domenica 21 agosto 2016

Sette anni nel Tibet

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Heinrich Harrer è nato in Austria nel 1910.
Heinrich Harrer
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Divenne campione di sci alle Olimpiadi invernali del 1936, poi uno dei più importanti alpinisti del mondo scalando nel 1938 la parete settentrionale dell’Eiger, e conquistando numerosi “ottomila”.
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Ricevette nel 1985 la medaglia “Humboldt” per le sue avventure “di carattere scientifico”.
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Allo scoppio della seconda guerra mondiale Harrer e il suo gruppo di scalatori viene arrestato e internato in un campo di prigionia inglese in India.
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Nel 1953 viene pubblicato per la prima volta il suo libro “Sette anni nel Tibet” che sarà poi tradotto in trenta lingue diverse e pubblicato in quattro milioni di copie.
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Il libro di Harrer racconta la straordinaria avventura di un uomo in fuga dai campi di concentramento inglesi in India, che lungo un percorso di oltre duemila chilometri si troverà a sfidare le vette dell’Himalaia.
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Il suo intento, insieme ai compagni di fuga, è quello di raggiungere Lhasa, la capitale del Tibet, per fermarvisi.
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Il successo della sua impresa sancirà la personale conoscenza con le personalità più rappresentative del mondo tibetano, fino all’incontro con il Dalai Lama, ancora quattordicenne, di cui diverrà amico e insegnante.
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Il suo racconto fluisce regalandoci la sensazione di vivere direttamente la sua esperienza di viaggio, i suoi incontri con i lama buddisti, i nomadi, le famiglie nobili, il variopinto paesaggio nelle strade di Lhasa, le sfarzose cerimonie religiose, i tetti d’oro del Potala, la residenza dei sovrani del Tibet.
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Harrer ci racconta della immensa civiltà spirituale di cui è impregnato il Tibet stesso, e della distruzione di questo mondo ad opera dei comunisti cinesi, che ne occuparono i territori nel 1951.
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I nuovi invasori attuarono da subito misure spietate e sistematiche per sottomettere i tibetani, ricorrendo all’oppressione e alla crudeltà.
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La cina comunista di Mao  (uno dei maggiori criminali comunisti che la Storia ricordi) aveva condannato a morte la struttura teocratica e l’antichissima civiltà tibetana, ricorrendo all’annientamento della fede religiosa e di tutte le istituzioni ecclesiastiche.
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In questo modo la malvagità comunista potè rivolgere le sue sadiche attenzioni agli antichi e rinomati monasteri, saccheggiandoli e dando alle fiamme il patrimonio culturale buddista.
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il Dalai Lama
I monaci furono messi ai lavori forzati, oppure deportati in Cina, o costretti ad abbandonare il celibato, quando non addirittura giustiziati.
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Migliaia di tibetani vennero sradicati dalle loro terre e obbligati a trasferirsi in Cina, per essere sostituiti da milioni di coloni cinesi di etnia han.
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L’intento del governo comunista cinese era quello di ridurre in minoranza l’etnia nativa di quei luoghi per operare con il “terrore” la trasformazione “socialista” dei territori invasi.
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Il furore cinese non trascurò di accanirsi con bombardamenti contro alcune delle città millenarie come Chating, Batang, Tranko, Chekundo, e Litang, distruggendo anche i loro monasteri.
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Il Dalai Lama fu costretto alla fuga e a trovare riparo e protezione in India, accompagnato da oltre centomila tibetani che lo scortarono nel viaggio.
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Nel 1989 gli è stato riconosciuto il Nobel per la Pace, mentre però, ancora oggi, la distruzione del Tibet prosegue.
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Potala di Lasha
In questi decenni, fino a oggi, la Cina comunista ha continuato la sua politica egemonica e arbitraria sui territori del Tibet, con le armi della distruzione, della repressione, delle epurazioni, del genocidio e dell’indottrinamento politico.
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Oggi Lhasa non esiste più, o almeno non come capitale tibetana custode del retaggio culturale e religioso che anima le coscienze popolari.
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E’ diventata infatti una vera e propria città cinese, con centinaia di bar e di case da gioco, oltre che locali a lanterne rosse, che soddisfano e divertono le truppe di occupazione.

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Ancora oggi i monaci tibetani continuano a condurre una eroica resistenza contro l’oppressione comunista nel loro Paese, pagando però un altissimo tributo in vite umane.
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La protesta dei monaci, sempre non violenta, si esprime con l’auto immolazione, dandosi fuoco e sacrificando la vita nel chiedere a gran voce la libertà per il Tibet.
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Monaco diciottenne si immola col fuoco per la libertà del Popolo tibetano
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L’indifferenza dell’Occidente a questo proposito è sconcertante e inqualificabile.
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In Cina nel 2011 si sono tenuti addirittura i Campionati mondiali di nuoto, mentre il Governo cinese impiega i Laogai come mezzo per schiavizzare gli oppositori politici e annichilire le componenti religiose.
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Elenco di seguito alcuni Link ad articoli precedentemente scritti  :
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 Tibet : il fuoco sotto la neve

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