Dopo gli anni 1895 e 1896, che segnarono
un periodo estremamente tragico per il popolo armeno, a causa dei massacri
attuati sulla popolazione per volontà del Governo Ottomano, si assiste
all’organizzazione di movimenti rivoluzionari turchi, nati per contrapporsi
allo strapotere e alle politiche del sultano Abd ul Hamid.
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Parallelamente, le opposizioni armate si
sviluppano su due fronti, quello turco e quello russo.
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Il bilancio delle vittime, relativamente
al periodo che precede la nascita delle opposizioni armate, secondo la stima
del Patriarcato armeno, ammonta a 300.000 morti e a 2.500 villaggi distrutti, a
migliaia di case incendiate e a centinaia di chiese saccheggiate e demolite, o
convertite in moschee.
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La crescente paura della popolazione di
etnia armena, sottoposta a torture e sevizie, e a stupri e violenze di ogni
tipo, produsse flussi importanti di emigrazioni verso altri paesi, alimentando
una diaspora dell’ordine di centinaia di migliaia di esuli.
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La “Sublime Porta” (abbreviata in
“Porta”), era il nome con cui si indicava in origine il Palazzo imperiale del
Sultano, e rappresentava il centro del potere ottomano.
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Successivamente, dal XVII° secolo, poiché
il Governo divenne di competenza del Gran Visir, si indicò la “Porta” per
riferirsi a quest’ultimo.
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La “Sublime Porta”, comunque la si
identifichi, fu la responsabile dello sterminio della popolazione di etnia
armena fino alla fine del 1800, e trovò il suo più feroce carnefice nel Sultano
Abd-ul-hamid, complice il silenzio colpevole dell’Europa.
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L’indifferenza delle Potenze occidentali
durante le stragi è paragonabile infatti solo alla sconcertante passività con
cui l’Europa, appunto, riuscì ad assistere ai crimini efferati con i quali i
musulmani ottomani misero a repentaglio la sopravvivenza stessa della civiltà,
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L’opinione pubblica europea, grazie alle
notizie diffuse da viaggiatori ritornati dall’Armenia e dai movimenti
filo-armeni, iniziò poi gradatamente a prendere coscienza della reale
situazione, tenuta fino ad allora nascosta dai Governi e dagli ambienti
economici.
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Grazie alle conferenze e agli articoli di
molti intellettuali si invertì in Francia la tendenza filo-ottomana, e si
scoprì il dramma dell’Armenia in tutte le sue tinte fosche e drammatiche.
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Prolificarono le riviste di informazione
sulla causa armena, e in Paesi come l’Italia, il Belgio, e i Paesi Bassi,
vennero fatte interrogazioni parlamentari a favore degli stessi.
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In Germania, nonostante il veto opposto
da Guglielmo II°, si alzarono voci che ruppero l’ostinato silenzio sul dramma
armeno, mentre in Danimarca il filosofo Georg Brand lanciò un accorato appello
all’opinione pubblica europea.
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Ginevra, in Svizzera, divenne un centro
importante di attività filo-armene, tanto da vedere presentata una petizione al
Governo federale, pro Armenia, firmata da centinaia di migliaia di cittadini
elvetici.
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Nonostante l’orientamento delle masse
popolari e il sentimento di diffusa empatia nei confronti della popolazione
armena, non decollarono però iniziative o azioni ufficiali dei Governi Europei
e delle potenze occidentali, che potessero dissuadere la “Sublime Porta” dai
suoi intenti, e ciò permise ai carnefici hamidiani di proseguire le
persecuzioni.
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Il popolo armeno, fino ad allora poco
impegnato nella lotta politica, iniziò a recepire con maggiore sensibilità gli
appelli dei propri movimenti rivoluzionari.
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La determinazione alla rivalsa della
popolazione armena trovò corrispondenza nella nascita della Federazione
Rivoluzionaria Armena, altrimenti conosciuta come Partito Dashnak (FRA o HHD).
