I PRODROMI DEL GENOCIDIO ARMENO
Come si sa la posizione ufficiale degli Stati, a livello
internazionale, è quella che riconosce il genocidio, tranne la Cina e la
Turchia.
Quest’ultima in particolare ha espresso al riguardo una teoria platealmente negazionista, nonostante gli accertamenti storici che oggettivamente confermano il genocidio, asserendo che le morti sono avvenute durante le deportazioni e i trasferimenti forzati delle masse popolari, e che quindi non erano deliberate.
Oltre a ciò la Turchia minimizza sul numero delle vittime, tentando di ridimensionarlo, palesando così l’intenzione di non chiedere scusa per il crimine commesso.
Il Governo turco ha addirittura emanato una legge secondo la quale chiunque lo definisca “genocidio” è punibile con la reclusione da sei mesi a due anni, per vilipendio dell’Identità nazionale.
L’Armenia di oggi, che fu federata all’interno dell’Unione Sovietica dal 1920, ha proclamato la sua indipendenza nel 1991, entrando a far parte della CSI (Comunità Stati Indipendenti).
Da allora l’Armenia è un paese che tenta progressivamente e con fatica di costruire il proprio futuro, pur essendo partito da una situazione non facile.
Il territorio armeno è di circa 30.000 kmq, confina ad ovest con la Turchia, ad est con l’Azerbaijan, a nord con Georgia e Russia, e a sud con l’Iran, ed è quindi privo di sbocchi sul mare.
Al Paese mancano anche le risorse energetiche, ed ha quindi pagato un alto prezzo economico al momento del crollo dell’Unione Sovietica, di cui era una delle Repubbliche.
All’indomani dell’indipendenza il Governo armeno ha attuato un piano di privatizzazioni nel settore agricolo ed industriale, coadiuvandolo con un ingente contributo offerto dalla diaspora.
Questo percorso di rinascita è stato però rallentato dal conflitto con l’Azerbaijan per il controllo dei territori del Nagorno-Karabakh, una enclave armena in territorio azero che fu creata artificiosamente in epoca staliniana.
La popolazione del Nagorno-Karabakh, ufficialmente Repubblica dell’Artsakh, con capitale Sepanakert, ha rivendicato la propria indipendenza nel dicembre 1991, dopo la dissoluzione del gigante sovietico.
Da allora si sono succeduti sterili tentativi di negoziati, il cui insuccesso ha portato alla chiusura totale dei confini con l’Azerbaigian e la conseguente impossibilità di accedere alle risorse energetiche, specie petrolifere, di questo paese limitrofo.
La capitale del Nagorno è stata a lungo bombardata con missili a lungo raggio dall’esercito dell’Azerbaijan, che hanno provocato la morte di centinaia di mlitari e decine di civili.
La città è stata sventrata senza pietà, mentre l’aggressione militare è stata lodata sia dalla Turchia che dall’Iran, incentivando così il ricorso ai bombardamenti che sono infatti stati estesi alle città di Stepanakert e di Shusi e hanno colpito infrastrutture, scuole e asili.
La reazione armena non si è fatta attendere e si è concretizzata con l’uccisione di 400 militari azeri, tra cui molti terroristi dell’Isis siriano, e il ferimento di oltre 700 nemici, oltre all’abbattimento di tre aerei, un drone, e 13 veicoli corazzati.
La Turchia ha apertamente appoggiato l’invasione da parte dell’Azerbaijan del Nagorno-Karabakh, al punto che nel 2020 ha inviato 4.000 mercenari siriani dell’Isis nella regione per combattere contro gli armeni.
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Mercenari siriani dell'ISIS assoldati da Erdogan per combattere contro l'Armenia |
Ad ognuno di loro è stato concesso un ingaggio di 1.800 dollari USA al mese, per la durata di novanta giorni.
La fazione armata dell’opposizione siriana, da cui provengono le orde mercenarie, guidate dal Sultano Murat, si è resa disponibile poiché ciò rientra nell’ottica della cosiddetta “jihad” e cioè della guerra santa musulmana contro i cristiani.
