lunedì 20 febbraio 2023

IRMA BANDIERA: la bufala comunista

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Come oramai tutti sanno, i beceri dictat della vulgata resistenziale comunista hanno sempre imposto stereotipi di riferimento creati ad hoc per autoincensarsi e per mostrare una realtà addomesticata  e palagiata che nulla ha a che vedere con la reale essenza dei fatti storici.

L’ANPI, che da sempre è in sintonia con i peggiori criminali del partigianato comunista italiano, è sempre stata in prima linea sia per realizzare e costruire falsi storici che per negarne altri, decidendo arbitrariamente quale fosse il confine fra la lotta al fascismo e il crimine stragista figlio dell’odio che continuò a trasudare dalle formazioni garibaldine nel dopoguerra, ad armi deposte.

Il comunismo si è macchiato di una serie infinita di crimini, anche in Italia, imperversando nei territori orientali della penisola come complice di tito, il massacratore delle foibe, nell’intento di trasformare la Nazione in un satellite sovietico.

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Palmiro Togliatti, idolatrato ancora oggi dall’ANPI, e vezzeggiato con l’appellativo di “il Migliore”, uccise più comunisti e compagni di sinistra, come anarchici o appartenenti a correnti non allineate all’ortodossia staliniana, dell’apparato fascista in tutto il suo ventennio di potere.

ANPI però ha sempre deliberatamente omesso di parlarne, poiché impegnata a creare flasi miti ed eroi, da consacrare come apoteosi comunista sull’altare del resistenzialismo.

E’ nato così anche il falso mito di Irma Bandiera, a cui il Comune di Bologna ha dedicato una via della Città, traendo linfa vitale dal racconto di Pietro Secchia, il famigerato comunista che sosteneva tesi rivoluzionarie dopo l’armistizio dell’8 settembre.

Lo stesso Secchia, in qualità di ex signore della guerra, fu infatti curatore di una “opera letteraria” intitolata “Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza”, in sei volumi, pubblicata dalla casa editrice milanese del partito Comunista “La Pietra”.

Alla voce Irma Bandiera si legge :

1  -  (…) Sposa e madre affettuosa (…)

2  -  (…) straziata da orribili ferite, senza che i suoi torturatori riuscissero a strapparle sotto la tortura i nomi dei suoi compagni di lotta (…) dopo 6 giorni di sevizie lei non parla, e i fascisti le cavarono gli occhi (…)

3  -  (…) fu trasportata davanti alla casa dei suoi genitori e le fu detto “Ecco la tua casa, dentro ci sono tua madre e tuo padre. Non li vedrai più se non parli (…)

(…)

La verità è invece la seguente, come risulta dagli studi storici compiuti da Maurizio Ravaglia e riportati nel suo libro: “Resistenza bugiarda”.

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1  -  Il racconto di Secchia inizia con una menzogna, poiché Irma era fidanzata e non sposata.

Era nubile e non aveva figli, come risulta anche dal necrologio scritto su “il Resto del Carlino” del 21 agosto 1944, che riporta:

“Lascia nel dolore i genitori, la sorella nastia, il cognato Sergio Marchesini, il fidanzato lontano e i parenti tutti”.

Nonostante ciò l’ANPI scrisse ancora nel 2015, durante un programma commemorativo, che Irma Bandiera era moglie e madre affettuosa”.

I manipolatori che infestano la vulgata resistenziale comunista hanno fatto anche di peggio, inventandosi una finta lettera che gli aguzzini di Irma Bandiera le avrebbero permesso di scrivere.

Tale lettera è stata inserita nella documentazione inerente Irma Bandiera sul sito ufficiale del Comune di Bologna, nel portale “Storie e memoria di Bologna”, rimanendovi fino all’estate del 2017.

