento.
Tocca a noi oggi combattere il comunismo, ridando dignità alle tante vittime nascoste dal moloch marxista, rosso di odio e di sangue, e stringerci in un unico grande abbraccio ai mai dimenticati fratelli italiani dei territori giuliano dalmati uccisi o esiliati.
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Dissenso
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