domenica 8 novembre 2015

VIOLENZA COMUNISTA A BOLOGNA

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Ancora una volta, caso mai ce ne fosse bisogno, il comunismo ha mostrato il suo vero volto, a Bologna, in occasione della manifestazione del centro-destra, domenica 8 novembre 2015.
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Una manifestazione perfettamente legale, organizzata da partiti rappresentati in Parlamento, e con tutti i diritti di esprimere nelle piazze le loro idee e i loro programmi.
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Peccato però che  ciò non interessi ai comunisti, che oramai ci hanno abituato alla consapevolezza del fatto che chiunque non sia allineato ai voleri o alla sudditanza della “falce e martello” sia da considerare alla stregua di un nemico mortale, da abbattere con ogni mezzo, anche violento.
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E la violenza, infatti, è puntualmente comparsa, addirittura preannunciata da roboanti ed arroganti proclami già una settimana prima dell’evento.
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A farne le spese, "in primis", è stata la linea dell’alta velocità, presa come bersaglio per un attentato la cui matrice è chiaramente comunista e anarchica, in una simbiosi che unisce i due mondi paralleli della sinistra, fondendo in un unico obiettivo la dichiarata violenza che entrambi esprimono e a cui si ispirano.
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I tentativi di zittire a colpi di spranga coloro che democraticamente propongono un programma politico diverso dal loro, è tipico dei comunisti, e della sinistra in genere.
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Foto ANSA
D’altra parte l’origine etimologica da cui scaturiscono le forze della sinistra è comune, fin dai tempi in cui gli assassini della “volante rossa” imperversava nel dopo guerra uccidendo e compiendo stragi efferate.
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L’impunità a loro poi concessa dalle massime autorità dello Stato ne ha legalizzato gli atti criminosi, premiandoli addirittura con il loro accoglimento nelle sale della Camera e del Senato della Repubblica come interpreti attivi della politica italiana.
Da questi individui, e da un Partito Comunista legato a filo doppio con i dictat del comunismo sovietico, che per decenni ha inviato veri e propri fiumi di denaro per finanziare le attività di ogni corpuscolo della sinistra italiana, sono nate le organizzazioni paramilitari e fuori legge che hanno sconvolto l’Italia democratica.
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L’uso della violenza è prodromico ed essenziale nella catarsi di un comunismo bieco e feroce, che pascendosi del sangue delle sue vittime, si pone arrogantemente come unico e simbiotico elemento di riferimento.
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Per costoro tutto ciò che esula dai riferimenti dell’ortodossia marxista è quindi da distruggere, senza esitazioni e con qualsiasi mezzo.
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A questo scopo la sinistra italiana ha permesso che nascessero in seno a sé stessa le organizzazioni criminali di Potere Operaio, prima, e delle Brigate Rosse, poi.
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L’assioma ricorrente, che proponeva di interpretare il braccio armato del proletariato,  come elemento di valore aggiunto, in realtà ha sempre e solo esaltato unicamente il ricorso alla violenza come metodo di lotta, rifuggendo al confronto democratico e al dialogo.
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Oggi ritroviamo le stesse prerogative nelle farneticanti proposizioni che i “centri sociali” e le organizzazioni dell’estrema sinistra espongono continuamente : bruciamo, annientiamo, lottiamo, e combattiamo.
La manifestazione leghista e delle destre a Bologna, invece si contrappone a tutto ciò con l’arma del dialogo e della democrazia.
I comunisti che a frotte si sono precipitati alla contro manifestazione organizzata in antitesi a quella di Salvini, si sono presentati con il volto coperto da un cappuccio, sintomo di vigliaccheria e di propositi criminali, e armati di spranghe e catene, come strumento principe di affermazione delle loro filosofie.
Questi “guerriglieri della Domenica” in realtà altro non sono che elementi disadattati e irresponsabili, che non avendo la voglia o la capacità di integrarsi in una società civile, ne combattono l’essenza a priori,  arrogandosi il diritto di stabilire di volta in volta i parametri necessari alla vita quotidiana.
