Mentre i politici di mezzo mondo si confrontano sul tema della crisi, agitando convulsamente lo spauracchio della recessione, e si riempiono le bocche con parole dal sapore apocalittico, quali "default", o "emergenza economica", nel continente africano siamo, contemporaneamente, di fronte ad una VERA EMERGENZA, stavolta umanitaria, nella quale sono quotidianamente in gioco la vita e la sopravvivenza stessa delle persone.
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Mentre i ministri e gli "addetti ai lavori" dei vari Stati, non solo europei, si spostano e si incontrano tra di loro, per mezzo di lussuose auto di rappresentanza, o di costosi viaggi in aereo, vestiti con abiti "firmati" e contornati da stuoli di ferventi collaboratori, intervallando l'attività con pranzi e cene "di lavoro" preparati dai migliori chef disponibili, altre persone, invece, stanno letteralmente MORENDO DI FAME.
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La mia non è facile retorica, ma semplice, drammatica, constatazione.
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Il campo profughi di Dadaab, in Kenia, al confine con la Somalia, è stato creato nel 1991, durante la guerra Somala, ed è stato concepito per ospitare nelle tre aree di terreno che lo costituiscono ( le sezioni di Hagadera, Dagakaley, e Ifo ), un massimo di 90.000 profughi.
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A tutt'oggi, invece, le persone ammassate a Dadaab raggiungono il numero di 400.000, di cui 100.000 provenienti dalla Somalia, costituendo così il più grosso centro profughi del mondo.
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In quest'area a nord est del Kenia, dove sabbia e arbusti rappresentano l'unica vegetazione per centinaia di chilometri verso l'orizzonte, le inermi carcasse degli animali giacciono a terra semi-spolpate dalle iene, in attesa di essere completamente scarnificate dagli avvoltoi del cielo e della terra.
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Il tasso di mortalità infantile ha raggiunto livelli impressionanti, assestandosi a 1,8 morti ogni 1.000 tra i bambini sotto i 5 anni.
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Si stima che 3,7 milioni di persone abbiano bisogno di assistenza su tutto il territorio somalo.
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La situazione è drammatica anche nel vicino Uganda, a causa della carestia, soprattutto nell'area semi-arida a nord ovest, la "Karamoja", che è una delle aree più povere del paese ed è spesso descritta e trattata come un "problema" anche dagli stessi politici ugandesi.
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Le piogge sono sempre più sporadiche e la maggior parte degli abitanti della regione dipende completamente dagli aiuti umanitari.
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I Paesi dell'Africa Orientale colpiti dalla peggiore siccità registrata negli ultimi 60 anni sono ben quattro : l'Etiopia, la Somalia, il Kenia, e il Sud del Sudan.
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In questi territori ci si trova quindi a fronteggiare una crisi che riguarda ben 11 milioni di persone in un'area complessiva delle dimensioni della Francia.
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Una crisi prevedibile, che era già stata annunciata da mesi, infatti, dalle Organizzazioni Internazionali e dalle ONG presenti sul campo, ma che ancora oggi, nonostante la sua gravità, non trova una attenzione sufficiente e diffusa da parte dei media e dei donatori.
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La Comunità Internazionale, e soprattutto il sistema mediatico, non hanno avviato ancora il "tam tam" necessario a fronteggiare la crisi umanitaria in corso.
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L'appello delle Nazioni Unite - la cui stima per un efficace intervento è stata fissata in 691 milioni di dollari - è stato finanziato solo per il 30 %.
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I campi profughi, meta di esodi di popolazioni che cercano un minimo di possibilità di sopravvivenza in Africa Orientale, sono quelli di :
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Dadaab, in Kenia, al confine con la Somalia
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Yubo ( in Etiopia, al confine con la Somalia), è una zona di transito per Dollo Alto
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Bokol Maya, in Etiopia, nella regione di Dollo, lungo il fiume Genale, tappa precedente al raggiungimento di yubo
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Melka Dida, Awbare, Shader, Gogti
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Shimelba, Maiaini, e Adi Harus, nello Stato etiope del Tigrai
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Un vero e proprio universo di umanità sofferente, parallelo a quello in cui viviamo noi, ma molto diverso : qui si soffre per le lunghe code in autostrada mentre si va al mare, e lì si soffre la fame, il deperimento... e la morte...