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Di ispirazione socialiste e pur essendo
influenzato dalle correnti marxiste di stampo russo, accolse poi le idee di
democrazia e libertà assorbite dagli armeni europei, fino a diventare negli
anni sessanta del XX secolo un partito di ispirazione nazionalista e
spiccatamente anti-comunista.
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Le potenze europee intervennero
nell’Impero Ottomano solo per consolidare le rispettive posizioni nell’ambito
delle prerogative economiche e commerciali, mascherando gli interventi con la
facciata dell’intento umanitario.
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In realtà venne permesso al Sultano di
continuare le sue persecuzioni verso la popolazione armena, tanto che
continuarono le scorrerie della cavalleria hamidiana nei villaggi indifesi.
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Fu vietato agli Armeni lo spostamento da
un luogo all’altro, causando così la rovina commerciale per le loro attività ;
venne loro proibita la detenzione di qualsiasi tipo di arma, incluso i coltelli
da cucina o i bastoni ; vennero arrestati con qualsiasi pretesto, anche futile,
e i prigionieri furono sottoposti alle sevizie più disparate.
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Nell’Ottobre del 1900 i curdi ammazzarono
più di 200 armeni nella città di
Khassdur, violentando le ragazze e saccheggiando le case e le chiese.
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La stessa sorte toccò alla città di
Zeythun, in cui vennero uccisi 180 persone di etnia armena.
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La reazione armena, capitanata dal
Dashnak, portò alla nascita di una rete di comitati e di bande di partigiani
chiamate i “fedai”.
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Il termine “fedai”, in persiano
significa “devoto” e designa colui che ha sacrificato la propria vita.
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Questa organizzazione nacque dapprima in
Persia, poi in Russia, formando la propria preparazione militare grazie
all’insegnamento dei rivoluzionari Dashnak, che nei territori di confine tra
Russia e Turchia esercitavano un governo clandestino.
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Diverse operazioni militari compiute con
audacia e determinazione consacrarono i fedai alla leggenda.
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Nel 1896 la tribù curda “Mazrik” massacrò
800 armeni a Khanassor, e l’anno seguente un battaglione di 253 combattenti fedai
vendicò le vittime di tale strage piombando sull’accampamento curdo e uccidendo
tutti gli uomini.
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I fedai non toccarono né le donne,
né i bambini, e non si abbandonarono al saccheggio.
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Il Governo ottomano manifestò e palesò
poi nel 1900 la determinazione e la volontà di distruggere l’intera regione del
Sasun di etnia a prevalenza armena.
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Iniziò così ad occupare i territori, a
incendiare, e a radere al suolo interi villaggi, incominciando da quello di
Spaghank.
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I fedai erano inferiori di numero
rispetto alle forze hamidiane, e non riuscirono a impedire la distruzione dei
villaggi di Shenik, di Semal, di Hunan, di Talori, e di Geliguzan.
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Il bilancio fu catastrofico : 3.000
vittime !
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La violenza del Sultano però andava di
pari passo con il suo progressivo indebolimento, assediato com’era dalle nuove
forze emergenti, legate ad un nazionalismo sempre più pressante, che costituirà
poi la causa della fine dello stesso sultano.
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Le spinte nazionaliste si radicalizzarono
sia in Partiti ideologicamente motivati e dotati di struttura organizzata e
articolata, che in formazioni militari clandestine votate al terrorismo e
all’uso della violenza come forma di lotta.
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Nel contesto internazionale, i
nazionalismi si manifestarono attraverso l’evoluzione delle spinte provocate da
una tensione rivoluzionaria, come in Russia nel 1905, oppure in Francia e in
Italia che si ritrovarono i simbiosi con la mobilitazione e l’elaborazione di
un sindacalismo rivoluzionario, e anche in Austria, dove premevano le spinte
irredentistiche.
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Parimenti, ciò condusse all’inizio dello
smembramento dell’Impero ottomano, a partire dai Balcani e poi nei paesi arabi,
entrambi pervasi da fermenti nazionalistici.
