domenica 17 gennaio 2010

“Storie di uomini giusti nel Gulag”.

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Vorrei segnalare un libro scritto da un insieme di autori, studiosi del dissenso sovietico, intitolato “Storie di uomini giusti nel Gulag.”
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Nel panorama letterario del genere è sicuramente un testo da conoscere, non solo per la molteplicità degli interventi e delle testimonianze, essendo scritto da autorevoli esperti in materia, ma anche per le riflessioni che induce a fare in seguito agli stermini e ai genocidi effettuati nel 1900 da due mondi contrapposti idelogicamente ma parimenti devastanti per la democrazia, quello nazista, e quello sovietico.
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Sarebbe giusto che i testi come questo fossero adottati come elemento di studio scolastico nelle scuole di tutta Europa, perché non sia vanificato il sacrificio di milioni di innocenti, e per trarre da questi scritti la consapevolezza delle radici del male : l’annientamento dell’individuo.
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Il libro espone le testimonianze e i percorsi di vita di innumerevoli personaggi che hanno attraversato il secolo dei genocidi etnici e sociali del Novecento, e riflette le loro considerazioni sui crimini del Totalitarismo.
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Viene per così dire definita, una categoria nuova, viva e attuale, da porre accanto a quella ormai nota dei Giusti della Shoa, e cioè quella dei Giusti del Gulag, composta da quelle persone che hanno dato esempio di resistenza morale al male estremo, senza essere personaggi noti, e che si sono opposti come un argine alla persecuzione dell’uomo nell’ex Unione Sovietica.
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Ricordare questi esempi rappresenta una memoria del bene che ha un valore di risonanza specifica, nel tentativo di non limitarne l’acquisizione a compartimenti stagni sul lavoro di ricerca trasversale dei genocidi del Novecento.
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Questa memoria non è frutto di automatismi spontanei, ma esito di una collaborazione con le istituzioni che ne consentono l’evolversi della ricerca e la sua custodia.
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L'introduzione è di Gabriele Nissim, mentre la serie di autori che hanno contribuito alla realizzazione di quest’opera consta di nomi quali :
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Pierluigi Battista, Francesco Bigazzi, Elena Bonner Sacharova, Slavy Boyanov, Francesco M. Cataluccio, Sergej Chodorovic, Elena Cukovskaja, Aleksandr Daniel’, Elena Dundovich, Arina Ginburg, Didi Gnocchi, Natalija Gorbanevskaja, Giovanni Guaita, Sergeij Kovalev, Pietro KuciuKian, Jurij Mal’cev, Armenak Manukyan, lo stesso Gabriele Nissim, Sergio Rapetti, Anatolij Razumov, Arsenij Roginskij, Irina Sirotinskaja, Viktor Smyrov, Vittorio Strada, Nikita Struve, Vladimir Tol’c, e Amatuni Virabyan.
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I testi raccolti in questo libro, sono stati presentati al Convegno Internazionale :
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“I giusti nel Gulag. Il valore della resistenza al totalitarismo sovietico” svoltosi a Milano la prima decade di dicembre del 2003.
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Avrei voluto riportare stralci significativi di citazioni esplicative del significato profondo dell’opera, ma ciò non è stato possibile a causa della riservatezza dei diritti editoriali, per cui mi limiterò ad esprimere una mia personale recensione, scevra il più possibile da condizionamenti intellettuali.
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La prefazione di Gabriele Nissim si apre con una dissertazione sull’equivocità della definizione di “uomo giusto” in base alla quale si evince che ci sono diverse linee di pensiero al riguardo.
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Da una parte quella che identifica le persone che hanno perseguito ideali di vita integra e pura, magari martiri della Chiesa, al servizio di Dio e dediti all’amore verso gli esseri umani e alla preghiera.
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Dall’altra trova posto la figura di chi ha sempre tenuto un comportamento integerrimo e coerente per tutta la sua esistenza, in sintonia con i propri princìpi.
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Una ulteriore definizione di appartenenza auomo giustoè delineata dall’assunzione personale di responsabilità di coloro che si sono fatti carico di una scelta etica di fronte ad un crimine, evitando di farsi alibi e scudo di una ineluttabilità generale.
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E’ questa ultima figura ad emergere tra quelle esaminate.
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Ne sono interpreti coloro che anche in situazioni paradossali, in cui il genocidio è accettato e giustificato, si ergono a difesa della civiltà umana.
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Il dibattito sull’accettazione della definizione di giusto si è sviluppato a Gerusalemme durante la prima istituzione mondiale di una commissione sulla definizione di questa categoria di uomini, dopo l’Olocausto.
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Diverse filosofie di pensiero divergono sulla gerarchia dei valori di riferimento.
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Per alcuni vanno privilegiati nella memoria coloro che hanno sempre tenuto comportamenti esemplari, di alto valore morale, mentre per altri non è determinante il comportamento generico dell’uomo, o la sua rispettabilità, bensì colui che non aveva voluto rinunciare alla sua qualità di essere umano.
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La definizione di “uomo giusto” è ristretta comunque a coloro che, coincidendo con i parametri di riferimento, si sono resi interpreti di tale riconoscimento, nel periodo che ha visto il nazismo imperversare e proliferare.
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La stessa definizione non è applicata, secondo quanto emerge dagli studi di Nissim, a coloro che, magari con gli stessi parametri di riferimento, abbiano una collocazione storica che li veda immersi nell’universo socialista sovietico negli anni del Terrore staliniano.
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Questo perché l’orientamento pilotato dei grandi manipolatori dell’opinione pubblica ha condotto il pensiero dominante su concetti che vedono le vittime del sistema dei Gulag come risultato del tentativo fallito trovare un’alternativa all’economia di mercato, per migliorare la condizione umana.
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Scrittori come Jean-Paul Sartre, alfiere della cultura progressista degli anni sessanta, sintetizzavano il pensiero dominante raccomandando di tacere sugli orrori del Gulag, allo scopo di non infrangere le speranze dei lavoratori nella lotta contro il capitalismo.
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Il totalitarismo comunista e il progetto di “distruzione creativa” teso al raggiungimento di un nuovo ordine sociale, sono stati ideati in modo non dissimile dal delirante meccanismo nazista, ma l’approccio culturale europeo di fronte ai due fenomeni identifica ancora il primo come se contenesse una trappola per gli emarginati e i loro diritti, mentre il secondo riconduce sempre ad un moto istintivo di indignazione istantanea.
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Secondo i comunisti la società era paragonabile ad un grande campo, non da annientare e distruggere ma da cui estirpare le erbacce e le piante infestanti, allo scopo di favorire la nascita di un giardino fiorente e straordinario.

