lunedì 24 aprile 2017

IL SECOLO DEI COMUNISMI

sottotitolo : LA DISINFORMAZIONE DELLA SINISTRA.
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Il libro “il secolo dei comunismi” edito da Marco Tropea , racconta il punto di vista di sette autori , Michel Dreyfus, Bruno Groppo, Claudio Sergio Ingerflom, Roland Lew, Claude Pennetier, Bernard Pudal, e Serge Wolikow, in contrapposizione alle tesi espresse dal Libro nero su tale argomento.
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Dreyfus, insieme ai suoi collaboratori, confuta polemicamente l’idea che il comunismo possa essere ridotto a un’impresa essenzialmente criminale, ponendosi come alternativa “oggettiva” in un approccio variegato e “pluralista  nel declinare le forme politiche  che, a loro parere, ne costituirebbero l’essenza.
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Sul retro dell’opera è stata iscritta una nota da cui traspare però una sorta di condiscendenza verso il comunismo, che pone quindi tutto lo scritto entro confini aleatori e insicuri, pilotati da una sorta di partigianeria, e dando l’impressione di voler correggere bonariamente la tragedia che l’essenza stessa del marxismo ha costituito e rappresentato per l’intero universo, non solo intellettuale.
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La citazione afferma infatti che pur nella sua utopia il comunismo è un potere politico esercitato effettivamente dalle classi popolari, a differenza di fascismo e nazismo.
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Ciò è sufficiente a catalogare chiunque abbia scritto questa affermazione come disinformatore, poiché il marxismo nella sua intima essenza auspica sì la dittatura del proletariato, ma esplicita anche che per raggiungerla occorre esercitare l’uso della violenza con ogni mezzo, e senza remore.
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Questo dictat, espresso da Marx e ripreso da Stalin e dai più feroci dittatori comunisti della Storia, è di per sé sufficiente perché il comunismo stesso sia da rifiutare, e non da sottoporre a bonarie condiscendenze o a considerazioni di riferimento positivo.
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Fin dalle prime pagine si articolano varie congetture secondo cui il comunismo dovrebbe beneficiare di prospetti che, declinando i suoi aspetti peculiari, ne classificano un progetto contestualizzato.
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Si afferma che esistono varie forme di comunismo, estranee a quello di Stalin e di Lenin, come se diversificare le correnti ideologiche e le varianti della sua essenza costituisse un alibi alla intrinseca realtà totalitaria espressa universalmente.
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La prefazione del libro indica il comunismo come uno degli orizzonti della storia politica, giustificando l’uso della violenza come metodo di lotta politica per imporre una rivoluzione considerata legittima.
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Nel proseguo del libro si definisce il comunismo come una realtà sociale, culturale, e come una sorta di religione definita come “dottrina di salvezza”.
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Vengono criticati gli studiosi di storia che si definiscono anticomunisti, indicando come  preconcetto il fatto stesso di essere tali, senza lasciare scampo quindi a chiunque lo professi seppur basandosi su studi storiografici e sociali.
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L’analisi dei metamorfismi derivati dalle varie correnti comuniste, identificati con nomi diversi, come stalinismo, bolscevismo, trotckijsmo, burocratizzazione, scuola totalitaria, socialismo di Stato, riferisce di personalizzazioni intellettuali che sembrano rompere con il marxismo originario, degenerando, secondo l’interpretazione degli autori, come a voler fornire un alibi giustificativo.
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L'essenza del comunismo ...
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Questa giustificazione individuerebbe le cause che determinarono “la rivoluzione tradita” , sempre secondo l’opinione degli autori, entro i limiti di una ipertrofia del livello politico.
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Il capitolo sul totalitarismo scritto da Brigitte Studer mette in discussione l’interpretazione stessa del termine che definisce la società sovietica come “totalitaria”, obiettando quattro diverse interpretazioni di principio in chiave antitotalitaria.
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La prima riguarda la linea di continuità fra leninismo e stalinismo che, a detta di alcuni storici (disinformatori) non seguirebbe nella sua successione temporale una relazione logica tra i due regimi.
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La seconda attiene ai lavori empirici che coinvolgono le forze sociali attive nella collettivizzazione forzata dell’agricoltura.
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In pratica i dirigenti sovietici e Stalin sarebbero stati forzati ad agire contro i contadini a causa della loro preponderante superiorità numerica.
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La terza indica nella inefficienza dell’apparato e nelle sue contraddizioni e improvvisazioni una serie di elementi mancanti ma necessari ad attribuirne il carattere di totalitarismo, che al contrario dovrebbe funzionare come una macchina ben oliata  e rodata.
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In ultima analisi si afferma che il regime di terrore instaurato da Stalin non poteva essere definito come strumento appartenente al totalitarismo, bensì il contrario, perché avrebbe anzi aiutato i membri delle classi inferiori ad agire contro chi li ostacolava nella vita quotidiana, aprendo loro spazi di crescita sociale.
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Il terzo capitolo, che si occupa della storiografia  dei comunismi francese e italiano, è incompleto e colpevolmente omissivo su ciò che realmente ha prodotto la nascita del PCI in Italia.
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Manca qualsiasi riferimento alle bande armate comuniste che scorrazzavano nel dopoguerra uccidendo chiunque si opponesse loro politicamente.
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Mancano i riferimenti alle collusioni e alle complicità di Togliatti nelle tragiche vicende delle foibe, così come per gli esuli italiani in Russia, uccisi dal terrore staliniano.
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C’è solo un piccolo accenno ai comunisti italiani uccisi da Stalin, incompleto e  come tale per nulla esaustivo.