Ecco un estratto del famigerato e squallido tentativo di manipolazione, da cui si evince con assoluta certezza che sia in atto una costante disinformazione, criminale e menzognera:

(…) Caro figlio, non posso scriverti tutto quello che sento, ma quando sarai grande ti immedesimerai nella mia situazione, allora capirai (…)

(…) Mio caro marito, il mio ultimo respiro sia ancora di ringraziamento al destino, che mi ha concesso di amarti e di vivere sette anni con te (…)

Essendo Irma nubile e senza figli, lo scritto si commenta da solo …

I comunisti si inventarono il fatto che fosse “sposa e madre affettuosa”, per fare leva sul fatto che una tragedia familiare avrebbe aumentato a dismisura la portata dell’evento tragico..

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-  La vulgata resistenziale comunista, ripresa dai seguaci metamorfizzati che si raccolgono attorno alle nostalgie staliniste di Togliattiana memoria espresse dall’ANPI, e pervasa da un’enfasi caratterizzata da un delirio di onnipotenza che la contraddistingue, insiste a mentire sapendo di mentire.

Nella fattispecie, continua a riferire di torture sul corpo di Irma Bandiera, protrattesi per giorni e giorni, “fino al punto di ammazzarla”, non prima di averla accecata perché “guardava gli aguzzini con sguardo sprezzante” !

E ancora : “Per sette giorni e sette notti l’hanno torturata facendole l’indicibile, strappandole perfino gli occhi”!

Da questa enfatica ricostruzione, con cui la versione comunista si scaglia contro il mostro fascista e torturatore, si evince che il corpo di Irma, dopo un periodo di sei giorni di ininterrotte sevizie e torture dovrebbe essere martoriato e ridotto ad un ammasso di ferite, contusioni, fratture, e quant’altro, compreso la enuclkeazione delle orbite oculari.

Ebbene tutto ciò si è rivelato completamente falso!

L’esame medico autoptico effettuato dal Professor Benassi sulla salma ha rivelato infatti quanto segue:

Le ipostasi (chiazze formatesi dal ristagno di sangue) sono molto scarse e risiedono dal lato anteriore del corpo.

Il volto, il petto e le braccia sono molto imbrattate di sangue essiccato.

Sulla faccia anteriore delle ginocchia aderiscono alla cute granelli di sabbia”.

Eppure, dopo tanti giorni di incredibili sevizie dovrebbero esserci almeno delle ecchimosi, dei lividi, delle contusioni, o altri segni come traumi, lesioni, ferite più o meno superficiali.

Invece vennero trovati i fori di due proiettili alla testa che provocarono una morte istantanea, e un altro foro prodotto anch’esso dallo sparo di una rivoltella che la colpì ad un’anca.

Irma Bandiera fu fotografata da Filippo D’Ajutolo, un medico che raccoglieva le foto degli antifascisti uccisi durante la guerra civile, e in tre immagini della ragazza si vede che né il viso e nemmeno il corpo sono sfigurati da  segni di sevizie e percosse.

Il viso è rovinato non dalle sevizie che la vulgata resistenziale continua a presentare nel suo racconto, bensì dai proiettili sparati a distanza ravvicinata.

Le orbite oculari non presentano segni di enucleazione degli occhi, smentendo anche questo raccapricciante particolare.

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3   -  Anche lo scrittore Aldo Cazzullo nel suo libro “Possa il mio sangue servire” ripete il ritornello secondo cui Irma Bandiera “abita in un palazzo al Meloncello” e conferma che gli assassini “la portarono davanti a casa sua”.

In realtà, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un falso storico, sapientemente elaborato (ma non abbastanza) dalla vulgata resistenziale comunista.

Irma Bandiera abitava con i genitori in via Gorizia, una parallela della via Emilia, e non al Meloncello, come indicato da ANPI e dai suoi “storici” manipolatori.

Quindi tutto il racconto secondo cui i fascisti le avrebbero detto “qui ci sono i tuoi genitori, e se non parli non li rivedrai mai più”, precedentemente  alla sua esecuzione a colpi di mitra, in realtà è falso.