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Margarete Buber-Neumann scrisse su “Le Figaro Litteraire” nel 1950 :
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La differenza fondamentale tra il nazismo e il comunismo fu nella modalità dell’eliminazione degli esseri considerati nocivi per la società.
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Se nel primo sistema essa avveniva per via artificiale nelle camere a gas, nel secondo i cekisti si affidarono alla selezione naturale e all’attivazione cosciente dei peggiori istinti umani, in modo che i più deboli lentamente soccombessero di fronte al freddo, alla fame, nelle condizioni di lavoro schiavistico che imponeva il meccanismo spietato della concorrenza tra i prigionieri per la sopravvivenza.
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Gabriele Nissim, nel proseguo della prefazione auspica che il futuro ci consegni una realtà di diffusione culturale, nelle scuole, che preveda l’insegnamento di quello che è stata l’esperienza comunista sovietica, che racconti la storia di Kolyma, oltre a quella di Auschwitz, e che si studi Salamov insieme a Primo Levi.
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Lo scrittore insiste sul fatto che, data l’incidenza del fenomeno sulla storia, e il condizionamento sulle vicende dei Paesi dell’Europa centro-orientale, l’elaborazione culturale debba diventare una costante di riferimento nella vita culturale europea.
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I lager nazisti e i gulag comunisti, pur avendo una diversa genesi, presentano somiglianze e punti in comune e quindi vanno esaminate e comparate senza alcun pregiudizio, per diventare una memoria storica condivisa.
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Sembra però, a volte, che la presentazione di questo patrimonio, che alternativamente contrappone le due vicende, presenti caratteristiche di contrasto e opposizione reciproca.
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Talora il paragone tra i campi sovietici e quelli nazisti pone la questione in termini di minore responsabilità tra l’uno e l’altro, a seconda di chi ne interpreta le vicende.
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E’ come se ci fosse antitesi nel paragonare i campi di lavoro forzato sovietici a quelli nazisti, quasi se ne sminuisse la responsabilità di questi ultimi, nel confronto, banalizzandoli, ma anche viceversa.
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Purtroppo corrisponde invece a realtà che la deriva eliminazionista introdotta in nome di un ordine superiore abbia attraversato la condizione umana del Novecento, ed è questo il tragico aspetto di cui dobbiamo prendere coscienza.
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Nissim auspica l’istituzione di una simbolica giornata europea dedicata alla memoria comune delle vittime dei campi nazisti e sovietici, nonché di tutti i genocidi che hanno attraversato il XX secolo, a partire dal genocidio armeno, celebrando un lutto condiviso, a significare la volontà dei popoli di riconoscere il male che si è compiuto all’interno della propria storia, e a impedire che l’Europa rimanga in silenzio di fronte alle vittime di nuovi totalitarismi.
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Le sollecitazioni culturali e intellettuali che derivano dal pensiero antitotalitario emerso negli anni che videro la vicenda di Solidarnosc, il ruolo di Papa Giovanni Paolo II, noto anche con il nome di battesimo Karol Wojtyla, e le campagne per i diritti civili nell’est europeo, ci hanno trasmesso in eredità alcuni concetti fondamentali per i valori della democrazia, come quello di non riprodurre l’idea del nemico nel discorso politico, oppure quello che afferma l’inutilità dell’eliminazione delle classi sociali, inseguendo l’idea che la giustizia debba essere imposta dall’alto, da uno Stato che ne sia unico amministratore e giudice.
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Chi si arroga infatti il diritto di decidere chi siano i buoni, è colui che percorrendo scorciatoie politiche ha portato alla costruzione dei campi di detenzione per i cosiddetti cattivi e indegni.
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Purtroppo oggi questo pensiero, necessario a tenere a distanza il male, purtroppo sembra essere nuovamente debole.
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Nel proseguo del suo prologo Gabriele Nissim prosegue magistralmente, spiegando il motivo delle sue affermazioni, e confutando alcune teorie che sono alla base della visione ideologica dei fondamentalisti islamici e di vari movimenti no-global.
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Secondo la teoria di pensiero che li pone in contrapposizione agli americani e al capitalismo, costoro eliminerebbero le cause della sofferenza umana cercando di riproporre l’idea del giardino felice, in cui è necessario estirpare le erbacce.
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Ecco che, quindi, i fondamentalisti sgozzano i prigionieri come agnelli, davanti alle telecamere per negarne l’appartenenza al genere umano, oppure misurano la loro gioia dal numero delle vittime provocate dalle bombe dei kamikaze.
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Per diffondere la memoria del Gulag è necessario, continua Nissim, che ci sia una categoria di persone, da lui chiamata i “narratori”, chiamati a trasmettere alle nuove generazioni non solo il ricordo, ma anche il senso e l’interpretazione di quell’esperienza, per poter riconoscere nella società presente ogni più piccola traccia similare.