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Gli autori si spingono ad affermare che anzi, i sopravvissuti alle purghe furono poi ricompensati dal comunismo stesso, poiché ne divennero i nuovi dirigenti, fornendo con queste dichiarazioni una sorta di alibi per l’evoluzione della dimensione comunista internazionale.
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Mancano inoltre i riferimenti al famigerato “triangolo della morte” emiliano, in cui l’odio comunista si scatenò con tutta la sua efferatezza.
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Queste omissioni costituiscono una grave e deliberata opera disinformativa, tesa alla mistificazione della realtà storica.
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Il libro nero del comunismo”, contro cui si scagliano gli autori de “il secolo dei comunismi” appare in realtà come testo alternativo alla disinformazione che da 70 anni viene effettuata scientemente da pseudo intellettuali legati al mondo delle sinistre, come quella appunto che si riscontra nel libro di Dreyfus.
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La sinistra da sempre cerca di intorbidire le acque, nascondendo, occultando, mistificando, confondendo, e negando metodicamente tutto ciò che in realtà è ed è stato il comunismo per l’umanità : un male assoluto.
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I professionisti dell’inganno e della disinformazione programmata arrivano anche a dire che le analisi condotte sul comunismo, prima della caduta del muro di Berlino, sono frutto di contaminazioni ideologiche legate ad una conflittualità politica.
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Si profondono in elucubrazioni complesse e acrobatiche, metamorfizzando aspetti oggettivi della realtà storica e sociale, e proponendone una visione  di comodo per disorientare i detrattori e imporre al grande pubblico la loro disinformazione.
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Questo è proprio il caso che si è verificato con la stampa di questo libro, il cui titolo è stato definito appositamente per confondere la platea di lettori avidi di verità, ponendosi astutamente e arrogantemente in contrapposizione al testo storico del "Libro nero del comunismo"
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Nel capitolo “comunismo e violenza” , gli autori Michel Dreyfus e Roland Lew ammettono che la violenza è stato un elemento sempre presente e costante in seno ai regimi comunisti, ma affermano che ciò non basta a caratterizzarne i sistemi che vi si richiamano.
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Affermazioni come questa, farneticanti nel loro tentativo di fornire un alibi al sistema comunista, sottintendono che la violenza e il totalitarismo non sono frutto  di un comunismo effettivo e contingente, ma piuttosto esistono in quanto radicate nelle masse, e simbiotiche con il mondo reale.
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Gli autori pongono degli interrogativi sul ruolo che i vari metamorfismi hanno esercitato sul proseguo del comunismo, come leninismo,  stalinismo,  e post stalinismo, inducendo a ritenere che non si possa ricondurre la definizione di  totalitarismo alle evoluzioni inerenti ad ogni periodo storico.
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Distinzioni, alibi, dubbi… tutto appare creato ad arte per mistificare ciò che viene invece negato con forza : il comunismo è un male assoluto, di proporzioni universali e con prerogative assolutamente criminali.
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Nel capitolo 28 invece l’autore Bernard Pudal afferma :
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il comunismo nel XX secolo ha potuto apparire come un riuscito tentativo di risoluzione dei dilemmi della rappresentanza politica operaia”.
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Bisognerebbe dire però che i primi bersagli del comunismo furono in Unione Sovietica proprio gli operai, seguiti poi dai contadini.
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La NEP staliniana (nuova politica economica) produsse fenomeni di sfruttamento e di violenza coercitiva proprio nei loro confronti, con l’istituzione di passaporti, di divieti, di imposizioni, di quote produttive da raggiungere, l’instaurazione del “cottimo”, la nascita dello “stakanovismo”, il divieto di sciopero, e la deportazione per i trasgressori.
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Se consideriamo poi la politica di collettivizzazione delle campagne otteniamo un quadro completo di come il comunismo si sia occupato dei contadini, appropriandosi dei loro terreni e creando fattorie collettive mediante l’inserimento coatto di fasce di popolazione cittadina trasferita all’occorrenza nei territori sequestrati.
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Altro che “risoluzione dei problemi” della classe operaia !
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Appare quindi sempre più evidente l’intento degli autori di fornire un quadro di insieme omologato agli stereotipi proposti dagli intellettuali comunisti che operano nel campo della disinformazione.
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Claudio Ingerflom arriva a stravolgere il concetto secondo cui la volontà del potere e il suo raggio d’azione condiziona le masse popolari.
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In una sua delirante affermazione Ingerflom afferma che il pensiero e l’azione di milioni di uomini non sono la risultante di applicazioni del potere su di loro, ma che anzi le masse si muovono parallelamente oltre tale raggio di influenza.
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Bisognerebbe dirlo ai milioni di deportati su cui il regime comunista ha imposto il proprio potere …
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Nei capitoli scritti da Peter Holist e da Gabor Rittersporn, non c’è alcun accenno al fatto che la presa del potere da parte di Lenin e l’instaurazione del comunismo bolscevico non siano stati una rivoluzione popolare, ma un colpo di stato da parte di una minoranza armata e spietata.
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L’unica ammissione è relativa al fatto, storicamente inoppugnabile, che i bolscevichi non esitavano a ricorrere ad atti di violenza e a spedizioni punitive contro coloro che reputavano “nemici di classe”.
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In ultima analisi il mio personale giudizio su questo libro “il secolo dei comunismi  è estremamente negativo, in quanto non si riscontrano verità oggettive ma solo riflessioni condizionate da un palese orientamento politico, insieme ad elucubrazioni e panegirici dal sapore squisitamente disinformativo.
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Come a dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio…
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Dissenso
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