L’abitazione era in via Gorizia, mentre il suo cadavere fu trovato al Meloncello, contraddicendo la ricostruzione comunista.

C’è inoltre un elemento inquietante che incrocia le dinamiche esistenziali della famiglia di Irma Bandiera con quelle criminali del partigianato comunista bolognese.

Mi riferisco al fatto che alcuni parenti di Argentina Manferrari, la mamma di Irma Bandiera, furono trovati morti, interrati in due buche, a Funo di Argelato, zona in cui imperversava a quel tempo il famigerato assassino comunista Luigi Borghi, alias “Ultimo”, appartenente alla 7a Brigata Gap.

Le vittime erano la sorella Brunilde e il cognato Giuseppe Marzocchi, che vennero prelevati a casa loro, a Funo di Argelato, da tre individui armati, i quali rubarono anche del denaro, gli orologi da polso, e due biciclette, la sera del 31 marzo 1945.

Dopo oltre un anno, a guerra finita, quando a Bologna era Sindaco il comunista Giuseppe Dozza, la mamma di Irma ricevette un documento redatto da Luigi Borghi, alias “Ultimo”, in cui dichiarava:

Il 31 marzo 1945 è avvenuta la morte dei coniugi Marzocchi Giuseppe e Manferrari Brunilde, rei confessi di aver fatto pervenire la delazione in collaborazione di Rapparini e Cussini Carlo da San Giorgio di Piano, a Tartarotti che la nipote Irma Bandiera sfollata presso di essi era staffetta e combattente partigiana.

Delazione che provocò l’arresto e l’assassinio di Irma Bandiera, dopo sevizie e torture. (…)

Il Tribunale, successivamente, accordò grande benevolenza a Borghi, che fu sicuramente l’esecutore materiale del duplice delitto, accordandogli la non punibilità per ciò che venne considerata una azione di guerra (a meno di un mese dalla pace del 35 aprile 1945).

La mamma di Irma accusò il fascismo dell’uccisione della figlia, in seguito alla delazione del cognato, il quale aveva ricevuto da Irma l’incauta confidenza di essere appunto una staffetta partigiana.

Ciò che non è stata presa in considerazione è l’ipotesi che Borghi, oltre ad aver eliminato i coniugi delatori, abbia punito anche Irma, responsabile di aver tradito la “consegna del silenzio” che legava a filo doppio gli appartenenti alle formazioni clandestine del partigianato comunista.



Sappiamo che “Ultimo” fu responsabile di una lunga e impressionante catena di omicidi e di stragi efferate, di torture e sevizie, di stupri e mutilazioni, di rapine e furti, che ho raccolto in un mio post al seguente Link:

 LUIGI BORGHI

A quel tempo l’appartenenza ai Gap comunisti comportava l’osservanza di rigide regole da seguire ciecamente, e il fatto che Irma avesse rivelato incautamente allo zio la sua appartenenza al gruppo partigiano era sufficiente ad essere condannata a morte.

E’ probabile che la vulgata resistenziale che tanto piace ai veterocomunisti dell’ANPI, dei centri sociali e dell’universo anarco insurrezionale marxista, abbia costruito una vicenda ex novo, dopo che Borghi e la sua accozzaglia di garibaldini asassini avevano trucidato la giovane Irma, approfittando di tale omicidio per addossarne la colpa al fascismo.

Altrimenti viene da chiedersi :

Perché ancora oggi si raccontano tante menzogne ?

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Dissenso

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giovedì 9 febbraio 2023

Il Festival di Sanremo e la macchina del fango veterocomunista

Benigni con il leader
comunista Berlinguer
nel 1983

Da kermesse musicale, interprete della canzone italiana, Sanremo si è trasformata quest’anno in uno strumento di diffusione dell’odio comunista, azionato e usato come macchina del fango per ribadire i famigerati assiomi della disinformazione cara ai seguaci di Togliatti.

