sabato 17 ottobre 2009

Roberto Saviano e la sua scorta.

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Vergognoso :
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Un rappresentante delle istituzioni si schiera contro Roberto Saviano e focalizza la sua attenzione sulla scorta che è stata data allo scrittore per proteggerlo dalle minacce della mafia.
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Il signor Vittorio Pisani, capo della Squadra Mobile di Napoli, ha stigmatizzato le sue convinzioni adducendo pretestuose argomentazioni.

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Sarebbe meglio che costui ringraziasse i cittadini che, Saviano in testa, combattono le organizzazioni criminali, anziché cercare di produrre nefaste conseguenze lasciando allo sbando e alla mercè dei malavitosi coloro che interpretano un ruolo di primo piano in questa lotta.
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Forse il capo della Squadra Mobile si è dimenticato di come i mafiosi, i camorristi, e tutta la genìa che affratella le cosche criminali nella medesima pluralità di intenti sia crudelmente efferata verso chi, coraggiosamente, tenta di frapporsi alla loro smisurata prepotenza.
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Forse dimentica i martiri italiani immolati in nome di queste battaglie, come i guidici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e tutti gli uomini delle scorte, e la lunga sequela di altri come loro scomparsi per avere difeso gli ideali di giustizia e libertà in questo nostro territorio, infestato di carogne assetate di sangue.
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Io mi schiero a spada tratta in favore di Roberto Saviano, che considero come un fratello, pur non avendolo mai conosciuto personalmente, e a lui va tutto il mio affetto e la mia solidarietà.
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Al signor Vittorio Pisani va invece tutto il mio disprezzo, la mia riprovazione, la mia disistima, per come si sta comportando.
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Forse sarebbe meglio che concentrasse il 100 % delle sue risorse verso obiettivi diversi da Roberto Saviano, impegnandosi contro coloro che lo vogliono morto.

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Forse sarebbe auspicabile anche che qualcuno in alto loco gli prendesse le orecchie tra le dita e gli desse una bella tirata.

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Personalmente io gli darei un calcio nel sedere ben assestato.
Lo colpirei nella sua dignità, come lui ha fatto, ingiustamente, con Roberto Saviano e lo lascerei al pubblico ludibrio… chissà, forse incomincerebbe a capire.
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. Viene da chiedersi da che parte stia…da quella di coloro che vogliono la collaborazione dei cittadini, la loro attiva e civile partecipazione, o piuttosto, invece, dalla parte di coloro che li vogliono isolare, relegandoli in un universo già abbastanza stereotipato colmo di omertà , e spingendoli verso una diffusa disarmonia con le istituzioni, confinante con l’abbandono…
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Mi viene spontaneo auspicare le dimissioni di Vittorio Pisani, che dovrebbe vergognarsi di come usurpa, col suo comportamento, un ruolo istituzionale, di cui lui adesso interpreta la parte di protagonista non più credibile.

