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“Viaggio nella vertigine” è il titolo del libro scritto da Evgenija Ginzburg, che narra le sue vicissitudini come deportata politica all’epoca di Stalin, il sanguinario e feroce dittatore comunista sovietico.
“Viaggio nella vertigine” è il titolo del libro scritto da Evgenija Ginzburg, che narra le sue vicissitudini come deportata politica all’epoca di Stalin, il sanguinario e feroce dittatore comunista sovietico.
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Dopo aver insegnato all’Istituto pedagogico di Mosca divenne presto membro del Partito e collaborò con il Professor El’vov, titolare della cattedra di Storia russa, alla realizzazione di una raccolta di saggi sulla storia della Tataria.
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Lavorò poi, insieme allo stesso, alla redazione del giornale “Tataria rossa”, curando la stesura della pagina culturale.
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Successivamente, nel 1937, la follia paranoica di Stalin, coadiuvata dall’apparato comunista sovietico, iniziò ad individuare in ogni strato della società russa i potenziali nemici del potere rivoluzionario, bollandoli come trotzkisti.
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Iniziarono così le grandi “ondate” di arresti di massa, basandosi su imputazioni “costruite” a tavolino, più che su effettive prove reali ed oggettive di reato.
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Fu così che anche Evgenija Ginzburg entrò a far parte dell’enorme numero di coloro che furono prima arrestati, condannati a morte, poi graziati ma deportati nei lager posti alle estremità più lontane dell’immenso territorio russo, in zone dominate dal gelo perenne, con temperature stabilmente fissate sui 40 o 50 gradi sotto lo zero.
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La “colpa” di Evgenija fu quella di non aver denunciato per trotzkismo proprio il Professor El'vov, arrestato poco prima dagli agenti di Stalin, con cui aveva collaborato intellettualmente a redigere saggi storici sulla Tataria.
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Le fu contestato il fatto che, frequentandolo per motivi accademici, lei non poteva non sapere della sua attività controrivoluzionaria, e per questo motivo ne diventava complice e colpevole di essere un “elemento ostile al Partito”.
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Fu quindi espulsa dal Partito stesso, arrestata, e condannata a morte.
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Dopo aver trascorso due anni nella prigione di Jaroslavl’ in condizioni di vita estreme, soffrendo la fame e il freddo, oltre che l’isolamento, Evgenija fu destinata ad un nuovo luogo di detenzione, e fu deportata nella Siberia orientale.
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Iniziò così un vero e proprio calvario, che avrebbe dovuto sopportare per oltre dieci anni, durante i quali sarebbe stata vicino alla morte diverse volte.
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Le sue condizioni fisiche, infatti, a causa della denutrizione e delle sofferenze fisiche, oltre che psicologiche, la ridussero più di una volta in fin di vita.
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Evgenija assunse le sembianze tipiche di coloro che, nei lager comunisti, interpretavano un ruolo, loro malgrado, di morti viventi, simili a zombie scarnificati, o a creature disumanizzate e prive di qualsiasi parvenza di umanità.
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La fame cronica e il terrore provocarono in molti deportati quelle orrende metamorfosi che li accomunarono a bestie deambulanti e incoerenti, mentre in altri sviluppò una forma di simbiosi affettiva con tutti gli sventurati sottoposti alla medesima tortura.
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Evgenija riesce a sopravvivere, sfiorando la morte molte volte, e sconta per intero la sua pena, al termine della quale le viene imposto l’obbligo di soggiorno a vita nei territori della kolyma, l’universo ghiacciato siberiano.
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Solamente alla morte di Stalin iniziò un percorso diverso per tutti gli sventurati che erano stati vittime della perversione comunista, e gradatamente si potè assistere a provvedimenti di clemenza e di revisione dei processi.
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Evgenija fu riconosciuta innocente e riabilitata, dopo oltre vent’anni di sofferenze.
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Ci ha lasciato questo testo, ben scritto e dettagliato nelle diversificazioni dei vari stadi del suo animo, nel corso delle prove terribili a cui dovette sottostare, ai limiti della sopravvivenza.
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Nelle nostre Scuole dovremmo studiare tutto ciò, insieme alle opere del Petrarca e a quelle di Dante Alighieri, poiché si tratta della manipolazione della vita e del destino di milioni di esseri viventi indifesi, molto più importanti della dialettica intellettuale legata alla prosa e alla letteratura.
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Dissenso
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