Gli interpreti della vulgata veterocomunista odierna che appaiono in continuità con l’anacronistico e nostalgico, quanto metamorfico universo marxista di epoca staliniana, sono stati nel contesto sanremese Roberto Benigni e Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez.

Il primo lo ha fatto ricorrendo alle sue indubbie doti di istrione e di manipolatore, affascinando la platea dell’Ariston e quella televisiva con la sua dialettica e con talentuose elucubrazioni intellettuali sulle dinamiche relative alla nascita della nostra Costituzione.

Peccato però che ogni sua parola fosse intrisa di demagogia e di lusinghe di parte, e che l’intero suo discorso fosse finalizzato ad imporre una visione subdolamente orchestrata della realtà dei fatti, travisata e manipolata ad uso e consumo delle sinistre.

Benigni ha citato come padri della Costituzione sia Sandro Pertini che Nilde Iotti (la concubina di Togliatti), enfatizzando il loro ruolo nella costruzione di una Italia democratica.

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L’istrione toscano ha però deliberatamente omesso di dire che Pertini era un partigiano stalinista e assassino che il 30 aprile 1945 ordinò la fucilazione dei due famosi attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, in quanto aderenti alla Repubblica Sociale e sospettati di appartenere ad un gruppo di torturatori denominato “banda Kock”, accusa che cadde post mortem.

Pertini era contornato da criminali comunisti del calibro di Giuseppe Marozin (omicidi, stupri, e rapine) a cui egli stesso aveva conferito l’autorità del comando nelle famigerate brigate partigiane Matteotti, legate al Partito socialista.

Durante il procedimento penale a suo carico per quei delitti Marozin incolpò Pertini di aver dato l’ordine di fucilare i due attori pronunciando le precise parole: “Fucilali, e non perdere tempo !”, e affermò inoltre che Luisa Ferida “non aveva fatto niente, veramente niente!”.

Questo era lo squallido “ambiente politico” tanto caro ai gruppi partigiani cui apparteneva Sandro Pertini, intriso di sangue, di omicidi e di fanatismo marxista.

Ebbene sì, perché Sandro Pertini, mitizzato come personaggio amato dagli italiani, dalla gente e dai bambini, il Presidente con la pipa, era un fervido ammiratore di Stalin, nonostante il fatto che lo statista sovietico fosse (e rimane) uno dei più efferati criminali di tutti i tempi.

Alla morte di Stalin, nel 1953, l’ex partigiano Pertini, oggi osannato da Benigni, dichiarò sull’Avanti, il quotidiano socialista di quei tempi:

Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo.

L'ultima sua parola è stata di pace. (...)

Si resta stupiti per la grandezza di questa figura...

Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin.

Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto.” 

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Pertini si schierò quindi ufficialmente a fianco di colui che aveva prodotto decine di  milioni di vittime innocenti deportando intere popolazioni nei gelidi lager della Siberia, condannandole a morte per fame, per freddo o per le torture che il comunismo infliggeva alle sue vittime.

L’antifascista Pertini va ricordato per questo, per essere stato ammiratore di un criminale e di avere lui stesso interpretato il ruolo di artefice di una parossistica emulazione, in nome di un becero antifascismo.

La sua arroganza intellettuale unita alla sua sudditanza psicologica e politica nei confronti di Mosca continuarono anche nel dopoguerra, palesando comportamenti che vanno al di là del semplice condizionamento mentale, identificandolo come persona ostile ai diritti umani e alla libertà dei Popoli.

Quando, paradossalmente, divenne Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini manifestò chiaramente la sua dipendenza dall’odio e dalla violenza marxista, approfittando della sua posizione istituzionale per concedere la grazia a Mario Toffanin (alias Giacca), un criminale partigiano che aveva ucciso ben 17 persone, partigiani della brigata Osoppo, in quello che fu chiamato l’Eccidio di Porzus.

Nel 1978, in pieno delirio di accondiscendenza con il crimine, Pertini graziò anche Giulio Paggio, un altro delinquente comunista appartenente alla famigerata “Volante rossa”, responsabile di una lunga lista di omicidi in Lombardia, in Emilia e nel Lazio.