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Si sviluppò un nuovo concetto sensibile
ad un patriottismo fondato su qualcosa di profondo e unificante, come la
coincidenza dello Stato con la Nazione.
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Le comunità nazionali furono unificate
idealmente non solo dalla religione e dalla lingua ma soprattutto dalle proprie
origini e dal proprio passato, a costituire il cemento per un futuro
stato-nazione in cui il concetto nazionalistico avrebbe rappresentato un punto
di arrivo.
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Per il nazionalismo armeno tutto ciò rappresentò quindi una meta, alla quale guardare, per porre fine alla diaspora del proprio popolo.
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Per il nazionalismo armeno tutto ciò rappresentò quindi una meta, alla quale guardare, per porre fine alla diaspora del proprio popolo.
In questo contesto nacque il movimento
politico dei “Giovani Turchi”, contrario al Sultano, e fortemente
nazionalistico.
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Le componenti politiche e ideologiche che
rappresentarono l’essenza dei Giovani Turchi però, erano sì rivolte ad una
visione moderna della società, che abbandonasse i vecchi e tradizionali schemi
della società ottomana, ma erano anche intrise di una metodica ricerca di una
identità turca che passasse attraverso il concetto di razza e di
omogeneizzazione etnica.
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La coalizione che si era formata in
Turchia per cacciare Abd ul Hamid contava al suo interno anche la rappresentativa
Armena, con cui però i Giovani Turchi non avevano convergenze di intenti , ma
che anzi costituiva fonte di tensione e di scontro.
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Agli armeni veniva contestato il fatto
che essi avrebbero dovuto dare voce alle proteste non come Armeni, appunto, ma
come indipendenti Ottomani, senza diritto di contrattare o fare offerte come se
avessero rappresentato uno Stato a parte.
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Nei Giovani turchi aleggiava un
sentimento di sospetto, legato al timore di future richieste di indipendentismo
e di separatismo etnico da parte degli Armeni, pur se in quel momento alleati
contro il nemico comune : il Sultano.
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Il nazionalismo turco si fondò
sull’affermazione di un sistema sociale basato sulla costruzione NON di uno
Stato ( in cui tutti i soggetti sarebbero stati membri), bensì di una Nazione,
in cui solo i Turchi ne avrebbero costituito l’essenza stessa e l’ossatura.
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La lingua sarebbe quindi stata quella
turca, e l’identità culturale si sarebbe sviluppata in simbiosi con una razza
comune di antiche e comuni origini, a costituire una omogeneità in cui il
nazionalismo, il panturchismo, il panturanesimo e il panislamismo sarebbero
stati intrecciati e fusi insieme.
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Per contro, l’obiettivo dichiarato del
FRA (Fronte Rivoluzionario Armeno) era quello dell’emancipazione politica ed
economica dell’Armenia turca, mediante una vasta insurrezione armata.
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Parallelamente il FRA si adoperò per
difendere le comunità armene dal tentativo di annichilimento zarista in Russia,
dove Nicola II° perseguiva politiche di russificazione delle minoranze etniche.
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Lo Zar di Russia infatti, negli anni di
fine ‘800, fece chiudere le scuole e le
associazioni culturali armene, oltre
che i giornali e le biblioteche, per passare poi nel 1903 alla confisca dei
beni della Chiesa armena.
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La protesta in Russia, guidata dal
movimento Dashnak, assunse quindi caratteristiche anti-imperialiste, con
l’unione alla IIa Internazionale socialista.
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Secondo Rosa Luxemburg il requisito
indispensabile alla diffusione della socialdemocrazia nell’Impero ottomano
doveva passare attraverso il movimento nazionale e l’emancipazione dei popoli
cristiani.
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La lotta dei Giovani Turchi contro Abd ul
Hamid si avvalse anche della collaborazione con i suoi oppositori in esilio che
si erano riuniti a formare il Comitato di Unione e Progresso.
