In uno Stato di diritto, in cui la Giustizia dovrebbe
svolgere un ruolo da “buon padre di famiglia”, assicurando che i principi della
legalità siano rispettati, qual è il confine oltre il quale il Cittadino non si
sente più tutelato, ma anzi teme l’apparato repressivo dei Giudici e dei
Magistrati ?
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Gli errori giudiziari che distruggono la vita delle
persone non sono così sporadici come si
può pensare che siano, e costituiscono un vero e proprio agguato alla nostra
esistenza.
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Tutto ciò vale anche per i personaggi illustri, che
non sono esenti dall’enorme potere di vita e di morte esercitata dalla
Magistratura.
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Il problema consiste nel fatto che un magistrato,
che è essere umano, come tale è suscettibile di errori, così come di divenire
oggetto di pressioni, magari da parte dell’opinione pubblica o dei suoi
superiori, oppure si convince autonomamente della certezza delle sue teorie di
colpevolezza o di innocenza nei riguardi di un imputato.
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Il potere del magistrato consente allo stesso di
imperversare quindi nella vita dell’individuo su cui egli ha riversato la sua
attenzione, diventando a tutti gli effetti l’artefice del futuro e del destino
di chi deve giudicare.
Se il magistrato si convince della colpevolezza di
un indagato, nonostante l’esiguità delle prove, o la consistenza puramente
indiziaria delle certezze probatorie, si trasforma in una macchina da guerra,
spietata e determinata a recludere dietro le sbarre di una prigione il
malcapitato destinatario della sua foga repressiva.
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Non c’è nulla che gli avvocati della Difesa possano
fare per convincere i Magistrati che stanno sbagliando, e che continuando a
perseguire il loro assistito permettono al vero criminale di farla franca,
distruggendo anzi la vita di una persona innocente.
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Le cronache sono piene di fatti analoghi che
comprovano questo stato di cose.
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Ecco, di seguito, un esempio principe di tali
sopraffazioni …
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Enzo Tortora, il famoso e amato giornalista e personaggio
televisivo, considerato uno dei Padri fondatori della Radio e della televisione
Italiana, conduttore anche del popolare programma “Portobello”, fu incarcerato
e perseguito ingiustamente, fino alla condanna a dieci anni di carcere, nel
1985.
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Poiché nel 1984 Tortora fu eletto parlamentare
europeo nelle file del Partito Radicale, avrebbe potuto godere dell’immunità
parlamentare, ma si dimise dal suo incarico, restando così agli arresti
domiciliari.
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Nel 1986 fu poi assolto con formula piena dalla Corte
d’Appello di Napoli, grazie al paziente lavoro di indagine del Giudice Michele
Morello, dal quale risultò infatti la totale innocenza del presentatore.
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Nel frattempo, però, la salute di Tortora, era
oramai minata dagli eventi che gli erano crollati addosso, e dall’umiliazione
di aver conosciuto la galera pur essendo innocente, perseguitato dai Giudici
che lo avevano trascinato verso una condanna, i Magistrati Lucio di Pietro e
Felice Di Persia.
Successivamente, anche la Cassazione, dopo 4 anni
dall’arresto di Tortora si pronunciò a suo favore, assolvendolo definitivamente.
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I Pubblici Ministeri di Napoli, sopra citati, che si
erano resi responsabili di aver distrutto la vita di un integerrimo e amato
personaggio pubblico, onesto e stimato da tutti, additandolo come criminale, e
perseguitandolo con accanimento, non sono mai stati oggetto di alcuna azione
disciplinare da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.
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E’ semplicemente vergognoso che la Giustizia
interpreti in questo modo il ruolo di nemico del popolo, annichilendo la vita e
la volontà esistenziale dei malcapitati di turno, come, in questo caso, Enzo
Tortora.
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Negli ultimi anni, molte persone sono state
incarcerate ingiustamente, a causa sia dell’accanimento dei Giudici contro di
loro, che del troppo potere che detengono questi Magistrati, che hanno nelle
loro mani la vita stessa delle persone.
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Nell’immaginario collettivo emerge una sorta di
convincimento per il quale coloro che si trovano invischiati, loro malgrado,
nelle maglie della cosiddetta “Giustizia”, devono avere comunque un qualche
grado di coinvolgimento.