PERTINI: il volto di
un assassino
Riguardo a tutto ciò Benigni si è ben guardato di fare il benchè minimo accenno, stando ben attento a seguire un percorso precedentemente delineato e finalizzato alla distorsione di fatti storici incontestabili e per questo motivo tenuti accuratamente nascosti.

Aggiungo che alcuni di quei cosidetti “padri fondarori” della Costituzione repubblicana italiana, furono invece traditori della Patria poiché legati al comunismo sovietico da cui venivano patrocinati con flussi costanti di denaro.

Mi riferisco a criminali del calibro di:

Celeste Carlo Negarville,

Francesco Moranino,

Giancarlo Pajetta,

Giorgio Amendola,

Giovanni Roveda,

Luigi Longo,

Nilde Iotti,

Rita Montagnana Togliatti,

Vincenzo (Cino) Moscatelli.

Fedez saluta a
 pugno chiuso
Ognuno di questi personaggi ha un oscuro passato criminale che Benigni si è premurato di nascondere, omettendo qualsiasi citazione nei loro riguardi che potesse contrapporsi al delirio di beatificazione imposto dal gotha resistenziale, Anpi in testa.

Per quanto riguarda Fedez, va detto che il suo operato, totalmente avulso da qualsiasi anelito intellettuale, vista la sua obiettiva incapacità di profferire elaborazioni culturali, appare come quello di semplice operatore e addetto alla manovalanza della macchina del fango, abitualmente usata come strumento per demolire l’avversario politico con argomentazioni strumentali.

Se il rapper milanese scavasse nel profondo della sua retrospettiva evolutiva, potrebbe scoprire che le fasi e le dinamiche che hanno tratto linfa vitale nel percorso formativo che lo ha poi contraddistinto, affondano le radici nello squallido e becero retaggio poltico della sudditanza politica al Male assoluto.

Parafrasando una parabola del Vangelo, possiamo affermare che Fedez si è arrogato il diritto di spargere odio e fango contro ciò che per lui rappresenta una pagliuzza nell’occhio di un suo simile, senza vedere la trave che sporge dalla sua stessa orbita oculare.

Probabilmente il fatto di palesarsi come paladino del comunismo (anche se è un plurimilionario che vive nel lusso) è per lui, come per Benigni, o per altri pseudo intellettuali del passato come Dario Fo, Pablo Picasso, Renato Guttuso, Alberto Moravia, un modo per costruire una immagine di sé che vorrebbe essere edificante, eroica, da imitare, se non fosse per il fatto che però tutto ciò è frutto di mistificazione e falsificazione.

La Destra di Governo è insediata al potere con un ampio consenso popolare e ciò genera un malessere diffuso nell’apparato politico sinistroide, il quale ricorre a squallidi mezzucci per tentare di delegittimare, spargendo odio, gli avversari politici, considerati null’altro che possibili bersagli.

A Benigni e a Mr. Ferragni (Fedez) non interessa il fatto che la maggioranza della popolazione italiana abbia consacrato legittimamente la destra alla guida della Nazione, e che in questo modo abbia deciso di reagire alla violenza istituzionale e all’arroganza sia grilina che veterocomunista espresse da personaggi come Zingaretti, Letta, Serracchiani, Conte, Fico, Di Maio, solo per citarne alcuni.

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Sanremo 2022  -  I  "Rappresentanti di lista" salutano a pugno chiuso
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Il Popolo è sovrano, anche quando gli apostoli della disinformazione tentano di carpirne la buona fede, sproloquiando con monologhi come quello di Roberto Benigni o imperversando con manifestazioni di odio come quella di Fedez.

Va detto che la performance sanremese dell’istrione, comico, regista e sceneggiatore, ex Premio Oscar al miglior attore nel 1999, si è svolta alla presenza di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana, di cui non possiamo dimenticare il ruolo svolto nel recente passato della politica nazionale.