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I narratori che meglio interpretano questo ruolo sono per esempio :
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David Rousset, che dopo essere stato prigioniero a Buchenwald, e avere scritto un libro sul sistema concentrazionario nazista, lanciò un appello sul “Figaro Litteraire” a tutti gli ex internati dei campi tedeschi, perché denunciassero al mondo il sistema sovietico dei Gulag.
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Certo è che i sopravvissuti dei campi sovietici, rispetto a quelli dell’Olocausto, hanno avuto meno visibilità.
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Spesso sono stati osteggiati, in mancanza di un soggetto politico che amplificasse la loro voce, mentre gli ebrei sopravvissuti hanno avuto lo stato di Israele che ha portato avanti la battaglia per la memoria.
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Ancora oggi la Russia di Putin, tenta di preservare l’immagine di un paese prestigioso, con un passato da grande potenza, omettendo di riconoscere le “colpe” del passato, e negando quindi un sostegno politico necessario alla memoria delle vittime del Gulag.
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Gli interpreti di un dissenso significativo, che grazie ad una ostinazione individuale tesa a salvaguardare una propria forma di umanità hanno intrapreso un coraggioso percorso ideologico, sono oggi identificabili come figure esemplari.
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Il poeta Osip Mandel’stam, lo scrittore russo Varlam Salamov, quello armeno Meguerditch Armen, l’italiano Edmondo Peluso, Gustaw Herling , scrittore di “Un mondo a parte”, la tedesca Hannah Arendt, il grande Aleksandr Solzenicyn, premio nobel, Aleksandr Ginzburg e suoi samizdat, Anatolij Marchenko… sono solo alcuni degli straordinari interpreti di un ruolo che li ha visti protagonisti di una dissidenza e di una opposizione al male, al comunismo.
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Dopo il prologo di Gabriele Nissim la narrazione si sviluppa partendo dalle considerazioni di Vittorio Strada sui totalitarismi e sul genocidio, il nuovo tipo di sterminio del XX secolo, espressione delle ideologie novecentesche.
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Nel ricordare che il fondamentalismo attuale nella sua nuova dimensione trova le sue radici proprio nei totalitarismi dello scorso secolo, emerge nuovamente il nesso tra lo sviluppo del terrorismo praticato a livello statale e la simbiosi del rapporto che lega, appunto, Stato e violenza espressa.
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Strada si sofferma sulla memoria di Vasilij Grossman, lo scrittore ebreo russo autore del romanzo “Vita e destino”, opera del 1960 che fu subito bollata come antisovietica e sovversiva dal regime comunista.
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Il capitolo successivo di quest’opera, avvincente e importante per i molteplici contributi dei vari autori che hanno contribuito alla sua realizzazione, ci regala una presentazione del “registro della memoria”, intitolato “Il manuale del Gulag”di Jacques Rossi, recensito da Sergio Rapetti.
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Si tratta di un vero e proprio dizionario storico che accorpa un insieme di sigle, denominazioni, istituzioni, sequenze cronologiche, disposizioni, lemmi, voci, e locuzioni, accuratamente descritte secondo un ordine cronologico.
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Possiamo dire che con quest’opera Rossi ha catalogato tutte le vicende di una nazione “messa alla tortura”, in un periodo in cui l’Urss era vista come l’interprete di un comunismo foriero di un “radioso avvenire” per tutta l’umanità.
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Nikita Struve, il professore universitario che dirige a Parigi le edizioni Ymca Press, la storica casa editrice in lingua russa in Occidente, che ha pubblicato i filosofi, poeti, scrittori e saggisti più importanti delle tre ondate di emigrazione che si sono succedute durante i settant’anni di regime sovietico, ci narra in “Storie di uomini giusti nel Gulag” di Osip e Nadezda Mandel’stam, due veri e propri martiri che attraverso la loro poesia ci hanno testimoniato il loro coraggio e la determinazione nell’affermare appassionate prese di posizione avverse al regime di Stalin.
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Il quarto capitolo, scritto da Natalija Gorbanevskaja, ci racconta di quando l’autrice nel 1962 in occasione di un incontro con Anna Achmatova ebbe da lei il permesso di poter trascrivere il suo poema “Requiem” per poterlo poi diffondere come samizdat.
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Il ciclo poetico da lei così diffuso parlava al cuore delle persone, a tu per tu, rivolgendosi al lettore come singolo, distogliendolo dai compiti collettivi, e dalle ennesime direttive del solito plenum del Comitato centrale del partito, dando loro l’opportunità di poter leggere qualcosa che aveva a che fare con la voglia di libertà, nello scorrere righe di poesia finalmente non propinate dal potere sovietico.
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Ecco come sono nati i samizdat, che fin dagli albori hanno portato con la loro poesia delle ventate di libertà, di “aria rubata” che permetteva ai lettori di respirare.
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Non a caso la prima rivista del samizdat fuSintaksisdi Aleksandr Ginzburg, che pubblicava i versi dei giovani poeti degli ultimi anni cinquanta.
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Il caso di Gustaw Herling è trattato nel capitolo successivo dallo scrittore Francesco M. Cataluccio.
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La narrazione si articola descrivendo le testimonianza degli orrori che Herling ha vissuti nel lager, battendosi sempre per preservare i valori umani che i suoi aguzzini, invece, cercavano di annichilire.
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I tanti coautori del libro “Storie di uomini giusti nel gulag” si susseguono poi, ognuno interpretando le caratteristiche di altrettanti scrittori, estrinsecando le prerogative di questi ultimi in un unico percorso di memoria, teso al ricordo, alla menzione, alla diffusione, e alla conoscenza.
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Così incontriamo di seguito Irina Serotinskaja che ci parla di Varlam Salamov, poi Giovanni Guaita che ci presenta Pavel Florenskij e Aleksandr Men’, seguiti poi da Sergej Kovalev che ci pone l’esempio di Anatolij Marchenko, e da Jurij Mal’cev anfitrione letterario di Petro Grigorenko.
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Viene successivamente trattato il tema della resistenza nella società russa, e delle sue sfaccettature, come quella della solidarietà e del soccorso alle famiglie dei detenuti, affrontati da Sergej Chodorovic.
