sabato 3 settembre 2022

Zoja Svetova, paladina dei diritti umani nella Russia di Putin

Zoja Svetova è nata a Mosca, in Russia, il 17 marzo 1959, da Zoja Krakhmalnikova e Felix Svetov.

Il nonno paterno, Grigorij Fridljand, famoso storico, venne fucilato da Stalin nel corso delle repressioni del 1937, mentre la nonna conobbe sia il carcere che il confino, così come i suoi genitori, finiti nel mirino dell’apparato comunista.

Nel 1956 il nonno venne riabilitato post mortem, e i suoi libri ripubblicati, ma qualche decennio dopo, nel 1982, fu arrestata anche la mamma di Zoja, anche lei giornalista, in seguito alla nuova legge sulla censura varata dal Cremlino che vietava di pubblicare libri all’estero.

A quel tempo Zoja aveva 23 anni ed era in casa con il figlio di 4 mesi quando il KGB bussò alla loro porta.

Gli agenti perquisirono tutta la casa, poi arrestarono la mamma e la portarono via, con l’accusa di “agitazione e propaganda antisovietiche, mirate al sovvertimento dell’assetto costituzionale sovietico”.

La sua colpa fu quella di aver compilato testi a carattere religioso in raccolte cristiane che batteva a macchina e che venivano successivamente diffuse come samizdat e pubblicate da “Posevil”, una casa editrice dell’emigrazione russa in Germania.

Fu condannata a un anno di carcere e sei anni di confino in Siberia e si ritrovò così, insieme al papà di Zoja, Feliks Svetov, il quale nel 1985 aveva avuto la stessa pena per aver firmato appelli in sostegno di Andrej Sacharov, entrambi nel villaggio siberiano di Ust-Koksa sui monti Altai, a seimila chilometri da Mosca.

Zoja potè rivedere i suoi genitori solamente nel 1987 quando Michail Gorbacev concesse l’amnistia a tutti i prigionieri politici.

Da allora Zoja Svevtova decise di diventare giornalista e difensore dei diritti umani.

Si è sposata con Viktor Dzyadko, con cui ha 4 figli, Anna, Philip, e Timofey, e Tikhon, il più piccolo, che divenne caporedattore di TV Rain, un canale di informazione il quale fu chiuso da Putin, e in seguito a ciò scelse di esiliarsi in Georgia o in Lettonia per sfuggire all’ondata di repressione.

Nel 1982 si è laureata presso l’Istituto Pedagogico Statale di Lingue Straniere “Maurice Thorez” di Mosca.




Dal 1991 al 1993 ha lavorato presso la rivista “Family and School”, sulle cui pagine ha pubblicato alcuni articoli che l’hanno messa nel mirino della FSB, la polizia segreta di Putin.

L’apparato poliziesco del regime russo, in occasione di un ciclo di indagini sull’oligarca Mikhil Khodorkovsky, ha perquisito la casa della giornalista sequestrandole sia l’Pad su cui lei annotava le sue ricerche di lavoro che altri dispositivi informatici, oltre al telefono  cellulare del marito.

Dal 1993 al 2001 ha lavorato come editorialista per il quotidiano “Russian Thought”.

E’ autrice del libro intitolato “Gli innocenti saranno colpevoli. Appunti di un’idealista”.

Ha scritto molti articoli, pubblicati su testate quali:

Kommersant, Russian Telegraph, Moscow News, Obshchaya Gazeta, Novaja Gazeta, Moskovskiye Novosti, Yezhenedelny Zhurnal, e su riviste come: Spark, Weekly magazine, e Itogi.

I suoi articoli sono stati tradotti e pubblicati nelle edizioni francesi di France Soir, Le quotidien (Lussemburgo), La Depeche du midi, e Quest-France.

Dal 1994 al 1999 è stata corrispondente dell’Ufficio moscovita di RFI (Radio France Internationale), l’emittente radiofonica Statale francese che, trasmettendo 24 ore al giorno in 12 lingue diverse, ha un seguito di 37 milioni di ascoltatori nel mondo.

Dal 1999 al 2001 è stata corrispondente dell’Ufficio moscovita del quotidiano di sinistra “Liberation”, fondato nel 1973 da Jean-Paul Sartre e Serge July.

Dal 2000 al 2002 ha lavorato in qualità di esperta e consulente presso la Fondazione Soros sui programmi relativi allo sviluppo del diritto, della magistratura e del tema dei diritti umani in Russia.

Dal 2001 al 2003 ha lavorato presso il quotidiano moscovita “Novye Izvestia”, critico nei confronti del Governo di Vladimir Putin e sulla sua influenza negativa per le libertà democratiche dei cittadini russi.

Dal 2002 al 2004, Zoja Svetova è stata rappresentante dell'organizzazione internazionale “Reporters sans frontières” a Mosca, sostenendo i giornalisti incarcerati in relazione alle loro attività professionali.

