giovedì 15 giugno 2023

Gli assassini comunisti protetti da Macron con il silenzio complice di Sergio Mattarella e Giorgia Meloni.

 

Mentre Giorgia Meloni si è recentemente profusa in sorrisi e strette di mano compiacenti verso il Presidente francese Emmanuel Macron, anche Sergio Mattarella, l’attuale inquilino del “Colle”, ha inaugurato ieri con lui una esposizione artistica al Louvre parigino seguita da una cena all’Eliseo.

Il canuto rappresentante delle italiche volontà, accompagnato dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha stigmatizzato e testimoniato il rapporto di reciproca fiducia che intercorre tra Italia e Francia, segno, a suo dire, di un rapporto di stima e di fiducia che lega entrambi.

Non una parola però sul fatto che la Francia, per voce delle sue toghe rosse, abbia recentemente negato definitivamente l’estradizione richiesta dall’Italia per ben 10 assassini italiani rifugiatisi oltr’Alpe perché condannati dalla Magistratura per i reati commessi.

Vediamo nel dettaglio chi sono questi personaggi che la Francia ha voluto tutelare ad ogni costo, complice il silenzio squallido del Governo italiano rappresentato da Giorgia Meloni e dal Presidente Sergio Mattarella, nel totale disprezzo delle vittime e dei loro familiari.

In ordine alfabetico:

TERRORISTA NUMERO 1

Alimonti Giovanni , classe 1955, ha 68 anni ed è un ex terrorista della formazione Brigate Rosse-Partito comunista combattente.

Tra i vari delitti per cui risulta condannato figura anche il tentato omicidio del vice dirigente della DIGOS di Roma Nicola Simone del 6 gennaio 1982, nel corso del quale è rimasto a sua volta ferito all’avambraccio destro.

Deve scontare  11 anni per banda armata e associazione terroristica, concorso in violenza privata aggravata, concorso in falso in atti pubblici e altri reati in quanto colpito da ordine di esecuzione pena emesso il 13 marzo 2008 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma.

TERRORISTA NUMERO 2

Bergamin Luigi, classe 1948, è un ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac).

Fu condannato a 25 anni per associazione sovversiva, banda armata e concorso negli omicidi commessi da Cesare Battisti, sia del maresciallo Antonio Santoro che dell'agente Andrea Campagna, avvenuti nel '78 e '79, otre a quello del macellaio veneziano Lino Sabbadin, colpevole di essere iscritto al Movimento Sociale Italiano.

La Procura di Milano ha emesso nei suoi riguardi un nuovo ordine di esecuzione firmato dal pm Adriana Blasco, che porta la pena residua definitiva da 16 anni, 11 mesi e 1 giorno a 18 anni, 11 mesi e 1 giorno superando un errore nel calcolo della prescrizione da parte dei giudici in passato.

TERRORISTA NUMERO 3

Calvitti Enzo,  nato a Mafalda (Campobasso) nel 1955, e che ha quindi oggi 68 anni di età, è stato uno dei capi della colonna romana delle Brigate rosse.

Fu condannato a 21 anni di carcere per tentato omicidio di un funzionario di Polizia.

Colpito da un ordine di esecuzione pena emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, deve espiare la pena di 18 anni, 7 mesi e giorni 25 di reclusione e la misura di sicurezza della lìbertà vigilata per 4 anni, per i reati di associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo, ricettazione di armi, come da sentenza del 6 marzo 1992 della Corte d’Assise d’Appello di Roma.

 TERRORISTA NUMERO 4

Cappelli Roberta, anche lei 68enne, è una ex brigatista rossa.

Ha una condanna all'ergastolo per associazione con finalità di terrorismo, per concorso in rapina aggravata, per concorso in omicidio aggravato per gli omicidi del Generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi, dell’agente di Polizia Michele Granato e del vicequestore Sebastiano Vinci, e per concorso nel sequestro Cirillo.

In Francia  vive facendo l'insegnante di sostegno per i bambini disabili, come se tutti i suoi crimini non fossero mai esistiti.

TERRORISTA NUMERO 5

Di Marzio Maurizio, nato a Trivento (Campobasso), 63enne (classe 1961),  ex Brigatista rosso, deve scontare 15 anni per vari reati, tra cui il tentato sequestro dell'ex dirigente della Digos di Roma, Nicola Simone, avvenuto il 6 gennaio 1982.

Il suo nome è legato anche all'attentato al dirigente dell'ufficio provinciale del collocamento di Roma Enzo Retrosi, e per quello contro Giuseppe Macagna (Docente universitario), entrambi nel 1981.

Anche lui, grazie alle “toghe rosse” della magistratura francese vive da molti anni a Parigi, dove ha gestito un noto Ristorante chiamato “Baraonda”.

