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Carlo
Alberto dalla Chiesa è stato un Generale di divisione dell’Esercito italiano, e
un Prefetto della Repubblica.
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Entrò
nell’Esercito nel 1941, a ventuno anni, frequentando la Scuola allievi
ufficiali di complemento a Spoleto, poi entrò come Sottotenente di fanteria nel
120° Reggimento Brigata Emilia, partecipando alla guerra in Montenegro, dove si
guadagnò due croci di guerra al valor militare.
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Nel
1942 entrò nell’Arma dei Carabinieri, dove già prestava servizio il fratello
Romolo, laureandosi in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Bari,
città in cui il padre Romano, che sarebbe poi diventato Generale di Divisione,
era comandante della locale Legione dell’Arma.
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Il
suo primo incarico fu quello di comandare la Tenenza dei Carabinieri Reali di
San Benedetto del Tronto, dove rimase fino all’otto settembre 1943, giorno
dell’Armistizio firmato da Badoglio e dagli “Alleati”.
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Partecipò
alla Resistenza guadagnandosi il passaggio al servizio permanente effettivo per
meriti di guerra e alla fine della stessa fu mandato a comandare la Tenenza di
Bari, dove conseguì una seconda laurea in Scienze Politiche.
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Fu
proprio a Bari che conobbe Dora Fabbo, che nel 1946 sarebbe diventata sua
moglie.
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La
sua carriera nell’Arma proseguì con un incarico a Casoria (Napoli) al Comando
della locale Compagnia, per contrastare il fenomeno del banditismo.
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A
Casoria nel 1947 nacque la figlia Rita, oggi affermata giornalista e
conduttrice televisiva.
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A
causa dei suoi successi contro il banditismo campano l’Arma lo trasferì in
Sicilia al Comando di una forza repressiva per eliminare le bande criminali che
infestavano l’isola, in particolare quella del famigerato bandito Salvatore
Giuliano.
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Nei
territori corleonesi in cui aveva già operato il padre, ai comandi del famoso
Prefetto Cesare Mori, denominato “il Prefetto di ferro”, Carlo Alberto
intraprese un severo impegno quotidiano al Comando del Gruppo Squadriglie di
Corleone, impegnandosi nel ruolo di Capo di stato Maggiore e ricevendo per i
suoi successi una medaglia d’argento al valor militare.
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Nel
mese di novembre 1949 a Firenze, nacque il suo secondogenito Nando, seguito il
23 ottobre 1952 dalla nascita di Simona, la terza figlia.
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Dalla
Chiesa tornò in Sicilia nel 1966 e vi rimase fino al 1973 con il grado di
Colonnello, al comando della Legione di Palermo.
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Iniziò
nuove indagini per contrastare “Cosa Nostra” che in quegli anni aveva riacceso
lo scontro fra le famiglie mafiose (omicidio del boss Michele Cavataio, 1969) e
intrapreso vendette e omicidi contro giornalisti (Mauro de Mauro, 1970) e
contro investigatori della Polizia (Boris Giuliano, Capo della Squadra Mobile di
Palermo, 1979).
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Nel
1973 divenne Generale di Brigata a Torino e nel 1974 Comandante della Regione
militare Nord-Ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria.
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Divenne
protagonista della lotta contro le Brigate Rosse, fondando il Gruppo Speciale
di Polizia Giudiziaria, meglio noto come Nucleo Speciale Antiterrorismo, attivo
nel biennio 1974-1976.
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Il
gruppo comunista aveva già compiuto diversi atti criminali, radicalizzandosi
negli ambienti comunisti della classe operaia, e dalla Chiesa utilizzò metodi
che aveva già sperimentato nella lotta contro le mafie in Sicilia, infiltrando
uomini dell’Arma all’interno dei gruppi terroristici.
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Le
Brigate Rosse esercitarono la lotta armata colpendo le istituzioni, come nel
caso del sequestro del Giudice genovese Mario Sossi nel 1974.
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Dalla
Chiesa affrontò anche il caso della rivolta carceraria di Alessandria, guidata
dal gruppo delle Pantere Rosse, conclusosi poi con la morte di sette persone e
il ferimento di altre quindici.