Dal 2003 al 2004 ha collaborato come inviato speciale del quotidiano russo “Russkiy Kurier”, fondato da Igor Golembiovsky, ex giornalista di Novye Izvestiya, licenziato perché troppo critico nei confronti del Governo retto da Vladimir Putin.

Ha vinto il premio giornalistico "Arbitrariness in the Law" nel 2003 nella "Nomination per la violazione dei diritti individuali" e, nello stesso anno, è stata Vincitrice del Premio nazionale della stampa dell'Unione dei giornalisti della Federazione russa e di Amnesty International per i diritti umani e il rafforzamento della società civile in Russia.

 

Le è stato consegnato il Diploma del Premio Andrei Sacharov “Per il giornalismo come atto”, nel 2003 e nel 2004.

 

Dal 2004 al 2005 è stata redattore del dipartimento di politica interna per il giornale “Russkiy Kurier”.

Dal 2008 al 2016 ha lavorato preso la Public Monitoring Commission (PMC) di Mosca presso l’emittente “Radio Free Europe/Radio Liberty”.

Ha potuto così monitorare e supervisionare la situazione generale della città di Mosca in relazione alle dinamiche dei diritti umani, ma ha poi dovuto lasciare l’incarico per motivi legali, cadidandosi al Comitato di sorveglianza della Repubblica di Mordovia.

La sua candidatura è stata però respinta poiché l’FSB si è opposta.

Si è così dedicata ad effettuare frequenti visite di controllo presso la prigione moscovita di Lefortovo, la quale dipende ufficialmente dal Ministero della Giustizia, ma in realtà obbedisce ai dictat dell’FSB.



Carcere di Lefortovo, a Mosca

Durante le sue visite Zoja ha scoperto molte violazioni dei diritti umani, constatando che molti dei prigionieri non avevano neppure un avvocato, oppure non era loro permesso di incontrarlo.

Nel 2009 ha vinto il Premio Gerd Bucerius Free Press of Eastern Europe Award e, nel dicembre dello stesso anno, è diventata editorialista per la rivista The New Times.

Nel 2010 ha vinto il premio Moscow Helsinki Group Human Rights Award.

Il suo impegno per la difesa dei diritti umani si è palesato nel 2014 firmando un appello in cui si chiedeva il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina.

Ha vinto il premio pubblicistico “Libmission 2018” nella nomination "Per il coraggio nel sostenere i valori liberali", dopo aver pubblicato una serie di articoli sui portali MBH.media e Radio Liberty, dedicati alle persone che sono state incarcerate dal regime.

Nel 2020 il Presidente francese Emmanuel Macron ha conferito a Zoja Svetova il titolo di Cavaliere dell’ordine della Legion d'Onore.

Al di là delle date che scandiscono la sua carriera giornalistica e la sua biografia, va detto che occorre citare Zoja soprattutto per la sua incommensurabile statura morale, che le ha consentito di non piegarsi alla dittatura di Putin, nel cercare sempre di difendere i deboli e gli oppressi.

Ha preso a cuore molti casi di ingiustizia del regime contro i dissidenti, tra cui quello del regista ucraino Oleg Sentsov, condannato in Russia nel 2014 a venti anni di prigione con l'accusa di terrorismo, perché imputato di complottare per far saltare in aria una statua di Vladimir Lenin in Crimea.




Zoja ha affermato che non esisteva alcuna prova di questo presunto crimine, ma il regista fu ugualmente incarcerato perché si era dichiarato contrario all’annessione della Crimea da parte della Russia e palesando molto attivamente le sue simpatie verso il popolo ucraino, adoperandosi per facilitare il ritiro del loro personale militare intrappolato nelle basi della penisola, e fornendo loro cibo e rifornimenti.

Detenuto per oltre un anno nella prigione moscovita di Lefotovo, tristemente famosa per essere stata un luogo dell’orrore staliniano, nella quale Sentsov fu sottoposto a brutali torture, senza però mai dichiararsi colpevole, venne infine deportato da Putin in un gelido gulag degli Urali polari, nella Siberia centro settentrionale, a Labytnangi, nel circondario di Jamalo-Nenec.

Il suo caso ha mobilitato la solidarietà internazionale che ne ha chiesto il rilascio a più riprese, ma il regista è stato rilasciato solo nel 2019 nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Ucraina e Russia che prevedeva la liberazione di 35 detenuti per parte.

Zoja Svetova si è schierata anche contro il trattamento ricevuto dall'attivista e ricercatore careliano Yuri Dmitriev, il quale nel corso di 30 anni di studi e ricerche ha scoperto 236 fosse comuni di persone uccise durante l'era staliniana.

Dopo i ritrovamenti, i luoghi degli eccidi sono diventati siti commemorativi delle vittime delle repressioni comuniste, a molte delle quali Dmitriev è riuscito a dare un nome cognome.

