Il
libro “Oro da Mosca”, scritto da Valerio Riva con la collaborazione di
Francesco Bigazzi, tratta dei
finanziamenti sovietici al PCI, dalla Rivoluzione d’Ottobre al crollo
dell’Urss.
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Lo
studio condotto da Valerio Riva, si è avvalso della consultazione di centinaia
di carte inedite sulla contabilità segreta del PCUS, messe a disposizione dai
magistrati russi che hanno iniziato nel 1992 a indagare sui Fondi di assistenza
internazionale ai partiti e alle organizzazioni operaie e di sinistra.
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E’
stato possibile ricostruire una parte della storia d’Italia e del mondo
precedentemente mai raccontata, dai risvolti inquietanti, che dovrebbe essere
oggetto di studio sui banchi di scuola.
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Dal
libro emergono le precise responsabilità dei comunisti italiani nel percorso di
asservimento alle politiche sovietiche, e la loro dipendenza economica da
Mosca, e il ruolo ambiguo che i parlamentari comunisti italiani hanno
interpretato nell’essere contemporaneamente deputati del Governo italiano e
marionette nelle mani del potere comunista russo.
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Il
denaro è stato sempre la causa dell’interdipendenza tra i personaggi di spicco
del PCI e Mosca, condizionando l’esistenza e la vita stessa dell’intero
apparato politico cui facevano riferimento coloro che inneggiavano alla
bandiera rossa.
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Nel
libro vengono evidenziate dettagliatamente le cifre erogate periodicamente,
oltre che le metodologie di consegna e i personaggi deputati alla loro gestione.
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Si
viene così a conoscenza di come funzionava il sistema commerciale attraverso
cui il PCI traeva sostegno finanziario dai rapporti economici tra Russia e
Italia, che erano consentiti solo ad aziende guidate da personaggi inseriti
nell’entourage del partito stesso.
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Una
fetta degli enormi profitti derivati dagli scambi commerciali doveva essere
deviata nelle casse del PCI, prefigurando e anticipando una vera e propria
tangentopoli rossa.
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Anche
dopo la morte di Stalin l’Unione Sovietica, dal canto suo, si premurava di
ricevere in modo non meno che sontuoso i delegati dei partiti comunisti
europei, in occasione di eventi quale, ad esempio, quello del XX congresso, in
piena era Kruscev.
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La
volontà egemonica di Mosca si palesava ambiguamente nel trattamento principesco
che veniva offerto ai delegati comunisti stranieri, che ricevevano diarie in
rubli di cinque volte superiori al salario mensile di un operaio sovietico.
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I
personaggi di spicco del comunismo internazionale, come ad esempio Togliatti, o
Thorez, erano considerati come veri e propri divi del Comintern, ed erano
assuefatti a tenori di vita non certo improntati allo spirito di vita
proletario.
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Il
libro evidenzia anche il nuovo percorso economico avviato da Boris Nikolaevic
Ponomarev, il membro del soviet che si occupava dei rapporti con il PCI, in
riferimento ai finanziamenti sovietici dei partiti comunisti europei.
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La
nuova politica assistenzialista era improntata ad un policentrismo che
individuava nel PCI (Partito Comunista Italiano), nel PCF (Partito Comunista
Francese), nel Partito Comunista Finlandese, e nel SED (il Partito Socialista
Unificato di Germania), gli unici destinatari del flusso di denaro erogato da
Mosca.
L’apertura
degli archivi segreti del Comitato Centrale del colosso sovietico rivela con
chiarezza come negli anni 50, dopo la morte di Stalin, e dopo il XX° Congresso,
Mosca fosse una vera e propria “terra di Bengodi”.
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In
quegli anni Mikhail Suslov interpreterà il ruolo di intransigente difensore
della ortodossia staliniana, a cui dovranno piegarsi i destinatari dei flussi
di denaro erogati da Mosca, compreso il PCI.
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In
“Oro da Mosca” si parla anche della gestione dei fondi del PCI, e delle riserve
finanziarie tenute separate dal conto corrente “ufficiale” del partito,
a garanzia di eventuali esigenze straordinarie.
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Su
questo argomento viene messa in evidenza la vicenda relativa all’”ammanco di
cassa” che si verificò nel 1954 ad opera di Giulio Seniga (ex partigiano),
il vice di Pietro Secchia (dirigente del PCI), che sparì con una somma
equivalente a 10 miliardi di euro odierni.
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Il
PCI non poté denunciare Seniga a causa del fatto che i fondi spariti facevano
parte di finanziamenti ricevuti illegalmente dall’Unione Sovietica.
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Naturalmente l’unico che trarrà vantaggio da questa vicenda sarà proprio “il Migliore” (Togliatti), che riuscirà a prevalere sul rivale Secchia, proprio attaccandolo per gli esiti nefasti della gestione e del controllo dei fondi segreti.