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Ecco, di seguito, gli articoli di giornale che riportano le dichiarazioni del capo della Squadra Mobile di Napoli, e le reazioni dello scrittore :
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NAPOLI, 14 OTTOBRE 2009
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Un duro affondo di Vittorio Pisani, Capo della Squadra Mobile di Napoli riguardo la scorta data allo scrittore Roberto Saviano e, parole non certo lusinghiere per il best seller 'Gomorra'.
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“Non è necessaria la scorta per Saviano. Il nostro parere sul rapporto per l’assegnazione di tale scorta, fu negativo, le minacce non avevano riscontro’’ - rivela, in un’intervista un'intervista al Corriere della Sera Magazine, Vittorio Pisani.
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E sul bel best seller tradotto in 43 Paesi, il capo della Mobile dice :
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"Il libro ha avuto un peso mediatico eccessivo rispetto al valore che ha per noi addetti ai lavori” e continua : “Ho arrestato centinaia di delinquenti. Ho scritto, testimoniato e giro per la città con mia moglie e con i miei figli senza scorta. Non sono mai stato minacciato”. .
A proposito della scorta assegnata tre anni fa all’autore di ‘’Gomorra’’ spiega :
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"A noi della Mobile fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti abbiamo dato parere negativo sull’assegnazione della scorta. Resto perplesso - aggiunge - quando vedo scortate persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni”.
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INTERVIENE IL CAPO DELLA POLIZIA
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Sono state “confermate le misure di protezione già in atto e disposte misure ulteriori delle persone esposte al pericolo di azioni violente da parte delle organizzazioni criminali, a cominciare dallo scrittore Roberto Saviano”.Lo riferisce in una nota del Dipartimento della Pubblica sicurezza, il Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli.
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“L'esigenza di tali misure - precisa Manganelli - viene oggi confermata dal Capo della Polizia che si riserva, anzi, di valutarne l'eventuale rafforzamento”.In relazione “ai timori da più parte espressi circa la possibilità di un imminente affievolimento delle misure di protezione a suo tempo disposte in favore dello scrittore Roberto Saviano e tuttora in atto”, il Capo della Polizia “sottolinea preliminarmente che l’azione di contrasto alla criminalità organizzata costituisce una assoluta priorità dell’intervento del Ministero dell’Interno e delle Forze di Polizia nel nostro Paese”.
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"In tale contesto - prosegue la nota del Dipartimento di Ps - sin dal 18 maggio dello scorso anno, in un suo pubblico intervento a Casal di Principe in occasione della Festa della Polizia, fu preannunciato dallo stesso Capo della Polizia l’avvio di una decisa e continuativa attività operativa contro il cosiddetto clan dei Casalesi.
Da quel momento su disposizione del Ministro dell’Interno Maroni, è iniziata una mirata azione che ha consentito sino ad oggi di conseguire in quell’area risultati straordinari e senza precedenti”.
Lo scrittore, profondamente amareggiato, ha risposto a questi attacchi scrivendo sulla Repubblica una accorata e commovente riflessione, a cui va tutto il mio rispetto e la mia comprensione.
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Io, la mia scorta e il senso di solitudine.
Roberto Saviano
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L'autore del celebre romanzo "Gomorra" ha scritto :
" Lo vedi, stanno iniziando ad abbandonarci. Lo sapevo.”
Così il mio caposcorta mi ha salutato ieri mattina.
Il dolore per la protezione che cercano di farmi pesare, di farci pesare, era inevitabile.
La sensazione di solitudine dei sette uomini che da tre anni mi proteggono mi ha commosso.
Dopo le dichiarazioni del capo della mobile di Napoli che gettano discredito sul loro sacrificio, che mettono in dubbio le indagini della Dda di Napoli e dei Carabinieri, la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura è forte.
Non credo sia salutare spaccare in due o in più parti un fronte che dovrebbe mostrarsi, e soprattutto sentirsi, coeso.
Società civile, forse dell’ordine, magistratura.
Ognuno con i suoi ruoli e compiti.
Ma uniti.
Purtroppo riscontro che non è così.
So bene che non è lo Stato nel suo complesso, né le figure istituzionali che stanno al suo vertice a voler far mancare tale impegno unitario.
Sono grato a chi mi ha difeso in questi anni :
all’arma dei Carabinieri che in questi giorni ha mantenuto il silenzio per rispetto istituzionale ma mi ha fatto sentire un calore enorme dicendomi “noi ci saremo sempre”.
Mi ha difeso l’Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone.
Mi ha difeso il capo della Polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ciò che era stato detto da un funzionario.
Mi ha difeso il mio giornale.
Mi hanno difeso i miei lettori.
Ma uno sgretolamento di questa compattezza è malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano ne è fatto portavoce.
Ciò che dico e scrivo è il risultato spesso di diversi soggetti, di cui le mie parole si fanno portavoce.
Ma si cerca di rompere questa nostra alleanza, insinuando ‘tanti lavorano nell’ombra senza riconoscimento mentre tu invece…’
Chi fa questo discorso ha un unico scopo, cercare di isolare, di interrompere il rapporto che ha permesso in questi anni di portare alla ribalta nazionale e internazionale molte inchieste e realtà costrette solo alla cronaca locale.
Sento di essere antipatico ad una parte di Napoli e ad una parte del Paese, per ciò che dico per come lo dico per lo spazio mediatico che cerco di ottenere.
Sono fiero di essere antipatico a questa parte di campani, a questa parte di italiani e a molta parte dei loro politici di riferimento.
Sono fiero di star antipatico a chi in questi giorni ha chiamato le radio, ha scritto sui social forum 'finalmente qualcuno che sputa su questo buffone'.
Sono fiero di star antipatico a queste persone, sono fiero di sentire in loro bruciare lo stomaco quando mi vedono e ascoltano, quando si sentono messi in ombra.
Non cercherò mai i loro favori, né la loro approvazione.
Sono sempre stato fiero di essere antipatico a chi dice che la lotta alla criminalità è una storia che riguarda solo pochi gendarmi e qualche giudice, spesso lasciandoli soli.
Sono sempre stato fiero di essere antipatico a quella Napoli che si nasconde dietro i musei, i quadri, la musica in piazza, per far precipitare il decantato rinascimento napoletano in un medioevo napoletano saturo di monnezza e in mano alle imprenditorie criminali più spietate.