Il ricercatore ha pubblicato anche i nomi dei carnefici dell’NKVD, i cui discendenti oggi lavorano nelle stesse strutture metamorfizzate (FSB), che sono state il fulcro dell’orrore staliniano.

Questo è il motivo per cui l’apparato poliziesco di Putin non vuole che si sappiano i nomi dei criminali che hanno commesso tali orrori, chiudendo la bocca a Dmitriev con una condanna, nel dicembre 2021, a 15 anni di detenzione.

Ecco un mio articolo su di lui, al seguente link :  DMITRIEV

Zoja Svetova ha anche affermato che molti casi di violazioni dei diritti umani non vengono mai riportati dai media, compresi quelli delle molte persone che sono incarcerate nonostante siano gravemente malate.

Putin ha trasformato la Giustizia russa in uno strumento di potere, docile e manipolabile, asservito ai suoi dictat e alle sue esigenze.

I Giudici sono diventati il mezzo con cui la Magistratura russa compiace il potere politico, rappresentato da Putin, usando le condanne come un manganello per colpire le vittime designate, in un ciclo perverso nel quale le assoluzioni degli imputati non arrivano all’uno per cento del totale dei processi.

Quando vengono procssati coloro che sono ritenuti da Putin nemici del Potere, gli stessi giudici ricevono chiare indicazioni su quale verdetto emettere e che durata debba avere la pena.

Solamente nei casi in cui sia presente una giuria popolare si riscontra un aumento delle assoluzioni pari al 15 %, ma non di rado gli elementi che compongono la Giuria vengono scelti tra coloro che fanno indirettamente parte dell’apparato repressivo stesso.

Dal 22 marzo 2022 la giornalista è impossibilitata a scrivere articoli, a seguito della feroce repressione putiniana, per mezzo della quale i giornalisti sono imbrigliati in una ferrea censura che proibisce loro di fornire informazioni, soprattutto sulla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, pena una condanna a 15 anni di carcere.

Anche i singoli cittadini non possono protestare contro la guerra, nemmeno pacificamente, come comprovano gli oltre mille arresti settimanali eseguiti dalla FSB nelle città russe.

Dopo tre o quattro fermi di polizia i recidivi rischiano un processo penale e una condanna a quattro anni di carcere.

Zoja ha perso il marito nel 2020 e passa le giornate prepando fascicoli e inchieste per il futuro, per quando avrà la libertà di poter pubblicare i suoi scritti.

Nel 2022 Putin ha obbligato il giornale Novaja Gazeta, su cui scriveva Zoja, e prima di lei Anna Politkovskaja e Anastasia Baburova, a sospendere le pubblicazioni, uccidendo definitivamente il giornalismo indipendente in Russia, e facendo retrocedere il Paese ai tempi bui del totalitarismo comunista dell’era sovietica.

Vladimir Putin non è più la guida di un Paese democratico o di un Paese autoritario, ma un dittatore che spaventa il mondo intero attraverso la minaccia nucleare.



La sua arroganza è pari solo alla sua ferocia, e lo dimostrano le aggressioni della Cecenia, completamente rasa al suolo, e della Georgia, oltre all’invasione della Crimea e del Donbass, fino all’ultima manifestazione di onnipotenza con cui ha mosso il suo esercito contro lo Stato sovrano dell’Ucraina.

La repressione della libera informazione ha costretto decine di giornalisti a lasciare la Russia, e l’invasione dell’Ucraina ha aggravato la situazione.

Zoja ha dichiarato che “Oltre cento leggi repressive sono state varate in questi anni e almeno quaranta media indipendenti sono stati dichiarati agenti stranieri”.

Putin è intenzionato a riportare il Paese all’epoca sovietica, fermando la Storia e imponendo il totalitarismo e la censura, privando le persone della libertà e sacrificando la Pace.




Il motivo per cui Putin odia l’Ucraina va riceracato proprio nel fatto che l’intera cittadinanza di quel paese sovrano ha deciso con determinazione di essere indipendente, fin dai tempi della Rivoluzione arancione, e cioè dalle azioni di protesta del 2004-2005 seguite poi nel 2014 dalla rivolta di Piazza Maidan.

Putin odia ferocemente il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che si è frapposto ai suo piani egemonici, e intende radere al suolo l’intero Paese  e sostituirlo con una marionetta del Cremlino, esattamente come ha fatto con Cecenia e Crimea.

Per realizzare i suoi piani, il sociopatico russo si è contornato di agenti dei servizi speciali, eredi di quei cekisti che cavalcarono il terrore staliniano, affidando a loro la gestione delle forze di polizia, del sistema giudiziario e di quello carcerario, in un carosello di abusi che si sono succeduti in modo esponenziale dalla sua ascesa al potere.

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Dissenso

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