TERRORISTA NUMERO 6

Manenti Narciso, nato nel 1957, è un 65enne ex membro dei Nuclei armati per il contropotere territoriale/Guerriglia proletaria.

Deve scontrare una condanna all'ergastolo per l'omicidio aggravato dell'appuntato dei Carabinieri Giuseppe Gurrieri, assassinato a Bergamo il 13 marzo 1979 davanti al di lui figlio adolescente in uno studio medico dove aveva fatto irruzione per sequestrare un medico che lavorava presso il carcere di Bergamo.

È sposato dal 1985 con una francese dalla quale ha avuto 3 figli ed è oggi nonno.

Qualsiasi persona dotata di un minimo di umanità può chiedersi come faccia a guardare negli occhi i nipoti dopo che ha ammazzato il padre di un bambino della loro stessa età.

TERRORISTA NUMERO 7

Petrella Marina ha ora 69 anni (classe 1954) ed è una ex Brigatista rossa.

E’ stata condannata all’ergastolo per l'omicidio del generale Galvaligi e per il sequestro del giudice Giovanni D’Urso e dell’assessore regionale della Democrazia Cristiana, Ciro Cirillo.

Ha usufruito della protezione dell’ex Presidente Sarkozy, la cui moglie Carla Bruni è sempre stata sospettata di aver fornito le coperture che garantirono al terrorista Cesare Battisti di lasciare la Francia per il Brasile.

Nel 2008 Nicolas Sarkozy fermò la sua estradizione in Italia adducendo pretestuose “ragioni umanitarie”.

Lavora per un'associazione che si occupa di problematiche legate agli anziani.

E’ sposata con il brigatista Luigi Novelli da cui ha avuto una figlia in carcere in Italia.

Ha un’altra figlia frutto di una  seconda unione sentimentale dopo la sua fuga in Francia.

La figlia maggiore ha chiesto l'amnistia per la madre. 

TERRORISTA NUMERO 8

Pietrostefani Giorgio, è stato uno dei fondatori di Lotta Continua.

Venne condannato a 22 anni come mandante dell'omicidio del commissario Calabresi, avvenuto il 17 maggio 1972, commesso da Ovidio Bompressi insieme a Sofri Adriano e a Leonardo Marino, autista del commando omicida e poi accusatore dello stesso Bompressi.

Abruzzese d’origine, oggi ha 80 anni, vissuti tranquillamente da uomo libero in Francia, dove ha avuto anche un trapianto di fegato.

Questi criminali hanno potuto contare, nonostante le condanne per i crimini commessi, sul favore di molti intellettuali della sinistra, come ad esempio Dario Fo, che mise addirittura in piedi un nuovo spettacolo “ad hoc” per sostenere la battaglia per la liberazione di Sofri, Bompressi, e Pietrostefani.

TERRORISTA NUMERO 9

Tornaghi Sergio, 65enne, è un ex brigatista rosso, appartenente alla colonna milanese Walter Alasia.

E' stato condannato all'ergastolo per il reato di "banda armata", per l'omicidio di Renato Briano, direttore generale della "Ercole Marelli",  per l'omicidio del Maresciallo Francesco Di Cataldo.

TERRORISTA NUMERO 10

Ventura Raffaele, 71enne, militava in “Autonomia Operaia”, poi in “Formazioni comuniste combattenti”.

Fu condannato a 20 anni per concorso morale nell'omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra, avvenuto a Milano il 14 maggio 1977 durante una manifestazione della sinistra extraparlamentare.

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Oltre a questi 10 personaggi, che rappresentano parte della feccia comunista che insanguinò l’Italia nel periodo cosiddetto degli “anni di piombo”, e che hanno beneficiato della assurda benevolenza dei magistrati francesi, ve ne sono altri che continuano a godere della protezione degli sciacalli togati d’oltralpe nel totale disprezzo della Giustizia.

La lista dei vigliacchi terroristi che, prima hanno colpito le loro vittime a tradimento, e poi sono scappati a gambe levate in Francia, è la seguente, in ordine alfabetico, compresi coloro per un qualche motivo sono sfuggiti alle maglie della Giustizia e che ora vivono da uomini liberi in Italia:

TERRORISTA NUMERO 11

Canfora Massimo è nato a Milano e ha fatto parte delle organizzazioni criminali seguenti: Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria, Lotta Continua, Prima Linea.

Partecipò attivamente all’evasione di quattro detenute nel carcere di Rovigo, in cui la bomba utilizzata per far crollare il muro di cinta del carcere causò la morte di un passante, Angelo Furlan.