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Elena Cukovskaja ci introduce verso la conoscenza del premio nobel della letteratura Aleksandr Solzenicyn e verso l’Arcipelago Gulag, l’ormai tristemente famoso universo concentrazionario in cui l’autore fu confinato.
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Viene in particolare evidenziato il percorso di diffusione del capolavoro di Solzenicyn, la difficoltà incontrata per la stesura e la salvaguardia dei manoscritti, vietati dal regime e più volte sequestrati, e l’assistenza clandestina di coloro che hanno contribuito a nasconderli in attesa di poterli pubblicare.
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Arina Ginzburg, moglie di Aleksandr Ginzburg, difende la sua memoria ed il merito di aver dato vita a “Sintaksis”, la prima pubblicazione clandestina sovietica, nata come samizdat, da un insieme di fogli copiati e ricopiati a mano, e che gli valsero l’etichetta di “antisovietico” e “criminale” agli occhi della stampa ufficiale.
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Aleksandr Daniel’ introduce invece il caso Sinjavskij-Daniel’ nel capitolo intitolato : La rivoluzione psicologica degli anni 1965-1966.
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In seguito alla denuncia dei due letterati moscoviti nel 1965, da parte delle autorità moscovite, e del loro arresto nel 1966, avvenne un fenomeno significativo, e cioè la nascita di un movimento civile indipendente, che agiva pubblicamente non tanto in ambito politico, quanto in quello culturale e letterario.
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Arrestati in epoca brezneviana per aver pubblicato all’estero i propri romanzi e racconti sotto mentite spoglie, usando gli pseudonimi Terc e Arzak, i due scrittori furono poi oggetto di una campagna pubblica condotta dai loro sostenitori in nome della difesa di una delle libertà civili fondamentali : la libertà di parola.
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Breznev fu etichettato come neo stalinista e fautore di repressioni ma, da quel momento, il potere non tentò più di convincere l’intelligencija delle proprie ragioni.
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Da questi episodi nacque il processo di unificazione di diversi gruppi, circoli, singoli, che formarono un movimento non politico in difesa dei diritti dell’uomo, catalizzando le più importanti manifestazioni del dissenso in Unione Sovietica.
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Degli anni 1970 e 1980 si è occupato invece
Vladimir Tol’c, storico, archivista russo, e giornalista.
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Emerge dallo studio di quel periodo che tale intervallo di tempo può essere considerato come l’epoca del “tramonto” del dissenso.
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Il fenomeno, probabilmente, fu influenzato dal perfezionamento delle forme di attività repressiva contro i dissidenti da parte delle autorità, che focalizzarono prioritariamente la lotta contro il samizdat e contro laCronaca degli avvenimenti correntiil bollettino dell’opposizione intellettuale al comunismo russo.
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Le autorità sovietiche e il KGB intervennero anche per cercare di tacitare i movimenti denominati “Gruppi Helsinki”, i cui attivisti raccoglievano dati sulle violazioni dei diritti umani nell’Urss, trasmettendoli poi ai paesi aderenti appunto al Trattato di Helsinki, e ai media occidentali.
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Un’altra fonte di preoccupazione per il regime era costituita dalla possibilità per almeno la metà degli abitanti dell’Unione sovietica di riuscire ad ascoltare le trasmissioni radiofoniche delle emittenti occidentali.
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I dirigenti governativi vedevano questo proliferare dell’estendersi di ascoltatori come un sabotaggio ideologico contro la gioventù sovietica.
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La divulgazione di materiale “antisovietico” per mezzo di emissioni radio fu incrementato in occasione dell’invasione dell’Afghanistan nel 1979 e portò, da parte dell’Urss al “silenziamento” delle trasmissioni di BBC, DW, e VOA.Fu così che Ivan Kovalev (il figlio di Sergei Kovalev) tentando di risolvere i problemi di repressione e la censura applicata dalle autorità, mise a punto una nuova pubblicazione chiamata “V”, che vide la luce il 10 maggio 1980, rifugiandosi nell’anonimato per poter continuare l’operatività rimanendo inosservata, e che permise il proseguo della diffusione di samizdat all’estero.
Slavy Bolyanov
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Il filosofo bulgaro Slavy Boyanov ci regala uno spaccato esistenziale del suo percorso di vita e della sua formazione intellettuale, che lo portarono a scrivere “Difesa della persona umana”
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Pietro Kuciukian, armeno, differenzia il termine genocidio usato normalmente per identificare il fenomeno che vede interpreti le vittime del gulag e quello che parimenti viene usato per indicare i morti causati dalla carestia indotta da Stalin.
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Poiché il genocidio è caratterizzato dalla volontà di distruggere fisicamente esseri umani, prima disumanizzandoli, poi privandoli della dignità, al fine di raggiungere l’obiettivo della loro eliminazione, possiamo attribuire questa etichetta a coloro che hanno perso la vita in seguito all’holomodor, la grande carestia indotta in Ucraina nel 1932/33 da Stalin.
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Per contro, le vittime del Gulag, secondo Kuciukian, hanno una caratteristica diversa, essendo stati destinati ad un utilizzo finalizzato, passando attraverso la addomesticazione, per renderli disponibili al lavoro forzato distruggendo la loro dignità.
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Soppressione di corpi nel genocidio, soppressione di anime nel Gulag.
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E’ proprio nei Gulag che si svolge per otto anni la vita di Meguerditch Armen, scrittore proletario armeno, autore di “La fontana di Eghnar”un racconto su temi nazionali della sua terra.
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Durante la prigionia scrive “Mi hanno chiesto di dirvi”, una raccolta di ventotto racconti attraverso i quali l’autore testimonia le sue esperienze nei lager.
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I tentativi di resistenza armena alle repressione staliniana negli anni trenta sono
invece esposti da Armenak Manukyan, scrittore e giornalista armeno, professore all’Università di Yerevan, mentre il periodo successivo, dal 1946 al 1950 ci viene raccontato da Amatuni Virabyan, storico e direttore dell’Archivio nazionale della Repubblica Armena.