Sono stati chiusi i confini con la Turchia, che non solo è alleata dell’Azerbaijan, ma con cui è aperta la dolorosa e annosa questione del riconoscimento del genocidio del 1915, sempre negato da Ankara.
Gli unici interlocutori politici ed economici per l’Armenia restano quindi l’Iran e la Russia, poiché anche con la confinante Georgia le relazioni non sono del tutto semplici, a causa di problemi creatisi nella regione georgiana di Javakheti, abitata prevalentemente da armeni.
Nel corso dell’ultimo ventennio pertanto, vista la sua delicata posizione geopolitica, l’Armenia si è vista costretta a rafforzare le proprie relazioni con Mosca, accettando, ad esempio, la presenza di basi militari russe nel proprio territorio per la durata di 25 anni, a seguito della firma di accordi bilaterali da parte dei rispettivi Ministri della Difesa siglati nel 2003.
Nel contempo però la società armena, che ha storicamente dato prova di considerevole compattezza etnica e culturale, ha negli ultimi tempi evidenziato una progressiva apertura ideologica verso l’Occidente e l’Europa.
In ambito prettamente politico-statale si deve registrare, nel 1996, l’adesione dell’Armenia all’Accordo di Partnerariato e Cooperazione con l’Unione Europea, divenendo poi anche membro del Consiglio d’Europa.
Anche a livello di opinione pubblica si registrano segnali di cambiamento, tanto che da recenti sondaggi emenge che sta aumentando in modo esponenziale il numero dei cittadini armeni che preferirebbe l’adesione dell’Armenia all’UE piuttosto che al CSI.
L’Armenia è un Paese di circa 3.200.000 abitanti, in massima parte di etnia armena, con minoranze russe, greche ed ebraiche, e la popolazione è prevalentemente urbanizzata, sia nella capitale Erevan che in altri centri come Vanadzor e Gyumri.
E’ in corso infatti un progressivo spopolamento delle aree rurali più marginali del Paese, aggravato dal fatto che le regioni del nord, già povere, sono state colpite nel dicembre 1988 da un devastante terremoto.
Dopo il genocidio del 1915 le comunità armene si sono sparse in ogni angolo del pianeta, costituendo una diaspora in cui protagonisti, pur integrandosi nelle rispettive località in cui si erano trasferiti, sono rimasti legati da un senso di appartenenza alla loro cultura originaria, alle tradizioni, agli usi, alla lingua, alla religione.
Per tutti rimane un senso di sofferenza per il fatto che ancora oggi non sia stato riconosciuto dalla Turchia quel genocidio che li condusse lontano dalla terra di origine.
Gli armeni della diaspora hanno
tuttavia dei punti di incontro e di riferimento per la conservazione del
proprio patrimonio culturale, e tra questi uno dei più importanti è sull’isola
di San Lazzaro a Venezia, che dal 1717 è sede del Monastero Mechitarista, e
dove si conserva una preziosissima raccolta di manoscritti armeni antichi,
seconda per importanza solo al Matenadaran di Erevan.
Isola di San Lazzaro degli Armeni, sede dell'Abbazia Generale della Congregazione Mechitarista dal 1717 |
Da venticinque anni, ogni estate nel mese di agosto, armeni di tutte le età, provenienti da diverse nazioni, si danno appuntamento a Venezia dove studiano o approfondiscono la lingua e la storia armene, presso i corsi organizzati dall’Associazione Padus-Araxes, in un contesto nel quale emerge l’esigenza non solo di conoscere meglio le proprie origini, ma anche di riappropriarsi di una innata “amenità”, sia che i partecipanti provengano da New York, Parigi, o Atene, e che abbiano venti, quaranta o sessant’anni.
La realtà storica odierna ci consegna
comunque una situazione in cui ancora una volta la Turchia infierisce sulla
popolazione armena, e lo fa fornendo appoggio militare ad un Azerbaijan già
forte dal punto di vista degli armamenti, essendo infatti dotato anche di
moderni droni.