Fu condannato all’ergastolo nel 1983 e incarcerato nel penitenziario  di Piacenza, dal quale riuscì a scappare per rifugiarsi in Francia.

In quel Paese, che ospita i terroristi comunisti assassini, si è sposato, ed è diventato un imprenditore nel settore dell’Editoria, pubblicando la rivista Modem.

TERRORISTA NUMERO 12

Filippi Paola, nata a Padova, oggi 68enne, faceva parte dell’organizzazione armata criminale  comunista “Proletari Armati per il Comunismo” (PAC).

Fu condannata all’ergastolo per l’omicidio dell’agente della Digos Andrea Campagna, avvenuto a Milano  il 19 aprile 1979.

Scappò in Francia nel 1982, dove le fu concessa la cittadinanza francese perché non potesse essere più estradata.

TERRORISTA NUMERO 13

Giorgieri Simonetta è una ex appartenente alle Brigate Rosse e primula rossa del terrorismo comunista.

Fu condannata all’ergastolo per l’omicidio Moro e perchè implicata nei delitti di Massimo D’Antona (1999) e Marco Biagi (2002).

TERRORISTA NUMERO 14

Grecchi Walter era un attivista comunista di Autonomia Operaia.

Grecchi è l'individuo
al centro della foto

E’ stato condannato insieme a Giuseppe Memeo per concorso morale nell’omicidio del vicebrigadiere della celere Antonio Custra avvenuto il 14 maggio 1977 durante una manifestazione di estrema sinistra.

Scelse la latitanza, stabilendosi a Parigi dove vive libero.

Ha chiesto la Grazia allo Stato italiano.

TERRORISTA NUMERO 15

Negri Toni (Ex appartenente  a Autonomia Operaia e a Potere Operaio).

Fu processato e condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale in rapina.

Uscì di prigione perché eletto deputato nelle file del Partito Radicale, beneficiando così dell’immunità parlamentare, e riuscendo così a rifugiarsi in Francia. 

TERRORISTA NUMERO 16

Pace Lanfranco (Fagnano Alto, AQ, 1 gennaio 1947) è un ex dirigente dell’organizzazione terroristica e criminale denominata Potere Operaio.

Fu condannato a 4 anni per associazione sovversiva, ma la pena fu poi prescritta.

E’ stato latitante in Francia per 15 anni, mentre ora lavora in Italia come opinionista politico per il quotidiano Il Foglio e presso il canale televisivo LA7.

TERRORISTA NUMERO 17

Pancino  Gianfranco è stato il medico di fiducia di Autonomia Operaia, di cui era anche dirigente.

Per la sua attività eversiva fu condannato a 25 anni di carcere per associazione a banda armata.

Scappò in Francia dove rimase per 30 anni beneficiando della politica di benevolenza di Mitterand nei riguardi dei comunisti assassini e terroristi.

Al suo ritorno in Italia si dedicò alla professione medica come ricercatore, ma non dimostrò mai alcun pentimento per la sua attività criminale.

TERRORISTA NUMERO 18

Persichetti Paolo ha militato nelle Brigate Rosse - Unione dei Comunisti Combattenti (BR-UCC), una formazione terroristica degli  anni ’80.

E’ stato condannato a 22 anni e mezzo di carcere per partecipazione a banda armata e concorso morale nell’omicidio del generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri.

Anche lui seguì la prassi consolidata dai comunisti italiani assassini che, scoperti, si rifugiavano in Francia.

In seguito alle elezioni presidenziali francesi, nel 2002 Persichetti fu però arrestato e consegnato alle Autorià italiane.

Dopo aver scontato circa 15 anni di carcere, a più riprese, e un periodo di semilibertà, ora appesta la società civile e democratica scrivendo farneticanti teorie comuniste, senza mai avere nemmeno chiesto scusa per il suo operato criminale.

TERRORISTA NUMERO 19

Saraceni Federica è una ex brigatista rossa, condannata a 21 anni e 6 mesi per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona (il 20 maggio 1999) e poi sottoposta agli arresti domiciliari

Dall'agosto 2019 percepisce allo Stato italiano 623 euro come reddito di cittadinanza, nonostante i crimini commessi.

E' figlia dell’ex magistrato Luigi Saraceni, fondatore di Magistratura democratica, poi parlamentare con Pds e Verdi.

TERRORISTA NUMERO 20

Scalzone Oreste era un ex militante di Potere Operaio.

Fu arrestato nel 1979 per associazione sovversiva, banda armata, e concorso in rapina.