Come tutti sanno, Mattarella è stato il Presidente che, nel suo primo mandato, ha impedito al Popolo italiano di recarsi alle urne per votare, preferendo accompagnare la sinistra, mano nella mano,  a ricoprire un incarico di Governo non legittimato da alcuna elezione.

Ora però una cosa è certa, e cioè che l’Italia è ridiventato un Paese democratico e libero, nonostante loro.

Dovranno farsene una ragione.

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Dissenso

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domenica 5 febbraio 2023

Il comunista Dante Stefani

E’ morto all’età di 95 anni Dante Stefani, dirigente di quel Partito Comunista e di quel partigianato garibaldino che seminarono lutti, sangue e terrore nei territori bolognesi, e non solo.

Grazie al partito divenne assessore al bilancio nella giunta presieduta da Guido Fanti nel 1970 e in seguito presidente di BolognaFiere, poi nel 1979 fu eletto al Senato dove rimase fino al 1987.

Nacque nel 1927 e fin da giovanissimo aderì alla Resistenza come membro delle brigate Garibaldi attive nel bolognese e teatro di premeditate azioni delittuose.


Dante Stefani  -  Scheda ANPI - Istituto Storico Parri


Va detto che in tale contesto molti degli assassini comunisti che parteciparono alle scorribande criminali dei garibaldini nel dopo guerra, ad armi deposte, in tempo di pace, furono poi condannati dalla Magistratura a pene che arrivarono anche all’ergastolo, ma quasi tutti vennero aiutati dalla dirigenza del partito comunista ad espatriare in Cecoslovacchia per vivere in stato di latitanza alla faccia della Giustizia italiana.

Le bande garibaldine, come la 36a brigata Garibaldi Bianconcini, la IVa brigata Venturoli (dove militò Stefani), e la IIa brigata Paolo, solo per citarne alcune, furono in prima linea nel compiere una lunga catena di delitti di odio e di crimini sanguinosi, con la compiacenza e lo sprone dei cosiddetti Commissari politici del Partito comunista Italiano.

Molti assassini vennero anzi premiati per la loro ferocia, fino a ricoprire incarichi pubblici o addirittura eletti nel ruolo di deputati in Parlamento, come nel caso, ecclatante, di Francesco Moranino.

Ricordo a chi legge che “Gemisto”, così era chiamato Moranino quando comandava il distaccamento “Pisacane” delle Brigate Garibaldi, e in seguito la 50° brigata Garibaldi, e ancora la XXIIa Divisione Pietro Pajetta, tutte rigorosamente comuniste, organizzò il massacro di 7 persone, premiando poi gli esecutori materiali della strage con la somma di trecento lire ciascuno.

Nel  1949 fu colpito da un mandato di cattura emesso dalla Magistratura, ma si diede alla macchia, protetto dal PCI, salvo poi ritornare una volta eletto in Parlamento nel 1953.

Nel 1955 l’assassino deputato comunista che siedeva sugli scranni del Parlamento italiano fu rinviato a giudizio per omicidio plurimo e grazie alla concessione dell’autorizzazione a procedere il processo penale ebbe un seguito che si concluse con la sua condanna all’ergastolo.

Nel processo di appello del 1957 la sentenza fu confermata ma il comunista stragista non fece nemmeno un giorno di galera perché il PCI e “Soccorso rosso” lo aiutarono ad espatriare, inviandolo in Cecoslovacchia presso “Radio Praga”, dove rimase fino al 1965, anno in cui il Presidente della Repubblica italiana Giuseppe Saragat gli concesse la grazia.

Va detto che in precedenza, nel 1958, anche il Presidente della Repubblica italiana Giovanni Gronchi, predecessore di Saragat, aveva commutato la pena da ergastolo a dieci anni di reclusione.

