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Presentiamo un articolo di Roberto Festorazzi intitolato :
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"L'edificante epopea dei partigiani costruita a tavolino", tratto da "il Giornale.it" del 23 febbraio 2016
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La storia bugiarda, ossia la ricostruzione artificiosa e
mitopoietica del passato, è una sorta di specialità nazionale, almeno dal
Risorgimento in poi.
Un
caso da manuale è quello che abbiamo scoperto, compulsando le carte
dell'Istituto di storia contemporanea Perretta di Como.
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Ossia, uno dei capisaldi della sacralizzazione delle vicende resistenziali, per il fatto che questo centro di memoria opera, da quasi quarant'anni, nell'area dove si compirono, in un sol colpo, tre eventi di gigantesca portata, nelle ultime giornate di aprile del 1945 :
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Ossia, uno dei capisaldi della sacralizzazione delle vicende resistenziali, per il fatto che questo centro di memoria opera, da quasi quarant'anni, nell'area dove si compirono, in un sol colpo, tre eventi di gigantesca portata, nelle ultime giornate di aprile del 1945 :
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la fine del fascismo, la conclusione della guerra e l'epilogo di Benito Mussolini e dei suoi fedelissimi.
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Consultando
il Fondo Gementi del Perretta ci siamo imbattuti in una lettera esplosiva che
mette a nudo i criteri attraverso i quali si è costruita la monumentalizzazione
dell'episodio resistenziale.
la fine del fascismo, la conclusione della guerra e l'epilogo di Benito Mussolini e dei suoi fedelissimi.
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Un
documento che dev'essere sfuggito ai censori rossi i quali controllano che
nulla, di esiziale, possa sfuggire e capitare dentro i fascicoli che vengono
distribuiti in consultazione agli studiosi.
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Bisogna
spiegare anzitutto chi è stato il personaggio oggetto delle mie indagini.
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Oreste
Gementi, milanese, classe 1912, fu il leader partigiano di più elevate
responsabilità militari, negli organi di coordinamento interpartitico operanti
durante la lotta di Liberazione, nel Comasco.
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Svolse
infatti le funzioni di comandante della Piazza lariana del Cvl (Corpo volontari
della libertà).
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Nonostante
il suo rango elevato, su Gementi (nome di battaglia, Riccardo), è caduto un
totale oblio, spiegabile con una circostanza molto semplice.
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Il
comandante partigiano ebbe il torto, se così si può dire, di non allinearsi
alle direttive del Partito comunista, il quale durante e dopo la Liberazione
dettò legge, non soltanto nel Comasco.
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Tanto per cominciare, Gementi si convinse, sulla
base di elementi raccolti già nell'immediatezza dei fatti, che a sparare a
Mussolini e alla Petacci non fosse stato l'emissario di Luigi Longo, Walter
Audisio, alias colonnello Valerio, ma l'umile operaio comasco Michele Moretti,
il partigiano comunista Pietro.
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L'assassino partigiano e ladro Michele Moretti |
E
ciò bastava perché il nome di Gementi venisse incluso nella lista di
proscrizione stilata dagli apparatik della centrale di disinformacjia rossa
concentrata nella triangolazione Pci-Anpi-Istituti storici della Resistenza.
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Non solo :
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il comandante Riccardo aveva tale determinazione morale da
far spiccare, già nel giugno del 1945, un mandato di cattura contro Michele
Moretti per il furto dell'oro di Dongo.
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Risultato :
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un mese dopo, il Pci architettò contro Gementi un agguato,
che fu sventato solo grazie all'abilità straordinaria della vittima
predestinata.
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Ma veniamo al cuore di questa nostra scoperta.
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Nel novembre del 1991, l'Istituto storico di Como diede
alle stampe un volume di oltre 600 pagine, "La 52ª Brigata Garibaldi Luigi
Clerici" attraverso i documenti :
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si trattava di un racconto della lotta di Liberazione, nel
Comasco, attraverso una raccolta delle fonti scritte riferite all'attività
della formazione partigiana cui si dovette l'arresto di Mussolini e il fermo
della sua colonna, il 27 aprile 1945.
