E’ morto all’età di 95 anni Dante Stefani, dirigente di quel Partito Comunista e di quel partigianato garibaldino che seminarono lutti, sangue e terrore nei territori bolognesi, e non solo.
Grazie al partito divenne assessore al bilancio nella giunta presieduta da Guido Fanti nel 1970 e in seguito presidente di BolognaFiere, poi nel 1979 fu eletto al Senato dove rimase fino al 1987.
Nacque nel 1927 e fin da giovanissimo aderì alla Resistenza come membro delle brigate Garibaldi attive nel bolognese e teatro di premeditate azioni delittuose.
Dante Stefani - Scheda ANPI - Istituto Storico Parri |
Va detto che in tale contesto molti degli assassini comunisti che parteciparono alle scorribande criminali dei garibaldini nel dopo guerra, ad armi deposte, in tempo di pace, furono poi condannati dalla Magistratura a pene che arrivarono anche all’ergastolo, ma quasi tutti vennero aiutati dalla dirigenza del partito comunista ad espatriare in Cecoslovacchia per vivere in stato di latitanza alla faccia della Giustizia italiana.
Le bande garibaldine, come la 36a brigata Garibaldi Bianconcini, la IVa brigata Venturoli (dove militò Stefani), e la IIa brigata Paolo, solo per citarne alcune, furono in prima linea nel compiere una lunga catena di delitti di odio e di crimini sanguinosi, con la compiacenza e lo sprone dei cosiddetti Commissari politici del Partito comunista Italiano.
Molti assassini vennero anzi premiati per la loro ferocia, fino a ricoprire incarichi pubblici o addirittura eletti nel ruolo di deputati in Parlamento, come nel caso, ecclatante, di Francesco Moranino.
Ricordo a chi legge che “Gemisto”, così era chiamato Moranino quando comandava il distaccamento “Pisacane” delle Brigate Garibaldi, e in seguito la 50° brigata Garibaldi, e ancora la XXIIa Divisione Pietro Pajetta, tutte rigorosamente comuniste, organizzò il massacro di 7 persone, premiando poi gli esecutori materiali della strage con la somma di trecento lire ciascuno.
Nel 1949 fu colpito da un mandato di cattura emesso dalla Magistratura, ma si diede alla macchia, protetto dal PCI, salvo poi ritornare una volta eletto in Parlamento nel 1953.
Nel 1955 l’assassino deputato comunista che siedeva sugli scranni del Parlamento italiano fu rinviato a giudizio per omicidio plurimo e grazie alla concessione dell’autorizzazione a procedere il processo penale ebbe un seguito che si concluse con la sua condanna all’ergastolo.
Nel processo di appello del 1957 la sentenza fu confermata ma il comunista stragista non fece nemmeno un giorno di galera perché il PCI e “Soccorso rosso” lo aiutarono ad espatriare, inviandolo in Cecoslovacchia presso “Radio Praga”, dove rimase fino al 1965, anno in cui il Presidente della Repubblica italiana Giuseppe Saragat gli concesse la grazia.
Va detto che in precedenza, nel 1958, anche il Presidente della Repubblica italiana Giovanni Gronchi, predecessore di Saragat, aveva commutato la pena da ergastolo a dieci anni di reclusione.
Al suo rientro in Italia l’assassino comunista fu accolto a braccia aperte dal PCI, che lo fece eleggere Senatore della Repubblica, carica che mantenne fino alla sua morte nel 1971.
Dante Stefani, ex Commissario politico del PCI |
Negli anni del dopoguerra a Bologna era Sindaco Giuseppe Dozza (dal 1945 al 1966) e poiché a quei tempi nulla si muoveva senza il consenso esplicito del Partito comunista, viene da pensare che il tanto osannato dirigente politico, definito come “il Sindaco di tutti” non fosse all’oscuro delle manovre criminali che il partigianato garibaldino locale interpretava quotidianamente.
I cosiddetti “commissari politici” (come Dante Stefani) che imperversarono nel dopoguerra, ubbidivano direttamente al PCI, e svolgevano un ruolo che aveva poco di diverso dalle famigerate “trojke” staliniane che seminavano sentenze di morte fra la popolazione dell’Unione Sovietica.
La disinformazione comunista e i seguaci di Togliatti, ancora ben attivi ai nostri giorni, hanno presentato la narrazione della vulgata resistenziale completamente falsata nella sua essenza, raccontando di eroi che in realtà erano criminali, e nascondendo i crimini e la ferocia che li avevano contraddistinti, insieme ad un odio insanabile.
I delitti, le stragi efferate, i furti e le ruberie, commessi da veri sciacalli al soldo di Togliatti e Longo, come nel caso dell’”Oro di Dongo”, oppure delle torture che precedettero le esecuzioni della famiglia Govoni, così come le esecuzioni di altri partigiani colpevoli di non essere allineati all’ortodossia stalinista, rappresentarono nell’immediato dopoguerra il biglietto da visita del partigianto comunista.
Gli Istituti storici della Resistenza, che avrebbero dovuto interpretare un ruolo di obiettività nel raccontare le vicende della guerra civile italiana dal 1943 al 1945, oltre che del dopoguerra, in realtà si incaricarono di fabbricare una versione adulterata e falsa dei fatti.
L’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) comprende quegli Istituti sopra citati che in realtà non sono altro che fabbriche di colossali falsificazioni, affratellate da un culto malsano della Resistenza, offerta secondo stereotipi preconfezionati e adattati alle esigenze del Partito comunista.
