Il termine boat people è entrato nell'uso comune nel 1976, dopo l'invasione del Vietnam del Sud il 30 aprile 1975 da parte del regime comunista del Vietnam del Nord, guidato da Ho Chi Minh, all'epoca della nazionalizzazione delle imprese e della collettivizzazione delle terre.
In seguito
all’annullamento dei finanziamenti statunitensi al Vietnam del Sud per il 1975
e il 1976, deciso dal Congresso americano, le forze nord vietnamite comuniste
organizzarono una campagna militare contro i territori controllati da Saigon.
Dopo pesanti
bombardamenti di artiglieria le orde comuniste presero Saigon, e la
ribattezzarono Città di Ho Chi Minh, in onore dello storico capo comunista nord
vientmanita morto nel 1969.
Il Partito
comunista vietnamita unificò a forza i due Stati, formandone uno unico
socialista.
Durante l’avanzata
delle truppe comuniste verso Saigon, centinaia di migliaia di persone fuggirono
da quei territori per salvarsi dalle rappresaglie che li avrebbero colpiti se
fossero rimasti.
Le autorità
comuniste avevano infatti già annunciato che i cattolici, gli intellettuali,
gli uomini d’affari e altre categorie sociali sarebbero stati considerati come
sospetti controrivoluzionari.
Alcuni cittadini
americani erano già scomparsi, inghiottiti dal furore della vendetta comunista,
e sottoposti ad esecuzioni e decapitazioni.
Parecchie decine di
migliaia di persone, perseguitate in quanto considerate ostili al comunismo,
decisero di fuggire via mare.
Coloro che decisero di rimanere pagarono a caro prezzo la loro scelta.
Il nuovo politburo
vietnamita diede corso alla collettivizzazione delle campagne, come già aveva
fatto Mao nel 1962 in Cina e Stalin nel 1933 in Ucraina con le devastanti
conseguenze che tutti conoscono.
Il regime mise in
atto le misure più barbare contro la popolazione, come gli espropri dei beni
privati, la legge marziale, e i processi farsa nei quali i cosiddetti
“tribunali del popolo”, davanti ai quali non c’era alcuna possibilità di
difesa, infliggevano le condanne capitali alle vittime designate.
L’intera società
assunse le sembianze di una massa di miserabili, affamati e in balìa degli
aguzzini comunisti, tutti soggetti al programma di “rieducazione” imposto dal regime.
I gulag vietnamiti
fagocitarono le vite di sacerdoti, bonzi, religiosi, rappresentanti della
precedente amministrazione pubblica, intellettuali, artisti, scrittori,
studenti, appropriandosene e plasmandone la cosiddetta “rieducazione” che
consisteva nel dichiararsi colpevoli e nell’abbracciare in toto qualsiasi
enunciato del materialismo dialettico marxista.
Le tecniche coercitive applicate dal regime comunista nei confronti dei deportati si articolavano secondo una prassi consolidata attraverso due fasi principali.
In primo luogo
veniva usato lo strumento della fame, unito a quello del lavoro forzato, che
lasciava i detenuti esausti, per spezzare ogni anelito di resistenza, in una
sorta di applicazione al contario del concetto “mens sana in corpore sano”.
Secondariamente, ma
non in ordine di importanza, il regime procedeva a spogliare gli individui del
loro patrimonio intellettuale, religioso, psicologico e morale, precedentemente
acquisiti, per sostituire tutto ciò con i paradigmi concettuali propri del
marxismo e creare una sorta di riflesso condizionato che direzionasse le scelte
del soggetto da rieducare.
Oltre ai detenuti
questo trattamento disumano era inflitto anche alle famiglie, le quali venivano
espulse dalle abitazioni e costrette a vivere per la strada, mendicando per
sopravvivere poiché venivano private anche del diritto di ricevere razioni
alimentari dalle organizzazioni di quartiere, o di accedere alle cure mediche e
all’istruzione per i figli.
Nella sola città di
Saigon vennero potenziate le forze di polizia aumentando l’organico a 30.000
unità, con la scusa che ciò era necessario per mantenetre la cosidetta
“dittatura del proletariato”.
La lotta di classe
fu violenta e sanguinosa e prese di mira l’intera popolazione, sequestrando i
beni dei dirigenti d’industria, dei commercianti, delle banche e delle aziende
agricole e donandoli all “rivoluzione”.
Le famiglie
coinvolte vennero destinate al confino nelle cosiddette Nuove Zone Economiche,
e cioè in quele zone rurali abbandonate dalla popolazione che cercava rifugio
nelle città.
Il regime comunista
promise di fornire una casa e gli attrezzi da lavoro necessari, oltre ad un
aiuto economico, ma in realtà non fece nulla di tutto ciò, mandando invece le
famiglie in regioni con caratteristiche paludose oppure con fitte boscaglie e
senza alcun aiuto.