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Ben 550 documenti
(relazioni, direttive, circolari, ecc.), presentati come originali, i quali
portavano alla luce la trama organizzativa e l'intera vicenda cospirativa della
brigata.
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Curatore
dell'opera antologica era Giusto Perretta, comunista, fondatore e a lungo
direttore dell'Istituto comasco di storia del movimento di Liberazione che oggi
porta il nome di suo padre, l'avvocato Pier Amato Perretta, un antifascista
ferito a morte a Milano da elementi delle Ss e della Legione Muti, nel novembre
del 1944.
Giusto Perretta,
nella nota introduttiva, spiegava che la pubblicazione era frutto di ricerche
«effettuate nel 1986-87 presso l'Istituto Gramsci di Roma».
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Tale scavo archivistico era valso ad arricchire e a integrare la già imponente documentazione in possesso dell'Istituto storico lariano.
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Ne sortiva una rassegna di materiali che il curatore accreditava come coevi, cioè «compilati e diffusi nel corso vivo della lotta» :
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in tal modo si sarebbero potute fornire «maggiori garanzie di veridicità» rispetto alle fonti cronologicamente successive.
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Fin qui le parole di Perretta.
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Ciò che non è mai trapelato, al riguardo, è la durissima contestazione pervenuta al curatore dell'opera, da parte di Gementi.
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Il comandante Riccardo, giunto ormai al termine dei
suoi giorni terreni, il 10 aprile 1992 confessava, in una
riservata-confidenziale, di aver accostato «con molto scetticismo»
l'indigeribile repertorio stilato da Perretta, dichiarandosi incapace di
«trarne alcun insegnamento», nell'impossibilità pratica di discernere «tra il
vero ed il falso».
Coppeno, nato nel 1920 e scomparso nel 1993, fu un
comunista duro e dogmatico che operò, durante la Resistenza, tra Como e Milano,
quale cinghia di trasmissione delle direttive del partito dentro le formazioni
garibaldine.
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Tale scavo archivistico era valso ad arricchire e a integrare la già imponente documentazione in possesso dell'Istituto storico lariano.
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Ne sortiva una rassegna di materiali che il curatore accreditava come coevi, cioè «compilati e diffusi nel corso vivo della lotta» :
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in tal modo si sarebbero potute fornire «maggiori garanzie di veridicità» rispetto alle fonti cronologicamente successive.
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Fin qui le parole di Perretta.
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Ciò che non è mai trapelato, al riguardo, è la durissima contestazione pervenuta al curatore dell'opera, da parte di Gementi.
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Dove
nasceva questo sentimento di somma diffidenza, nell'uomo che ben conosceva la
segreta trama di quei lontani fatti della Resistenza, per averli vissuti
dall'interno come pochissimi altri ?
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Lo
rivelava lo stesso Gementi, tornando con la memoria a una «confidenza fattami
da Coppeno nei primi anni dopo la Liberazione, quando i nostri rapporti erano
normali e saltuariamente ci incontravamo, ma soprattutto egli mi telefonava per
accertarsi su dati e fatti del periodo clandestino».
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Il
riferimento è a Giuseppe Coppeno, lo storiografo ufficiale cui il Partito
comunista, già nell'immediato dopoguerra, affidò il compito di costruire, a
tavolino, la storia bugiarda.
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In
quale modo ?
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Allestendo una vera e propria officina di fabbricazione di
repertori documentari non genuini, allo scopo di produrre la glorificazione del
movimento partigiano rosso.
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In realtà, si chiamava Ciappina, in quanto fratello di Ugo
Ciappina, un ex gappista che fu tra gli autori della rapina di via Osoppo,
avvenuta a Milano, nel 1958.
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In conseguenza di tale fatto, egli chiese e ottenne di
poter cambiare il cognome in Coppeno.
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Incontrai Ciappina-Coppeno, a Milano, nel maggio del 1992.
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Andai a casa sua, per intervistarlo.
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Il personaggio mi raggelò, ma non potevo nemmeno
sospettare che si portasse appresso i segreti che Gementi non esitò a
denunciare.
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Che cosa si era lasciato infatti sfuggire, il
fratello del bandito Ugo Ciappina, nei suoi colloqui con il compagno di
battaglie ?