Nel 1981, dopo aver ottenuto la libertà provvisoria per motivi di salute, scappò in Corsica con l’aiuto dell’amico attore Gian Maria Volonté e da lì raggiunse la Francia che a quell’epoca offriva un rifugio sicuro ai ricercati italiani, grazie alle politiche dell’allora Presidente socialista Francoise Mitterand, secondo la cui dottrina non si dovevano estradare coloro che pur avendo commesso crimini inaccettabili lo avevano fatto per motivazioni politiche vicine alle idee di libertà parigine.

Seguendo la logica di questo assurdo assioma, finalizzato all’evidente protezione di personaggi apertamente legati all’universo marxista, la Francia accolse i terroristi italiani a piene mani, divenendo un’isola di llegalità nel bel mezzo della civile Europa.

TERRORISTA NUMERO 21

Spanò Vincenzo, alias "Martino", era un membro delle formazioni terroristiche denominate “Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria (COLP)”, che operavano militarmente a livello europeo contro i complessi industriali dell’occidente.

Fu condannato a sei anni di reclusione, ma scappò e scelse Parigi come luogo di latitanza.

Nel suo nascondiglio di Levallois, un sobborgo di Parigi, la polizia trovò nel 1984 un manuale di istruzioni riservato ai militanti su come abbattere senza pietà i poliziotti.

TERRORISTA NUMERO 22

Vegliacasa Giovanni (Torino, 22 giugno 1954), alias, “Igor” è un ex militante delle bande armate di Prima Linea).

Fu condannato all’ergastolo per il suo ruolo all’interno dell’organizzazione terroristica, ma sfuggì alla giusta condanna rifugiandosi nel paradiso dei terroristi comunisti: la Francia!



TERRORISTA
NUMERO 23

Vecchi Vincenzo, alias “Vincent Papale”, è un anarchico delinquente che prese parte come protagonista agli assalti che portarono alla devastazione di Genova in occasione del G8 nel 2001.

In tale ruolo fu autore corresponsabile degli incendi che distrussero le proprietà private in zona Brignole, come auto, banche, e supermercati, proseguendo poi l’opera criminale con l’assalto al carcere di Marassi.

Questo pseudo rivoluzionario da operetta si esibì successivamente in una nuova performance criminale, in cui continuò  a lanciare molotov e a tirare sassi contro le Forze dell’ordine a  Milano nel 2006, in Corso Buenos Aires.

Il cosiddetto “black bloc” fu condannato a 11 anni e 6 mesi di carcere ma riparò in Francia, aggiungendosi alle folte schiere di delinquenti comunisti protetti da Parigi.

La sinistra francese, incurante dei concetti e del significato di democrazia, di civiltà, di libertà e di legalità, si schierò subito a difesa del teppista incappucciato, così come aveva già fatto in precedenza per altri comunisti criminali.

TERRORISTA NUMERO 24

Carla Vendetti, romana, è stata per oltre 20 anni una militante attiva nelle formazioni criminali denominate “Brigate rosse - Partito comunista combattente”.

Esercitò un ruolo di direzione strategica nelle nuove BR, che travalicò i confini nazionali, insieme a Simonetta Giorgieri, come risulta dai rapporti dei servizi segreti nazionali.

Fu condannata all’ergastolo per l’omicidio Moro e perché implicata nei delitti D’Antona e Biagi, ma si diede alla latitanza rifugiandosi a Parigi.

E’ qui che viene arrestata dalla gendarmeria francese nel 1989, che in tale circostanza trovò armi e denaro.

La “pasionaria” comunista si qualificò come prigioniera politica, affermando di voler proseguire la lotta armata.

Una volta liberata, Carla Vendetti si rese irreperibile e insieme a Simonetta Giorgieri mette in pratica le sue teorie, dando vita a quella colonna francese delle BR protagonista del nuovo terrorismo dopo gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi.

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Tutti questi personaggi, degni eredi delle politiche di odio che traggono linfa vitale dal comunismo, rappresentano una vera e propria sfida alla Democrazia e agli ideali di Giustizia e Libertà che contraddistinguono la nostra società civile e il nostro incedere quotidiano.

La Francia, con il suo atteggiamento, oltraggia non solo questi valori, ma anche le vittime della brutalità comunista e i loro parenti.

Ma quello che indigna ancora di più è il fatto che personaggi di rilievo delle nostre isitituzioni, come il canuto rappresentante del Colle, e la neo-premier Giorgia Meloni, si siano non solo trincerati dietro un omertoso silenzio, ma dimostrino una cordialità e una affabilità fuori luogo nei confronti dei loro “omologhi” francesi.


E’ dunque questo il rispetto per le vittime del terrorismo comunista palesato dai vertici istituzionali del nostro Paese?

I fatti nudi e crudi, così come si sono svolti, inducono a riflessioni che lasciano poco spazio ad alibi pretestuosi che assolvano l’operato di Mattarella e del Governo in carica, ma anzi certificano senza ombra di dubbio la volontà di contenere qualsiasi oggetto del contendere entro i limiti della più squallida condiscendenza.