Negli
anni ’50 molti politici italiani appartenenti al PCI hanno goduto di introiti
finanziari provenienti da Mosca, anche sotto forma di “diritti d’autore”,
per le pubblicazioni dei loro scritti editi in Russia ; praticamente un modo
per giustificare una corrispondenza economica dovuta a coloro che orbitavano
nella sfera di influenza comunista sovietica.
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Gli
esempi si sprecano, e risultano dai carteggi esaminati negli archivi :
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A
Togliatti e alla rivista “Rinascita” verranno corrisposti 750 milioni .
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Mosca
offriva a piene mani, e i comunisti italiani arraffavano con disinvoltura.
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Erano
molto apprezzati i viaggi vacanze o le cure mediche in terra di Russia, da cui
i dirigenti del PCI sembravano essere calamitati.
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Tra
le carte segrete emerse dagli archivi moscoviti, anche in questi casi, spiccano
nomi ricorrenti, come quello di Pietro Nenni,
di Rita Montagnana (moglie di Togliatti), di Paolo Robotti (cognato di
Togliatti), e dei sindacalisti della CGIL Giuseppe Di Vittorio e Fernando Santi
(con relative famiglie al seguito).
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Il
“personaggio” che si occupava di fornire a Mosca le liste di coloro che
avrebbero dovuto essere invitati, era un alto funzionario del PCI, tale Edoardo
D’Onofrio, detto Edo.
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Costui
andava e veniva dalla capitale sovietica fin dal 1923, ed era in pratica un
intermediario (nelle grazie di Mosca), che sceglieva l’inserimento dei
nominativi per la lista di persone da invitare in Russia per le cure mediche, non certo però per motivazioni sanitarie, di cui non esisteva alcun accenno, ma solo
in base a decisioni politiche.
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Un
indubbio inquinamento della vita politica italiana è stato senza alcun dubbio
messo in atto per decenni dai comunisti di Mosca.
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L’interferenza
russa sul modus operandi e sulle strategie dell’intera sinistra italiana si è
palesata anche a riguardo del Partito Socialista Italiano.
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Fino
al 1956 infatti anche il partito di Nenni e il quotidiano l’”Avanti !”
hanno ricevuto regolarmente soldi da Mosca.
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Successivamente
le posizioni politiche di Nenni, relativamente ai fatti Ungheresi del 1956,
mostrarono una netta opposizione alle repressioni sovietiche in quel Paese.
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L’incoraggiamento
finanziario indirizzato agli oppositori
di Nenni portò alla scissione del partito e alla nascita del PSIUP : il
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
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Questo
nuovo partito politico, figlio del flusso di denaro dei comunisti russi, costò
a Mosca oltre 50 miliardi delle vecchie lire, e raggruppò al suo interno le
correnti politiche legate alla contestazione, al ribellismo, e alla guerriglia
urbana, definendo così una “stazione di transito” per coloro che
fluirono poi nelle file di Lotta Continua e di Potere Operaio.
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Appare
quindi chiaro che gli strumenti di cui poteva disporre il comunismo sovietico,
sia durante l’epoca staliniana che nel corso dell’era Breznev, per controllare,
modificare o comunque inquinare la scena politica italiana, si svilupparono
grazie al flusso enorme e costante di denaro elargito da Mosca ai gruppi e ai
partiti della sinistra del nostro Paese.
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I
documenti messi a disposizione degli studiosi di storia successivamente al
1974, mostrano anche il coinvolgimento di Mosca nel favoreggiamento del
terrorismo internazionale.
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Uno
dei documenti che maggiormente fece gridare allo scandalo fu quello che
comprovava l’abitudine ricorrente di Mosca di abbandonare in pieno oceano
Atlantico delle enorme chiatte cariche di armi, perché i terroristi dell’OLP
(Organizzazione per la Liberazione della Palestina) le recuperassero.
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Uno
dei verbali più significativi ed inquietanti che riguardano invece il nostro
Paese è quello del 5 maggio 1974, relativo ad una riunione del Politburo, in
epoca Breznev, in cui viene discussa e approvata la proposta di fornire al PCI
una “assistenza speciale”.
In
pratica, sarebbero stati accolti dal KGB (la famigerata Polizia Segreta del
Cremlino) diciannove membri del Partito Comunista Italiano, a spese del PCUS, e
ospitati per alcuni mesi a Mosca, per frequentare una scuola gestita nella
capitale sovietica dai servizi segreti russi.
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In
seguito a costoro sarebbero poi state fornite attrezzature “speciali” e segrete
per svolgere i compiti loro assegnati.