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Nel
mese di Maggio 1974 creò il Nucleo Speciale Antiterrorismo, una nuova struttura
con base a Torino per la lotta alle organizzazioni terroristiche.
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I
successi non tardarono ad arrivare, con la cattura nel mese di Settembre di
Renato Curcio e Alberto Franceschini, due elementi di spicco delle famigerate
Brigate Rosse.
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I farneticanti proclami degli assassini comunisti delle Brigate Rosse |
Nel
febbraio 1975 Curcio riuscì a scappare dal carcere di Casale Monferrato dove
era recluso, grazie alla complicità della moglie Margherita Cagol che organizzò
l’evasione.
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Nel
1975 le Brigate Rosse rapirono l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, figlio
del titolare dell’omonima Casa vinicola, ma i Carabinieri di dalla Chiesa li
impegnarono in un violento scontro a fuoco in seguito al quale l’ostaggio fu
liberato, ma persero la vita sia un milite dell’Arma (Giovanni D’Alfonso) che la
moglie di Curcio, Margherita “Mara” Cagol.
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Nel
1976 nonostante i successi ottenuti il Nucleo Antiterrorismo fu sciolto.
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Nel
1977 dalla Chiesa fu promosso Generale di Divisione, mentre nel 1978 fu
nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la
lotta contro il terrorismo, con poteri speciali.
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Una
sorta di reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del Ministro
dell’Interno, Virginio Rognoni, creato allo scopo di contrastare le Brigate
Rosse e ricercare gli assassini dello statista democristiano Aldo Moro.
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Da
notare che le forze politiche della sinistra etichettarono questa concessione
di poteri speciali a dalla Chiesa come “atto di repressione”.
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Alla
morte della moglie, nel 1978, il Generale si buttò anima e corpo nella
lotta contro i brigatisti, arrestando
due di loro, Lauro Azzolini e Nadia Mantovani, e ritrovando nel covo in cui
questi si nascondevano alcune carte che riguardavano Aldo Moro e un presunto
memoriale del leader democristiano.
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L'Onorevole Aldo Moro, statista democristiano, rapito e assassinato dalle Brigate Rosse |
Nel
1979 fu trasferito di nuovo a Milano a comandare la Divisione Pastrengo, fino
al dicembre 1981.
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Le
sue indagini condussero all’arresto di due brigatisti, Rocco Micaletto e
Patrizio Peci, il 20 febbraio 1980, e grazie alle rivelazioni di Peci che
divenne il primo brigatista “pentito” a collaborare con le Forze dell’Ordine,
potè individuare una base delle Brigate
Rosse a Genova, in via Fracchia 12, e fare irruzione nella stessa.
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Nacque
un violento conflitto a fuoco in cui furono uccisi tutti i quattro membri del
commando delle Brigate Rosse presenti, e dando un colpo mortale
all’organizzazione terroristica genovese che dal 1976 si era resa colpevole di
una lunga serie di attentati contro Magistrati, politici, industriali, e forze
dell’ordine.
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Nel
1981 dalla Chiesa fu promosso Vice Comandante Generale dell’Arma, diventando
Generale di Corpo d’Armata, la massima carica per un ufficiale dei Carabinieri
e rimase in carica fino al 5 maggio 1982.
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Nel
1982 fu nominato Prefetto di Palermo dal Consiglio di Ministri e posto
temporaneamente in congedo dall’Arma, per iniziare una battaglia contro la Mafia
di “Cosa Nostra” e ottenere gli stessi brillanti risultati ottenuti nella lotta
contro il terrorismo.
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Il
Generale dalla Chiesa manifestò una certa perplessità per questa nomina ma poi
fu convinto dal Ministro Virginio Rognoni che gli promise poteri speciali per
contrastare la guerra fra cosche mafiose che insanguinavano l’isola siciliana.
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Il
10 luglio sposò in seconde nozze Emanuela Setti Carraro nella cappella del
castello di Ivano-Fracena, una località della Provincia di Trento.