Al suo rientro in Italia l’assassino comunista fu accolto a braccia aperte dal PCI, che lo fece eleggere Senatore della Repubblica, carica che mantenne fino alla sua morte nel 1971.

Dante Stefani,  ex
Commissario politico
 del PCI

Negli anni del dopoguerra a Bologna era Sindaco Giuseppe Dozza (dal 1945 al 1966) e poiché a quei tempi nulla si muoveva senza il consenso esplicito del Partito comunista, viene da pensare  che il tanto osannato dirigente politico, definito come “il Sindaco di tutti” non fosse all’oscuro delle manovre criminali che il partigianato garibaldino locale interpretava quotidianamente.

I cosiddetti “commissari politici” (come Dante Stefani) che imperversarono nel dopoguerra, ubbidivano direttamente al PCI, e svolgevano un ruolo che aveva poco di diverso dalle famigerate “trojke” staliniane che seminavano sentenze di morte fra la popolazione dell’Unione Sovietica.

La disinformazione comunista e i seguaci di Togliatti, ancora ben attivi ai nostri giorni, hanno presentato la narrazione della vulgata resistenziale completamente falsata nella sua essenza, raccontando di eroi che in realtà erano criminali, e nascondendo i crimini e la ferocia che li avevano contraddistinti, insieme ad un odio insanabile.

I delitti, le stragi efferate, i furti e le ruberie, commessi da veri sciacalli al soldo di Togliatti e Longo, come nel caso dell’”Oro di Dongo”, oppure delle torture che precedettero le esecuzioni della famiglia Govoni, così come le esecuzioni di altri partigiani colpevoli di non essere allineati all’ortodossia stalinista, rappresentarono nell’immediato dopoguerra il biglietto da visita del partigianto comunista.

Gli Istituti storici della Resistenza, che avrebbero dovuto interpretare un ruolo di obiettività nel raccontare le vicende della guerra civile italiana dal 1943 al 1945, oltre che del dopoguerra, in realtà si incaricarono di fabbricare una versione adulterata e falsa dei fatti.

L’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) comprende quegli Istituti sopra citati che in realtà non sono altro che fabbriche di colossali falsificazioni, affratellate da un culto malsano della Resistenza, offerta secondo stereotipi preconfezionati e adattati alle esigenze del Partito comunista.

Il simbolo di MORTE che
piace tanto ad ANPI e PD

Deus ex machina della vulgata resistenziale e delle relative imposizioni dogmatiche è senza ombra di dubbio l’ANPI, roccaforte degli stalinisti che traggono linfa vitale sia dal retaggio pseudo culturale e politico di Togliatti, definito con il vezzeggiativo di “il Migliore”, che dai veterocomunisti dei nostri giorni.

E’ anche sintomatico il fatto che nei siti dell’ANPI si trovino riferimenti a criminali assassini del partigianato comunista, ma solo in termini che ne glorificano l’operato, e che omettono deliberatamente i coinvolgimenti giudiziari, le condanne, la latitanza e quant’altro possa inficiarne l’immagine.

Appare quindi assolutamente inaffidabile l’intero impianto resistenziale così come viene presentato, compreso l’insieme di biografie e di documenti sapientemente manipolati.

Viene quindi da interrogarsi sul fatto che fosse prassi consolidata quella di omettere fatti, circostanze, e soprattutto responsabilità che riguardavano personaggi di spicco del partito comunista, come ad esempio il Sindaco Dozza, oppure Dante Stefani.

Oggi sappiamo che il Partito comunista operava per sviluppare un disegno eversivo con il quale intendeva trasformare l’Italia in un satellite russo, agli ordini dell’Unione Sovietica.

Togliatti era l’artefice del piano criminale, mentre le brigate Garibaldi costituivano il braccio armato con cui realizzare il disegno eversivo.

La volontà comunista si palesò apertamente con il tradimento del Partito nei confronti del Popolo e dello Stato italiano, nel momento in cui Togliatti e Longo dichiararono la loro volontà di lottare al fianco di Tito e dei comunisti jugoslavi per dare loro i territori istriani dell’Italia orientale che appartenevano di diritto alla Nazione italiana.

