giovedì 19 luglio 2018

IL GENOCIDIO DEL POPOLO TIBETANO


Nel 1950 la repubblica popolare cinese invase lo Stato sovrano del Tibet, violando con tale aggressione la Legge internazionale.
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Il Dalai Lama, capo spirituale e politico del Tibet, tentò dapprima una convivenza pacifica con i comunisti cinesi invasori, ma la sistematica politica di  sottomissione e repressione attuata a danno del popolo tibetano lo costrinsero ad appoggiare la resistenza popolare e la rivolta nazionale tibetana che iniziò il 10 marzo 1959.
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Monastero tibetano

La reazione cinese fu immediata e brutale.
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L’intervento dell’Esercito di Liberazione Popolare, così si chiamavano le truppe comuniste cinesi, stroncò l’insurrezione tibetana uccidendo nel Tibet centrale, da marzo a ottobre, più di 87.000 civili.
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Il Dalai Lama, seguito da circa 100.000 tibetani fu costretto a fuggire dal suo Paese, il Tibet, e a chiedere asilo politico in India, dove fu costituito un governo tibetano in esilio.
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In seguito si è prodotto un flusso costante di profughi che sfuggivano alla violenza comunista cinese e alle sue persecuzioni, aggiungendosi agli oltre 135.000 rifugiati già emigrati.
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Costumi tradizionale dei monaci buddisti, ora vietati dal Partito Comunista Cinese

Si calcola che oltre 1 milione di tibetani siano morti a causa delle violenze degli  occupanti, e che il 90 % del patrimonio artistico e architettonico tibetano, compresi circa seimila monumenti come templi, monasteri, e stupa, siano stati rasi al suolo e distrutti.
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La Cina comunista si è appropriata delle ricchezze naturali del Tibet e ancora oggi usa il suo territorio sfruttandone le risorse, oppure come discarica per i rifiuti nucleari cinesi che, insieme alla massiccia deforestazione, hanno causato un danno irreversibile all’ambiente e al fragile ecosistema del Paese.
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Il Partito Comunista Cinese ha stanziato stabilmente 500.000 soldati in Tibet.
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E’ stata introdotta la sterilizzazione forzata delle donne tibetane, per impedire la sopravvivenza dell’etnia stessa tibetana e sradicarne l’identità.
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Ha ridotto la popolazione autoctona deportandola e sostituendola con immigrazione massiccia di cinesi di etnia han.
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La popolazione rimasta è stata sottoposta a continue discriminazioni, come il divieto di parlare in lingua tibetana, di vestire secondo la tradizione, e di pregare.
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Nonostante gli appelli delle comunità internazionali, le risoluzioni del Congresso degli Stati Uniti, del parlamento Europeo, e di molti Parlamenti nazionali, fin dal 1986, che deploravano la situazione esistente in Tibet e il mancato rispetto dei diritti umani anche nella stessa Cina, il Partito Comunista ha continuato imperterrito e con l’arroganza che lo contraddistingue, a calpestare e a violentare la popolazione tibetana.
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Ancora oggi i tibetani imprigionati nei famigerati laogai cinesi sono migliaia e vengono torturati e condannati senza processo, per essere poi espiantati degli organi al momento della loro morte.
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I decessi sono innumerevoli, a causa delle terribili condizioni della prigionia che sono davvero disumane, come testimoniato da testimoni sopravvissuti all’inferno comunista cinese.
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I Tibetani sono sempre stati un popolo estremamente pacifico e chiuso in un isolamento millenario che ne ha preservato una identità culturale unica al mondo, fino a quando non è sopraggiunta l’arroganza del comunismo che ne ha calpestato l’essenza stessa, annichilendola e privandola di contenuto, uccidendo, stuprando, bruciando, deportando.
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Quando in Italia Prodi divenne Presidente del Consiglio, in un Governo popolato da seguaci di Togliatti,  fece il suo primo viaggio proprio in Cina, seguito da un codazzo di imprenditori in cerca di lucro e di affaroni.
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Così facendo questi mentecatti, guidati dal più mentecatto di tutti, si sono resi complici delle nefandezze del Partito Comunista Cinese, lordandosi le mani del sangue delle vittime sacrificali, immolate sull’altare del profitto.
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Il Dalai Lama Tenzin Gyatso

I monaci buddisti del Tibet sono arrivati al punto di darsi fuoco, in un estremo tentativo di sollevare le coscienze mondiali dalla patina di indifferenza che sembra essere calata sulla questione tibetana.
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Dal 2009 sono già 152 i religiosi che si sono immolati per la causa della libertà del Tibet, protestando così contro il giogo oppressore del comunismo cinese.
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La pressione del Partito Comunista Cinese contro il popolo tibetano è micidiale e non lascia spazio a speranze di alcun tipo, configurando nel suo complesso il reato internazionale di genocidio e di crimine contro l’umanità.
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Fino a quando continueremo a tollerarlo e a stringere accordi economici con il sanguinario Governo cinese ?
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Dissenso
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