giovedì 4 agosto 2022

Il Vietnam comunista e le boat people

 

Il termine boat people è entrato nell'uso comune nel 1976, dopo l'invasione del Vietnam del Sud il 30 aprile 1975 da parte del regime comunista del Vietnam del Nord, guidato da Ho Chi Minh,  all'epoca della nazionalizzazione delle imprese e della collettivizzazione delle terre.

In seguito all’annullamento dei finanziamenti statunitensi al Vietnam del Sud per il 1975 e il 1976, deciso dal Congresso americano, le forze nord vietnamite comuniste organizzarono una campagna militare contro i territori controllati da Saigon.

Dopo pesanti bombardamenti di artiglieria le orde comuniste presero Saigon, e la ribattezzarono Città di Ho Chi Minh, in onore dello storico capo comunista nord vientmanita morto nel 1969.

Il Partito comunista vietnamita unificò a forza i due Stati, formandone uno unico socialista.

Durante l’avanzata delle truppe comuniste verso Saigon, centinaia di migliaia di persone fuggirono da quei territori per salvarsi dalle rappresaglie che li avrebbero colpiti se fossero rimasti.

Le autorità comuniste avevano infatti già annunciato che i cattolici, gli intellettuali, gli uomini d’affari e altre categorie sociali sarebbero stati considerati come sospetti controrivoluzionari.

Alcuni cittadini americani erano già scomparsi, inghiottiti dal furore della vendetta comunista, e sottoposti ad esecuzioni e decapitazioni.

Parecchie decine di migliaia di persone, perseguitate in quanto considerate ostili al comunismo, decisero di fuggire via mare.


Coloro che decisero di rimanere pagarono a caro prezzo la loro scelta.

Il nuovo politburo vietnamita diede corso alla collettivizzazione delle campagne, come già aveva fatto Mao nel 1962 in Cina e Stalin nel 1933 in Ucraina con le devastanti conseguenze che tutti conoscono.

Il regime mise in atto le misure più barbare contro la popolazione, come gli espropri dei beni privati, la legge marziale, e i processi farsa nei quali i cosiddetti “tribunali del popolo”, davanti ai quali non c’era alcuna possibilità di difesa, infliggevano le condanne capitali alle vittime designate.

L’intera società assunse le sembianze di una massa di miserabili, affamati e in balìa degli aguzzini comunisti, tutti soggetti al programma di “rieducazione” imposto dal regime.

I gulag vietnamiti fagocitarono le vite di sacerdoti, bonzi, religiosi, rappresentanti della precedente amministrazione pubblica, intellettuali, artisti, scrittori, studenti, appropriandosene e plasmandone la cosiddetta “rieducazione” che consisteva nel dichiararsi colpevoli e nell’abbracciare in toto qualsiasi enunciato del materialismo dialettico marxista.

Le tecniche coercitive applicate dal regime comunista nei confronti dei deportati si articolavano secondo una prassi consolidata attraverso due fasi principali.

In primo luogo veniva usato lo strumento della fame, unito a quello del lavoro forzato, che lasciava i detenuti esausti, per spezzare ogni anelito di resistenza, in una sorta di applicazione al contario del concetto “mens sana in corpore sano”.

Secondariamente, ma non in ordine di importanza, il regime procedeva a spogliare gli individui del loro patrimonio intellettuale, religioso, psicologico e morale, precedentemente acquisiti, per sostituire tutto ciò con i paradigmi concettuali propri del marxismo e creare una sorta di riflesso condizionato che direzionasse le scelte del soggetto da rieducare.

Oltre ai detenuti questo trattamento disumano era inflitto anche alle famiglie, le quali venivano espulse dalle abitazioni e costrette a vivere per la strada, mendicando per sopravvivere poiché venivano private anche del diritto di ricevere razioni alimentari dalle organizzazioni di quartiere, o di accedere alle cure mediche e all’istruzione per i figli.



Nella sola città di Saigon vennero potenziate le forze di polizia aumentando l’organico a 30.000 unità, con la scusa che ciò era necessario per mantenetre la cosidetta “dittatura del proletariato”.

La lotta di classe fu violenta e sanguinosa e prese di mira l’intera popolazione, sequestrando i beni dei dirigenti d’industria, dei commercianti, delle banche e delle aziende agricole e donandoli all “rivoluzione”.

Le famiglie coinvolte vennero destinate al confino nelle cosiddette Nuove Zone Economiche, e cioè in quele zone rurali abbandonate dalla popolazione che cercava rifugio nelle città.

Il regime comunista promise di fornire una casa e gli attrezzi da lavoro necessari, oltre ad un aiuto economico, ma in realtà non fece nulla di tutto ciò, mandando invece le famiglie in regioni con caratteristiche paludose oppure con fitte boscaglie e senza alcun aiuto.