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Sono sempre stato antipatico a quella parte di Napoli che vota politici corrotti fingendo di credere che siano innocui simpaticoni che parlano in dialetto.
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Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi dice :
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'Si uccidono tra di loro', perché contiamo troppe vittime innocenti per poter continuare a ripetere questa vuota cantilena.

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Perché così permettiamo all’Italia e al resto del mondo di chiamarci razzisti e vigliacchi se non prestiamo soccorso a chi tragicamente intercetta proiettili non destinati a lui.
Come è accaduto a Petru Birladeanu, il musicista ucciso il 26 maggio scorso nella stazione della metropolitana di Montesanto che non è stato soccorso non per vigliaccheria, ma per paura.
Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi mal sopporta che vada in televisione o sulle copertine dei giornali, perché ho l'ambizione di credere che le mie parole possano cambiare le cose se arrivano a molti.

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E serve l'attenzione per aggregare persone.
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Sarò sempre fiero di avere questo genere di avversari.

I più disparati, uniti però dal desiderio che nulla cambi, che chi alza la testa e la voce resti isolato e venga spazzato via com'è successo già troppe volte.
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Che chi opera sulle vicende legate alla criminalità organizzata e all’illegalità in generale, continui a farlo, ma in silenzio, concedendo giusto quell’attenzione momentanea che sappia sempre un po’ di folklore.
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E se percorriamo a ritroso gli ultimi trent’anni del nostro Paese, come non ricordare che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani – esposti molto più di me e che prima di me hanno detto verità ora alla portata di tutti – hanno pagato con la vita la loro solitudine.
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E la volontà di volerli ridurre, in vita, al silenzio.

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.Sono sempre stato fiero, invece, di essere stato vicino a un’altra parte di Napoli e del Sud.