Del tema italiano si è occupata, invece,
Elena Dundovich, con riferimento ai Giusti che in occidente e in Italia hanno denunciato il Gulag.
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E’ specialista della politica estera sovietica negli anni settanta, in particolare sulla questione afghana, e si è occupata delle ricerche negli archivi sovietici sulle vittime italiane del Gulag.
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Il nome più noto, di cui fa menzione l’autrice, è quello di Edmondo Peluso, seguito da Emilio Guarnaschelli e da Gino De Marchi.
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Ante Ciliga continua l’elenco, oltre a Victor Serge, Elinor Lipper, Margarete Buber-Neumann, Julii Margoline e Alexander Weissberg.
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I tre anni successivi alla morte di Stalin videro il progressivo smantellamento dei campi, con conseguente liberazione dei prigionieri e il loro rimpatrio nei paesi di origine, per cui fiorirono nuove testimonianze, come quella dei due preti reduci dell’Armir (Armata italiana in Russia), padre Giovanni Brevi e padre Pietro Leoni.
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Tra le opere degli ex detenuti nei lager sovietici, un posto del tutto particolare spetta a quella scritta da Jacques Rossi, straordinario personaggio che dopo essere stato membro del Komintern e dopo aver combattuto in Spagna viene accusato di tradimento e rinchiuso per 24 anni nei gulag di Stalin.
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Tornato in libertà, dedica la sua vita a denunciare gli orrori del regime comunista.
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Tra gli italiani vengono anche ricordati Dante Corneli, uno dei pochi sopravvissuti ai lager sovietici e Sergio De Martino nato a Kerc da genitori italiani.