Non mi meraviglierei, quindi, del fatto che nel prossimo futuro gli italiani possano assistere ad una farsa tragicomica nella quale il rispetto dei diritti umani diventerà un ostacolo per eventuali accordi commerciali o politici, magari con la Cina, proprio come intendeva fare l’ex Ministro grillino Di Maio.

Allo squallore non c’è mai fine, ma mai mi sarei aspettato che tutto ciò fosse prodotto direttamente dalle cosiddette destre italiane, in particolare da Giorgia Mloni e Fratelli d’Italia!

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Dissenso

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mercoledì 10 maggio 2023

L'omicidio di Giuseppe Fanin

Giuseppe Fanin nacque nel 1924 nella borgata Tassinara, poco fuori San Giovanni in Persiceto in provincia di Bologna, dove la famiglia, di fede cattolica, si trasferì dal paese veneto di Sossano nel 1910.

Giuseppe Fanin

Prestò il servizio militare della Repubblica Sociale Italiana nella Divisione San Marco, come artigliere, e venne inviato in Germania per il relativo addestramento.

Si ammalò di appendicite, per la quale fu operato e gli fu poi permesso di rimanere in convalescenza fino al termine della guerra, grazie soprattutto alla condiscendenza di un ufficiale medico.

Si laureò in Agraria a Bologna nel febbraio 1948 e si fidanzò con Lidia Risi.

Divenne segretario provinciale delle ACLI (Associazione dei Cristiani Lavoratori) e in tale ruolo si impegnò nel proporre al mondo contadino un innovativo progetto di riforma agraria, che introduceva un contratto di compartecipazione individuale, grazie alla quale i coloni avrebbero potuto gradualmente acquistare i poderi, diventandone così proprietari.

Tale progetto venne immediatamente osteggiato dal PCI, che voleva invece ritornare ai concetti espressi nel famigerato biennio rosso del 1919 – 1920 in cui i comunisti erano fautori degli espropri proletari e della collettivizzazione forzata, in applicazione del principio marxista e sovietico secondo cui “la terra non si compra ma si prende con la forza”.

Giuseppe Fanin divenne così il nemico numero uno del partigianato comunista, il quale anche a guerra finita intendeva imporre il modello del PCI a tutti i costi, nel pieno disprezzo della volontà popolare e della Democazia.

Il giovane fu oggetto di pesanti intimidazioni e di tentativi di pestaggio, in seguito ai quali gli venne consigliato da Giovanni Elkan, segretario della DC bolognese, di munirsi di una pistola. 

Fanin rispose facendogli vedere un rosario che teneva sempre in tasca.

Il PCI bolognese diede il via ad una serie di agguati contro i sostenitori di Fanin, aggredendo platealmente i contadini cattolici e malmenando le lavoratrici che erano ostili alla leghe rosse.

Con la stessa arroganza, alimentata dalla violenza comunista, la Lega braccianti di San Giovanni in Persiceto, emanazione del PCI, affisse in tutto il paese dei manifesti che avevano lo scopo di insultare i sindacalisti democristiani.

Il testo di quei manifesti era il seguente:

La mano ossuta degli agrari, appoggiata dagli organi di Governo, stretta a quella dei servi schiocchi tipo Fanin, Bertuzzi e Ottani, tenta di stendersi di nuovo rapace nelle nostre campagne per dividere i lavoratori e instaurare un regime di sfruttamento e di oppressione poliziesca di tipo fascista”.

La sera del 4 novembre 1948, dopo che Fanin ebbe accompagnato a casa la fidanzata, si avviò in bibicletta verso casa, vero le 21,30, quando fu fermato da un individuo corpulento che lo aveva seguito fino a quel punto.

Il giovane agronomo fu oggetto di una vigorosa sprangata da parte dello sconosciuto, per proteggersi dalla quale ricevette un colpo ad una mano che si fratturò nell’impatto.

Altri due individui, parte di un agguato che evidentemente era stato pianificato e premeditato, balzarono fuori da un cespuglio e iniziarono a colpirlo ripetutamente con sprangate, calci e pugni, spaccandogli il cranio e accanendosi con ferocia bestiale fino a che il giovane non fu ridotto in fin di vita, poi lo lasciarono agonizzante sul terreno e se ne andarono tranquillamente.

Fanin venne trovato dopo circa mezz’ora da un amico che passava di lì per caso e che lo fece portare all’ospedale di San Giovanni, dove però giunse in stato di coma, morendo sotto i ferri del chirurgo che tentò di salvarlo.