In pratica queste
zone, nelle quali era molto difficile se non impossibile riuscire a
sopravvivere, altro non erano che gulag camuffati, allo scopo di accogliere le
categorie di persone che il regime intendeva eliminare.
Qualsiasi
manifestazione di appartenenza religiosa venne severamente proibita e in
particolare la Chiesa cattolica venne perseguitata e le sue Chiese furono
chiuse.
Recentemente il
Governo comunista ha creato una nuova Chiesa, sedicente e patriottica,
indipendente da Roma, sul modello di quella cinese, allo scopo di calamitare e
controllare con questo ambiguo espediente i flussi di fedeli.
L’insegnamento
nelle scuole venne impartito non più dagli nsegnanti ma da membri del partito,
spesso incompetenti e inadatti a tale ruolo, i quali inserirono come nuova
materia di studio, obbligatoria, la “politica”.
Attraverso questo nuovo sistema “didattico” si conclamò un vero e proprio spirito di segregazione e di discriminazione scolastico, che garantì al regime il monopolio assoluto della formazione mentale degli studenti.
La Storia non solo
del Vietnam ma dell’intero pianeta venne deformata e plasmata in modo da
soddisfare i requisiti richiesti dalla propaganda comunista, mentre le
tradizioni e i valori sociali che contraddistinguevano le popolazioni
sudvietnamiite vennero estirpati e sacrificati al costume comunista.
Le uniche due
associazioni giovanili riconosciute e consentite nel Vietnam furono i “Piccoli
saggi nipoti dello zio Ho” per i bambini e la “Gioventù comunista” per gli
adolescenti, mentre l’attività didattica all’interno di questi gruppi
prevedeva, oltre all’indottrinamento, anche il ricorso all’abuso dell’innocenza
infantile, spingendo i bambini al fanatismo e a spiare e denunciare i propri
genitori e i vicini di casa.
Venne proibita
qualunque libertà di espressione e imposto il divieto assoluto di criticare il
partito comunista, pena l’accusa di essere reazionari o controrivoluzionari.
Ogni tipo di
assembramento venne vietato, e vennero tollerati solo quelli determinati da
occasioni come i matrimoni o i funerali, sempre sotto l’attenta e asfissiante
sorveglianza della polizia.
La conseguenza fu
un esodo epocale delle popolazioni sudvietnamite, che corrispose ad un flusso
di centinaia di migliaia di persone verso la Thailandia o verso Hong Kong,
attraverso le cosiddette “boat people” che atraversarono il Mare della Cina
meridionale.
Si trattava di
imbarcazioni di ogni tipo, carrette del mare, barche da pesca, vecchi
piroscafi, stracolmi di esseri umani oltre la normale capienza consentita, che
spesso affondavano causando immani tragedie.
Tutto ciò venne a
conoscenza dell’opinione pubblica internazionale, compresa quella italiana, e
questo indusse una missione umanitaria da parte della Marina Militare, la quale
inviò nell’estate del 1979 gli incrociatori “Vittorio Veneto”, “Andrea Doria” e
la nave appoggio “Stromboli” ad incrociare in quelle acque.
La missione, decisa
da Governo Andreotti si protrasse dal 4 luglio al 20 agosto e trasse in salvo
oltre 907 esseri umani, ma altri uomini, anziani, donne e bambini, aggrappati a
scialuppe fradicie attraversarono le acque del Mar Cinese meridionale, sbattuti
fra le onde, in preda di burasche e dei pirati, senza sapere quale sarebbe
stato il loro destino.
Molti di loro
furono respinti dalla Marina Malese e trovarono la morte, mentre altri furono
preda dei pirati, i quali stuprarono le donne e depredarono gli uomini.
Oggi il Vietnam è
uno dei Paesi più poveri dell’intero pianeta, a causa del fatto che la lotta di
classe e l’avidità di potere spingono la dirigenza comunista a inserire alla
guida delle imprese e delle attività commerciali, oltre che nei posti di
comando della pubblica amministrazione, solo i membri del partito che
provengono dalla classe operaia o contadina, quasi sempre ignoranti e
totalmente privi delle necessarie conoscenze tecniche e culturali, mentre gli
specialisti e gli intelettuali vengono spediti nei gulag.
Al primo periodo di
esodo dal Vietnam del 1975-1979, seguì, dopo un periodo di pausa, un secondo
esodo nel 1988-1990, la cui entità fu stimata in circa 800.000 persone.
Ne furono
protagonisti, per la maggior parte, i vietnamiti che non trovarono un
inserimento nelle nuove strutture socio-politiche-economiche di tipo nord-vietnamita,
ma anche numerosissimi cinesi residenti in Vietnam,
vittime dello stato di conflitto politico allora esistente con la Cina.
Il terribile
fenomeno dei "Boat people" del Vietnam venne anche descritto dalla
regista Ann Hui nel
film "Boat people" (1982), distribuito in Italia col titolo di
“Passaporto per l’inferno”.
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Dissenso
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