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Ecco che così la casa diventa un diritto, occupando quella di altrui proprietari.
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Ecco che così si impone a chiunque, o si tenta di imporre, la propria esclusiva visione della società, ricorrendo alla violenza per affermarne i princìpi.
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Ecco che così l’Università non è più l’ambiente nel quale ci si forma per una attività post laurea, ma un campo di battaglia in cui, ancora una volta, la violenza è sistematica.
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Tutto ciò avviene con la condiscendenza e la compiacenza della sinistra ufficiale, quella del PD, che trae le proprie origini dal ceppo comune da cui si sono poi metamorfizzati e diversificati tutti i rami dei seguaci della “falce e martello”.
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Scritta anarchica
Non ci si spiegherebbe, altrimenti, come mai una sezione dell’Università di Bologna sia stata permanentemente “occupata” per oltre vent’anni dai “beniamini rivoluzionari” che hanno interpretato questo ruolo.
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Non ci si spiega come mai, altrimenti, si sia permesso, e si continui a permettere, che i fautori della violenza comunista proliferassero e si costituissero in gruppi, spesso armati, riconosciuti a livello ufficiale, e che si desse loro sia voce che credito.
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Lo stalinismo, il comunismo cinese, quello cambogiano, la dittatura di Ceausescu, quella di Fidel Castro, il regime di Enver Hoxha, hanno dimostrato inconfutabilmente che la violenza è stata l’elemento comune presente nel disegno comunista di affermazione del marxismo.
Marx stesso, in effetti, designa come metodo necessario di lotta per l’affermazione del comunismo il ricorso alla violenza cieca, senza mezzi termini e indiscriminata.
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Stalin uccise milioni di contadini in Ucraina, per soddisfare le sue esigenze dittatoriali, a cui seguirono stragi epocali di interi strati sociali di popolazione, sia su base etnica, che religiosa, che politica.
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Museo del genocidio  cambogiano
Pol Pot il criminale leader comunista cambogiano sterminò metà della popolazione del suo Paese, riducendola in stato di schiavitù e ricorrendo all’uso della tortura e della deportazione per affermare il comunismo.
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In Cina vediamo ancora oggi cosa succede, pur nell’indifferenza dell’Occidente.
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Assistiamo alla diffusione di lager denominati laogai, in cui vengono internati interi gruppi di religiosi, come i monaci tibetani, e di dissidenti, puniti con la morte e con l’annientamento, sia fisico che psicologico.
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Il muro di Berlino ha rappresentato per lungo tempo il simbolo della ferocia comunista, che non paga del terrore esercitato verso i suoi stessi compagni ne impediva perfino la fuga.
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Monaco buddista, tibetano
I comunisti che oggi hanno attaccato la democratica manifestazione della destra a Bologna, si rifanno a questi stereotipi, armandosi con la stessa ferocia e con la stessa arroganza di chi, in nome di Marx vorrebbe imporre a colpi di spranga la propria volontà.
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Costoro, i vari adepti dei centri sociali ( Crash, Cua, Xm24, Social Log) sono da considerare alla stregua di rifiuti umani, di esseri abbietti,  dediti all’uso della violenza come sistema di vita, e fautori di anarchie prive di valori e di consistenze di qualsiasi tipo.
Solo violenza.
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Questo è ciò che traspare dal loro stesso comportamento, palesato da un modus operandi apertamente arrogante  e pretenzioso, privo di nessi ideologici e sociali che non siano simbiotici con la violenza comunista.
La confusione ideologica che li vede sopraffatti dalla visione di un comunismo violento e distruttivo, li auto emargina e li rende frustrati, conducendoli verso la violenza, di nuovo elemento cardine del loro incedere quotidiano.
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Semplìcemente… comunismo
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Dissenso
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