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A
Palermo il Prefetto dalla Chiesa lamentò più volte il mancato rispetto degli
impegni assunti dal Governo e dal Ministro Rognoni, e la carenza di sostegno da
parte dello Stato, il quale gli aveva promesso poteri speciali di cui ancora
non era stato investito.
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Nel
mese di luglio trasmise alla Procura di Palermo il cosiddetto “rapporto dei
162” in cui era ricostruito, mediante scrupolose indagini, l’organigramma
completo delle famiglie mafiose palermitane
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In
via Carini a Palermo, la sera di venerdì 3 settembre 1982, alle ore 21.15,
Carlo dalla Chiesa era a bordo della sua auto, una Autobianchi A112, guidata
dalla moglie Emanuela, seguiti dall’agente di scorta Domenico Russo che
conduceva una Alfetta.
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Il Generale con la moglie Emanuela |
Si
stavano recando a cena in un ristorante di Mondello, quando una BMW 518 affiancò l’auto su cu viaggiavano il Generale
e la moglie.
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Il
commando dei terroristi mafiosi, composto da Antonino Madonia e da Calogero
Ganci, sparò diverse raffiche di Kalashnikov Ak 47 contro il parabrezza della
A112, colpendo sia il Generale che la consorte.
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L’auto
del prefetto sbandò e andò a sbattere contro una fiat Ritmo parcheggiata,
fermandosi, e a quel punto i killer spararono di nuovo per completare il
massacro.
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Il
corpo del Generale fu trovato abbracciato a quello della moglie, in un estremo
tentativo di salvarla, crivellati da oltre trenta proiettili.
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Contemporaneamente
una motocicletta guidata da un killer che trasportava Pino Greco, detto
“Scarpuzzedda” armato con lo stesso tipo di mitragliatore sparò contro Domenico
Russo, ferendolo gravemente.
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L’agente
di scorta morì dopo 13 giorni di agonia all’Ospedale di Palermo.
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Ancora
oggi i brigatisti rossi sono protetti dai salotti rossi dalla sinistra, che
offrono loro occasioni per pontificare in televisione o nelle aule
universitarie e dipingendo i criminali comunisti come ragazzi che hanno
commesso qualche sbaglio, e non come criminali assassini che non si sono mai
pentiti del sangue versato.
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E’
stato loro permesso di raccontare la storia degli anni di piombo, spiegata dai
brigatisti come l’impersonificazione di una lotta partigiana in cui si attacca
il cuore di una casta politica meritevole di essere trucidata.
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Le
Brigate rosse in televisione sono un vero e proprio oltraggio, non solo alle
vittime della loro ferocia, ma anche per tutti i cittadini italiani onesti, per
le famiglie, per la democrazia e per la libertà.
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Il criminale assassino Mario Moretti irride alla Giustizia e saluta con il pugno chiuso |
La
sinistra tiene in ostaggio il popolo italiano e la democrazia presentando in
televisione i suoi pupilli, assassini e feroci criminali, mai pentiti, come
Mario Moretti (sei ergastoli ed ora in semilibertà) ospite di “Masterchef” per
proporre una ricetta con “rana pescatrice in zuppetta”, oppure come il
terrorista e brigatista Renato Curcio (condannato a 28 anni di carcere come
mandante di omicidi, mai pentito) che è stato invitato nel 2015 dall’Ausl della
rossa Modena a presentare un suo libro sulla salute mentale.
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E’
palese la simpatia dimostrata dai seguaci della falce e martello verso questi
criminali, così come lo è l’oltraggio al Generale dalla Chiesa, ma i vari
personaggi della sinistra sembrano più interessati a intonare le note di “bella
ciao” che a rispettare i valori di democrazia che sono alla base della nostra
società.
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Personalmente,
rivolgo al Generale dalla Chiesa un enorme GRAZIE per il suo notevole
contributo nella lotta contro il comunismo armato in Italia e contro le mafie,
ricordandolo con affetto e con una preghiera.
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GRAZIE,
Carlo Alberto !
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Dissenso
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