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Quella che in questi anni ha approfittato della notorietà di qualcuno emerso dalle sue fila per dar voce al proprio malessere, al proprio impegno, alle proprie speranze.
Molti di loro mi hanno accolto con diffidenza, una diffidenza che a volte ha lasciato il posto a stima, altre a critiche, ma leali e costruttive.
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Sono fiero che a starmi vicino siano stati i padri gesuiti che mi hanno accolto, le associazioni che operano sul territorio con cui abbiamo fatto fronte comune e tante, tantissime persone singole.
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Sono fiero che a starmi vicino sia soprattutto chi, ferocemente deluso dal quindicennio bassoliniano, cerca risposte altrove, sapendo che dalla politica campana di entrambe le parti c’è poco da aspettarsi.
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Sono sempre stato fiero che vicino a me ci siano tutti quei campani che non ne possono più di morire di cancro e vedere che a governare siano arrivati politici che negli anni hanno sempre spartito i propri affari con le cosche.
Facendo, loro sì, soldi e carriera con i rifiuti e col cemento, creando intorno a sé un consenso acquistato con biglietti da cento euro.
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E’ stato doloroso vedere infrangersi un fronte unico, costruito in questi anni di costante impegno, che aveva permesso di mantenere alta l’attenzione sui fatti di camorra.
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E’ stato sconcertante vedere persone del tutto estranee alla mia vicenda esprimere giudizi sulla legittimità della mia scorta.
La protezione si basa su notizie note e riservate che, deontologia vuole, non vengano rese pubbliche.
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Sono stato costretto a mostrare le ferite, a chiedere a chi ha indagato di poter rendere pubblico un documento in cui si parla esplicitamente di ‘condanna a morte’.
Cose che a un uomo non dovrebbero mai essere chieste.
Ho dovuto esibire le prove dell’inferno in cui vivo.
Ho esibito, come richiesto, la giusta causa delle minacce.
Sento profondamente incattivito il territorio, incarognito.
Gli uni con gli altri pronti a ringhiarsi dietro le spalle.
Molti hanno iniziato a esprimere la propria opinione non conoscendo fatti, non sapendo nulla.
Vomitando bile, qualcuno addirittura ha detto : ‘c’è una sentenza del Tribunale che si è espressa contro la scorta’.
I tribunali non decidono delle scorte, perché tante bugie, idiozie, falsità ?
Addirittura i sondaggi ondine che chiedevano se era giusto o meno darmi la scorta.
Quanto piacere hanno avuto i camorristi, il loro mondo, lì ad osservare questo sputare ognuno nel bicchiere dell’altro ?
Dal momento in cui mi è stata assegnata una protezione, della mia vita ha legittimamente e letteralmente deciso lo Stato Italiano.
Non in mio nome, ma nel nome proprio :
per difendere se stesso e i suoi principi fondamentali.
Tutte le persone che lavorano con la parola e sono scortate in Italia, sono protette per difendere un principio costituzionale :
la libertà di parola.
Lo Stato impone la difesa a chi lotta quotidianamente in strada contro le organizzazioni criminali.
Lo stato impone la difesa a magistrati perché possano svolgere il loro lavoro sapendo che la loro incolumità fa una grande differenza.
Lo Stato impone la difesa a chi fa inchieste, a chi scrive, a chi racconta perché non può permettere che le organizzazioni criminali facciano censura.
In questi anni, attaccarmi come diffamatore della mia terra, cercare di espormi sempre di più parlando della mia sicurezza, è un colpo inferto non a me, ma allo stato di salute della nostra democrazia e a tutte le persone che vivono la mia condizione.
Sento questo odio silenzioso che monta intorno a me creare consenso in molte parti.
Sta cercando il consenso di certa classe dirigente del Sud che con il solito cinismo bilioso considera qualunque tentativo di voler rendere se non migliore, almeno consapevole la propria terra, una strategia per fare soldi o carriera.
Ma mi viene chiesta anche l’adesione a un ‘codice deontologico’, come ha detto il capo della Mobile di Napoli, il rispetto delle regole.
Quali regole ?
Io non sono un poliziotto, né un carabiniere, né un magistrato.
Le mie parole raccontano, non vogliono arrestare, semmai sognano di trasformare.
E non avrò mai ‘bon ton’ nei confronti delle organizzazioni criminali, non accetterò mai la vecchia logica del gioco delle parti fra guardie e ladri.
I camorristi sanno che alcuni di loro verranno arrestati, le forze dell’ordine sanno in che modo gestire gli arresti che devono fare.
Lo hanno sempre detto a me, ora sono io a ribadirlo :
a ognuno il suo ruolo.
La battaglia che porto avanti come scrittore è un’altra.
E’ fondata sul cambiamento culturale della percezione del fenomeno, non nel rubricarlo in qualche casellario giudiziario o considerarlo principalmente un problema di ordine pubblico.
Continuare a vivere in una situazione così difficile, diviene impossibile se iniziano a frapporsi persone che tentano di indebolire ciò che sino a ieri era un’alleanza importante, giusta e necessaria.
So che è molto difficile vivere la realtà campana, ma c’è qualcuno che ci riesce con tranquillità.
Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, né me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti.
Qualcuno dice a Napoli che è riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze.
Buon per lui che ci sia riuscito.
Io non sono riuscito a fare lo scrittore riuscendo a passeggiare liberamente con la mia famiglia.
Un giorno ci riuscirò, lo giuro.
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Roberto Saviano.
Pubblished by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency
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Dissenso
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