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Leggendo tra le righe, si evince che l’operazione altro non fu che
l’itinerario di avviamento e di formazione di queste persone ad interpretare un
ruolo che includesse l’uso di microspie, di messaggi in codice, di trasformazione
fisica e di mimetizzazione, l’uso di documenti falsi, il ricorso alla
clandestinità e il maneggio di armi e di pratiche illegali.
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In
parole povere si tratta dell’addestramento di persone destinate a diventare
agenti dello spionaggio.
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In
quel periodo al comando del PCI c’era Enrico Berlinguer.
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E’
significativo il fatto che proprio Berlinguer, da una parte simulasse uno
“strappo” con Mosca, mentre dall’altro inviasse queste 19 persone a imparare
dal KGB le tecniche spionistiche.
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Fatto
sta che costoro, una volta addestrati, passavano dal ruolo di militanti del PCI
a quello di agenti sotto il comando e gli ordini del KGB.
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I
documenti consultati mostrano come venissero loro forniti anche gli strumenti
per svolgere la loro ambigua attività agli ordini di Mosca, come ad esempio le
parrucche per il mimetismo e i documenti falsificati.
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Esiste
una lista di ben 600 passaporti e carte di identità contraffatte.
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Di
questi documenti, un centinaio erano destinati ai capi del PCI, nella misura di
due a testa ; un passaporto italiano e uno svizzero o francese, entrambi falsi.
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In
cima alla lista dei privilegiati c’erano Luigi Longo, Enrico Berlinguer, e
Armando Cossutta, che a quell’epoca sedevano sui banchi del Parlamento Italiano
in qualità di “Onorevoli” !
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Queste
rivelazioni inquietanti aprono la strada a interrogativi preoccupanti e
sinistri.
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Ci
si potrebbe chiedere se, nonostante il metamorfismo operato dai camaleontici
comunisti italiani, esista ancora oggi qualche struttura segreta, paramilitare
e clandestina legata al comunismo Moscovita.
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Il
terrorismo, non solo italiano, ha trovato forme di assistenza e di
proliferazione proprio grazie all’addestramento di macabre marionette del PCI,
formate dal KGB per svolgere un ruolo destabilizzante ?
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Anche
il Giudice Giovanni Falcone svolgeva indagini in tale direzione, dietro mandato
del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che richiese un’inchiesta
giudiziaria sulle attività finanziarie del PCI.
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Stepankov
avrebbe dovuto poi incontrare di nuovo il Giudice Falcone, per consegnarli la
documentazione richiestagli, quando gli giunse la notizia della strage di
Capaci, in cui il magistrato italiano perse la vita insieme agli uomini della
sua scorta.
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“Oro
da Mosca” racconta l’evolversi di queste indagini, portate avanti dal Sostituto
Procuratore Luigi de Ficchi, e di come abbia preso forma l’ipotesi
dell’esistenza di un braccio armato del PCI dal dopoguerra ad oggi.
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Dalle
indagini emersero pesanti riscontri oggettivi che collegavano i finanziamenti
sovietici con uno dei responsabili degli eccidi compiuti dai partigiani
comunisti nel dopoguerra nel cosiddetto “triangolo della morte” in località
Correggio (Reggio Emilia).
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In
particolare l’indagine si riferisce al mandante dell’uccisione di Don Pessina,
il Parroco di San Martino Piccolo di Correggio.
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L’assassino
viene riconosciuto e identificato come un uomo d’affari emiliano divenuto
enormemente ricco commerciando negli anni 60 con l’Unione Sovietica, con i
paesi dell’est europeo, e con Cuba.
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Si
dice che costui, negli anni 60/70 fosse uno dei finanziatori, neanche tanto
occulti, delle Brigate Rosse.
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Appare
quindi evidente una sinergia che lega i soldi russi non solo al comunismo
italiano, ma anche a forme più estreme di aggregazioni sovversive, clandestine
e violente.
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Il
segreto, inteso come mezzo per occultare e nascondere le verità scomode, sembra
essere quindi l’elemento costante e catalizzatore dei comunisti italiani, dal
dopoguerra ai giorni nostri.
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Per
meglio nascondere le prove della sua ambiguità, il PCI prese l’abitudine di
trasferire a Mosca anche i documenti del proprio archivio, fin dai tempi del
Comintern.
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A
proposito di doppiezza e di meschinità, dal libro di Valerio Riva emerge ancora
una volta il bieco ruolo del criminale Togliatti, membro del Parlamento
italiano da un lato, ed esponente del comunismo sovietico al soldo di Mosca
dall’altro.
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Le
sue responsabilità assumono tonalità ulteriormente inquietanti se consideriamo
anche i rapporti intrattenuti, fin dal 1945, con il massone piduista Licio
Gelli.