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Nel 1907 i Giovani Turchi di Salonicco si
unirono al CUP e con loro iniziarono a battersi chiedendo al Sultano il
ripristino della Costituzione del 1876.
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Le ritorsioni di Abd ul Hamid, che iniziò
a fucilare gli ufficiali coinvolti in queste rivendicazioni, indussero il
gruppo dei Giovani Turchi di Salonicco a minacciare di marciare su Istanbul.
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Queste pressioni costrinsero il Sultano a
ripristinare la Costituzione, nel 1908 e ad indire elezioni politiche, che
portarono in Parlamento una maggioranza di deputati appoggiati dal Comitato
Unione e Progresso.
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Lo sfaldamento però dell’Impero Ottomano,
che perse molti dei territori precedentemente annessi, come la Rumelia in
Bulgaria, Creta, la Bosnia e l’Erzegovina, fu addebitato alla politica dei
Giovani Turchi, e permise al Sultano di tentare una contro rivoluzione nel
1909.
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Il tentativo fu subito stroncato, Abd ul
Hamid fu definitivamente deposto e al suo posto fu insediato il docile Mehmet
V, e i Giovani Turchi assunsero direttamente le responsabilità di Governo.
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Iniziò così un periodo di acceso
nazionalismo, sotto la guida di Enver e di un triumvirato dittatoriale.
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In tale contesto avviene un nuovo e
drammatico massacro di armeni, e precisamente nella Provincia di Adana, in cui
le forse unioniste fedeli al Sultano uccidono ben 25.000 cristiani di etnia,
appunto, armena.
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Tra le premesse che portarono poi
all’eccidio ”finale” è da far notare l’orientamento intrapreso dalla fase
rivoluzionaria dei Giovani turchi, secondo cui la forza e la violenza dovevano essere i mezzi
attraverso cui risolvere i conflitti provocati dalle nazionalità.
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Non a caso costui è definito dagli armeni
come l’”Hitler turco”
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Ciò segna anche una sorta di continuità
della repressione armena, a partire dai massacri hamidiani, fino al genocidio
del 1915, e a quelli di fine decennio.
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In un congresso segreto, tenutosi a
Salonicco nel 1911, i Giovani Turchi decisero di sopprimere totalmente gli
armeni residenti in Turchia.
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L’obiettivo degli ottomani di annichilire
l’etnia armena scaturì quindi dall’esigenza di portare avanti l’ideologia
panturchista, determinata a riformare lo Stato su basi nazionaliste e su una
omogeneità etnica e religiosa.
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L’occasione si presentò loro con lo
scoppio del Primo conflitto Mondiale, allorquando le potenze europee, impegnate
nella guerra, non potevano interferire.
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Così, tra il 1915 e il 1916, il Partito
“Unione e Progresso” elaborò e poi realizzò un progetto di sterminio dei
cittadini armeni dell’Impero Ottomano.
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I Giovani Turchi, ala del Comitato
Centrale, divennero così interpreti di un piano genocidario, per mezzo dei
propri politici più intransigenti, come : Tal'at, Enver, Djemal, e Kemal (detto
Ataturk).
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Nel
1915 i turchi intrapresero un’opera di sistematica deportazione della
popolazione armena, una parte verso Aleppo, e un’altra verso il deserto di
Der-Es-Zor in Mesopotamia.
Durante la marcia gli armeni vennero
depredati di ogni loro avere, e molti di loro furono gettati in caverne e
bruciati vivi.
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Molti altri vennero annegati nel fiume
Eufrate o nel mar Nero.
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Nelle città e nei villaggi abitati da
Armeni rimasero solo donne, vecchi e bambini a cui fu imposta la deportazione.
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Il Governo dei Giovani Turchi costituì
una Organizzazione Speciale formata da bande di malfattori fatti uscire appositamente dalle carceri, con il
compito specifico di sterminare gli armeni.
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Queste bande di assassini legalizzati si
accanirono contro le colonne dei deportati, lungo il percorso che questi
percorrevano a piedi per centinaia di chilometri.