In pratica queste zone, nelle quali era molto difficile se non impossibile riuscire a sopravvivere, altro non erano che gulag camuffati, allo scopo di accogliere le categorie di persone che il regime intendeva eliminare.

Qualsiasi manifestazione di appartenenza religiosa venne severamente proibita e in particolare la Chiesa cattolica venne perseguitata e le sue Chiese furono chiuse.

Recentemente il Governo comunista ha creato una nuova Chiesa, sedicente e patriottica, indipendente da Roma, sul modello di quella cinese, allo scopo di calamitare e controllare con questo ambiguo espediente i flussi di fedeli.

L’insegnamento nelle scuole venne impartito non più dagli nsegnanti ma da membri del partito, spesso incompetenti e inadatti a tale ruolo, i quali inserirono come nuova materia di studio, obbligatoria, la “politica”.

Attraverso questo nuovo sistema “didattico” si conclamò un vero e proprio spirito di segregazione e di discriminazione scolastico, che garantì al regime il monopolio assoluto della formazione mentale degli studenti.

La Storia non solo del Vietnam ma dell’intero pianeta venne deformata e plasmata in modo da soddisfare i requisiti richiesti dalla propaganda comunista, mentre le tradizioni e i valori sociali che contraddistinguevano le popolazioni sudvietnamiite vennero estirpati e sacrificati al costume comunista.

Le uniche due associazioni giovanili riconosciute e consentite nel Vietnam furono i “Piccoli saggi nipoti dello zio Ho” per i bambini e la “Gioventù comunista” per gli adolescenti, mentre l’attività didattica all’interno di questi gruppi prevedeva, oltre all’indottrinamento, anche il ricorso all’abuso dell’innocenza infantile, spingendo i bambini al fanatismo e a spiare e denunciare i propri genitori e i vicini di casa.

Venne proibita qualunque libertà di espressione e imposto il divieto assoluto di criticare il partito comunista, pena l’accusa di essere reazionari o controrivoluzionari.

Ogni tipo di assembramento venne vietato, e vennero tollerati solo quelli determinati da occasioni come i matrimoni o i funerali, sempre sotto l’attenta e asfissiante sorveglianza della polizia.

La conseguenza fu un esodo epocale delle popolazioni sudvietnamite, che corrispose ad un flusso di centinaia di migliaia di persone verso la Thailandia o verso Hong Kong, attraverso le cosiddette “boat people” che atraversarono il Mare della Cina meridionale.

Si trattava di imbarcazioni di ogni tipo, carrette del mare, barche da pesca, vecchi piroscafi, stracolmi di esseri umani oltre la normale capienza consentita, che spesso affondavano causando immani tragedie.

Tutto ciò venne a conoscenza dell’opinione pubblica internazionale, compresa quella italiana, e questo indusse una missione umanitaria da parte della Marina Militare, la quale inviò nell’estate del 1979 gli incrociatori “Vittorio Veneto”, “Andrea Doria” e la nave appoggio “Stromboli” ad incrociare in quelle acque.



La missione, decisa da Governo Andreotti si protrasse dal 4 luglio al 20 agosto e trasse in salvo oltre 907 esseri umani, ma altri uomini, anziani, donne e bambini, aggrappati a scialuppe fradicie attraversarono le acque del Mar Cinese meridionale, sbattuti fra le onde, in preda di burasche e dei pirati, senza sapere quale sarebbe stato il loro destino.

Molti di loro furono respinti dalla Marina Malese e trovarono la morte, mentre altri furono preda dei pirati, i quali stuprarono le donne e depredarono gli uomini.




Oggi il Vietnam è uno dei Paesi più poveri dell’intero pianeta, a causa del fatto che la lotta di classe e l’avidità di potere spingono la dirigenza comunista a inserire alla guida delle imprese e delle attività commerciali, oltre che nei posti di comando della pubblica amministrazione, solo i membri del partito che provengono dalla classe operaia o contadina, quasi sempre ignoranti e totalmente privi delle necessarie conoscenze tecniche e culturali, mentre gli specialisti e gli intelettuali vengono spediti nei gulag.

Al primo periodo di esodo dal Vietnam del 1975-1979, seguì, dopo un periodo di pausa, un secondo esodo nel 1988-1990, la cui entità fu stimata in circa 800.000 persone.

Ne furono protagonisti, per la maggior parte, i vietnamiti che non trovarono un inserimento nelle nuove strutture socio-politiche-economiche di tipo nord-vietnamita, ma anche numerosissimi cinesi residenti in Vietnam, vittime dello stato di conflitto politico allora esistente con la Cina.

Il terribile fenomeno dei "Boat people" del Vietnam venne anche descritto dalla regista Ann Hui nel film "Boat people" (1982), distribuito in Italia col titolo di “Passaporto per l’inferno”.

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Dissenso

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