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Nel lager, dopo essere stato percosso e torturato si cucì la bocca con ago e filo per non tradire i compagni durante gli interrogatori.
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Liberato nel 1956 scrisse “Memorie con la bocca cucita”.
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La narrazione continua grazie alla penna di Pierluigi Battista, che affronta un tema spinoso quanto imbarazzante, e cioè quello della battaglia contro il negazionismo in Italia.
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A tale proposito è bene sapere quanto segue.
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Gaetano Salvemini, professore di Storia e antifascista, pronunciò un discorso a Parigi nel 1935 che sgomentò gli ascoltatori, per lo più paladini del sovietismo.
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Queste le sue parole :
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Non mi sentirei in diritto di protestare contro la Gestapo e contro l’Ovra fascista se mi sforzassi di dimenticare che esiste una polizia politica sovietica.
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In Germania ci sono i campi di concentramento, in Italia ci sono le isole-penitenziario e nella Russia sovietica c’è la Siberia.

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Ci sono proscritti tedeschi e italiani e ci sono proscritti russi.”
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E concluse dicendo :
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Mi dispiace di avere scosso parecchie convinzioni.
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Forse occorre aver vissuto l’esperienza di uno Stato totalitario, non fra i dominatori, ma fra coloro che sono stati schiacciati, bisogna conoscere la degradazione morale a cui lo Stato totalitario riduce non soltanto le classi intellettuali, ma anche le classi operaie, per rendersi conto dell’odio e del disprezzo che qualsiasi Stato totalitario, qualsiasi dittatura, suscita nel mio animo.”
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Per sintetizzare il negazionismo in Italia risultano chiarificatrici le parole del grande scrittore inglese George Orwell :
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La colpa di tutte le persone di sinistra dal 1933 in avanti è di aver voluto essere antifasciste senza essere anti-totalitarie.”
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Le sue opere sono a tutt’oggi proscritte in Russia e a Cuba.
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Fu etichettato da Italo Calvino come soggetto pericoloso infetto dal male dell’anticomunismo, e da Togliatti come un bieco poliziotto coloniale.
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Anche
Nicola Chiaromonte, pur essendo stato antifascista senza macchia, e pur avendo combattuto nella guerra di Spagna contro i franchisti, fu, per la sua condotta censoria della malafede dell’intellettuale comunista, reputato essere in stato di doppiezza, di non verità, e di ipocrisia.
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I testimoni dei crimini del totalitarismo sovietico rifugiatisi in Italia furono oggetto di attacchi ad personam di inaudita violenza, come ad esempio nel caso di Viktor Kravcenko.
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Venne perpetrata una vera e propria opera di denigrazione contro i “rinnegati”, contro coloro che avevano denunciato le nefandezze del sistema sovietico, ripagandoli con accuse infamanti.
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Gli pseudo intellettuali della sinistra italiana hanno colpevolmente e scientemente taciuto, negato, e falsato la realtà che oggi è universalmente riconosciuta, erigendosi a paladini e difensori di quel sistema di morte che tanti milioni di vittime ha mietuto, diventandone complici a tutti gli effetti.

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Altri tipi di comunismo nel mondo sono stati presentati in Italia con le stesse modalità di esplicazione, che ricalcano caratteristiche di falsità ideologica e di aberrazione intellettuale, come il ruolo interpretato dal comunismo cinese nell’applicazione dei campi di rieducazione forzata, i famigerati “Laogai”.
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L’isolamento a cui furono sottoposti i dissidenti del mondo comunista in Italia è stato recentemente ammesso anche da Giorgio Napolitano, che in passato ricalcava proprio quegli schemi di partito che ne imponevano l’applicazione, in una simbiosi di meccanismi stereotipati e preconfezionati.
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Lo stesso atteggiamento è ancora oggi drammaticamente presente nei riguardi della questione cubana e dell’oppressione a cui è assoggettato il popolo di Fidel Castro.

