domenica 21 aprile 2019

L'ECCIDIO DI ROVETTA


Durante la seconda guerra mondiale, durante le operazioni belliche, fu disposto dai comandi militari italiani che la 1° Divisione d’Assalto “M”, Legione Tagliamento venisse spostata e dislocata nel territorio bresciano, in particolare nella Val Camonica.
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Il suo compito era quello di contrastare le formazioni partigiani attive nell’area, che minacciavano l’integrità delle linee di comunicazione della Wehrmacht, le Forze armate tedesche, e di presidiare i cantieri della Todt, l’organizzazione di costruzioni che operava nei territori a fianco dell’esercito tedesco.
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Il 26 aprile 1945 un gruppo di militari della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che presidiavano la località “Cantoniera della Presolana”, un valico alpino in provincia di Bergamo, al comando del Sottotenente Roberto Panzanelli, venne a sapere attraverso le comunicazioni radiofoniche della resa tedesca e italiana, e per questo motivo decise di lasciare il presidio e di raggiungere Bergamo.
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I militari si incolonnarono, al seguito di Alessandro Franceschetti, l’albergatore presso cui i militi erano alloggiati al Passo della Presolana, che li precedeva sventolando una bandiera bianca in segno di resa.
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Quando il gruppo arrivò nel paese di Rovetta, nella Val Seriana a circa quaranta chilometri da Bergamo, deposero le armi e si consegnarono al Comitato di Liberazione Nazionale locale.
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In questo frangente stipularono accordi per sancire la loro posizione di prigionieri di guerra, e fu siglato un documento a garanzia dei prigionieri, firmato e sottoscritto da tutte le componenti, a partire dal Sottotenente Panzanelli, ai rappresentanti del CLN, nella persona del Parroco Don Giuseppe Bravi, per finire con il Maggiore Pacifico ed altri.
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Dopo la firma dell’accordo i prigionieri furono trasferiti nei locali dele scuole elementari di Rovetta in attesa di essere consegnati al comando alleato.
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Il giorno 28 aprile (lo stesso giorno dell’omicidio di Mussolini) però, un gruppo di partigiani che appartenevano alla 53a Brigata Garibaldi Tredici Martiri, alla Brigata Camozzi e alle Fiamme Verdi, prelevarono il gruppo di militi dalle scuole elementari e li scortarono a piedi verso il cimitero del paese.
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Durante il percorso uno dei prigionieri, Fernando Caciolo, riuscì a scappare e a nascondersi nella casa di Don Bravi per circa tre mesi, prima di fare ritorno al suo paese di origine, ad Anagni, nel Lazio.
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Il sottotenente Panzanelli protestò con i partigiani, esibendo il foglio in cui era siglato l’accordo e le garanzie per il suo gruppo di militi, ma i partigiani glielo strapparono e calpestarono con disprezzo.
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Giunti al cimitero i partigiani assassini si disposero a formare due plotoni di esecuzione, e fucilarono 43 prigionieri compresi fra i 15 e i 22 anni di età.
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Ne furono risparmiati solo tre, a causa della loro giovane età :
Cesare Chiarotti di 14 anni, Sergio Bricco di 15 e Enzo Ausili di 16.
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I partigiani scoprirono che uno dei militi era figlio di Edvige Mussolini, sorella di Benito, e per questo motivo lo obbligarono ad assistere alla fucilazione di tutti i suoi commilitoni prima di essere a sua volta fucilato.
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Così ancora una volta i partigiani si macchiarono del sangue di vittime innocenti, ad armi deposte, confermando la ferocia che identificava e distingueva le formazioni assassine e la loro indubbia vigliaccheria.
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Ecco l’elenco delle vittime :
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ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando, anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonio, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16
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Per anni la responsabilità è stata addossata principalmente a un misterioso agente al soldo dei servizi segreti britannici (Soe) attivi sul territorio bergamasco, tale Paolo Podujie, conosciuto con il nome di battaglia di “il Moicano”.
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Secondo quanto scritto da Grazia Spada nel suo libro “Il Moicano e i fatti di Rovetta ” invece, la responsabilità materiale sarebbe da ascrivere ai partigiani socialisti della brigata “Camozzi” di Gustizia e Libertà, che in quei giorni avevano il controllo di Rovetta.
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Premetto che Rovetta venne “ufficialmente liberata” il 1 maggio 1945.
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Nel 1946 fu aperto un procedimento penale in cui vennero indagati i responsabili della strage, tra cui Paolo Poduje, capo della 53esima brigata e ritenuto il maggiore responsabile dell’eccidio.
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La sentenza del Tribunale di Bergamo, che arrivò nel 1951, fu oscena :
venne infatti dichiarato dai Giudici di Bergamo che non si doveva procedere nei confronti degli imputati, poiché il fatto (l’eccidio) avvenne tre giorni prima della liberazione della città, quindi non costituiva un crimine di guerra ma una semplice azione bellica.
Esattamente decretava il non luogo a procedere in virtù del fatto che :
“Il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”.
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In pratica le “toghe rosse” bergamasche non ritennero che fosse un atto criminale quello di trucidare a sangue freddo 43 ragazzini disarmati, arruolati da poco, che non avevano mai partecipato ad azioni di guerra, e che si erano comunque arresi.
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Dell’eccidio fino ad oggi nessuno ha mai chiesto scusa o ha dimostrato pentimento, e nemmeno si è voluto riconoscere come pagina buia della Resistenza questo gravissimo fatto.
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L’Anpi ha taciuto per decenni, così come l’Istituto storico della Resistenza, oppure coloro che oggi chiedono di vietarne la commemorazione, palesando un “disprezzo antifascista” che va oltre l’umana razionalità, sconfinando in un bieco odio di parte e nella mistificazione di partito.
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Il Parroco, Don Bravi, ha prima promesso salva la vita a questi ragazzi, poi ha permesso che venissero trucidati, senza che nemmeno la Curia poi, in futuro, prendesse atto di tale barbarie.
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Non una scusa, non un momento di riflessione, ma solo falsità e silenzio su un fatto di sangue efferato compiuto su ragazzini innocenti, vittime della Storia che al momento indossavano la divisa per così dire “sbagliata”.
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Tornando ai responsabili, occorre dire che l’enorme mole letteraria sull’argomento è divisa e contradditoria, almeno per quanto riguarda le tesi della  scrittrice Grazia Spada sopracitata.
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Molti autori indicano come responsabili dell’eccidio il già citato “Moicano”, insieme a :
Lanfranch”, Fomoni detto “Walter ” da Ardesio, “Fulmine” da Costavolpino, “Cascio>” da Costavolpino, Rossi “Buchi” da Castione della Presolana, con il concorso esplicito del maggiore Pacifici, già della Sussistenza del disciolto esercito regio.
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Rimane comunque il fatto che forze partigiane assassine si siano evidentemente contese il controllo del territorio, arrogandosi il diritto di decidere della vita di ragazzini dell’età compresa fra i quindici e i vent’anni, senza che alcuno di questi “eroici” comunisti o socialisti che fossero, si sia mai degnato di profferire una sola parola di pietà o di scuse al riguardo.
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Onore dunque alle vittime di Rovetta, che continueremo a commemorare e a ricordare.
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Dedichiamo loro un pensiero ed una preghiera amorevole, in vece del silenzio molto poco cristiano espresso dal Clero e dai suoi componenti fino ad oggi.
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Dissenso
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