Il Trattato di Rapallo del 1920, conseguente alla vittoria italiana nella prima Guerra mondiale, sancì l’appartenenza della Venezia Giulia, dell’Istria e del Quarnaro al Regno d’Italia, ma le orde garibaldine comuniste italiane furono destinate, per ordine di Longo e Togliatti, a combattere in seno al IX Corpus d’armata titino, a fianco del comunismo slavo.

Togliatti e Tito, i due comunisti stragisti e assassini a colloquio...

Il tradimento comunista apparve palese in ogni suo aspetto, compreso il fatto che per interi decenni un fiume di denaro si riversò da Mosca nelle casse del Partito comunista italiano, nonostante il fatto che questo fosse insito nell’ambito parlamentare della Repubblica.

Tutto ciò, di per sé, costituì un tradimento comunista nei confronti della nazione, poiché gli ingenti finanziamenti russi legavano il PCI a doppio filo con Mosca, inducendo il partito di Togliatti ad agire non nell’interesse del Popolo italiano, ma in nome di Stalin.

Non a caso Togliatti, dopo aver interpretato il ruolo di Numero due del Comintern, ebbe a lui intitolata una città sul fiume Volga, in Russia, che prese il nome di Togliattigrad.

Quando nel 1930 Stalin concesse a Togliatti la cittadinanza russa, durante il XVI Congresso del Partito Comunista Sovietico, lo statista italiano dichiarò :

È motivo di particolare orgoglio aver lasciato la cittadinanza italiana perché come italiano sarei solo un miserabile mandolinista e nulla più.

Come cittadino sovietico sento di valere 10 mila volte più del migliore cittadino italiano”.

L’elenco dei traditori, degli assassini, dei ladri, e di coloro che impunemente stuprarono, mutilarono e torturarono esseri umani innocenti a guerra finita, è molto lungo, ed è composto proprio da quei personaggi che il PCI prima e l’ANPI poi hanno sublimato e presentato come esempi da seguire, come eroi e simboli di una Italia repubblicana e antifascista.

Viene spontaneo quindi fare dei confronti e dei parallelismi fra i vari personaggi indicati sia dall’ANPI che dai vari rappresentanti di quel partito, il PD, che trae le sue origini dal famigerato PCI.

Dante Stefani nell’immediato dopoguerra era poco meno che ventenne e membro effettivo del partigianato comunista.

Premesso che le squadracce comuniste garibaldine del bolognese si macchiarono di una serie infinita di crimini, di omicidi e di stragi, di torture e stupri, seguiti dall’immancabile occultamento dei cadaveri per coprire ciò che loro stessi sapevano essere un delitto contro l’umanità, e considerando che Stefani ne faceva parte e che era talmente legato al PCI da diventarne poi un “uomo chiave” ricoprendo incarichi di prestigio, oltre che essere amico di personaggi come Araldo Tolomelli (Sap) o Vincenzo Galletti (Gap), viene da chiedersi:

Possibile che il tanto osannato e defunto Dante Stefani non avesse alcuna responsabilità nei fatti e nelle strategie criminose del PCI di cui era membro iperattivo?

Gli archivi comunisti potrebbero dircelo, ma come sappiamo la gestione degli incartamenti relativi alla Resistenza e al dopoguerra sono appannaggio esclusivo di organismi come gli Istituti Storici pilotati dall’ANPI, per cui risulta evidente che per ora possiamo sapere solo ciò che i veterocomunisti vogliono che sappiamo.



Tutto ciò nel totale disprezzo della democrazia, della verità e della realtà dei fatti.

L’essenza comunista è proprio questo, e ci permette di dubitare su chiunque venga proposto all’attenzione delle masse come fulgido esempio da seguire e come modello di comunista.

Sappiamo bene cosa ciò possa significare…


Dissenso 

 

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