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In questo panorama apocalittico, in cui la morte di migliaia di innocenti costituisce la normalità quotidiana, spiccano precise responsabilità, tra cui quelle di numerose aziende, tra cui alcune italiane, che hanno ottenuto in locazione alcuni dei terreni più fertili dell'area situata nei pressi del fiume Omo, in Etiopia.
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Una indagine, condotta da Survival International, ha infatti portato alla luce prove allarmanti del fatto che alcune tra le terre agricole più produttive dell'Etiopia sono state sottratte alle tribù locali per essere affittate, appunto, ad aziende straniere.
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La terra, che queste società si sono accaparrate, sarà utilizzata sia per la produzione di biocarburanti sia per coltivare prodotti alimentari destinati all'esportazione, mentre contemporaneamente nelle immediate vicinanze, contestualmente, migliaia di etiopi stanno MORENDO DI FAME a causa della terribile siccità in corso.
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Le imprese che si dedicheranno alle coltivazioni intensive, finalizzate all'esportazione, e che toglieranno quindi terreno ai 90.000 indigeni che dipendono dalla terra stessa per la loro sopravvivenza, sono per lo più malesi, coreane, ma anche italiane, come la Fri-El Green Power.
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Questa ditta, altoatesina, ha acquistato in Etiopia ben 30.000 ettari di terreno, destinandoli alla coltivazione intensiva per esportazione.
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Finita nel mirino della Caritas a causa di questa speculazione, e sopraffatti dalle perplessità sollevate, l'Azienda ha recentemente proclamato di voler cambiare il tipo di coltivazione, per produrre mais, soia, palma da olio, e canna da zucchero, destinando i raccolti al mercato interno e non più all'esportazione.
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Peccato però che, come rilevato dalla Caritas stessa, questi tipi di alimenti siano di utilità quasi nulla in situazioni di emergenza alimentare, in quanto molto poveri di contenuto proteico.
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Servirebbero invece latte e alimenti proteici.
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Servirebbe soprattutto una coscienza comune che impedisca che lo sfruttamento di questi territori continui a divorare le risorse che spetterebbero agli abitanti di quei luoghi.
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Servirebbe che la politica non si occupasse solo di riempire le tasche dei suoi addetti, con ogni mezzo, lecito o illecito che sia, ma che si occupasse invece della società civile, e di tutto quello che riguarda la vita stessa delle persone.
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Poichè il legame tra esseri viventi si compone di anelli di una stessa unica catena, è necessario che, soprattutto quando alcuni di questi diventano deboli, la cooperazione internazionale si muova all'unisono, come se rappresentasse un unico organismo in movimento, e in simbiosi con chi deve ricevere l'aiuto necessario.
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L'amore per la vita e per il genere umano deve oltrepassare e superare quelle chimeriche e barbariche illusioni di potenza e di ricchezza che tentano di indurre allo sfruttamento dei nostri simili.
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O almeno ... così dovrebbe essere ...
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Leggo ogni giorno le notizie che riguardano i Paesi dell'Africa Orientale, e quotidianamente devo constatare e prendere atto di una tragica realtà, nella quale i bambini muoiono come mosche, e lo spettro della fame volteggia su ogni abitante dei campi profughi, e non solo.
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Per questo, punto il dito ( anche ) verso i nostri politici, che pascendosi di un estremo benessere, si strafogano nell'indifferenza totale, rendendosi complici dell'apocalisse africana.
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Io non riesco a non arrabbiarmi, per questo... e voi ?
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Dissenso
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E' terribile il dramma di queste popolazionI ed è terribile l'indifferenza di chi vive nel benessere e si occupa solamente della salvaguardia dei propri interessi a discapito delle altre persone.
RispondiEliminaNOn ci si può non arrabbiare, neanche a ferragosto
RispondiElimina...e poi noi ci facciamo tanti problemi quando dobbiamo accogliere un pugno di immigrati...
RispondiEliminaMi chiedo se qualcuno ancora sa cosa sia la vergogna.