Il simbolo di MORTE che piace tanto ad ANPI e PD |
Deus ex machina della vulgata resistenziale e delle relative imposizioni dogmatiche è senza ombra di dubbio l’ANPI, roccaforte degli stalinisti che traggono linfa vitale sia dal retaggio pseudo culturale e politico di Togliatti, definito con il vezzeggiativo di “il Migliore”, che dai veterocomunisti dei nostri giorni.
E’ anche sintomatico il fatto che nei siti dell’ANPI si trovino riferimenti a criminali assassini del partigianato comunista, ma solo in termini che ne glorificano l’operato, e che omettono deliberatamente i coinvolgimenti giudiziari, le condanne, la latitanza e quant’altro possa inficiarne l’immagine.
Appare quindi assolutamente inaffidabile l’intero impianto resistenziale così come viene presentato, compreso l’insieme di biografie e di documenti sapientemente manipolati.
Viene quindi da interrogarsi sul fatto che fosse prassi consolidata quella di omettere fatti, circostanze, e soprattutto responsabilità che riguardavano personaggi di spicco del partito comunista, come ad esempio il Sindaco Dozza, oppure Dante Stefani.
Oggi sappiamo che il Partito comunista operava per sviluppare un disegno eversivo con il quale intendeva trasformare l’Italia in un satellite russo, agli ordini dell’Unione Sovietica.
Togliatti era l’artefice del piano criminale, mentre le brigate Garibaldi costituivano il braccio armato con cui realizzare il disegno eversivo.
La volontà comunista si palesò apertamente con il tradimento del Partito nei confronti del Popolo e dello Stato italiano, nel momento in cui Togliatti e Longo dichiararono la loro volontà di lottare al fianco di Tito e dei comunisti jugoslavi per dare loro i territori istriani dell’Italia orientale che appartenevano di diritto alla Nazione italiana.
Il Trattato di Rapallo del 1920, conseguente alla vittoria italiana nella prima Guerra mondiale, sancì l’appartenenza della Venezia Giulia, dell’Istria e del Quarnaro al Regno d’Italia, ma le orde garibaldine comuniste italiane furono destinate, per ordine di Longo e Togliatti, a combattere in seno al IX Corpus d’armata titino, a fianco del comunismo slavo.
Il tradimento comunista apparve palese in ogni suo aspetto, compreso il fatto che per interi decenni un fiume di denaro si riversò da Mosca nelle casse del Partito comunista italiano, nonostante il fatto che questo fosse insito nell’ambito parlamentare della Repubblica.
Tutto ciò, di per sé, costituì un tradimento comunista nei confronti della nazione, poiché gli ingenti finanziamenti russi legavano il PCI a doppio filo con Mosca, inducendo il partito di Togliatti ad agire non nell’interesse del Popolo italiano, ma in nome di Stalin.
Non a caso Togliatti, dopo aver interpretato il ruolo di Numero due del Comintern, ebbe a lui intitolata una città sul fiume Volga, in Russia, che prese il nome di Togliattigrad.
Quando nel 1930 Stalin concesse a Togliatti la cittadinanza russa, durante il XVI Congresso del Partito Comunista Sovietico, lo statista italiano dichiarò :
“È motivo di particolare orgoglio aver lasciato la cittadinanza italiana perché come italiano sarei solo un miserabile mandolinista e nulla più.
Come cittadino sovietico sento di valere
10 mila volte più del migliore cittadino italiano”.
L’elenco dei traditori, degli assassini, dei ladri, e di coloro che impunemente stuprarono, mutilarono e torturarono esseri umani innocenti a guerra finita, è molto lungo, ed è composto proprio da quei personaggi che il PCI prima e l’ANPI poi hanno sublimato e presentato come esempi da seguire, come eroi e simboli di una Italia repubblicana e antifascista.
Viene spontaneo quindi fare dei confronti e dei parallelismi fra i vari personaggi indicati sia dall’ANPI che dai vari rappresentanti di quel partito, il PD, che trae le sue origini dal famigerato PCI.
Dante Stefani nell’immediato dopoguerra era poco meno che ventenne e membro effettivo del partigianato comunista.
Premesso che le squadracce comuniste garibaldine del bolognese si macchiarono di una serie infinita di crimini, di omicidi e di stragi, di torture e stupri, seguiti dall’immancabile occultamento dei cadaveri per coprire ciò che loro stessi sapevano essere un delitto contro l’umanità, e considerando che Stefani ne faceva parte e che era talmente legato al PCI da diventarne poi un “uomo chiave” ricoprendo incarichi di prestigio, oltre che essere amico di personaggi come Araldo Tolomelli (Sap) o Vincenzo Galletti (Gap), viene da chiedersi:
Possibile che il tanto osannato e defunto Dante Stefani non avesse alcuna responsabilità nei fatti e nelle strategie criminose del PCI di cui era membro iperattivo?
Gli archivi comunisti potrebbero dircelo, ma come sappiamo la gestione degli incartamenti relativi alla Resistenza e al dopoguerra sono appannaggio esclusivo di organismi come gli Istituti Storici pilotati dall’ANPI, per cui risulta evidente che per ora possiamo sapere solo ciò che i veterocomunisti vogliono che sappiamo.
Tutto ciò nel totale disprezzo della democrazia, della verità e della realtà dei fatti.
L’essenza comunista è proprio questo, e ci permette di dubitare su chiunque venga proposto all’attenzione delle masse come fulgido esempio da seguire e come modello di comunista.
Sappiamo bene cosa ciò possa significare…
Dissenso
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