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Lo racconta lo stesso comandante Riccardo, con questa confessione bomba :
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«Coppeno mi aveva confidato che, su richiesta di Gorreri e Fabio, stava costruendo documenti intesi a valorizzare e potenziare l'attività della 52a, dal settembre '43 alla Liberazione».
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Dante Gorreri e Pietro Vergani Fabio furono dunque coloro che commissionarono il lavoro al falsario ideologico seriale.
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Vale la pena di ricordare chi fossero i due personaggi.
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Gorreri, segretario della Federazione lariana del Pci, e Vergani, comandante lombardo delle Brigate Garibaldi, furono due stalinisti ciecamente devoti al partito.
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Entrambi, negli anni Cinquanta, vennero rinviati a giudizio per alcuni delitti che insanguinarono il dopo-Liberazione, come quello del capitano Neri (Luigi Canali), leader morale della Resistenza comasca, della staffetta di questi, Gianna (Giuseppina Tuissi), e della giovane Annamaria Bianchi.
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La clamorosa denuncia dell'esistenza di una centrale della contraffazione, costituisce l'anello mancante di un teorema logico che gli storiografi di impostazione mentale laica, cioè non dottrinale, hanno sempre cercato di dimostrare.
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Vale a dire :
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I documenti sui quali è stata intessuta la trama della narrazione resistenziale non convincono.
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Ora sappiamo perché.
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I materiali apocrifi costruiti da Ciappina-Coppeno furono il preludio di una colossale opera di elaborazione storiografica mistificatoria che non è ancora cessata.
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Osserva, del resto, Riccardo che il falsario di partito lasciava, per così dire, le impronte del suo delitto nelle modalità stesse del confezionamento, in sequenza, di documenti in realtà non coevi :
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quelle carte risultavano infatti essere «dattiloscritti senza firma o con firma a macchina».
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Chiunque può constatare di persona che è proprio così :
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il compilatore seriale della storia bugiarda produsse documenti quasi sempre privi di firma autografa, o di altri elementi (come interpolazioni e correzioni manoscritte) che ne attestassero la genuinità sotto il profilo materiale.
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Autentiche polpette avvelenate, versate poi, in gran parte, all'Istituto Gramsci, dove poi Perretta andò a riesumarle.
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Istituto Gramsci il quale si fece, a sua volta, ente certificatore dell'autenticità e della sicura provenienza di quelle carte.
«Date le condizioni delle copie originali», infatti, si era proceduto alla «loro ribattitura e riduzione rispettando rigorosamente il testo originale».
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Insomma, secondo Perretta, era stata effettuata la riscrittura, in forma dattilografica, delle fantomatiche carte originali, prendendo a pretesto le condizioni di cattiva conservazione, e conseguentemente di difficoltosa decifrazione, delle stesse.
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Ma se così si fosse fatto, il curatore avrebbe dovuto avvertire quantomeno il dovere metodologico di produrre, in immagine, nelle pagine a fronte di ogni riduzione dattilografica (com'egli la chiama), i testi originali.
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Cosa che si guardò bene dal fare.
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Dissenso
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Nota del Blog : Le immagini non fanno parte dell'articolo originale, ma sono state aggiunte dall'autore del Blog.
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Lo racconta lo stesso comandante Riccardo, con questa confessione bomba :
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«Coppeno mi aveva confidato che, su richiesta di Gorreri e Fabio, stava costruendo documenti intesi a valorizzare e potenziare l'attività della 52a, dal settembre '43 alla Liberazione».
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Dante Gorreri e Pietro Vergani Fabio furono dunque coloro che commissionarono il lavoro al falsario ideologico seriale.
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Vale la pena di ricordare chi fossero i due personaggi.
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Gorreri, segretario della Federazione lariana del Pci, e Vergani, comandante lombardo delle Brigate Garibaldi, furono due stalinisti ciecamente devoti al partito.
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Entrambi, negli anni Cinquanta, vennero rinviati a giudizio per alcuni delitti che insanguinarono il dopo-Liberazione, come quello del capitano Neri (Luigi Canali), leader morale della Resistenza comasca, della staffetta di questi, Gianna (Giuseppina Tuissi), e della giovane Annamaria Bianchi.