La Democrazia Cristiana accusò apertamente il PCI di aver fomentato un clima di violenza tale da aver prodotto un risulatato così tragico, ma lo squallore comunista si palesò affermando, per bocca di Davide Lajolo, lo squallido vice direttore dell’Unità, l’organo di informazione del PCI, che Fanin era un provocatore.


Il bieco attivista comunista Adorno Sighinolfi fu accusato di istigazione a delinquere dalla Magistratura perché prima del delitto aveva affermato pubblicamente:

Fanin è un cristiano crumiro che bisogna far fuori perché è la rovina di noialtri, bisogna accopparlo”.

La macchina del fango comunista palesò la sua essenza criminale delegando al deputato Giancarlo Pajetta il compito di operare uno squallido sciacallaggio sotto forma di comizio, durante il quale l’oratore proclamò che gli aggrediti erano i comunisti, oggetto di campagne di stampa menzognere che sventolavano lo spettro del triangolo della morte in Emilia.

Nel frattempo, il Maresciallo Masala che in seguito alle indagini sull’omicidio stava interrogando il sospettato Gino Bonfiglioli, ex partigiano e segretario del PCI locale, oltre che Sindaco del Paese, ottenne da lui una piena confessione.

Bonfiglioli ammise di essere il mandante dell’aggressione a Fanin, precisando che non ordinò ai sicari di fracassargli la testa, ma solo di “massaggiarlo per bene senza esagerare”.

Lo squallido Sindaco comunista fece i nomi dei tre assassini, tutti braccianti agricoli iscritti al PCI:

1) Evangelisti Renato, di anni 26;

2) Lanzarini Gian Enrico, di anni 22 (l’individuo corpulento che sferrò la prima sprangata alla testa di Fanin);

3) Morisi Indrio, di anni 20.

Al processo contro i tre criminali comunisti il PCI si tenne alla larga, pochè era troppo sconveniente di fronte all’opinione pubblica riconoscere il proprio ruolo di mandante politico, ma squallidamente non ritirò mai la tessera di iscritto al partito a Bonfiglioli.

Giancarlo Pajetta, lo sciacallo che aveva consapevolmente tentato di mistificare l’andamento dei fatti, arringando la folla, fu costretto dalla plateale evidenza di colpevolezza dei comunisti assassini a stare in silenzio, chiudendosi in un omertoso mutismo.

Gli imputati furono condannati all’ergastolo dalla Corte di Assise dell’Aquila per omicidio premeditato aggravato, ma in seguito il PCI si appellò all’amnistia Togliatti, chiedendone l’applicazione per i tre comunisti.

La pena venne ridotta a 23 anni di carcere, ma ne scontarono solo 15 grazie al perdono loro concesso dai familiari della loro vittima, Giuseppe Fanin.

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Tratto dal libro:
"Le brigate assassine del partigianato comunista nella bassa bolognese"
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Dissenso
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lunedì 20 febbraio 2023

IRMA BANDIERA: la bufala comunista

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Come oramai tutti sanno, i beceri dictat della vulgata resistenziale comunista hanno sempre imposto stereotipi di riferimento creati ad hoc per autoincensarsi e per mostrare una realtà addomesticata  e palagiata che nulla ha a che vedere con la reale essenza dei fatti storici.

L’ANPI, che da sempre è in sintonia con i peggiori criminali del partigianato comunista italiano, è sempre stata in prima linea sia per realizzare e costruire falsi storici che per negarne altri, decidendo arbitrariamente quale fosse il confine fra la lotta al fascismo e il crimine stragista figlio dell’odio che continuò a trasudare dalle formazioni garibaldine nel dopoguerra, ad armi deposte.

Il comunismo si è macchiato di una serie infinita di crimini, anche in Italia, imperversando nei territori orientali della penisola come complice di tito, il massacratore delle foibe, nell’intento di trasformare la Nazione in un satellite sovietico.

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Palmiro Togliatti, idolatrato ancora oggi dall’ANPI, e vezzeggiato con l’appellativo di “il Migliore”, uccise più comunisti e compagni di sinistra, come anarchici o appartenenti a correnti non allineate all’ortodossia staliniana, dell’apparato fascista in tutto il suo ventennio di potere.

ANPI però ha sempre deliberatamente omesso di parlarne, poiché impegnata a creare flasi miti ed eroi, da consacrare come apoteosi comunista sull’altare del resistenzialismo.

E’ nato così anche il falso mito di Irma Bandiera, a cui il Comune di Bologna ha dedicato una via della Città, traendo linfa vitale dal racconto di Pietro Secchia, il famigerato comunista che sosteneva tesi rivoluzionarie dopo l’armistizio dell’8 settembre.