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Erano
gli anni delle trasmissioni radio che arrivavano dalla Cecoslovacchia,
attraverso cui quei comunisti italiani che si erano rifugiati a Praga perché
ricercati per il reato di omicidio o strage, conducevano una propaganda
politica che istigava all’insurrezione.
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Alcuni
di loro erano i famigerati assassini della “Volante rossa”, tristemente famosa
in Italia per i massacri di donne e bambini, compiuti a guerra finita.
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A
molti di questi criminali fu poi “regalata” l’amnistia dal Presidente Sandro
Pertini.
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Non
a caso, nel 1969, Armando Cossutta ottiene e accetta il flusso di denaro da
Mosca in cambio dell’istituzione di un nuovo e più potente sistema di
ricetrasmittenti tra l’est e l’Italia.
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Una
vera e propria operazione di prostituzione in stile puramente togliattiano, che
ha però permesso al PCI di sostenere le spese per la formazione politica dei
militanti, e di acquistare le sedi di partito in varie località sul territorio
nazionale.
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Una
struttura quindi, quella dei comunisti italiani, che esiste solo grazie
all’”oro di Mosca” e alla condiscendenza dimostrata da Togliatti in poi verso
Mosca e le sue politiche, comprese quelle autoritarie e violente.
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Anche
Enrico Berlinguer che manifestava inizialmente una contrapposizione di
carattere teorico su elementi deformati del pensiero marxista espressi dal
comunismo russo, si prostrò poi a manifestare la sua convinta solidarietà a
Mosca, per il ruolo essenziale svolto nello scontro con l’imperialismo
americano.
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Siamo
nel 1971, e anche l’attuale Presidente della Repubblica italiana, Giorgio
Napoletano, vola a Mosca con la scusa del festival del cinema.
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Berlinguer
incontra il Capo dello Stato ungherese Janos Kadar a Budapest, mentre Agostino
Novella (segreteria di Berlinguer) incontra il dittatore romeno Ceausescu a
Bucarest.
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La
fitta schiera di relazioni che interseca la collaborazione del PCI con i
dittatori dei Partiti comunisti di tutto il mondo, attraversa e supera i
confini della decenza, ignorando totalmente i presupposti di democrazia che un
partito dell’arco parlamentare italiano dovrebbe avere, e identifica
l’assuefazione e la dipendenza ad un sistema di potere iniquo e malvagio :
quello comunista.
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Il
servilismo del PCI e delle sue politiche produrranno ancora, nel 1975, un nuovo
flusso di denaro da Mosca, dell’ordine di circa 17 milioni di euro attuali.
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“Oro
da Mosca” spiega anche diffusamente come, attraverso la fitta rete di rapporti
commerciali, si deviasse nelle casse del PCI una parte delle percentuali di
guadagno delle transazioni effettuate.
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Le
aziende commerciali che importavano merci dai Paesi dell’est, e che
commerciavano con la Germania orientale, dopo che fu eretto il Muro di Berlino,
traevano immensi profitti dell’ordine di svariati miliardi delle vecchie Lire.
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“Botteghe
oscure” diventa il fulcro attraverso cui le mediazioni commerciali tra il
colosso sovietico e i comunisti italiani appaiono come lunghe leve per
manipolare e gestire gli orientamenti di interi strati sociali, e come mezzo di
persuasione per incrementare la simbiosi tra Roma e Mosca.
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Il libro continua la narrazione spaziando nell’universo comunista fino quasi ai giorni nostri, lasciandoci poi con una sensazione di amaro in bocca, come se qualcuno o qualcosa si fosse insinuato con prepotenza dentro le nostre coscienze, spavaldamente e senza che fosse richiesto, minando le nostre convinzioni e i nostri aneliti di libertà, devastando le nostre certezze e i nostri punti di riferimento.
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Il libro continua la narrazione spaziando nell’universo comunista fino quasi ai giorni nostri, lasciandoci poi con una sensazione di amaro in bocca, come se qualcuno o qualcosa si fosse insinuato con prepotenza dentro le nostre coscienze, spavaldamente e senza che fosse richiesto, minando le nostre convinzioni e i nostri aneliti di libertà, devastando le nostre certezze e i nostri punti di riferimento.
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Il
PCI, e i suoi seguaci poli-metamorfizzati, rivestono un ruolo primario nel
tentativo di dissimulare una corsa verso il nichilismo della nostra nazione,
verso cui si sono precipitati i politicanti comunisti al soldo di Mosca.
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Il
silenzio e la disinformazione che fino ad oggi hanno imperato in Italia, ora
possono essere superati, grazie al lavoro di studiosi della realtà e di storici
come Valerio Riva, a cui va, incondizionatamente, il mio ringraziamento per il
lavoro svolto.
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Dissenso
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Grazie della gradita visita e dei complimenti... felice di ricambiare!
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