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La clamorosa denuncia dell'esistenza di una centrale della contraffazione, costituisce l'anello mancante di un teorema logico che gli storiografi di impostazione mentale laica, cioè non dottrinale, hanno sempre cercato di dimostrare.
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Vale a dire :
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I documenti sui quali è stata intessuta la trama della narrazione resistenziale non convincono.
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Ora sappiamo perché.
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I materiali apocrifi costruiti da Ciappina-Coppeno furono il preludio di una colossale opera di elaborazione storiografica mistificatoria che non è ancora cessata.
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Osserva, del resto, Riccardo che il falsario di partito lasciava, per così dire, le impronte del suo delitto nelle modalità stesse del confezionamento, in sequenza, di documenti in realtà non coevi :
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quelle carte risultavano infatti essere «dattiloscritti senza firma o con firma a macchina».
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Chiunque può constatare di persona che è proprio così :
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il compilatore seriale della storia bugiarda produsse documenti quasi sempre privi di firma autografa, o di altri elementi (come interpolazioni e correzioni manoscritte) che ne attestassero la genuinità sotto il profilo materiale.
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Autentiche polpette avvelenate, versate poi, in gran parte, all'Istituto Gramsci, dove poi Perretta andò a riesumarle.
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Il bello è che, nella nota introduttiva al testo, lo stesso curatore compiva un'ammissione che, alla luce della lettera di Gementi, suona alquanto compromettente.
.«Date le condizioni delle copie originali», infatti, si era proceduto alla «loro ribattitura e riduzione rispettando rigorosamente il testo originale».
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Insomma, secondo Perretta, era stata effettuata la riscrittura, in forma dattilografica, delle fantomatiche carte originali, prendendo a pretesto le condizioni di cattiva conservazione, e conseguentemente di difficoltosa decifrazione, delle stesse.
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Ma se così si fosse fatto, il curatore avrebbe dovuto avvertire quantomeno il dovere metodologico di produrre, in immagine, nelle pagine a fronte di ogni riduzione dattilografica (com'egli la chiama), i testi originali.
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Cosa che si guardò bene dal fare.
Perretta non volle nemmeno spiegare quando, come, e da parte di chi, fosse stata realizzata questa colossale operazione da copisti.
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Questo autentico ginepraio ci riporta alle considerazioni dubitative di Gementi :
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a meno di voler per forza seguitare a supporre l'esistenza di veri documenti originali, gli unici originali paiono essere quelli, contrabbandati per tali, la cui matrice ci riporta alla figura di Ciappina-Coppeno e alla sua investitura a falsario di partito.
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Sorge del resto il sospetto che il Pci assumesse, per così dire, per vizio metodologico generalizzato, la predisposizione di un arsenale documentario realizzato in vitro, con un quadruplice scopo :
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alimentare il mito della propria forza egemone nel movimento partigiano, silenziare tutte le fonti non allineate con la propria verità di partito, riempire i vuoti narrativi e insieme occultare le degenerazioni violente della resistenza..
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.Dissenso
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Nota del Blog : Le immagini non fanno parte dell'articolo originale, ma sono state aggiunte dall'autore del Blog.
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Per quello che ho potuto comprendere dalle tue ricostruzioni di cui non sapevo nulla, è che si tratta della solita solfa, dove sono sempre i vincitori a scrivere la storia, ma anche se non particolareggiata come la tua indagine questi fatti li conoscevano tutti gli italiani figuriamoci il padreterno.
RispondiEliminaTiro un sospiro di sollievo sapendo che c'è una giustizia superiore e l'inferno che attende questi signori!
Saluti Dissenzo
Ma guarda un pò!
RispondiEliminaGuardando le immagini nel tuo articolo, il nostro umile operaio comasco (Michele Moretti)che insieme ad un altro partigiano si dice fosse complice dell'uccisione del Duce e la Petacci, nei caratteri somatici ci svela che la sua genia non era italica ma Africo-Marocchina,che voglia significare qualcosa?
Il tempo ce lo dirà!