Vale a dire che la nostra "civile" società ti condanna a priori, non appena il Magistrato inizia ad interessarsi alla tua persona, ed è anche per questo motivo che i Giudici dovrebbero ponderare con estrema attenzione qualsiasi loro atteggiamento, che il più delle volte appare invece permeato di notevole disinvoltura.
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Sembra quasi che il popolo assuma le sembianze di un
sacco pieno di patate, e che loro, i Magistrati, siano coloro che devono
pelarle.
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Succede quindi che, a volte, alcune delle “patate”
siano notevolmente tranciate dall’impeto della lama che dovrebbe invece
asportare solo la leggera pellicola che ne costituisce la buccia.
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Sia moralmente, che civilmente ed eticamente, è
inaccettabile che in una società democratica esista un organismo dall’immenso
potere, superiore a quello dello Stato, che condizioni l’esistenza stessa
dell’incedere civile, e che disponga della vita delle persone, sovrastandone le
prerogative umane e sociali.
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Coloro che si sono sostituiti a Dio stesso, in un
impeto continuativo e determinato, arrogante e assolutista, decidendo della
vita stessa delle persone, arbitrariamente, guidati solo dal proprio smisurato
autoreferenzialismo, costituiscono un vero e proprio cancro della società che
andrebbe estirpato, a tutela di noi tutti.
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Quei Magistrati che disinvoltamente hanno incarcerato, condannato, ed escluso
dalla società civile coloro che sono poi risultai essere innocenti, dovrebbero
a loro volta essere messi in prigione, a parziale risarcimento della dignità
delle loro vittime.
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Se un caso giudiziario si apre all’insegna
dell’incertezza probatoria, di labili indizi, o di insussistenza di prove
certe, come può un Magistrato percorrere un cammino persecutorio verso un
indagato ?
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Viene quasi da pensare che, insistendo
nell’affossare qualsiasi argomentazione difensiva, in un totale e diffuso senso
di aleatorietà, il comportamento del Giudice che insista nell’intento
accusatorio, a prescindere da tutto ciò, assuma aspetti inquietanti,
riconducibili ad evidente sintomo di perversione mentale.
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Non si capisce, altrimenti, per quale altro motivo,
se non la perversione data da un immenso potere sulle vite degli esseri umani,
taluni rappresentanti del mondo togato si incaponiscano nel colpire i loro
indifesi bersagli.
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Indifesi, è la parola che ci dà l’esatta dimensione
della tragicità delle circostanze in cui ci si trova, allorquando il potere
giudiziario inizia la sua persecuzione nei nostri riguardi.
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Esistono certamente gli avvocati difensori, ma
risulta evidente che nulla possono, di fronte ad un potere cui loro stessi sono
assoggettati nel sistema di gestione della Giustizia che tanto assomiglia a
quello di stampo massonico.
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Questi sistemi nel loro insieme sono stereotipati,
con caratteristiche che li distinguono ma con evidenti assonanze, sia
strutturali che ideologiche, e determinano la consistenza di un Potere che va
al di là delle semplici Istituzioni.
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L’interpretazione della gestione societaria, ad ogni
livello, si basa sulla ricerca egemonica dell’affermazione lobbistica e del
consolidamento capillare di ogni potenziale caposaldo raggiunto.
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Le decisioni degli appartenenti a questa casta sono
quindi condizionate dal potere immenso che, anche inconsciamente, viene
espresso intrinsecamente da chi ne fa parte.
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Ci troviamo di fronte ad uno Stato dentro lo Stato,
completamente autonomo e svincolato da qualsiasi freno inibitore.
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La Magistratura è un organismo a sé stante,
incontrollabile e non gestibile, in quanto esiste e prolifera di vita propria,
auto alimentandosi e cibandosi di Potere.
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Chiunque in Italia, dal semplice senzatetto, fino
all’Arma dei Carabinieri, o al Parlamentare, è sottoposto incondizionatamente
al Potere dei Magistrati, che possono quindi modificare gli assetti della
Società stessa, variandone il percorso e lo sviluppo.
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Loro però, i Giudici, non pagano mai per i loro
sbagli, protetti in una sorta di limbo che ne preserva il ruolo, come vergini
illibate e destinate a scopi superiori.
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Noi, il popolo, siamo molto più sotto di loro,
relegati in un ruolo di sudditanza estrema ed obbligata, in attesa della scure
che, in qualsiasi momento costoro possono calare su di noi.
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