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Così gli armeni, oltre che con la fame,
la sete, le malattie, lo sfinimento e gli stenti, si trovarono a fare i conti
con gli stupri, le torture, la ferocia e il sadico accanimento delle bande
filo-governative.
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In un telegramma, il comunicato di Talaat
Pascià, del 15 settembre 1915, recita :
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“In precedenza è stato comunicato che
il Governo, su ordine del Partito (Unione e Progresso), ha stabilito di
sterminare completamente tutti gli Armeni residenti in Turchia.
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Bisogna dar fine alla loro esistenza, per
quanto siano atroci le misure adottate, senza discriminazioni per il sesso e
l’età e senza dar ascolto a considerazioni legate alla “coscienza”.
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Il 24 aprile del 1915 furono arrestati
tutti i notabili della comunità armena di Costantinopoli, per essere deportati
e massacrati.
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Nel mese di Maggio fu emanato un decreto
provvisorio di deportazione, seguito da quello di confisca dei beni, entrambi
mai ratificati dal Parlamento.
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I maschi adulti furono chiamati a prestare
servizio militare e poi, dopo essere stati divisi e separati dai rispettivi
reparti, vennero passati per le armi.
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Seguì poi la fase dei massacri e delle
violenze indiscriminate sulla popolazione civile, sugli intellettuali, sui
sacerdoti, sui dirigenti politici.
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Ancora oggi infatti, il 24 aprile, si
celebra la “Giornata della memoria del popolo Armeno” per ricordare il “Metz
Yeghern” (il Grande Male), lo sterminio di un milione e mezzo di armeni
ad opera dei “Giovani Turchi nel 1915.
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Ufficialmente, però, ancora oggi, il
Governo Turco non ha né riconosciuto, né tanto meno condannato questo
olocausto, ma anzi continua a negare il fatto che questo sia mai avvenuto.
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Addirittura la Turchia tenta
quotidianamente di corrompere la verità, assoldando politici, studiosi,
scrittori, e giornalisti occidentali al fine di continuare a mistificare la
realtà dei fatti.
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Negli anni 2000 il Parlamentare Ozal ha
affermato che forse la “lezione” data all’Armenia non era stata sufficiente ed
occorreva darne loro un’altra.
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La presunzione turca di entrare a far
parte dell’Unione Europea, non può prescindere, di fronte al genocidio armeno,
da un “mea culpa” ufficiale, sancito dalle scuse del Governo in carica
alla popolazione armena.
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Purtroppo fino ad oggi, quando ogni 24
aprile l’intero mondo civile si stringe in ricordo del genocidio armeno, la
Turchia reagisce con rabbia, continuando a negare l’evidenza.
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E’ necessario, a questo proposito,
rimarcare il fatto che in alcuni paesi (Germania, Austria, e Francia) è
illegale pronunciarsi pubblicamente contro quelle verità storiche la cui
negazione rappresenta un’offesa ancora attuale per le vittime e i loro
discendenti.
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Concludo considerando che un
atteggiamento come quello turco costituisce un serio pericolo, non solo per gli
armeni, ancora oggi, ma anche per l’intera comunità civile e democratica e per
quei valori di libertà e di pacifica coesistenza tra i popoli.
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Siamo alle solite dei satanici tagliatori di teste, ma
RispondiEliminaSta anche scritto:
Apocalisse 20:4 Poi vidi dei troni. A quelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare. E VIDI LE ANIME DI QUELLI CHE ERANO STATI DECAPITATI PER LA TESTIMONIANZA DI GESù E PER LA PAROLA DI DIO, e di quelli che NON AVEVANO ADORATO LA BESTIA né la sua immagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fronte e sulla loro mano. Essi TORNARONO IN VITA e regnarono con Cristo per mille anni.
Alla fine chissà chi saranno quelli che se la caveranno.
Cosi funziona la giustizia Divina!
Cosa ne pensi Dissenzo, esiste una giustizia divina secondo te?
saluti da Rashafari