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L’approccio culturale risulta incapace di indignazione, nonostante ci si trovi davanti ad un regime poliziesco, tirannico e antidemocratico.
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Sulla falsariga del negazionismo e dei sopravvissuti ai Gulag prosegue Didi Gnocchi, raccontandoci le peripezie di Edmondo Peluso, antifascista e comunista italiano, emigrato in Unione Sovietica nel 1927.
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Fu arrestato nel periodo delle “purghe” con l’accusa di spionaggio e sabotaggio e sottoposto a quattro mesi di tortura.

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Nel gennaio 1942 fu condannato a morte per propaganda antisovietica.
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Francesco Bigazzi ci racconta invece del legame tra Emilio Guarnaschelli e la sua compagna Nella Masutti, e della grandezza d’animo di questi due ragazzi.
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Quando Emilio viene internato nel gulag, lei non esita a seguirlo, fino alla sua morte.

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La loro storia, intrisa di un amore reciproco che travalica le torture a cui lui è sottoposto dall’NKVD, e che supera anche il dramma della separazione forzata, è stata sempre nascosta dal Partito Comunista Italiano, nella speranza che l’oblio del tempo ne nascondesse per sempre la verità celata.
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E’ emerso da un documento autografo del compagno Romoli (Mario Montagnana) che nel 1934 (quando fu assassinato Kirov) la dirigenza del PCI aveva già pronta una lista con i nomi dei “controrivoluzionari italiani” da epurare.
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Tra i nomi di coloro che dovevano scomparire perché considerati trockisti, o contrari alla rivoluzione, e quindi passibili di essere cancellati dalla società c’erano quelli di Clementina Parodi Perrone, e di Emilio Guarnaschelli.
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Mario Montagnana era cognato di Palmiro Togliatti, il numero due del Komintern, complice dello sterminio e della morte di migliaia di compagni di partito.
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Il destino di Emilio Guarnaschelli non sarebbe mai stato conosciuto se una donna minuta, che aveva condiviso con lui straordinari momenti d’amore nel lager di Pinega, non avesse lavorato tutta la vita per conservarne la memoria.
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Sul finire di questo libro, troviamo i capitoli conclusivi di questa opera che tributa alla memoria un insieme di testimonianze e di rivelazioni eccezionali nella loro cruda realtà, rese tali anche solo dalla mera esposizione di quanto il mondo civile ha permesso che accadesse.
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Ne è testimonianza l’esistenza diPerm-36un luogo della memoria presentataci da Viktor Smyrov, storico e professore di storia russa all’Università statale di Perm’.
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Smyrov ha trasformato in museo l’unico campo di lavoro correzionale del passato conservato intatto nelle sue strutture.
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Il Centro svolge un’intensa attività, rivolta soprattutto ai giovani e alle scuole, per mantenere viva nella Russia postsovietica la memoria delle vittime del Gulag.
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Arsenij Roginskij , storico e presidente del Memorial di Mosca, si interroga sul medesimo argomento, domandandosi se sia ancora viva la memoria del gulag.
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Il suo angoscioso interrogativo nasce da una considerazione fatta da una nota esponente del dissenso storico russo dopo le ultime elezioni parlamentari in Russia.
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Questo paese, dopo aver scelto nel 2000 come presidente, di propria volontà, un tenente colonnello del KGB, nel 2003 non ha eletto al parlamento nessuno dei due partiti di orientamento democratico.
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Vuol dire che la Memoria è morta e quella gente non ricorda niente.”
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Chiude la pubblicazione Anatolij Razumov che ci ricorda la storia del terrore, in sintesi, le menzogne ad esso collegate, e i dati del martirologo di Leningrado.
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Razumov, storico e bibliografo, sta approntando la banca dati di un “Libro della memoria” elettronico.
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In appendice a “Storie di uomini giusti nel Gulag” troviamo un omaggio ad Andrei Sacharov, scritto da Elena Bonner Sacharova e, infine, uno scritto riassuntivo di dati e di cifre sull’entità dello sterminio.
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Consiglio la lettura di questo libro, attingendo al suo contenuto e alle sue indicazioni per trovare nuove testimonianze riguardanti l'universo del gulag, in un intreccio di autori che spesso sono stati interpreti nel ruolo di deportato.
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Dalla lettura di questi scrittori si evince la volontà del comunismo, nel suo percorso politico, di annichilire le persone e le loro coscienze, per sostituirle ad una unica volontà : quella dello Stato.
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Nessuna pietà per gli oppositori, per le loro famiglie e per i loro amici, in un sadico ricorso alla più bieca violenza, che ha portato all'eliminazione fisica di milioni di persone.
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Oggi, grazie all'apertura degli archivi storici precedentemente preclusi allo studio, nessuno può più negare tali nefandezze.
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Ecco perchè i comunisti italiani di oggi, gli eredi di Togliatti, il numero due del Komintern, non potendo negare l'evidenza, prendono le distanze dalla barbarie sovietica.
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I comunisti dei due Paesi hanno entrambi abbracciato la stessa ideologia di riferimento, quella marxista-leninista, ma in Italia gli ex seguaci di Togliatti (che il PCI è arrivato a definire "Il migliore"), di Berlinguer e di Cossutta, non si riconoscono più, oggi, nelle origini comuni.
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E' un fatto, però, che per decenni ne abbiano avvallato ogni sorta di abominio, nascondendo la verità ai loro stessi compagni, anzi operando perchè gli esuli antifascisti in Russia fossero deportati nei Gulag, e boicottando coloro che, superstiti e tornati in Italia, cercassero di diffondere la verità.
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La loro politica, fin dalla guerra civile del dopoguerra, si è macchiata del sangue di tanti innocenti, in linea con l'espressione dell'ideale comunista sovietico.
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Alla stessa ideologia si sono riferiti, sempre in Italia, gruppi paramilitari che hanno influenzato la vita politica e sociale della Nazione, mediante l'uso dei loro mezzi preferiti : l'omicidio e la violenza.
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Le Brigate Rosse hanno imperversato a lungo, così come altri gruppi extraparlamentari, coccolati da certa sinistra che li ha cresciuti in seno.
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E' necessario diffondere tutte queste verità troppo a lungo nascoste, e questa lettura è un valido aiuto per una migliore comprensione di come stanno, veramente le cose.
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Dissenso
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10 commenti:

  1. Purtroppo di quello che è accaduto nei Gulag se ne sa poco. Io a scuola, non ricordo di aver mai trovato una pagina a riguardo. In tv, fatta eccezione per 'La grande storia' con i suoi speciali e 'Che tempo che fa', dove ne ha parlato Saviano; questo argomento è snobbato. Infatti mi informo sul web.

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  2. Ormai enumerare i crimini comunisti è come sparare sulla croce rossa.Sono dappertutto.Noi,da anarchici veri,siamo dolorosamente legati ai fatti di Barcellona dove fu ammazzato dai comunisti Camillo Berneri e probabilmente anche Durruti,insieme a tanti altri anarchici che non hanno avuto come il Poum uno scrittore come Orwell ad evidenziarne i tradimenti e gli assassinii di cui furono oggetto.Già dai tempi di Bakunin ci divideva un fosso incolmabile coi comunisti che dopo Barcellona è diventato un mare.

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  3. Ottimo lavoro!!!!!!!!!!!!!!!!!
    Grazie

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  4. Libro da non perdere: quanto vale un uomo, evfrosinija kersnovskaia, diario di una donna incredibile vissuta nei gulag. I disegni che illustrano il libro sono anch'essi bellissimi, e hanno la stessa potenza della sua scrittura.

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  5. Ciao Fuma, conosco la Kernovskaja, ho fatto un post su di lei con etichetta autori del dissenso.
    Grazie comunque per la segnalazione, è bello sapere che ci sono persone che leggono questi autori, per lo più colpevolmente dimenticati, nonstante testimonino la realtà vissuta nei gulag.
    Cia
    Dissenso

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  6. Tesoro: post interessantissimo ma lungo (senti chi parla, oh).
    Forse dovevi dividerlo in tre post e pubblicarli a distanza di giorni.
    Ma, ovviamente, puoi anche continuare a fare come te pare, eh.

    Baci

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  7. Post interessantissimo. Mi ha colpito molto il modo con cui hai evidentemente espresso il tuo dissenso. Sei passato da me, per ciò sai come la penso anche io circa l'argomento. Mi informerò meglio sui gulag, anche perché ho scritto un racconto sui campi di concentramento femminili di Dachau. Senza peli sulla lingua, senza omettere, né negare. Ho odiato il Nazismo fin da quando ero ragazzina, disprezzo il razzismo e ogni forma di prevaricamento...
    Congratulazioni per il tuo bellissimo e faticosissimo lavoro.
    by Lilly

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  8. Bellissimo post, finalmente qualcuno che ha il coraggio di denunciare gli orrori delle dittature rosse. Complimenti Chry

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  9. Bonjour,
    juste pour dire que la photo de Slavy Boyanov n'est pas la sienne,
    C'est la photo de l'ancien président bulgare Petar Stoyanov.
    Pour prendre une phot du prof. Slavy Boyanov, voir wikipedia ou le site : http://slavyboyanov.net/
    merci

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    1. Myriam, grazie per la segnalazione. Buon proseguimento.

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