Lo stesso Secchia, in qualità di ex signore della guerra, fu infatti curatore di una “opera letteraria” intitolata “Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza”, in sei volumi, pubblicata dalla casa editrice milanese del partito Comunista “La Pietra”.

Alla voce Irma Bandiera si legge :

1  -  (…) Sposa e madre affettuosa (…)

2  -  (…) straziata da orribili ferite, senza che i suoi torturatori riuscissero a strapparle sotto la tortura i nomi dei suoi compagni di lotta (…) dopo 6 giorni di sevizie lei non parla, e i fascisti le cavarono gli occhi (…)

3  -  (…) fu trasportata davanti alla casa dei suoi genitori e le fu detto “Ecco la tua casa, dentro ci sono tua madre e tuo padre. Non li vedrai più se non parli (…)

(…)

La verità è invece la seguente, come risulta dagli studi storici compiuti da Maurizio Ravaglia e riportati nel suo libro: “Resistenza bugiarda”.

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1  -  Il racconto di Secchia inizia con una menzogna, poiché Irma era fidanzata e non sposata.

Era nubile e non aveva figli, come risulta anche dal necrologio scritto su “il Resto del Carlino” del 21 agosto 1944, che riporta:

“Lascia nel dolore i genitori, la sorella nastia, il cognato Sergio Marchesini, il fidanzato lontano e i parenti tutti”.

Nonostante ciò l’ANPI scrisse ancora nel 2015, durante un programma commemorativo, che Irma Bandiera era moglie e madre affettuosa”.

I manipolatori che infestano la vulgata resistenziale comunista hanno fatto anche di peggio, inventandosi una finta lettera che gli aguzzini di Irma Bandiera le avrebbero permesso di scrivere.

Tale lettera è stata inserita nella documentazione inerente Irma Bandiera sul sito ufficiale del Comune di Bologna, nel portale “Storie e memoria di Bologna”, rimanendovi fino all’estate del 2017.

Ecco un estratto del famigerato e squallido tentativo di manipolazione, da cui si evince con assoluta certezza che sia in atto una costante disinformazione, criminale e menzognera:

(…) Caro figlio, non posso scriverti tutto quello che sento, ma quando sarai grande ti immedesimerai nella mia situazione, allora capirai (…)

(…) Mio caro marito, il mio ultimo respiro sia ancora di ringraziamento al destino, che mi ha concesso di amarti e di vivere sette anni con te (…)

Essendo Irma nubile e senza figli, lo scritto si commenta da solo …

I comunisti si inventarono il fatto che fosse “sposa e madre affettuosa”, per fare leva sul fatto che una tragedia familiare avrebbe aumentato a dismisura la portata dell’evento tragico..

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-  La vulgata resistenziale comunista, ripresa dai seguaci metamorfizzati che si raccolgono attorno alle nostalgie staliniste di Togliattiana memoria espresse dall’ANPI, e pervasa da un’enfasi caratterizzata da un delirio di onnipotenza che la contraddistingue, insiste a mentire sapendo di mentire.

Nella fattispecie, continua a riferire di torture sul corpo di Irma Bandiera, protrattesi per giorni e giorni, “fino al punto di ammazzarla”, non prima di averla accecata perché “guardava gli aguzzini con sguardo sprezzante” !

E ancora : “Per sette giorni e sette notti l’hanno torturata facendole l’indicibile, strappandole perfino gli occhi”!

Da questa enfatica ricostruzione, con cui la versione comunista si scaglia contro il mostro fascista e torturatore, si evince che il corpo di Irma, dopo un periodo di sei giorni di ininterrotte sevizie e torture dovrebbe essere martoriato e ridotto ad un ammasso di ferite, contusioni, fratture, e quant’altro, compreso la enuclkeazione delle orbite oculari.

Ebbene tutto ciò si è rivelato completamente falso!

L’esame medico autoptico effettuato dal Professor Benassi sulla salma ha rivelato infatti quanto segue:

Le ipostasi (chiazze formatesi dal ristagno di sangue) sono molto scarse e risiedono dal lato anteriore del corpo.

Il volto, il petto e le braccia sono molto imbrattate di sangue essiccato.

Sulla faccia anteriore delle ginocchia aderiscono alla cute granelli di sabbia”.

Eppure, dopo tanti giorni di incredibili sevizie dovrebbero esserci almeno delle ecchimosi, dei lividi, delle contusioni, o altri segni come traumi, lesioni, ferite più o meno superficiali.

Invece vennero trovati i fori di due proiettili alla testa che provocarono una morte istantanea, e un altro foro prodotto anch’esso dallo sparo di una rivoltella che la colpì ad un’anca.