Gli armeni abitano da sempre le remote
valli del Caucaso, ora rivendicate dall’Azerbaijan, il quale tenta di far
scomparire la presenza armena cancellandone le tracce, distruggendo le chiese,
bruciando le case, e reinventando la Storia, plasmandola a proprio uso e
consumo, come già fece la Turchia in un passato non troppo lontano.
E’ in questo modo che gli azeri hanno
fatto scomparire del tutto le tracce della presenza armena nei territori
dell’exclave Nakhicevan (o Naxcivan) situata all’interno dell’Armenia stessa.
In tale contesto appare sempre più
imbarazzante il silenzio di quella Unione Europea che appare sempre di più come
strumento delle sinistre, balbettante ed esitante di fronte allo stupro della
democrazia, incapace di decidere se continuare i lucrosi commerci con gli Stati
canaglia o se invece prendere decise posizioni contro le dittature e contro il
disprezzo dei diritti umani.
Appare anche significativo il legame
tra la Turchia di Erdogan e le milizie islamiche dell’Isis, i Fratelli
musulmani, conclamante il punto di incontro tra un neo ottomanesimo panslavista
e l’integralsimo islamico.
Va detto che l’Armenia, oltre ad
essersi legata alla Russia per motivi di sopravvivenza, ha seguito lo stesso
percorso allacciando rapporti amichevoli con l’Iran, e ciò ha definito per il
“gioco delle parti” anche la posizione di Israele nei suoi riguardi.
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Israele si è infatti alleata con gli
azeri, in funzione anti iraniana, interpretando il ruolo di fornitore di armi,
usate poi contro l’Armenia, mettendo così in primo piano la similitudine di due
popoli, quello armeno e quello ebraico, sopravvissuti entrambi ad un genocidio.
Per contro, risulta essere contrastante
e stridente il rapporto di equivalenza che intercorre nell’intreccio dei legami
politici, che vedono da un lato l’odio antiebraico e antisraeliano della
Fratellanza islamica di Erdogan, e dall’altro la triplice e paradossale
alleanza fra Turchia, Azerbaijan e Israele, tutti uniti nell’uso mortale dei
droni contro il popolo armeno.
Il contingente russo, stanziatosi con l’intento ufficiale di mantenere la pace, si dibatte nell’ambiguità che vede Mosca schierarsi da un lato a favore degli armeni e dall’altro come venditore di armi agli azeri.
Il conflitto etnico degli anni ’90,
sostenuto da Erevan, nel quale gli armeni del Nagorno-Karabakh si sono separati
dall’Azerbaijan, e che provocò migliaia di vittime, ha ripreso vigore nel 2020
con l’aggressione azera che ha riconquistato parte dei territori controllati
dai separatisti, costata altri 6.500 morti.
Tutti gli attori intervenuti nella
vicenda, come la Russia, Israele, la Turchia, assumono le sembianze di cani che
si contendono un osso da spolpare, e poco importa che in mezzo ci sia la
popolazione civile, stremata e in balia dell’odio che da decenni li perseguita.
L’Europa, nel luglio 2022, ha
finalmente preso una posizione sul conflitto, ma paradossalmente, in seguito al
conflitto russo-ucraino ha stabilito che prima di intervenire ufficialmente è
necessario che l’Armenia rompa i suoi stretti legami con la Russia.
D’altra parte è anche vero che
l’Armenia è un membro dell’Unione eurasiatica a trazione russa, e della Csto,
l’alleanza militare post sovietica controllata da Mosca a cui nel 1992
aderirono Russia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan.
L’intreccio di politica, etnie, religioni, interessi economici, si somma ad un retroscena tragico che ha caratterizzato la Storia del popolo armeno, schiacciato fra l’esigenza di sopravvivere e i contorsionismi imposti dalla contingenza e dalle dinamiche attuali, preda dell’odio turco e della voracità azera, in un percorso di annichilimento da cui sembra, ad oggi, molto difficile uscire.
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Dissenso
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