Irma Bandiera fu fotografata da Filippo D’Ajutolo, un medico che raccoglieva le foto degli antifascisti uccisi durante la guerra civile, e in tre immagini della ragazza si vede che né il viso e nemmeno il corpo sono sfigurati da  segni di sevizie e percosse.

Il viso è rovinato non dalle sevizie che la vulgata resistenziale continua a presentare nel suo racconto, bensì dai proiettili sparati a distanza ravvicinata.

Le orbite oculari non presentano segni di enucleazione degli occhi, smentendo anche questo raccapricciante particolare.

~ ~ ~

3   -  Anche lo scrittore Aldo Cazzullo nel suo libro “Possa il mio sangue servire” ripete il ritornello secondo cui Irma Bandiera “abita in un palazzo al Meloncello” e conferma che gli assassini “la portarono davanti a casa sua”.

In realtà, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un falso storico, sapientemente elaborato (ma non abbastanza) dalla vulgata resistenziale comunista.

Irma Bandiera abitava con i genitori in via Gorizia, una parallela della via Emilia, e non al Meloncello, come indicato da ANPI e dai suoi “storici” manipolatori.

Quindi tutto il racconto secondo cui i fascisti le avrebbero detto “qui ci sono i tuoi genitori, e se non parli non li rivedrai mai più”, precedentemente  alla sua esecuzione a colpi di mitra, in realtà è falso.

L’abitazione era in via Gorizia, mentre il suo cadavere fu trovato al Meloncello, contraddicendo la ricostruzione comunista.

C’è inoltre un elemento inquietante che incrocia le dinamiche esistenziali della famiglia di Irma Bandiera con quelle criminali del partigianato comunista bolognese.

Mi riferisco al fatto che alcuni parenti di Argentina Manferrari, la mamma di Irma Bandiera, furono trovati morti, interrati in due buche, a Funo di Argelato, zona in cui imperversava a quel tempo il famigerato assassino comunista Luigi Borghi, alias “Ultimo”, appartenente alla 7a Brigata Gap.

Le vittime erano la sorella Brunilde e il cognato Giuseppe Marzocchi, che vennero prelevati a casa loro, a Funo di Argelato, da tre individui armati, i quali rubarono anche del denaro, gli orologi da polso, e due biciclette, la sera del 31 marzo 1945.

Dopo oltre un anno, a guerra finita, quando a Bologna era Sindaco il comunista Giuseppe Dozza, la mamma di Irma ricevette un documento redatto da Luigi Borghi, alias “Ultimo”, in cui dichiarava:

Il 31 marzo 1945 è avvenuta la morte dei coniugi Marzocchi Giuseppe e Manferrari Brunilde, rei confessi di aver fatto pervenire la delazione in collaborazione di Rapparini e Cussini Carlo da San Giorgio di Piano, a Tartarotti che la nipote Irma Bandiera sfollata presso di essi era staffetta e combattente partigiana.

Delazione che provocò l’arresto e l’assassinio di Irma Bandiera, dopo sevizie e torture. (…)

Il Tribunale, successivamente, accordò grande benevolenza a Borghi, che fu sicuramente l’esecutore materiale del duplice delitto, accordandogli la non punibilità per ciò che venne considerata una azione di guerra (a meno di un mese dalla pace del 35 aprile 1945).

La mamma di Irma accusò il fascismo dell’uccisione della figlia, in seguito alla delazione del cognato, il quale aveva ricevuto da Irma l’incauta confidenza di essere appunto una staffetta partigiana.

Ciò che non è stata presa in considerazione è l’ipotesi che Borghi, oltre ad aver eliminato i coniugi delatori, abbia punito anche Irma, responsabile di aver tradito la “consegna del silenzio” che legava a filo doppio gli appartenenti alle formazioni clandestine del partigianato comunista.



Sappiamo che “Ultimo” fu responsabile di una lunga e impressionante catena di omicidi e di stragi efferate, di torture e sevizie, di stupri e mutilazioni, di rapine e furti, che ho raccolto in un mio post al seguente Link:

 LUIGI BORGHI

A quel tempo l’appartenenza ai Gap comunisti comportava l’osservanza di rigide regole da seguire ciecamente, e il fatto che Irma avesse rivelato incautamente allo zio la sua appartenenza al gruppo partigiano era sufficiente ad essere condannata a morte.

E’ probabile che la vulgata resistenziale che tanto piace ai veterocomunisti dell’ANPI, dei centri sociali e dell’universo anarco insurrezionale marxista, abbia costruito una vicenda ex novo, dopo che Borghi e la sua accozzaglia di garibaldini asassini avevano trucidato la giovane Irma, approfittando di tale omicidio per addossarne la colpa al fascismo.

Altrimenti viene da chiedersi :

Perché ancora oggi si raccontano tante menzogne ?

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Dissenso

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